conflitto di interessi che resta ancorata a stereotipi incredibilmente arretrati. Neppure convince pienamente l'analisi degli avvenimenti del 1989 - caduta dei regimi del «socialismo reale» - in cui al di là delle affermazioni di compiacimento, si può cogliere occultata fino ad essere probabilmente inconscia, l'ansia sottile che ha pervaso le istituzioni le quali dalla contrapposizione/consociazione con i partiti comunisti orientali ed occidentali, avevano tratto la loro condizione esistenziale. La Chiesa non sembra fare eccezione, come non la fa la Democrazia Cristiana italiana. La stessa affermazione secondo la quale il crollo del socialismo ad Est non avrebbe legittimato la superiorità del sistema di libero mercato ad Ovest (a proposito, è da valutare in modo positivo l'abbandono dell'abusata metonimia «capitalismo» per il più corretto «libero mercato», ma siamo sempre, ahimè, nell'ambito delle definizioni tecnico-politiche, fuori posto in una Enciclica) contiene un sottile rimpianto per il fallimento di un «modello» che esecrabile sotto il profilo spirituale, non sempre risultava altrettanto odioso sotto quello economico-sociale, non foss'altro per l'austerità (obbligata) che lo sosteneva, congeniale alla concezione della società, tutt'affatto «romantica», cui la Chiesa non sa rinunciare. Non è un caso che la Centesimus Annus riproponga il mito del «buon consumo». Ma per venire alle questioni più importanti, lo stesso riconoscimento del- ,{)!I, BI\:\CO l.X11. nosso Uil#hld la «giusta funzione del profitto» che secondo alcuni commentatori dell'Enciclica segnerebbe un passaggio di straordinaria innovazione nella dottrina sociale, tale non sembra dacchè la Chiesa mai ha condannato il profitto dell'iniziativa economica (si ricordi la notissima questione dell'interesse sul prestito di denaro, legittimato dal rischio del banchiere), essendosi evidentemente scambiate per insegnamento pastorale le omelie di qualche parroco o le «esternazioni» del vescovo di una sperduta diocesi o, addirittura le affermazioni di qualche oscuro sindacalista soi disant cattolico. Le affermazioni della Centesimus Annus mostrano semmai, e proprio intorno a questo argomento, una grave involuzione rispetto alle posizioni originarie, visto che riesumano la «teoria» del profitto come indicatore del «buon andamento» dell'azienda, che andava di moda nell'lri degli anni '50 e che nessuno oggi si sentirebbe di ripresentare decentemente, visti i delitti economici che furono commessi in suo nome. Una «teoria» che ben s'accoppia con l'altra, affermata subito dopo, dell'impresa «comunità di uomini» in cui si rivelano assonanze, più o meno coscienti, con la «comunità» di olivettiana memoria, ma che, a stretto rigore, dovrebbe ricondurre alla «comunità d'impresa» del diritto del lavoro tedesco, anch'essa datata, perché fu la levatrice della «cogestione» weimariana. Altra perIn prima fila da destra Segni, lervolino, De Gasperi. 53 plessità sollecitata, a parere di chi scrive, l'uso, ancora insistente, di concetti quali «consumismo», «alienazione», dai quali sembra (confusamente) discendere rispetto al primo la domanda di «educazione» dei consumatori (il «buon consumo» già citato) e nei riguardi del secondo di «obbedienza alla verità» (con l'anatema d'uso contro i fuorvianti mezzi di comunicazione di masssa), entrambe inutilmente autoritarie - e pertanto destinate a cadere nel vuoto - prive come sono dell'afflato di autentica spiritualità la cui assenza costituisce ormai la drammatica e malinconica costante dei documenti «sociali» della Chiesa di Roma, cui malauguratamente la Centesimus Annus non fa eccezione. Anche se la natura «temporale» dell'argomento avrebbe giustificato più di altre un radicale mutamento di rotta, così da accreditare un discorso che abbandonati i percorsi socio-economici (entro i quali, come si è detto, l'estensore o gli estensori non sembrano pienamente a loro agio) proponesse una lettura teologica della questione economica, senza indicare ipotesi sottese, che pure affiorano nel documento - in contraddizione con l'estenuato stilema «La Chiesa non ha modelli da proporre», che ricorre all'inizio del par. 43 del1'Enciclica - ma confidasse alle intelligenze dei singoli la capacità di valutare i loro comportamenti alla luce dei valori superiori della spiritualità. Nel numero 3381 della «Civiltà cattolica» (cioè nel numero precedente a quello che riporta il testo della CentesimusAnnus) sono stati pubblicati due scritti, il primo a firma dello stesso direttore responsabile Giampaolo Salvini, «Le Chiese di fronte all'impresa», e il secondo di Michele Simone «A proposito di etica ed economia», in cui seppure con la prudenza propria della rivista, la questione del rapporto fra iniziativa economica e morale cattolica viene proposta rispettivamente sulla scorta dell'analisi documentale degli interventi della Chiesa a partire appunto dalla Rerum Novarum e del rapporto fra interesse personale e carità che era stato visto dallo stesso Adamo Smith nel XVIII secolo. Il quadro che ne esce risulta, a parere di chi scrive, più convincente di quello che offre la Centesimus Annus. Se si è trattato di una pura coincidenza editoriale bisogna dire che ancora una volta la saggezza si è alleata al caso.
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