Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 24 - gennaio 1992

Come è noto l'attuale sistema politico italiano prende corpo alla fine del secondo conflitto mondiale e si caratterizza per la centralità del parlamento e dei partiti politici che, esenti da ogni controllo, godono di un ampio potere sulle istituzioni; ma la sua connotazione saliente è di essere bloccato, cioè di produrre aggregazioni attorno al partito di maggioranza relativa mediante alleanze di governo, chiudendo tutte le vie all'alternanza. In altri termini il nostro sistema politico impedisce ad una parte della rappresentanza politica non tanto di partecipare alla vita politica, poiché all'opposizione non è negata la possibilità di prendere parte e determinare l'attività legislativa del Parlamento, piuttosto di costituirsi come polo alternativo capace di proporsi come forza di governo. I.:impossibilità, anche a causa del sistema elettorale proporzionale, di ottenere la maggioranza per un partito, e la necessità di alleanze di governo frutto di accordi tra partiti, spinge questi ultimi ad ampliare il loro potere rafforzando il consenso attraverso l'azione di governo. In questo modo i partili di governo, ed in larga misura anche l'opposizione strangolata dalla logica consociativa, anziché guidare i mutamenti e lo sviluppo della società si adattano tendenzialmente all'esistente e nella ricerca del consenso deteriorano progressivamente non solo il loro profilo morale ma la stessa democrazia. Alla luce di questi fatti da più parti e da tempo si invoca una riforma istituzionale capace di risolvere le contraddizioni del presente sistema politico le cui imperfezioni e difetti indicano la direzione verso cui BibliotecaGino Bianco ,i).IL BIANCO lXll,HOSSO U~•11\11-111 in parte ha mosso e deve muovere l'azione riformatrice. È chiaro infatti che l'obiettivo della riforma è produrre le condizioni per rendere possibile la democrazia compiuta, ossia la democrazia dell'alternanza e si può aggiungere che, seppur con differenti sfumature, vi sia un consenso pressoché generale tra le parti sulla meta dell'azione riformatrice. C'è da chiedersi tuttavia quanto sincera sia la disponibilità del partito di maggioranza relativa alle necessarie riforme istituzionali, dal momento che ha radicato la sua forza e vincolato i suoi consensi su un sistema di potere consociativo.Perciò nel dibattito sulle riforme, e per quanto questo si inscrive nella più ampia discussione sull'etica pubblica, il partito della Democrazia Cristiana non può prendere parte come interlocutore credibile: esso ha tutto l'interesse a mantenere la situazione bloccata o a proporre apparenti trasformazioni finalizzate a lasciare immutata la storia. Hanno, invece, tutto l'interesse ad unariforma istituzionale in vista dell'alternanza, le forze liberali e socialiste alle quali l'attuale stato delle cose ha, in definitiva, indubbiamente nuociuto. Sebbene alcuni passi in direzione della democrazia dell'alternanza siano stati compiuti proprio ad opera loro, mi riferisco alla parziale abolizione del voto segreto che rafforza il vincolo Governo-Parlamento, il cammino è lungo non solo perché deve passare attraverso una riforma elettorale ma soprattutto per le riserve, ambiguità e confusioni del Partito Democratico della Sinistra. Quella della democrazia dell'alternanza è, tuttavia, 49 una direzione obbligata se si vuole portare a compimento la crescita democratica del nostro sistema politico; infatti la democrazia dell'alternanza obbliga la stessa vita interna dei partiti alle regole della democrazia, restituisce sovranità ai cittadini poiché riconosce all'elettorato la responsabilità di un voto che effettivamente premia o sanziona e soprattutto rappresenta lo spunto per concretizzare l'indispensabile riforma della politica senza la quale ogni tentativo di guadagnare gli interessi privali ed extra politici alla logica della responsabilità e della solidarietà si dimostrerebbe vano. Certo, per ottenere quest'ultimo esito assieme ad una riforma istituzionale ed elettorale è indispensabile una seria verifica della cultura e dei comportamenti dell'intera società civile; non mancano le risorse per progredire anche in questa direzione e la tradizione riformista del socialismo come, in particolare, il patrimonio morale della cultura cristiana possono, tradotte in forme da tutti accettabili, fungere da punto di riferimento per rafforzare lo spessore etico della democrazia. In tutto ciò la parte della Chiesa Cattolica sarebbe grande e legittimata dal suo collocarsi al di sopra e oltre gli schieramenti partitici. Ci si deve chiedere però sino a che punto la Chiesa sia disposta a contribuire in questa ottica al disegno di riforma delle istituzioni e più in generale della politica. Le sue recenti prese di posizione sull'unità politica dei cattolici lasciano perplessi e rivelano la doppiezza di cui essa è vittima.

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