{)li. BIANCO (X11, Il.OSSO iii•iiliQ !.!imbroglioreferendario di Pierre Camiti Man mano che ci si avvicina al 9 giugno i promotori del referendum, per limitare ad una le preferenze per l'elezione dei Deputati, tendono a caricarlo di arbitrari significati politici. L'offensiva propagandistica non sembra conoscere limiti. Si è giunti così a presentarlo come un «colpo alla partitocrazia» e l'inizio della «riforma elettorale». Per i più audaci costituirebbe addirittura l'avvio della «riforma istituzionale». Come capita sempre (e non solo in politica) il «pensiero debole» produce toni enfatici e ridondanti. Ma poiché i fatti valgono (o dovrebbero valere) ben più di una montagna di chiacchiere, è bene stare ai fatti. Dei tre referendum per i quali erano state raccolte le firme (Senato, Comuni, preferenze) quello per rendere nominativa e ridurre ad una le preferenze nell'elezione della Camera dei Deputati era, per ammissione dello stesso comitato promotore, la meno importante. Ma, disgraziatamente, era anche l'unico quesito, dovendosi utilizzare il metodo del referendum abrogativo, che potesse essere formulato per la Camera. Tuttavia, le scelte obbligate raramente sono anche le più opportune. I promotori spiegarono, a suo tempo, la logica del quesito sulle preferenze con l'esigenza di rendere più difficili i brogli ed impedire la formazione di cordate di candidati che sarebbero tra le cause della frammentazione dei partiti in correnti. Ma il rapporto di causa ed effetto tra sistema delle preferenze e proliferazione delle correnti non deve essere però meccanico come sostengono i promotori del referendum, visto che anche in Francia dove i collegi elettorali sono uninominali (e quindi non si danno preferenze) i partiti sono angustiati e non di rado paralizzati dalle correnti. Se l'aspirazione è comunque apprezzabile, bisogna però dire che la soluzione ipotizzata la contraddicono profondamente. Nessuno duPanettiere- Neive, Piemonte bita della necessità di arrestare un degrado altrimenti mortale. Quello che è in discussione non è la meta, ma la strada. La strada maestra resta quella delle riforme istituzionali, mentre quella proposta con il referendum è deviante. Anzi, porta nella direzione opposta. Con una sola preferenza sarebbero, infatti, avvantaggiati gli uomini del «potere» o delle «lobbies». Ciascun deputato saprebbe esattamente la coalizione di interessi che lo ha eletto. Ed è difficile dubitare che non ne terrà conto. Si deve anche aggiungere che poiché la selezione avverrebbe sulla base delle risorse economiche che ciascun candidato riuscirà a mobilitare, da un simile cambiamento non possono che avvantaggiarsi i più ricchi ed i più corrotti. Se si attuasse la modifica chiesta dal referendum non è, infatti, difficile immaginare che invece di una maggiore moralizzazione della vita politica la corruzione per accaparrarsi l'unica preferenza aumenterebbe a dismisura. Poiché, dunque, il referendum del 9 giugno più che inconsistente è del tutto deviante e contraddittorio con ciò che va fatto per avviare un concreto risanamento delle nostre istituzioni politiche, si deve solo concludere che non possono esserci risposte giuste a domande sbagliate.
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