~lLBIANCO. lXILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Unità a sinistra: se nonora,quando? e di Pierre Carniti on la tribolata elezione dei presidenti delle Camere è iniziata una legislatura che sarà prevedibilmente dominata dalla turbolenza. D'altra parte dalle urne è uscito un panorama parlamentare frastagliato ed inedito. Senza più maggioranza e nemmeno alternative. Il 5 e 6 aprile è stato infatti sconfitto il quadripartito. È stata bocciata la centralità democristiana. È stata battuta l'alternativa di sinistra. I voti di Pds e Psi sommati insieme non hanno raggiunto nemmeno la quota del 28 ANNO 111° • MAGGIO 1992 • L. 7.000
IN QUESTONUMERO EDITORIALE Pierre Carnltl Unità a sinistra: se non ora quando? pag. 1 AITUALITA Rino Caviglloll Psi: la malattia è seria la medicina sia forte pag. 5 Paolo Giammarroni Sindacato-partiti: punto e a capo? pag. 7 Claudio Sabattlni Una risposta solidale alla «complessità» emergente pag. 10 Giovanni Gennari Padre Balducci: i poveri, la pace, la Parola pag. JZ Francesca Panarello 51 ° Congresso Fuci: diversità, diritti, riforme pag. 16 Francesco Cossiga Discorso al popolo italiano (25/4/1992) pag. 18 Proposta: Per una iniziativa comune della sinistra in Europa. Bruxelles maggio 1992 Salvo Andò Gianni Baget Bozzo Adriana Ceci Gian Primo Cella Fabrizio Cicchltto Ettore De Marco Franco Ferrarottl Gianni Mattioll Agostino Marianettl Domenico Rosati Giorgio Ruffolo Salvatore Vento Biagio De Giovanni Raffaella Vltulano Giuseppe Fiorenza DOSSIER Dopo li voto: riforme. unità solidarietà nuova Oltre l'oggi: se il Pds guarda in avanti. .. pag. 28 Il Psi recuperi l'istanza di movimento e riforme pag. 30 L'urgenza di una sinistra rinnovata nell'unità pag. 31 L'unica risposta al cambiamento: governare la scomposizione pag. 32 Psi: autoriforma, e poi unità della sinistra pag. 34 Un progetto che scombini le regole dei vecchi giochi pag. 35 O la sinistra si ripensa o «il vulcano» esploderà pag. 36 Dopo lo scossone: recuperare riforme e responsabilità pag. 38 Un sussulto d· responsabilità per aprire un cammino nuovo pag. 39 Per una nuova chiarezza: cambiamento in due tempi pag. 41 Psi. Il buon riformismo comincia in casa propria pag. 42 Sinistra unita e solidale contro l'egoismo leghista pag. 44 L'EUROPAE ILMONDO Europa: il vero rischio viene da un «centro» pigliatutto Caracas: le nuove frontiere della Cisl internazionale INTERVENTI «La scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde» (Don Milani) A te, dea casta e piacente (Inno alla politica) DOCUME~TO Bartolomè de Las Casas «Brevissima relacion de la destruccion de las lndias» VITADELL'ASSOCIAZIONE ReS: sul 5 aprile guardando al futuro dell'unità a sinistra pag. 47 pag. 49 pag. 51 pag. 55 pag. 57 pag. 66 Immagini: Da Serge Gruzinski. l'Amérlque de la conquete, peinte por las lndlens du Mexlque, Flammarion Parla, 1991
i,)JLBIANCO l.XILROSSO i IU I 11A1 ii I I vecchio Pci. I due partiti della sinistra sono usciti notevolmente ridimensionati dalla consultazione. Il Pds in termini di peso elettorale, il Psi di ambizioni. Milioni di persone hanno votato per le Leghe. Altri milioni si sono dispersi in formazioni di antica e nuova nostalgia, devoti di reliquie del passato: il ventennio per il Msi, il protocomunismo per Rifondazione. Tutto fa perciò pensare che se l'elezione dei presidenti di Camera e Senato non è stata facile, le difficoltà per l'elezione del presidente della Repubblica e per la formazione del governo saranno assai maggiori. E intanto cosa succede? Il ministro del Bilancio Cirino Pomicino lascia in eredità al suo successore il compito (che non ha voluto, potuto, o saputo assumersi personalmente) di attuare una manovra di rientro dal disavanzo di almeno 50 mila miliardi all'anno per il prossimo triennio. La domanda, naturalmente, è: chi paga e su quali basi di equità e giustizia? Anche perché i 50 mila miliardi di minori spese e di maggiori entrate servono solo a riportare il deficit in linea di galleggiamento, ma non avranno significativi effetti sul debito accumulato. Che, invece, (come abbiamo deciso a Maastricht) dobbiamo ridurre drasticamente. Oltretutto, poiché piove sempre sul bagnato, tutto questo deve avvenire in una situazione economica-produttiva tutt'altro che facile e con le scadenze eu3 ropee che sovrastano. Il 1 gennaio 1993prende infatti il via il mercato unico europeo. Spariscono le barriere doganali. Persone, capitali e merci potranno circolare liberamente e la pressione della concorrenza sul nostro sistema produttivo, già malandato ed in declino per antiche debolezze strutturali, è destinata ad aumentare fortemente. Con conseguenze negative sul tasso di attività e di occupazione. A meno di essere ciechi si vede benissimo che non c'è tempo da perdere per una radicale svolta dell'economia nel difficile tentativo di rientrare in Europa. Poiché siamo già con un piede fuori, se vogliamo sperare di farcela a rientrare, anziché perdere tempo, dovremmo impegnarci ad evitare che sia invece il tempo a perdere noi. Ma per avviare subito un rigoroso programma di risanamento come prima cosa occorre una maggioranza solida che sappia esprimere, tra l'altro, un governo credibile e durevole. Per quanto gli alchimisti delle formule si siano dati immediatamente da fare l'unica possibilità concreta, che a questo fine si può intravedere, è legata ad un accordo tra i tre maggiori partiti (Dc, Psi, Pds). In questa prospettiva sarebbe naturalmente ragionevole una intesa previa tra i due partiti della sinistra da far valere nel rapporto con la Democrazia Cristiana. Occhetto ha però sdegnosamente respinto ogni coin-
,P-lJ.BIANCO l.XILROSSO 1i 111 ki 181ill volgimento tanto nel futuro governo che nella necessità di un nuovo e diverso rapporto con il Psi dicendo che si trattava di una «polpetta avvelenata». Così in due sole settimane l'illusione di una nuova unità a sinistra è stata affossata prima ancora che incominciasse concretamente a balenare. Può darsi che l'iniziativa del Psi sia apparsa frettolosa, ma il meno che si possa dire è che il Pds rimane prigioniero di un paradosso incomprensibile: un partito liberato dalle scorie del vecchio Pci, rifondato a costo di una scissione e di un vistoso calo elettorale, proteso alla ricerca di una strada per pesare nel governo del paese alla prima concreta occasione non ha avuto la forza di decidere tra il vecchio ed il nuovo. Ma se la prospettiva di una alleanza paritaria tra partiti riformisti e Dc per governare la transizione in vista della democrazia dell'alternanza risultasse impraticabile la cosa più probabile che potrà capitare, tenuto conto della attuale composizione del Parlamento, è che si torni a votare assai presto. E non per una «astuzia politica», o perché è prevalsa questa o quella riforma elettorale, ma per disperazione. Con una simile rotta gli approdi rischiano davvero di essere poco rassicuranti. Non diventa infatti difficile immaginare che la seconda repubblica non la farebbero i partiti, ma si farebbe, piuttosto, contro i partiti. Di certo contro i partiti riformisti. D'altra parte se i partiti che aspirano ad essere i protagonisti di una politica rifor4 mista non sapessero, o peggio non volessero, promuoverla e sorreggerla con scelte chiare e persuasive diventa arduo pronosticare loro un futuro. Le elezioni hanno messo in evidenza che il sistema politico che ci ha accompagnato per quarantacinque anni non funziona più. Ma anche che il nuovo non esiste ancora. È iniziata una fase incerta di transizione. Le elezioni non hanno detto (né lo potevano con l'attuale sistema politico ed elettorale) cosa si deve fare per il futuro. In compenso hanno detto chiaramente cosa non è più possibile fare d'ora in avanti. Hanno detto alla Dc che è finita l'epoca in cui si poteva governare con qualche battuta di spirito e soprattutto dispensando tranquillanti a spese del bilancio pubblico in cambio di un consenso sempre più esoso. Hanno detto al Pds ed al Psi che se mancasse loro il coraggio per incominciare a costituire e far pesare nella vita politica italiana un polo riformista, non basterebbe che decidessero di fare qualcosa d'altro per salvarsi l'anima e garantirsi una sopravvivenza. Una cosa infatti è certa. Nella situazione che si · è aperta se l'uno o l'altro dei due partiti, o entrambi, si limitassero per implausibili convenienzea enfatizzare scelte inconcludenti, a navigare in bassi fondali lungo una rotta che non porta da nessuna parte, non basterà che pensino di perdonarsi reciprocamente in futuro. Perché da ora sarebbero giustamente ritenuti imperdonabili dal paese.
.Pll~ BIANCO '-.XII_JROSSO ATrUALITÀ Psi:lamalattia è seria lamedicinsaiaforte di Rino Caviglioli uanto sta accadendo in queste ultime setti- Q mane nel nostro Paese ci obbliga, finalmente, a scelte radicali. Certo, molto poteva essere previsto. Era impossibile che dietro quel sordo brontolio sociale - che ormai coinvolgeva tutti gli strati e i ruoli sociali e tutte le aree geografiche - ci fosse solo rinuncia, o immotivata protesta. Ma ora è accaduto, ed ogni persona perbene può vedere, giudicare, agire. Vedere. Bossi vuol dividere l'Italia in tre parti, ma altri hanno allontanato la riunificazione culturale, economica, politica del Paese. Le funzioni più importanti di uno Stato moderno sono a pezzi. Quelle storiche - fare le leggi, farle rispettare, far pagare le tasse - non meno di quelle più «evolute» che si ispirano a principi di solidarietà sociale: curare gli infermi, educare i ragazzi, offrire a tutti una cittadinanza convincente. I partiti usurpano prerogative altrui ed al loro riparo, spesso per fini personali e di clan, prospera il malaffare. Ogni potere istituzionale appare debole, contestato, incerto, rinchiuso in una dimensione quotidiana. La «societàpolitica» è ammalata ed anche quella civile. I due mondi sono tutt'altro che separati e 5 le inefficienze e le sordità del pubblico amplificano i ritardi e le durezze del mercato. Insomma, non è un bel vedere. Quanto al giudicare possiamo azzardare qualche riflessione. Chi ha esercitato più potere è più responsabile, anche se la pratica çiel consociativismo forte coinvolge tutte le piu importanti forze politiche. Nessuna forza politica di rilievo ha raccolto con efficacia le aspettative di modernizzazione che attraversano i grandi paesi industrializzati: ma quasi allo stesso modo trascurata è apparsa la domanda di equità sociale, fatti salvi i rituali d'obbligo. Al centro c'era solo il dovere di conservare, ed anche questo è stato fatto assai malamente: ma a sinistra come non riconoscere che sopravvenienze ideologiche, rissa permanente, il prevalere di consolidati interessi di gruppo su quelli generali, hanno reso non credibile e non praticabile una politica riformatrice e di solidarietà sociale? La consultazione elettorale di aprile ha reso evidenti i problemi; ha chiesto - non dato - unarisposta agli stessi. Modesti i consensi espressi per quanti si sono proposti come moralizzatori della vita pubblica, a valanga i voti per la Lega Nord, dalle aree geografiche e dalle genti più ricche del paese: difficile non pensare che esse siano mosse,
~.lL BIANCO lXILROS.SO Mii•Cilill oltre che dalla voglia di protestare per ciò che non va, da sentimenti di conservazione e di paura di regredire, di perdere «lo status» conquistato. E tuttavia sarà bene prenderne atto: un grande movimento sociale, come sempre carico di risentimento, è cresciuto a nord di Roma ed il suo progetto politico - che appare ancora confuso e velleitario - non potrà essere ignorato. Ma con tutti i rischi che il presente politico manifesta, esso appare preferibile alla decadenza rassegnata, al mesto logorio delle istituzioni, al silenzio rabbioso, al lento separarsi dalla politica, alla spartizione concordata delle vesti che abbiamo visto praticare per molti tempi. Meglio perché oggi, più che nel passato, è possibile proporre e agire. E qui la riflessione scivola su di noi. Noi persone, poiché nelle società democratiche la qualità della rappresentanza politica è decisa dalla gente. Noi attori sociali, con responsabilità di un qualche significato nel sindacalismo confedera le, nel mondo della cultura, nella politica. E, infine, noi come promotori e soci attivi di «Riformismo e Solidarietà». «ReS» vive da oltre due anni. Essa ha rappresentato una sede qualificata di incontro e dibattito: i «Forum»ed il mensile «Il Bianco e il Rosso» 6 testimoniano l'interesse ed il coinvolgimento che la nostra esperienza raccoglie. La futura costituzione di «Adresse» - un'associazione a sostegno del volontariato - motiverà ulteriormente e darà più significato al fare politico. Noi abbiamo voluto «ReS»associazione autonoma, che si richiama ai valori del riformismo e della solidarietà, di area socialista ma non di partito. Questa Costituzione va confermata. Ci chiediamo però se il Psi sia interessato realmente alla nostra esperienza associativa, alla cultura ed alle proposte che avanziamo. Gli anni trascorsi non sono incoraggianti. Assai pochi tra noi sono direttamente impegnati nella gestione del partito, i più sono sindacalisti, intellettuali, operatori in associazioni di area socialista. In un momento di grande difficoltà per il Psi, siamo tutt'altro che intenzionati ad abbandonare il campo. È indispensabile però che il Partito cambi attraverso un profondo rinnovamento del gruppo dirigente, a tutti i livelli, e produca una rivitalizzazione dello stesso strumento - partito. Ci sono poi talune questioni fondamentali sulle quali un diverso atteggiamento appare ormai indispensabile. Come, per esempio, sulle quattro seguenti: 1) - Unità della sinistra. L'unità tra le forze po-
i)JLBIANCO lXILROSSO Mii•liild litiche della sinistra - a cominciare dal Psi e dal Pds va proposta e perseguita per ciò che è: una condizione preliminare, per le forze di progresso, per recuperare capacità di governo in nome della solidarietà e non solo dell'efficienza; un passaggio indispensabile per decantare la confusione politica e creare le condizioni dell'alternanza. Occorre quindi lavorare per un nuovo soggetto politico della sinistra che appaia più credibile degli slogan di partito finora lanciati. 2) -Questione morale: d'accordo, respingiamo le strumentalizzazioni e buttiamo a mare i «profeti del giorno dopo». Poi, però, per favore, stracciamo le liste di proscrizione e, silenziosamente, facciamo pulizia. Ma non basta. Il Psi deve contribuire a risanare la vita politica del Paese sostenendo l'abolizione dell'immunità parlamentare, fatti salvi i reati di opinione. E poi dovrebbe al proprio interno istituire, e suggerire alle altre forze politiche, un «comitatodi garanti» al quale affidare due scelte: individuare le postazioni dalle quali il partito deve progressivamente ritirarsi; definire le procedure ed i criteri di nomina per gli incarichi che il Partito fosse comunque delegato ad affidare. 3) - Riforme istituzionali: ogni possibile riforma deve misurarsi con l'obiettivo di rendere trasparente ed operativo il principio di responsabilità attraverso meccanismi che spingano per l'alternanza tra le forze di governo. Ripiegare su modifiche delle leggi elettorali attraverso premi di maggioranza o soglie d'ingresso significa semplicemente rendere invisibile il disagio, il dissenso, la frammentazione sociale e politica. Non solo: esiste un nesso inscindibile tra risanamento economico e riforme elettorali: sia perché il disfacimento istituzionale scarica i suoi costi sull'economia, sia perché per il tempo non breve delle riforme istituzionali ed elettorali il governo dell'economia non può ridursi a puro governo della moneta, pena conseguenze pesanti sugli strati sociali più esposti. 4 - Rapporti con il mondo cattolico: gli esiti elettorali hanno reso visibile il pluralismo politico da tempo operante anche tra i cattolici del nostro paese. Contemporaneamente è apparso chiaro che, la sinistra in genere, ed il Psi nello specifico, hanno assai poco beneficiato di detto pluralismo. E non poteva che accadere questo: le sensibilità e i valori dei credenti, se trovano riscontro in alcune impegnate testimonianze, continuano a non permeare le scelte politiche e spesso i comportamenti concreti degli uomini del partito. Parallelamente i rapporti con l'associazionismo cattolico, nelle sue diverse forme, sono apparsi fortemente viziati darichieste strumentali. È dunque l'anima stessa del partito che va cambiata, resa più accogliente, più ricca. E qui mi fermo. Forse il linguaggio utilizzato non è dei più paludati: ma è questo tempo di paludamenti? Sindacato-partiti: puntoe a capo? di Paolo Giammarroni a preparazione della complessa maxi-vertenza L su scala mobile, livelli contrattuali, rappresentatività ha già ripreso - come giusto - il primo posto nella informazione sindacale. Il risultato elettorale col suo terremoto (piccolo o grande, a seconda delle letture) riguarda però da vicino il sindacato, investito sotto almeno 3 profili: 1. lo spazio politico per le confederazioni rispet7 to al confuso panorama istituzionale; 2. il basso livello di autonomia dimostrato da realtà locali delle confederazioni durante la campagna; 3. l'esito semifallimentare delle candidature maturate ed ex-sindacalisti all'interno delle formazioni politiche di loro riferimento «classico». Può essere utile dunque qualche riflessionea voce alta, che parta da un dato preliminare. La que-
i.).lLBIANCO lXILROSSO Mii•Cilld stione del rapporto sindacato-partiti ha assunto negli anni toni così ripetitivi da non esercitare alcun fascino. Tuttosembra essere già stato scritto e detto. l'articolazione delle posizioni tra i massimi dirigenti è delineata: le «correnti» (di pensiero o di partito) alimentano se stesse senza apparenti difficoltà. Un problema «elettorale» sembra non esistere, se non si sente neanche l'esigenza di porlo all'ordine del giorno in modo pubblico. In effetti, tranne un documento sulle «regole» da tenere durante la campagna in casa Cgil, dall'esterno neanche stavolta si sono potuti notare segnali di novità. Le novità, invece, nella sostanza di questa dura e babelica campagna c'erano e ampiamente annunciate. Davvero il sindacato italiano non ne coglieva la portata, a parte pronunciarsi per l'urgenza di riforme istituzionali tutte da mettere a fuoco? Il sospetto di un ritardo, o meglio di un pregiudizio nell'ottica delle confederazioni, è rafforzato dalla debolezza dei commenti sindacali post-elettorali. Davanti alla frantumazione delle liste e al prevalere di un voto chiaramente di protesta il sindacalista appare smarrito. Sa che veder disperdere un chiaro riferimento in Parlamento può fargli perdere un ruolo politico lungamente e faticosamente conquistato. L'invocazione improvvisa e da posizioni inattese di un «governissimo» Dc-Pds-Psi va interpretata come preciso segnale di questa angoscia da abbandono. Forse mai il sindacalismo italiano degli ultimi 20 anni si è sbilanciato a favore di una certa coalizione, come in questo caso, anziché attenersi alla consueta posizione di equidistanza e di attesa di valutare precisi programmi. La situazione del dopo-voto è eccezionale, naturalmente. Le scadenze legate a rinnovo di cariche, varo di manovre economiche urgenti, decisioni in merito alle riforme istituzionali si accavallano, senza che si veda ancora un'agenda dei lavori. Chi ha sognato un sindacato così «adulto», da poter fare a meno di un governo amico, oggi è costretto a ricredersi. Nei prossimi anni non basterà dare bacchettate sulle dita ai governanti inetti e sognarne di migliori: sempre più, in questo caos di proposte, il sindacato è chiamato a precisare intanto le sue. E dunque lo spazio di contatto con partiti e istituzioni si fa più stretto e non più rado. Il bisogno di interlocutori reali e non di fantasmi 8 si fa vitale, pena la stessa perdita di significato di un'azione complessiva anche sui temi-tabù nelle relazioni sindacali in altri paesi, a cominciare dal fisco. Ben venga dunque una maggiore attenzione alle vicende della rappresentanza politica in Italia e della sua efficacia. I problemi per il sindacalismo confederale nascono però a questo punto. E il ritardo di una riflessione aperta appare in tutta la sua evidenza. Con quali schemi il sindacalismo italiano sta vivendo questa fase di mutamenti? Schemi vecchi e logori, testimoniati da numerosi episodi proprio in questi mesi. Anziché anticipare il bisogno di mutamenti nel modo di far politica largamente diffuso tra la gente, si è preferito cavalcare alcune singole iniziative ritenute forti. Ha iniziato Giorgio Benvenuto, alla vigilia della campagna elettorale, con un repentino salto di poltrona, che ha scatenato una dura polemica. Aldilà delle valutazioni sulla affidabilità di un exsindacalista in un ruolo di dirigente pubblico («meglio lui, che chissà chi», veniva da rispondere), modi e tempi dell'operazione restano opinabili e poco possono aver contribuito a disegnare un'idea di autonomia sindacale nel normale contribuente. La saga tra Marini e Sbardella, alla ricerca della leadership provvisoria sulla Dc romana, ha sfiorato i toni della telenovela. Condotta sul filo del ricorso ai probiviri (mega-assemblee di sindacalisti Cisl spacciate per presentazioni di libri) e del buon gusto, ha visto un tasso di partecipazione e coinvolgimento capillare da lasciare sconcertati. Forse dai tempi del referendum della scala mobile non si vedeva tanto attivismo: ma la posta in gioco era, francamente, ben diversa. La realtà finale di tanta agitazione sul territorio nazionale dovrebbe indurre a molti ripensamenti. Non è infatti solo colpa della preferenza unica se, insieme ai Monticone o agli Elia, non ce l'abbia fatta la quasi totalità di candidati di provenienza sindacale. La distanza tra tendenze dell'elettorato e spinte sindacali ad una sorta di auto-rappresentanza in Parlamento non poteva essere più evidente. Innanzitutto la massa di ex-sindacalisti sceglie (o si limita a dare evidenza) un ristretto arco di partiti, i più forti e tradizionali. Non vediamo all'orizzonte candidati attratti dai Verdi, o da Pannella, o da Orlando, né dalle Leghe che pure hanno pe-
"JL BIANCO '-"._IL ROSSO Miikiiiill scato a man bassa nel proletariato e nella piccola borghesia padana, dove pure il sindacalismo confederale ha le sue stesse radici culturali. La «trombatura» collettiva non testimonia solo il relativo interesse dei grandi partiti ad aver eletto uomini di «area» anziché di sperimentata fedeltà. Indica, su un piano più antropologico, il venir meno di quelle identità collettive che in passato avevano dato senso a simili travasi. La gente guarda altrove. La tessera sindacale ha un significato dentro un suo ambito, non oltre. E forse solo un'operazione di verifica nella rappresentatività (sempre auspicata e troppo a lungo differita) potrebbe fare chiarezza su questo punto, con tutti i rischi che comporta. Quando votiamo, ormai milioni di voti si spostano sull'onda di una ricerca di qualcosa che non c'è. Una candidatura d'ambito sindacale, evidentemente, non soddisfa questa sete di «disinquinamento». Cioè non è vissuta come espressione di un movimento riformista con propri tratti autonomi, aldilà del valore del singolo. In assoluto nulla vieta che il sindacato sappia esprimere una dirigenza di livello politico. Purtroppo ha perso anni a discutere del problema alla rovescia, cioé di come si potevano far convivere militanza sindacale e impegni partitici senza rimorsi di coscienza: anzi in nome di un presunto «realismo» modernista. Altro sarebbe stato seguire le strade del Patto referendario. A livello locale si sono già sperimentate, non solo negli anni 50, campagne su più candidati di fiducia presenti trasversalmente in vari partiti. Mai - che io sappia - però dentro una precisa strategia unitaria tra le tre confederazioni: che è come dire che ognuno ha solo tentato di rafforzare il proprio livello di pluralismo interno. Gli anni sono trascorsi e le decisioni stringono. Il sogno di «correntoni» più o meno vicini al sindacato (e non solo una cordata di potentati) è finalmente al termine? Difficile crederci. Oltretutto angoscia come le vecchie identificazioni si rinsaldino là dove più ci sarebbe da fare, cioè dove è tutta da spiegare la sfida di questi anni 90: certe fabbriche ferme nel tempo e dove il massimalismo a parole copriva una cogestione nei fatti; certo mondo dei servizi pubblici, convintissimo che il primo passo verso l'efficienza tocca sempre a qualcun altro; certo terziario poco o nulla avanzato, che sa di essere a rischio nell'operazione di riequilibrio fiscale, dato che i conti dello Stato non po9 tranno pagarli a questo punto solo le imprese. C'è poi un ultimo aspetto che riguarda gli uomini. Se si rompono i meccanismi del passato, chiamateli di «cooptazione» o come volete, un pezzo di dirigenza sindacale può ritrovarsi senza futuro. È un elemento da non sottovalutare al momento di dare giudizi, anche perché il ricambio verso una dirigenza sindacale non solo più giovane, ma più colta, preparata, intercambiabile è ancora tutto da completare. Tutta la discussione ha urgente bisogno di uscire dai facili moralismi, ma anche dall'«ingrottamento» imbarazzato che l'ha contraddistinta in questi anni, salvo qualche voce «estrema». Quando tutti i Muri cadono, anche quelli coi manifesti della campagna elettorale, conviene stare attenti a non essere travolti dalle macerie. Staremo a vedere come il sindacato, nei tempi brevi, interpreterà il bisogno di autoriforma dello scenario politico italiano. Può restare a guardare. Oppure intrigare a favore di coalizioni «forti» ancorché inedite pur di consentire una qualche governabilità. Oppure ritrovare un ruolo di proposta davvero autonomo, che inevitabilmente passa per lo scompaginamento non solo degli schieramenti, ma anche delle culture di appartenenza. In fondo solo così è ben pensabile riuscire nella impresa di ridare piena dignità al tema «lavoro» in un paese ubriacato dalla ricerca di un più alto «valore aggiunto» sempre e comunque. C'è proprio bisogno di trovare un mitico nuovo modo di far politica, provando ad uscire dai vezzi della partitocrazia italiana. Nel caso del sindacato, dunque, resta più che mai urgente il dovere di autoriformarsi non solo depurandosi dalle «tossine» correntizie, ma soprattutto proponendosi, come esempio concreto di «apparentamento» tra culture riformiste capaci di progettare e controllare.
..l).f.L BIANCO lXILROSSO Mi A•CiI i 1W Unarispostsaolidale alla«complessiteàm»ergente di Claudio Sabattini a lezione che si può trarre da quanto è accaduL to in questi ultimi tre anni in tutto il mondo è inequivocabile per lo stesso movimento sindacale. Società sempre più complesse non possono più stare insieme né per mezzo di ideologie onnicomprensive né per mezzo di apparati centralistici che invochino le ragioni della funzionalità. La stessa speranza riposta esclusivamente nel mercato come supremo regolatore ha trovato drammatiche smentite in questo ultimo anno a tal punto che per primo il pensiero liberaldemocratico chiede un nuovo sforzo creativo pari a quello che portò allo stato sociale ed alle politiche keinesiane. Movimenti profondi, alimentati da una vera e propria «sete»di identità, reagiscono a questa crisi di valori e di esperienza con la richiesta localistica e/onazionalistica, con la difesa di classe e/o corporativa, con la riscoperta «intollerante»delle proprie fondamenta. In questi movimenti stanno anche le radici di un possibile e radicale passo avanti nella direzione di società democratiche in quanto 10 fondate sul riconoscimento esplicito della diversità dei fini e dei soggetti e sulla costruzione processuale, con loro contributo, di progetti di trasformazione sociale e politica. Per l'intanto prevale l'aspetto distruttivo e ciò che viene in primo luogo distrutto è il valore della solidarietà: sta prevalendo una feroce lotta per la sopravvivenza, e ciò è vero per lo stesso movimento sindacale italiano. Ogni tentativo neointegralista o centralistico è destinato ad aggravare questo processo, Occorre ripartire da una concezione integralmente pluralista fondata sulla tolleranza e regole democratiche conseguenti. Il movimento sindacale italiano può rilanciare il suo valore primo e fondamentale la solidarietà solo presentandosi come un unico contenitore, agibile e visibile, per tutte le differenze interne al mondo del lavoro: religiose, ideologiche, politiche, di genere, di razza, di etnia, di nazione, di status. Pluralismo e solidarietà quindi nella democrazia come valori fondativi ma anche come valori esigibili nella prassi quotidiana.
.i) .. J.t BIANCO lXILROSSO EANililld Le ragioni della Democrazia Un sindacato (ad unità organica) siffattoha quindi bisogno di rappresentare al suo interno in modo permanente, aggiornato ed effettuale le diversità esistenti nel mondo del lavoro. Parliamo naturalmente di tutto il mondo del lavoro comprendendo quindi coloro che volendolo ne sono privi ed anche coloro che vogliono un lavoro diverso da quello tradizionale a tempo pieno. Rappresentare in modo effettuale queste differenze e metterle effettivamente in comunicazione all'interno di una organizzazione che è loro in senso proprio è la condizione perché il pluralismo e la solidarietà si realizzino. Ciò richiede nuove forme di esperienze democratiche fondate su una assunzione di responsabilità da parte di tutto e su una deburocratizzazione delle istituzioni politiche; esse, per il sindacato, possono trarre ispirazione dalle nuove forme di lavoro che nascono in tutto il mondo di aperta polemica coi vecchi modelli burocratici fondati sulla deresponsabilizzazione della maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici ed il dominio incontrastato di caste burocratiche. La chiave di volta di queste esperienze, quando sono stabili e di successo, è la ricerca esplicita di una combinazione tra obiettivi dei singoli e necessità del gruppo cui i singoli partecipano; una ricerca esplicitamente condotta a partire dal riconoscimento delle diversità e della loro eguale importanza assieme ad una analisi di realtà delle condizioni di sopravvivenza del gruppo in quanto tale. L'inadeguatezza del Pluralismo sindacale istituzionale. Il pluralismo istituzionale del sindacalismo confederale italiano si trova oggi orfano delle ragioni della sua nascita storica e di valori e quindi di fronte ad un dilemma: o dare vita ad un'unica organizzazione sindacale con le caratteristiche prima delineate o reinventare le ragioni di una distinzione istituzionale. Appare di assoluta evidenza che il reinventare delle distinzioni istituzionali, delle ragioni di diversità organizzativa oggi significa inevitabilmente inserirsi in quel «movimento» di cui si è parlato: la ricerca reattiva di una identità aggressiva contro tutti. Ciò presuppone la definizione di un avversario esterno il che richiede la burocratizzazioneinterna; di qui origina una progres11 siva perdita di contatto con la realtà ed una difficoltà ad imparare dall'esperienza; il che porta alla progressiva rottura con strati di lavoratori e lavoratrici che «disturbano» e quindi alla nascita di nuove ragioni organizzative esterne, sempre più povere e caricaturali: ciò innesca una perdita di rappresentatività che dà origine ad una perdita di autorevolezza e di potere che alimenta una chiusura a difesa e così via sempre peggio. Contestualmente una siffatta ricerca reattiva di identità non può che sospingere il movimento sindacale nel sistema dei partiti, ricostruendo nuovi collateralismi. Le uniche diversità che non danno necessariamente origine a questa spirale perversa sono quelle che nascono dalle diversità dei soggetti e delle loro strategie ma esse per essere vitali richiedono la reciproca comunicazione, un'analisi di realtà condotta in comune ed in contraddittorio. Ciò può avvenire solo con la fine del pluralismo istituzionale e la nascita del pluralismo solidale e democratico (in una unica organizzazione). Due punti di partenza Un processo così radicalmente innovatore ma anche così profondamente sentito a livello di base e così logicamente conseguente al cambio d'epoca che stiamo vivendo richiede un punto di partenza, anzi due punti di partenza. Il primo è la soluzione conclusiva e stabile delle rappresentanze nei luoghi di lavoro, a partire dall'accordo sulle Rsu. Il secondo è la definizione unitaria di una piattaforma politico sociale del movimento sindacale italiano per l'oggi. Occorre cogliere questa autentica crisi nazionale per proporre un programma fondato sui criteri della solidarietà e dell'equità sociale. Ciò va realizzato attraverso una discussione che coinvolga effettivamente le tre Confederazioni Sindacali attraverso tutte le loro strutture a partire dai luoghi di lavoro. Al termine di questa discussione vi deve essere un'unica piattaforma, un sistema stabile di rappresentanza aziendale e quindi la possibilità di dare origine ad una fase costituente del sindacato unitario. Da subito la costruzione di un Forum che periodicamente si convochi attraverso la presenza più vasta di tutti coloro che sono interessati a tale prospettiva e che sia in grado di intervenire radicalmente su tutte quelle situazioni che possono accelerare l'obiettivo della unità organica.
~JLBIANCO l.XILHOSSO KiiiiCilil• PadreBalducci: i poveri,lapace,laParola di Giovanni Gennari ello scorso numero abbiamo ricordato padre David Turoldo. In questo è la volta di padre N Ernesto Balducci. Le disgrazie non vengono mai sole. Rimettendo in ordine i libri di Turoldo, nello scaffale dello studio, ho scoperto che accanto ad essi c'erano, e ci sono, i tanti libri di Balducci ... Due grandi testimoni del Vangelo: diversi come la passione poetica e la passione intellettuale e politica ... Due voci potenti, ascoltate da tanti lontani che in esse hanno trovato speranze, disattese da troppi vicini che per primi avrebbero dovuto ascoltarle, discuterle, confrontarsi con esse. Il leone friulano dai versi sublimi, il lottatore della resistenza milanese, il polemista appassionato capace di sfuriate apocalittiche e di dolcezze amichevoli straordinarie: Turoldo. Il leone toscano della Maremma operaia, nato all'ombra corrusca delle miniere dell'Amiata, schivo come un orso scontrosb, timido fino a nascondersi dietro un fiume di parole, capace di distruggere l'avversario con una dialettica straordinaria e poi di accompagnarlo con amicizia sincera e umanissima in un lungo divagare preoccupato solo di metterlo a suo agio: Balducci. Due preti. Anzi: due frati. Servo di Maria Davide, Scolopio Ernesto. L'essere preti, annunciatori della Parola che è Cristo e della speranza cristiana senza confini di ideologie e di partiti, è stato il carattere assoluto della loro esistenza quasi parallela. Mi è spiaciuto, e sono certo sarebbe spiaciuto anche ad essi, vedere certi giornalisti classificarli alla leggera «preti contro», «preti del dissenso». Miserie di incolti, superficiali, ignoranti e volutamente disinformati giornalisti di giornali e telegiornali. Ci sono certi frangenti in cui la spaventosa impreparazione dei giornalisti italiani, quasi senza 12 eccezioni, si manifesta devastante ... Nel caso di Balducci ha fatto eccezione, in parte, chi come «L'Unità», ha avuto il buon senso di far parlare alcuni, come Mario Gozzini, Luigi Pedrazzi e Ludovico Grassi, che Balducci lo avevano conosciuto sul serio, e non letto sui giornali o visto per qualche istante nei Tg. Se debbo indicare, ai lettori del «Il Bianco & il Rosso», cosa leggere per capire un po' del carisma autentico di Ernesto Balducci, vorrei indicare tre libri, uno dei primi e due degli ultimi, compreso quello che è uscito negli stessi giorni in cui arrivava alla fine la sua avventura terrena. Il primo è uno dei capolavori della letteratura religiosa di questo secolo: la biografia di papa Giovanni XXIII, che ebbe appunto il titolo semplice di «PapaGiovanni», Vallecchi, Firenze, 1964. È un capolavoro autentico, il migliore libro scritto su papa Giovanni, quello che lo ha maggiormente capito e fatto capire sul serio, al di là degli schemi opposti del Papa buono, ma bonaccione e sempliciotto, e dell'eversore della perenne immobilità della Chiesa cattolica che rassicurava, - chissà perché? - tanti intellettuali conservatori cattolici e anticattolici nostrani. Il secondo è un colloquio che Balducci stesso ha avuto con Luciano Martini, uno degli uomini che gli sono stati più vicini, e che costituisce una vera e propria «intervista autobiografica», il cui titolo è il seguente: «Il cerchio che si chiude», edito dalla Marietti di Genova nel 1986. Ci sono, pur nel perdurare di una ritrosia personale a parlare di sé oltre la chiave intellettuale, delle pagine straordinarie di spiritualità cristiana e di autentica umanità che avvince e affascina. Il terzo è proprio l'ultimo libro, la descrizione più compiuta e completa del punto di arrivo teologico ed umano di Ernesto Balducci, il libro in cui il suo pensiero filosofico e teologico, la sua sapienza storica, la sua lucidità politica, al di là di qualche asprezza di giudizio e di schieramento
..l).iLBIANCO \XILROSSO iliilililllW ideale e politico, si sono espressi meglio. A leggerlo si ha la sensazione che inconsciamente Ernesto sapesse che questa era la sua ultima parola umana, il suo testamento ideale filosoficoteologico. Il titolo ha del presentimento personale: «La terra del tramonto. Saggio sulla transizione». Vorrei, con tutto il cuore, che i lettori di questa rivista sapessero andare al di là dei luoghi comuni, soprattutto politici, che hanno reso ostica, talora, la persona e la lezione di un grande come Balducci. Nel mondo ecclesiale e in quello della politica troppi lo hanno tirato dalla loro parte, o lo hanno spinto su altri fronti per principio, mentre egli è sempre stato un uomo che ha saputo unire gli opposti, fare ponte tra diversi, sconcertare le classificazioni usuali, sorprendere chi credeva di averlo collocato nelle sue caselle di interpretazione religiosa, culturale o politica. Basta, del resto, guardare la sua vita intera per rendersene conto. Lo hanno stimato, e avversato, uomini e istituzioni diversissimi tra loro. Lo hanno amato i colti e i poveri, gli ultimi e gli intellettuali. Lo hanno capito tanti che erano potenti e tanti che nulla contavano. In genere egli ha incontrato l'ostilità di tutti quelli che amavano le classificazioni sicure, le etichette preconfezionate, gli schieramenti contrapposti e chiari che danno sicurezza alle incertezze della propria coscienza, e l'amicizia di tutti coloro che erano in sincera ricerca. 13 Per quanto mi riguarda, e la cosa vale niente, ma per me è importante, anche quando non sono stato d'accordo con lui, - ed è successo spesso -, ho sentito la sua grandezza autentica, la sua profezia verace, la sua capacità straordinaria di leggere la storia e di vedervi dentro la luce di Cristo, i «semidel Verbo», per usare una espressione cara ai Padri greci della Chiesa antica. Ora la sua parola tace, il suo cuore si è fermato, e mi è difficile dire in sintesi cosa egli sia stato, per tanti. Ci provo, ricordando che la sua vita intera ha avuto al centro tre grandi realtà: i poveri, la pace, la Parola. - I poveri. Maremmano dell'Amiata, figlio di minatore, non ha mai dimenticato le sue radici. Ci tornava spesso, come per ricaricarsi. La cultura, sterminata e raffinata, - viveva nell'edificio della Badia di Fiesole, dove villeggiava Lorenzo de' Medici-, non l'ha mai allontanato dalla gente. La sua scelta dell'uomo, dall'inizio alla fine, è stata difesa dei poveri: dai minatori, appunto, agli operai della Galilei ai tempi della occupazione della fabbrica per difendere il posto di lavoro; dai senza casa dei tempi del grande piano edilizio di La Pira, l'amico suo, scomodo sindaco di Firenze e dei poveri, a coloro che erano discriminati, anche da noi, per ragioni politiche, che avevano certo motivazioni sacrosante, in anni lontani, ma erano sempre ferite all'umanità, ai rifugiati dei paesi dell'Est e di tutte le tirannie; dagli obiettori di coscienza, per
~.tLBIANCO \XILROS.SO MiikiiiliiW cui finì anche in prigione, alle popolazioni sterminate dei paesi sottosviluppati... Negli ultimi anni al centro della sua ricerca c'era l'uomo del 2000, l'umanità da difendere dalle prospettive di uno sviluppo sempre piu raffinato e tecnologico per pochi e sempre più disperante e abbrutito per le immense moltitudini dei tanti Terzi Mondi dispersi in ogni angolo della Terra... Su questo era stata la sua ultima conferenza, quella sera ... - La pace, poi. Alla scuola di La Pira, ma senza le ingenuità del «sindacosanto», Balducci ha elaborato una teoria della pace che gli ha consentito di essere sempre sulla frontiera della vera non violenza, fatta di vita e di ricerca. Dialogava con tutti, ma non si vendeva a nessuno. Rompeva gli schemi ovunque. Nel '63, quando fu processato per la difesa dell'obiezione di coscienza, seppe ricordare in pubblico che nell'Urss di quei tempi, «patriadellapace e della libertà», come tanti pretendevano, uno come lui non lo avrebbero messo in prigione, ma al muro. Durante uno dei suoi viaggi di pace, sempre in Urss, nel 1977,parlò pubblicamente di «rivoluzionemummificata» e di «regime in decomposizione». Gorbaciov era ancora un dirigente di periferia. A sinistra, sempre, ma senza facili svendite e servili fiancheggiamenti: contro ogni uso di parte della fede e della identità cristiana, ma anche contro ogni clericalismo ateo e oppressivo delle coscienze. 14 Aveva, forte, il senso della storia. Dal muro di Berlino alla guerra del Vietnam, dalla Grecia al Cile, da Praga a Pechino, seppe sempre essere dalla parte delle vittime, disturbando i manovratori, fino alla Guerra del Golfo. Qualcuno non gli ha mai perdonato di aver ricordato che il popolo irakeno era vittima innocente della pazzia suicida del tiranno creato dai traffici lucrosi di coloro che ora replicavano con le armi alla prepotenze che avevano alimentato per decenni. Rilevava, ironico, che i nipoti di Mazzini parlavano, ora, come i reazionari cortigiani di Pio IX, e che il successore di Pio IXparlava come il rivoluzionario Mazzini. - La Parola, infine. Quando parlava incantava. Era uno straordinario artigiano del discorso, un magico affabulatore che teneva avvinto ogni uditorio, facendosi capire da tutti, e supplendo con il gesticolare delle sue grandi mani di minatore ai difetti di intelligenza di chi era meno preparato: parlava, ragionava, incalzava, costruiva castelli di logica e di cultura per dare speranza a chi lo ascoltava. Ma al centro di ogni suo discorso, come della sua vita, c'era, assoluta, non la sua parola, ma la Parola di Cristo, del Vangelo, della liberazione dell'uomo. È stato uomo e prete senza mai entrare in sagrestie di chiesa o nei corridoi dei potenti. Ha testimoniato il Cristo risorto, lottando appassionatamente contro tutti i crocifissori dell'uomo, anche
.{).lLBIANCO lXILROSSO ibi•ililiil in tonache sacre. Prima di tutto il Regno, di Dio e dell'uomo indissolubilmente: ha vissuto le stagioni della Chiesa cattolica di questo secolo senza mai ripiegarsi sulle sconfitte o esaltarsi nelle vittorie. Il suo radicalismo evangelico lo ha reso insieme lontano e vicino a tutti. Lontano, perché presentava a tutti ciò che dovremmo essere, e non siamo. Vicino, perché ascoltandolo pareva possibile che si realizzasse anche in noi ciò che egli, come in visione, preannunciava e anticipava. Il mese scorso, a Milano, ho incontrato Christa Wolf, la grande scrittrice tedesco-orientale che ha sognato in anticipo una libertà che è ancora in arrivo. Ad un certo punto essa ha detto che «lasperanza è l'unico antidoto all'odio». Proprio così: Ernesto, come prima di lui DavidMaria Turoldo, due grandi amici e profeti di questa Italia sempre più in bilico, è stato un grande uomo di speranza, e perciò di pace. Se ne è andata una grande parte di noi, la migliore, ma il compito resta ancora da svolgere. L'ultima parola vorrei fosse la sua. Al termine della intervista autobiografica di cui ho detto sopra, nell'ultima risposta a Luciano Martini, ci sono alcuni periodi che mi pare prezioso riportare qui, come conclusione di queste mie righe esitanti. Sono brani delle pagine 151-154,con alla fine la conclusione stessa del libro, che mi pare sia come una istantanea che ci consente di vedere un lampo della luce che ha illuminato la vita di Ernesto Balducci, come illumina quella di ogni uomo di autentica buona volontà, secondo l'espressione del Vangelo che non si rivela mai vecchio: «Lalaicità indica il livello stesso della coscienza dell'uomo di oggi ... Cerco di usare un linguaggio non sacrale, ma quello di tutti i giorni, in modo che uno senta parlare del Vangelo con lo stesso linguaggio che sente in casa, all'università, nel mezzo televisivo, senza concessioni a quella schizofrenia specifica della coscienza religiosa che parla in un modo a scuola e in un altro in chiesa. Questa non è, a mio avviso, una scelta riduttiva perché il momento specifico della predicazione evangelica non è l'elemento religioso, ma l'indicazione profetica. Quando parlo del regno di Dio in maniera laica, come del regno della fraternità, dell'uguaglianza, della condivisione dei beni della terra, non riduco l'annuncio messianico, lo traduco. Vada sé che dovrò anche ricordare che esso è un evento in cui coincidono la fatica dell'uomo e la decisione di Dio, e non un puro prodotto im15 manentistico della storia... Più che una transizione alla laicità, come a volte mi è avvenuto di dire, si tratta di una immersione della laicitànella profezia, di una iscrizione della razionalità comune dentro il cerchio di un orizzonte che ha misure ben più vaste di quelle della ragione; è lo stesso orizzonte dell'uomo possibile, su cui batte la stessa luce che, nei momenti di preghiera, illumina il mio occhio contemplativo. La mia è, dunque, per usare l'espressione di un Padre greco, una fuga immobile! La stanza in cui dormivo da piccolo aveva una finestra che dava su un dirupo (la casa è ancora lì, appollaiata sulle mura medievali) oltre il quale si alzava una breve cornice di poggi. Ai lati del dirupo, la lunga sagoma di un antico convento di Clarisse. Di notte, a piu riprese, la campanella chiamava le monache a «mattinar lo sposo». Di tanto in tanto,mi capitavadi scendere dal letto, al suono della campanella, per osservarenel buio accendersi una dopo l'altra le minuscole finestre delle celle e poi spegnersi. Ora mi spiego il fascino di quello spettacolo notturno, che mi godevo da solo, quasi furtivamente. Era come se mi affacciassi all'altro versante della vita, dove il tempo ha ritmi diversi dal nostro, è un tempo inutile, il tempo dell'Essere, il tempo che gira su se stesso, col passo di danza, e non si cura del nostro, che è il tempo dell'esistere. Potrei dire che io, da quella finestra, non mi sono mai mosso. Addio, Ernesto! A quella finestra arriveremo anche noi.
ic)JL BIANCO '-XILROSSO Miik•illd 51 ° Congresso Fuci: diversitàd,irittir,iforme di Francesca Panarello i è tenuto a Salerno dal 9 al 12aprile il 51 ° cons gresso nazionale della Fuci che ha visto impegnati circa 350 fucini provenienti da tutta Italia. I lavori si sono articolati nel corso di quattro giornate e sono stati inaugurati il pomeriggio del 9 aprile dall'introduzione della Presidenza Nazionale e dalla prolusione di Virgilio Melchiorre docente di Filosofia morale all'Università Cattolica di Milano. Sin dalle prime battute si è posto l'accento sui contenuti che avrebbero fatto da filo conduttore della riflessione congressuale e già indicati nel titolo «Distanza e prossimità. Verso l'altro tra differenze e nuovi soggetti». Le distanze geografiche, culturali, religiose e politiche sono originate da, e creano al tempo stesso, differenze, spesso lontananza e conflitti tra gli uomini. L'atteggiamento di prossimità accogliente e di sollecitudine verso i «nuovi»e i «vecchi» ultimi è la strada più autenticamente cristiana per lo sviluppo della società. Si tratta di un percorso che colloca alla base la persona nella sua dimensione relazionale e nella sua capacità di essere personaggio e narratore della sua vita nell'intreccio con le storie degli altri. Lungo la linea dell'incontro e della comunione delle differenze si sono svolti i diversi momenti di dibattito alla presenza di relatori esterni, sulle tre grandi aree della riflessione fucina: la comunità cristiana, la città dell'uomo, l'università. In ambito ecclesiale è stata sottolineata la necessità di ripensare, alla luce della visione comunionale, il modo di porre la questione dei carismi e dei ministeri nella vita della Chiesa; e ancora si è riaffermata la centralità della pastorale di ambiente come sfida per i cristiani che vogliano farsi prossimo e colmare le «fratture» dell'uomo là dove egli svolge la sua vita. Indicativo anche il richiamo alla scelta religiosa, riproposta nella sua radicalità, come scelta di una Chiesa che sa «di essere nel mondo sacramen16 to di una salvezzache non le appartiene». Su questi temi il confronto si è svolto alla presenza di Maria Maddalena Santoro, docente di Catechetica e Teologia pastorale, di don Pino Scabini e Valentino Salvoldi. I temi della cittadinanza e della tutela dei diritti sono stati affrontati «trasversalmente» con riferimento a tre casi assunti come spazi entro i quali elaborare una nuova cultura della politica; che interpreti questo termine in senso ampio oltre il momento elettorale e l'apparato partitico. Mezzogiorno, questione femminile, e università costituiscono tre casi di contraddizioni e di negazioni e perciò tre potenziali laboratori di responsabilità e impegno per tutti; in particolare per i giovani sui quali in maniera evidente ricadono gli effetti di una gestione pubblica «distante» e «chiusa»verso i bisogni della persona. Paolo Segatti dell'Università di Pavia, Tamar Pitch e Roberto Gatti dell'Università di Perugia e Giuseppe Acocella dell'Università di Napoli hanno dato vita a un dibattito vario e ricco di spunti per una fase della storia della Repubblica, in cui si dovrà inevitabilmente riconsiderare la imprescindibile valenza etica di serie riforme istituzionali ed elettorali. Altrettanto interessante il momento dedicato a «Comunicare cultura: attori linguaggi scienze». Massimo Baldini dell'Università di Roma, Adriana Valerio, dell'Università di Napoli e Lodovico Galleni dell'Università di Pisa hanno dato vita ad una «chiacchierata» che ha confermato l'idea per cui «fare cultura», oggi, da cristiani in università, è una sfida difficile, ma stimolante, un'avventura che può dare percorsi di novità e di incontro e inaugurare un «pensiero divergente» (come è stato chiamato), che abbia come protagonista una coscienza critica, problematica, continuamente tesa verso concreti atteggiamenti di prossimità. Con questo congresso, infine, la Fuci ha voluto proporre la centralità che in un pianeta cultura!-
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