{)Jt BIANCO l.XIL ROS...',O iit•®ilil nanza; vuole dire la costruzione nel senso dello stato; vuole dire accettare la sfida federalista in modo tale che essa non sia occasione di frammentazione. Questi sono i compiti, probabilmente, di una sinistra post-moderna, ma sono molto difficili. Quello che contemporaneamente va fatto è questo: che accanto all'assunzione di questi temi, questa nuova sinistra deve essere capace di ripescare nel suo patrimonio tradizionale, ed unire su questi nuovi temi non più le sue vecchie ideologie, perché le ideologie, per molti aspetti, sono finite, ma i suoi valori, che non solo non sono finiti, ma sono in prepotente ritorno. Nello sdegno diffuso di molti cittadini nei confronti della corruzione vediamo riemergere un valore vero, quello delle giustizia e dell'onestà. I valori sono attuali, eccome, però non sono più strutturati ed organizzati in ideologie pre-confenzionate. Questa è l'opportunità molto difficile per la sinistra: ripescare in questo patrimonio di valori vuole dire ridare senso a termini antichi come l'uguaglianza, come la solidarietà, come la protezione sociale che è fondamentale. È la dimensione ultima della sinistra, e senza di quella non vi è sinistra. L'idea che gli esseri umani devono essere difesi e protetti, perché c'è una insicurezza nella presenza dell'uomo nella società. Questo identifica la sinistra. E vorrei accennare ad un argomento che mi lascia, ogni volta, tremendamente perplesso. Vorrei riprendere il tema del lavoro, per concludere. Cosa vuol dire lavoro oggi? Io penso che il più grosso fallimento culturale del partito socialista nel nostro paese è di non aver saputo rideclinare questo vecchio termine fondamentale della cultura riformista, rideclinarlo in una nuova situazione, per cui hanno avuto maggiore peso altre immagini, ma non questa che ha un valore di fondo che andava ripescato, ridisegnato e ripresentato in questa nuova fase, e attorno ad esso potevano essere affrontati i problemi del risanamento finanziario, del controllo del mercato senza il soffocamento del mercato stesso... È un grosso tema, che resta tutto da svolgere ... TAMBURRANO Io credo che il limite culturale della sinistra non sia quello di non essersi scrollata di dosso, con una revisione accurata ed una elaborazione della nuova cultura, lo statalismo, l'assistenzialismo, il Welfare. E ciò perché, anche se qualcuno a sinistra con41 tinua a parlare di queste cose, la realtà è che la sinistra di fatto, non solo proclama, ma crede nel mercato. Il limite culturale, oggi, non è più lo statalismo, ma è il mercato, perché è un'accettazione del mercato in modo totalmente acritico ... Anche a sinistra, poi, pure loro proteggono i loro elettori: se ci sono più elettori dalla parte dei pensionati, allora si occupano delle pensioni più di altri ...E invece, culturalmente, crollato il comunismo, crollata l'idea, che non era comunista - perché risale a Marx - della collettivizzazione, la sinistra si muove in un deserto culturale in cui emerge solo il mercato. Tu dici: regole e limiti. Io ho letto un articolo su «The Economist» molto divertente, che parlando del crollo del comunismo e con riferimento a Carlo Marx, dice: «E adesso?». Non è l'impostazione di quel Fukuyama, quello della «fine della storia», di cui tanti hanno sparlato. Tra l'altro ho letto tutto il suo libro, e non è solo un venditore di fumo, come pure ha detto Dahrendorf. Ecco: l'«Economist» dice: «E adesso?» ... Lo chiede l'«Economist»: il mercato è insostituibile per i prezzi, per i costi, per l'innovazione, e l'innovazione è una leva del progresso della società, e però queste innovazioni producono squilibri, disuguaglianze, e quindi c'è bisogno di una sinistra. Strano che l'«Economist» non si sia accorto, in questo articolo, che in Inghilterra c'è un partito grosso che si definisce di sinistra: il «Labour». Loro hanno invece proposto quella che chiamano non la «New left» ma la «Next left», la prossima sinistra. Di essa c'è bisogno, perché i temi dell'equità, della giustizia, della protezione, delle garanzie sono necessari, sono l'altra faccia dello sviluppo della società accanto all'innovazione. Certo che la sinistra si deve confrontare con il mercato. Noi abbiamo parlato prima del soggetto collettivo politico. Ed il soggetto collettivo sociale dove sta? Cioè le forze che possano esprimere un progetto della sinistra quali sono? Se la società è divisa in due terzi che stanno bene, e un terzo è quello che sta male, cioè che paga i costi dell'innovazione e dello sviluppo, occorre riflettere che allora la sinistra è destinata a perdere sempre. Chi sono, infatti, quelli del terzo emarginato? I problemi del TerzoMondo non fanno soggetto collettivo, in Italia. Da noi non vota il Terzo Mondo, e non ci dà neanche il voto. Occorre invece un grande cambiamento di prospettiva. La sinistra ha un grande campo culturale in cui dovrebbe avven-
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