Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 24 - gennaio 1992

i.>.lLBIANCO l.XltROSSO I M n I kUA ii Mi compromessi e la Gran Bretagna che si è collocata in «aspettativa», è un po' più forte, un po' più unita, un po' più pronta a fronteggiare i problemi di un mondo più instabile e quindi più insicuro. C'è chi ha deplorato l'eccessiva propensione al compromesso. Ma il compromesso è la sola maniera civile di fare l'Europa. L'altro metodo è quello della maniera forte. Quella che hanno utilizzato, ciascuno nel suo secolo, Napoleone ed Hitler. Tutti sanno, però, quel che ha prodotto. Non bisogna dunque stupirsi che la numerosa e disparata famiglia che è questa Unione (in costante costruzione da quattro decenni) sia in balìa, in ciascuno dei suoi tumultuosi reincontri, di mercanteggiamenti o di minacce di rottura. C'è, semmai, da rallegrarsi che, alla fin fine, come è avvenuto anche a Maastricht, essa sappia sempre doppiare i passaggi difficili. D'altra parte in ognuno di questi negoziati si mette in gioco un equilibrio che è ogni volta da reinventare, tra interessi nazionali da difendere ed un destino comune da prospettare ai popoli che compongono la Comunità. Può darsi che, anche grazie a Maastricht, gli europei possano convincersi che l'Europa delle istituzioni tende a collegarsi con quella della gente. C'è una circostanza che deve far riflettere. Proprio nello stesso giorno in cui l'Unione Europea faceva un passo avanti, veniva dato l'annuncio del definitivo dissolvimento dell'Unione Sovietica. Questa coincidenza esprime una contraddizione significativa per le due parti dell'Europa e per il mondo in generale. È un fatto importante che in un quadro internazionale dominato da i_ncertezze, da rigurgiti nazionalistici ed etnici, gli Stati membri della Comunità abbiano deciso di dare forma ad una nuova Unione attribuendogli parte della propria sovranità. Proseguendo con perseveranza nel lavoro avviato dai padri fondatori dell'Europa, senza risultati particolarmente spettacolari e palingenetici, ma sempre nella direzione dell'affermazione dell'interesse reciproco, a Maastricht undici Stati membri hanno confermato la loro fidueia nel fatto che il lento lavoro di costruzione comunitaria è possibile che l'integrazione europea può progredire e porterà cambiamenti positivi anche nella nostra vita quotidiana. È un segnale rassicurante in un momento in cui si addensano nuvole basse nelle vicinanze. Peccato che la buona notizia non sia stata data con parole più ispirate e suggestive. Nessuno riuBibliotecaGino Bianco 3 scirà a far scattare in piedi le assemblee con discorsi elaborati in base alla prosa del nuovo Trattato. È, infatti, un testo in eurocratese creato da tecnocrati che devono trovare formule da rendere in nove lingue e che quindi non hanno un significa - to vigoroso e profetico in nessuna di esse. Ad esempio, a proposito dei «diritti degli Stati membri», la bozza di Trattatorecita: «Nellearee che non rientrano nella sua esclusiva giurisdizione la Comunità agirà conformemente al principio di sussidiarietà solo e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione proposta non possano essere realizzati in maniera sufficiente dagli Stati Membri». Esistono non poche clausole anche peggiori. Ancora più ermetiche. In generale, comunque, non c'è niente che tocchi l'animo, che susciti brividi di entusiasmo. A qualcuno può far venire in mente la Torre di Babele che, come dice la Genesi, digli di Noè tentarono di costruire per scalare il cielo. Ma il proposito fallì ed il loro orgoglio fu punito dal Signore con la confusione delle lingue. Forse, più semplicemente la prosa contorta e senza slanci del nuovo Trattato dell'Unione riflette solo un rassicurante nuovo realismo. Questa Unione che si sta realizzando con grande impegno e non poche difficoltà, passo dopo passo, non ha pretese di universalità ed immortalità. Non è una verità perenne, senza tempo. Ma forse, anche per questo, si sta dimostrando più stabile ed affidabile. È in parte un antidoto alle distruttive esplosioni di nazionalismo e, comunque, un loro contenimento. Per questo, alla prova dei fatti, si dimostra più solida di tanti progetti astrattamente immaginati. La rapidità del cambiamento ad Est lascia senza fiato. Il cambiamento ad Ovest suscita scarso entusiasmo, ma produce un mutamento del modo di vivere della gente. Forse con lentezza, ma anche con continuità. Sempre con l'opportunità di adattarsi, di migliorarsi. Il termine «federale», tabù per il Primo ministro inglese Major, non è stato scritto nel Trattato come obiettivo esplicito. È stato sostituito con l'impegno a «creare un'Unione sempre più stretta fra i popoli d'Europa in cui si prendano decisioni quanto più possibile vicine ai cittadini». Si tratta certamente di una formulazione piuttosto approssimativa, ma almeno si parla della gente. E questo fa ben sperare per il lungo cammino che le istituzioni europee devono ancora percorrere.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==