L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 5 - 15 marzo 1944

B Anno XXXV (nuova serie) N. 5 Zurigo, 15 Marzo 1944 LIBERARE E FEDERARE! QUINDICINALE SOCIALISTA ft edazione e Ammin I strazi one: CasellapostaleNo.213,Zurigo6; ContopostaleNo.VIII 26305; Tel. 3 7087 - Abbonamenti: 24 numeriFr.6.-, 12numeriFr.3.-, unacopiaCent.30 Democradzeiaiconsumatori Anna preferita dell'arsenale dei paladini del capitalismo è lo slogan della «democrazia dei consumatori». Dovrebbe significare nientemeno che l'economia liberista; purché praticata in modo conseguente, potrebbe garantire ai eonsumatori, in una misura quanto mai grande, l'autonomia di scelta e di rifornimento e al tempo stesso rappresenterebbe la sola premessa concepibile per una democrazia politica. Veramente il capitalismo ha cominciato colla pretesa che a lui solo fosse dato di portare la produzione al livello massimo col costo minimo e che, se si fosse lasciato campo libero alla concorrenza degli industriali e dei commercianti, si sarebbe raggiunto il risultato auspicato e al tempo stesso, almeno secondo la teoria, si sarebbe fatto anche nel miglior modo l'interesse dei consumatori. In questo appunto consisteva il recondito significato di tutto il meccanismo economico. Nel prezzo risiedeva il mezzo infallibile per fare collimare l'offerta e la richiesta; il compratore che chiede una certa merce, impone al tempo stesso al produttore ciò che questi deve approntare e l'interesse del produttore consiste nell'annuire a quest'ordine. Il vantaggio del produttore risiede nel rendersi conto degli interessi del consumatore, ma poiché il consumatore è quello che ha sempre l'ultima parola, è proprio lui, in ultima analisi, il reale padrone; cosi tutta la economia rotea intorno a lui. Il capitalismo si trasforma cosi in una democrazia dei consumatori nella quale la massa degli acquirenti si governa da sé asservendo la produzione ai propri bisogni. Cos'è divenuto l'ordine economico basato su questa teoria? «Il risultato pratico, e senza dubbio impreveduto, è stato che, con questo sistema, si è accumulato una grande potenza in mano dei produttori», constata un osservatore che non è un economista di professione, ma solamente 11.1.IlO storico che però in questo campo 1a vede più chiaramente che la maggior parte dei professori di economia, Edward H. Carr, l'autore di quel libro lodato a ragione: « Le b asi di un a p a c e d u r a tura.» Il grande sviluppo dell'industria e il suo dominio su una stragrande quantità di materia e di mano d'opera ha determinato, come giustamente Carr osserva, alla fine del XIX secolo e al principo del XX il fatto che i produttori sono divenuti 1a forza più influente e decisiva nella vita dello stato. Di fronte ad essi ed alla loro organizzazione i consumatori sono restati pressapoco impotenti anche perché male organizzati. E' stato il produttore e non il consumatore che ha saputo piegare la forza dello stato al suo servizio: dazi, sovvenzioni, tasse, trattati commerciali, tutto è stato subordinato all'interesse dei produttori e i consumatori di regola ne hanno fatto le spese. Sovrattutto la politica commerciale fu regolata da un compromesso fra l'industria e l'agricoltura, e ai consumatori, alla massa del popolo, toccò stare a guardare. Allo scoppio della guerra, in tutti i paesi, sono stati i rappresentanti dei produttori ad essere incaricati dell'organizzazione dell'economia di guerra per l'armamento e l'approvigionamento, con aperta eliminazione dell'interesse dei consumatori. Ma già prima i produttori avevano ottenuto, per mezzo dei trust, cartelli, ecc. una posizione di monopolio che aveva permesso loro di dettare la loro volontà al paese. «Tosto che si fu ermeticamente saldato l'anello dei produttori di sapone, l'acquirente dovette, in mancanza d'altra scelta, comprare quel sapone che il trust voleva lanciare sul mercato.» E al prezzo fissato dal trust. Ecco la «democrazia dei consumatori» che il capitalismo ci ha elargito; ai fatti si è trasformata sempre più in una arbitraria dittatura de i pro d u t - t Of j capitalisti. L'unica remora a questa <lit: tiùra e a ca aeit. 'ac uisto de· cuumli'!!>ri che non può venire adeguata a beneplacito alla forza di produzione e da ciò è nato un fenomeno che la teoria economica classica e liberista non s'era certo atteso: la sovraproduzione permanente, con conseguente arresto degli affari, disoccupazione generale e impoverimento di larghi strati popolari. A che attribuire l'errore? A vari fattori. Anzittutto l'economia non era più costituita prevalentemente da un gran numero di piccoli imprenditori e commercianti, ma in misura sempre più grande da società per azioni, banche, holdings (cartelli) ecc. che abbisognano di grandi capitali ed impiegano grandi masse di operai. Questi una volta investiti non possono essere da un momento all'altro ritolti per essere adoperati in un'altra impresa ogni volta che un cambiamento del mercato richieda una trasformazione nella produzione. «Un capitale g e I a t o in una società ferroviaria o in una ferriera, cosi scrive Carr, dovrà essere considerato come perduto se la linea ferroviaria o la fabbrica diventano superflue, mentre il capitalista cercherà con ogni mezzo di mantenere in vita un'impresa che, secondo i canoni dell'economia classica, non può più essere considerata lucrativa.» In secondo luogo la aumentata s p e c i a I i z z a z i o n e d e 1 m a c c h i - nari o e de 11a maestranza ha reso impossibile quel pronto cambiamento delle forze lavorative richiesto dall'economia «libera». L'operaio metallurgico o l'operaio tessile non potranno essere automaticamente impiegati in una fabbrica di grammofono o di prodotti chimici. In terzo luogo né i magnati della finanza, né gli imprenditori, né gli operai possono o vogliono assoggettarsi alle continue variazioni della congiuntura economica in un modo cosi automatico come lo richiederebbe la teoria liberalista. Tutt'al contrario, al primo manifestarsi di una crisi, invece di passare ad un nuovo ramo di produzione e di cambiare se possibile, il domicilio e il luogo di lavoro, ciascuno spera che l'arresto degli affari sia temporaneo e in breve riappaia la prosperità. Questo conservatorismo, umanamente ben comprensibile, ha ostacolato esso pure il gioco «normale» dell'offerta e della richiesta ed intralciato fortemente il meccanismo dei prezzi. Certamente imperante la libertà capitalistica l'apparato di produzione è divenuto sempre più capace, ma ciò a tutto scapito della sua mobilità, inclinando sempre più alla produzione del medesimo oggetto. Frattanto che cosa è accaduto nel campo dei consumatori? La loro richiesta è diventata non solo maggiore ma anche multiforme. Accanto alla compera dei prodotti di prima necessità è aumentato l'acquisto di quelli a scelta. Mentre i prodotti di prima necessità (vitto, abbigliamento, arredi casalinghi ecc.) restavano pressocché costanti, variava invece continuamente la richiesta dei generi a scelta, voluttuari e di lusso, secondo le capacità d'acquisto delle masse. Tutto ciò ha messo i produttori in crescente imbarazzo e ne è conseguita la tendenza a limitare sempre più la libertà di scelta degli acquirenti anche nel campo degli articoli non di prima necessità ed a monopolizzare sempre più l'offerta. Reclame, produzione degli articoli per il mercato, pagamenti rateali hanno cercato d'influenzare il gusto dei compratori e d'imporre sempre più al sedicente sovrano, quale sarebbe il consumatore, il desiderio dei produttori. Che cioè l'uomo sia fatto per l'industria e non l'industria per l'uomo e che sia doveroso per i consumatori il favorire i produttori (quelli dell'agricoltura compresi) comprando quello che c'è piuttosto che pensare all'appagamento dei propri desideri. Ne sono conseguiti comprensibilmente e necessariamente nuovi disturbi de 1r i o e c o n o m i c o , specie nei rapporti internazionali, minacciando di dare il colpo di grazia al commercio mondiale. Si cercarono, è vero, i mezzi per raddrizzare la situazione, ma si acciuffò sempre la cosa dalla parte sbagliata: nella produzione e non nel con.sumo. Si venne in aiuto agli industriali ed ai contadini con sovvenzioni, premi, crediti, ecc. o col limitare la produzione per mantenere i prezzi. Si arrivò all'assurdo di concedere sovvenzioni per certi prodotti di cui poi se ne pagava la distruzione: abbruciamento del caffè, calpestamento delle granaglie, versamento del latte ecc. Il risultato fu naturalmente negativo anche quando si riuscì ad aumentare la richiesta con lo stimolo alla compera e colla difesa del risparmio. Una effettiva soluzione del problema non può essere ricercata che nella direzione seguita dall'industria degli armamenti e bellica che ba preso per punto di partenza il fabbisogno al cui servizio ha messa la produzione. «Questo deve, scrive Carr, diventare il fondamento anche della economia di pace.» Un piano di vasta portata dovrà organizzare il soddisfacimento delle necessità economiche a seconda della loro urgenza, cercando di stabilire un equilibrio fra la richiesta e l'offerta. Bisogna tener presente che, almeno in 1.u1 primo tempo, ciò non potrà verificarsi senza una certa limitazione nella libertà di scelta del consumatore, ma questo inconveniente è di gran lunga meno grave della possibilità arbitrariamente Iàsciata ad una piccola parte della società, mentre la maggioranza verrebbe a mancare del necessario. La prima richiesta inderogabile per la ricostruzione economica è dunque che il piano del consumo popolare preceda e segni la via a quello della produzione. Il nostro ordine eco,i.omico deve risalire contro corn~nte per subordinare di nuovo il produttore al consumatore. «Nel futuro non dovrà più spettare al prezzo ed al profitto di decidere che cosa e in che misura si debba produrre, bensi al fabbisogno della collettività.» Certo non si potrà d'un colpo mettere fuori uso il meccanismo del prezzo ma esso dovrà cessare di essere il fattore dominante e potrà allora «in certe determinate circostanze diventare un utile servitore, una volta rinunciato a far da padrone.» Solo in tal modo si potrà stabilire una effettiva «democrazia dei consumatori» garantendo OSTAGGI Sopra la nostra terra mai si dissecherà questo sangue ed esposti gli uccisi resteranno. A forza di silenzio i denti strideranno, sulle croci riverse nessuno piangerà. Ma li ricorderemo, morti senza memoria, li conteremo come ora li hanno contati. Si stupirà d'avere poco peso domani chi tanto grave preme oggi sopra la storia. E quelli che han taciuto temendo d'ascoltarsi per quel loro silenzio non ci sarà pietà. E per chi ragionando ha preteso salvarsi anche dai meno fervidi la condanna verrà. * Morti, semplici morti sono il nostro retaggio cvmune e i loro poveri corpi di sangue intrisi. Non lasceremo incolte le orme di quei visi, verranno in fiore i rami sopra i prati di maggio. Come la nostra terra ignudi sotto il cielo per le antiche sorgenti se ne diffonda il sangue. Con le rose dell'ira vestiranno ogni stelo selvagge primavere riscosse da quel sangue. Dolce per essi come non mai la primavera sia colma d'ali e canti e bimbi pei cammini. Come selva che intorno a loro sommessa àliti grande un popolo levi le mani alla preghiera. alla massa dei consumatori, operai ed impiegati, la sicurezza contro la disoccupazione e una grande autonomia nel campo professionale. Cioè, democrazia economica anche su questo terreno. Un ritorno invece al libe~mo economico non darebbe che une maggiore libertà. di sfruttamento agli imprenditori ed ai mercanti, riducendo al tempo stesso a zero la libertà della grande maggioranza della popolazione tanto nel campo economico che in quello politico. H. K. La conquista della deDiocrazia Finché il proletariato non è ancora bastantemente sviluppato per costituirsi in classe e le forze produttive non sono ancora bastantemente sviluppate nel seno della Società borghese per lasciare intravedere le condizioni materiali necessarie per l'affrancamenlo del salariato, la lotta del «Lavoro» contro la «Proprietà» non può avere un carattere politico; gli oppressi non vedono nella miseria che la miseria, senza saper attingere nella coscienza di questa miseria una forza sovversiva capace di rovesciare l'ordine sociale diventato intollerabile. L'emancipazione politica segna dunque la tappa nella quale diviene possibile la formazione di una vera coscienza classista e provoca l'azione organizzata del proletariato. Senza dubbio, i lavoratori salariati costituiscono già «materialmente» una classe nelle fabbriche e sui campi, ma senza ancora un ambiente politico che permetta agli sfruttati di abbracciare nel suo complesso e di sottoporre, per cosi dire, a un «libero esame» la situazione nella quale si trovano, e o 11 e t t i v a m e n t e , rispetto alle altre classi ed alle istituzioni sociali. L'esistenza in quanto classe non è accompagnata ancora da una coscienza attiva e da una capacità rigeneratrice di sviluppo. Il proletariato non acquista questa capacità che sul terreno politico e solo la Democrazia gli apre l'accesso a questo terreno. Ma la Democrazia non è solamente la condizione imprescindibile della coscienza di classe; una connessione molto più profonda si rivela fra questi due fenomeni se si esaminano gli effetti concreti delle libertà politiche. Certamente la libertà che è garantita dalle costituzioni democratiche - libertà di coscienza, di parola, di stampa, di riunione e d'associazione, ecc. - è una libertà di un certo tipo comune e non la libertà morale e materiale incarnata nella individualità concreta ed originale. In quanto «libertà giuridica» implica necessariamente degli elementi di quantità e di generalità caretteristici per il campo del diritto. Tuttavia, è precisamente nella salvaguardia di questa libertà quantitativa che può espandersi nel modo più intenso la libertà materiale e qualitativa della singolarità concreta: essa è sempre in stato potenziale nell'interno delle libertà giuridiche. Del resto, in regime democratico, non soltanto i differenti individui, ma dei gruppi di qualità distinta si vedono attribuite franchige uguali. Questo metodo di orgai:iizzazione in gruppi liberi che moltiplica gli aspetti della Democrazia anettendole anche domini non politici (sindacati, cooperative, società culturali, ecc.) permette di introdurre certi elementi di singolarità individuali, di «umanità reale», nella cost\tuzione stessa della libertà giuridica. Ciò perché la base suprema e il principio fondamentale della Democrazia

Bit è la «varietà nell'unità» e «l'unità nella varietà». E' questo anche il principio di ogni umanesimo. Si può forse dire, per esempio, che la libertà di pensiero sia solo una libertà politica o, peggio ancora, una «libertà borghese»? Ma se la borghesia - nel tempo nel quale era una classe rivoluzionaria l'ha iscritta tra i «Diritti dell'Uomo», lo è stato perché in realtà ogni emancipazione umana non è concepibile senza la libertà di pensiero. Ed oggi che la borghesia è la classe che si oppone alla liberazione dell'uomo, essa rinnega la libertà di pensiero come del resto ogni sostanza delle libertà democratiche. Se oggidi la libertà cli stampa è un lustro per non dire una ignobile menzogna gli è perché il gioco delle potenze economiche impedisce di usare di questo diritto alla maggioranza del popolo e specialmente alla classe operaia, sebbene non sia formalmente abolita. Tocca dunque al proletariato, una volta vittorioso, non di sopprimere la libertà di stampa, ma di sopprimere gli ostacoli che rendevano inoperante questa libertà. E lo stesso vale per tutte le altre libertà garantite dalle istituzioni democratiche. Non bisogna dimenticare questo passo del Manifesto dei comunisti: «abbiamo già veduto eh.e l'ultima tappa della rivoluzione proletaria è la costituzione del proletariato in classe dominante, 1 a e o n q u i s t a d e 11 a D e m o c r a z i a.» Nella libertà politica è insito dunque un contenuto umano che non bisogna abolire, bensi portare invece al suo completo sviluppo. Tutti i malintesi in questa questione provengono dal fatto che si suole confondere la libertà prigioniera con le catene che la avvincono. Tutto il contenuto umano della democrazia politica è alterato dal fatto politico della dominazione di una classe sulle altre. Ma questo contenuto, che chiameremo «l'autonomia dell'essere umano» esiste tuttavia né può essere riassorbito nei limiti di una classe sociale. Diremo dunque che tutta l'umanità è deformata dalle classi erte una contro l'altra, ma che queste classi, per il fatto stesso della loro esistenza presuppongono una realtà umana. Oggi, gli uomini non possono pensare ed agire che come borghesi o come proletari, ma tanto nel proletario quanto nel borghese vi è «l'uomo reale» che dobbiamo liberare dal guscio «di classe>>che attualmente lo soffoca, lo corrompe, lo mutila. La Democrazia è un· avviamento (una «prefigurazione» si direbbe in termini giuridici) a questa liberazione. La coscienza classista spinge il proletariato oppresso a realizzare questo atto liberatore. In questo senso, l'autonomia politica, nella misura del contenuto umano che essa implica, s'identifica coi fini perseguiti dal proletariato con la sua lotta di classe. Parimenti, autonomia politica e coscienza di classe sono solidali. Sarebbe dunque un errore grossolano criticare come borghese il contenuto umano di queste libertà democratiche di cui la borghesia stessa confessa il carattere non borghese dal momento che le rinnega alla prima svolta della sua propria rivoluzione. Ogni classe, nel corso della sua storia, risolve dei problemi rivoluzionari ed in tale senso ogni classe gioca per un certo tempo un ruolo emancipatore. L'ultimo atto del dramma è la lotta di classe in seno della società attuale, che ha per posta l'instaurazione di una libertà intergrale, coronamento di tutto ciò che vi era di contenuto umano delle lotte di classe precedenti. La borghesia, essa pure ha rappresentato una parte ed anzi una grande parte rivoluzionaria. Se essa la rinnega attualmente, gli è perché in piena decadenza e perché ha perduto ogni sua giustificazione davanti alla storia e davanti l'umanità. Criticare una classe in decadenza non significa per nulla criticare il contenuto umano che le caratterizzò le origini né le missioni rivoluzionarie di questa classe. La morte della borghesia, coinvolgendo quella del vecchio mondo, varrà a salvare quanto quest'ultimo aveva di vitale e che potrà d'ora in poi svilupparsi e fruttificare. La borghesia rinnega l'universale umano per salvare il particolare «borghese». Cosa prova questo? Una classe di cui è spezzata la molla rivoluzionaria può tradire la libertà; la classe che le succederà, la classe operaia, deve strappare la fiaccola dalle mani vacillanti che la lasciano cadere per brandirla più alta e più in avanti. Non si tratta dunque per la classe operaia di determinare lo sfacelo, implicito nella continuazione del regime borghese, della Democrazia, ma di difenderla e di servirsene per garantirle il suo pieno compimento. L'assistenza ai popoli -vittime della guerra Alla fine di questa guerra vi saranno molti paesi devastati, nei quali le condizioni di vita degli abitanti continueranno ad essere ancora per anni difficili e penose. Città intere dovranno essere ricostruite; vie di comunicazioni, impianti industriali, ospedali, acquedotti, gazogeni, canali, dovranno essere riadattati; l'alimentazione, l'igiene, il vestiario, l'abitazione di milioni di esseri dovranno essere più o meno celeremente ricostituiti secondo il bisogno della civiltà. Molti paesi non saranno in grado di riorganizzarsi da soli, per la loro povertà naturale o per la gravità dello sterminio sofferto: la loro effettiva indipendenza sarà in pericolo. L'assistenza ai popoli vittime della guerra solleva dunque molti gravi problemi politici ed economici. Il grande capitalismo monopolista annunzia già i suoi piani per colonizzare i paesi europei più deboli e maschera i suoi piani col velo della filantropia. E' ora che il socialismo europeo acquisti coscienza dei pericoli che incombono sull'Europa e che ai piani del grande capitale monopolista si oppongano quelli della solidarietà dei popoli liberi. Questo problema è stato già tema di uno scambio di idee in una conferenza del Soccorso Operaio Svizzero, tenuta alla Casa del popolo di Zurigo il 12 dicembre scorso, e in una successiva riunione politica convocata dal Comitato Direttivo del Partito Socialista Svizzero, con la partecipazione di rappresentanti dell'Unione Sindacale, del Soccorso Operaio, del Segretariato Internazionale dei Lavoratori dei Trasporti e dell'Alimentazione e di altri compagni. Altre riunioni seguiranno in preparazione anche alla Conferenza Sindacale Internazionale convocata a Londra per la metà di giugno p. v. nel cui ordine del giorno è posto anche il tema dell'assistenza ai popoli vittime della guerra. Diamo in seguito un riassunto del rapporto della compagna Regina Kagi, segretaria del Soccorso Operaio Svizzero, alla conferenza del 12 dicembre. Il tema del rapporto era: I nostri compiti dopo la guerra, le nostre possibilità e i nostri limiti. La compagna Kagi cominciò col fare osservare «che, per ora, ogni programma è ipotetico e subordinato a quelle che saranno le condizioni politiche del dopo-guerra. Comunque è indispensabile stabilire fin d'ora un programma di massima. Tra gli aspetti del dopoguerra, quello della ricostruzione nel senso materiale della parola non potrà riguardare che in misura molto limitata le opere di assistenza private, dato che sarà indispensabile un piano generale di ricostruzione. Per quanto si riferisce ai profughi il loro numero secondo uno studio dell'Ufficio Internazionale del lavoro sembrerebbe aggirarsi intorno ai 30 milioni di uomini, compresi i prigionieri di guerra. Di una parte soltanto di tali profughi - soprattutto di quelli politici in stretto senso - è lecito presumere ch'es~ ritornino alla loro patria d'o'rigin . Problema ·nolt!"i partieol~- mente umano ed importante sarà quello della riunione delle famiglie, ed importantissimo tra tutti sarà quello della rieducazione professionale di molti sventurati i quali sbalestrati e raminghi da un paese all'altro hanno perso ogni contatto ed ogni ricordo di ciò che si chiama una professione. Per lo ·studio dei problemi della cittadinanza, del ritorno nel paese di origine, della rieducazione professionale ecc. si è formato a Ginevra un Comitato speciale. In tutto questo l'assistenza privata potrà fiancheggiare e completare le opere di carattere pubblico. Anche le colfdizioni dell'alimentazione saranno, per ovvie ragioni, precarie, e anche ad esse bisognerà provvedere, ma particolarmente degno di attenzione sarà il problema dell'educazione sia dei bambini, soprattutto degli orfani o dei figli dei profughi, come anche dei giovani e dei giovanissimi reduci dalla guerra. L'U.N.R.R.A. è stata creata negli Stati Uniti appunto per rispondere a queste esigenze di soccorso e della ricostruzione ed è da sperarsi che un tale aiuto tenga effettivamente conto delle condizioni ambientali. Da informazioni pervenute dal Nord-Africa risulterebbe che l'U.N.R.R.A. fornisce tutto il fabbisogno - derrate ecc. - ma che per la distribuzione ai singoli il materiale venga affidato alle istituzioni private. E' evidente che le possibilità dei privati, come quelle di piccoli paesi come la Svizzera, sono relativamente limitate. Comunque le iniziative private non vanno trascurate, nel caso particolare di noi socialisti esse costituiranno l'avanguardia di una rete di rapporti economici e politici ben più importanti. Nel campo pratico la nostra attività si svolgerà soprattutto per mezzo dell'invio di pacchi, nella creazione di quadri istruiti per i dispensari, per il lavoro negli accampamenti ecc., e nella creazione di case per bambini. Merita menzione che il Comitato di Ginevra ha concepito il piano di un corso della durata di 5-6 mesi da tenersi quest'inverno a Zurigo per « a s si s t e n t i s o e i a 1 i » allo scopo d'istruire individui seriamente intenzionati ad assumere attività direttive e collaborative nelle opere in genere di soccorso internazionale. Saremo assai lieti se da parte di compagni svizzeri e stranieri numerose saranno le iscrizioni. Sono progettati anche corsi più brevi per personale subalterno. In quest'opera di soccorso la Germania non dovrà, per quanto riguarda noi, essere trascurata. Non è giusto abbandonare i buoni elementi che pur anche esistono in Germania e creare le premesse per risentimenti nazionalisti. Noi speriamo di poter contare sulla collaborazione di tutti, soprattutto di elementi seri, adatti, muniti di cognizioni adeguate che dovranno venire adeguatamente compensati.» La compagna Kagi trattò insomma il tema Ì..\11 o tantissimo dal punto di vista degli attuali rapporti politici; ma è lecito presumere che nel dopo-guerra la situazioni politica sarà ben diversa dall'attuale e che ai partiti e alle organizzazioni operaie si offriranno ben altre possibilità. Sarà allora un errore gravissimo trascurare il compito della ricostruzione dei paesi devastati, o affrontarlo con la mentalità miope della routine. Come per gli altri compiti del dopo-guerra, è indispensabile preparare gli spiriti a soluzioni nuove e audaci, riponendo la nostra fiducia nella solidarietà dei popoli liberi. I socialisti italiani, la guerra e la pace Questo documento venne diramato dal C. E. del P. S. Ì. il primo agosto del 1942: 1 ° I socialisti italiani affermano che l'attuale guerra, oltre ad essere, come quella del 1914 fino 1918, una guerra imperialista e capitalista per l'accaparramento delle materie prime e dei mercati, comporta conseguenze gravissime per il regime interno di ogni paese e dal suo esito dipenderà in parte notevole la futura situazione dell'umanità e in ispecie delle classi lavoratrici. 2° L'atteggiamento dei socialisti italiani verso l'attuale guerra è perciò determinato dalla loro posizione antifascista e dal loro fermo convincimento che le libertà democratiche costituiscono premesse molto utili per ogni ulteriore progresso dell'umanità. 3° Il fronte decisivo sul quale il fascismo può essere arginato e distrutto è il fronte interno di ogni paese. Solo su questo terzo fronte potranno essere risolti i problemi sociali e politici dai quali il fascismo è sorto. L'unico avversario capace di battere il fascismo sul terzo fronte è il socialismo. La disfatta militare delle potenze fasciste deve essere considerata come un preludio delle lotte decisive che si svolgeranno sul terzo fronte. 4° Il carattere democratico delle potenze attualmente in guerra contro gli stati fascisti non è omogeneo né inalterabile. Lo stato di guerra, specialmente se prolungato, può modificare in senso totalitario anche la struttura interna degli sta'if' democratici. I socialisti italiani sono perciò decisi a salvaguardare in ogni momento la loro libertà di critica e la loro autonomia anche verso i governi democratici. La politica dei socialisti italiani si ispira unicamente agli interessi e agli ideali della classe lavoratrice italiana e internazionale. 5° La rivendicazione fondamentale per il futuro assetto dell'Europa e del mondo è che l'organizzazione politica sia adeguata al reale sviluppo dei rapporti tra i popoli. Per ciò che riguarda l'Europa la prima conseguenza di questa rivendicazione è che all'unità reale della società europea debba corrispondere un'unificazione politica. Il vecchio e reazionario sistema delle sovranità nazionali dovrà essere distrutto. 6 ° I socialisti italiani considerano come foriero di nuove guerre un ordine politico europeo il quale si basi su una ripartizione di zone d'influenza tra gli stati democratici vincitori, come pure la continuazione dell'antica e deprecata politica dell'equilibrio. La tradizionale politica estera dell'Italia, oscillante tra i due blocchi di potenze che si disputavano l'egemonia europea, dovrà essere abbandonata. 7 ° La federazione europea non dovrà essere un-'unione limitata e sempre pericolante di stati sovrani, ma un'integrazione di popoli liberi, presso i quali le associazioni dirette dei produttori abbiano riassorbito una buona parte delle funzioni ora monopolizzate dal grande capitale o dalla burocrazia statale. 8° Un'unione europea sulla base degli esistenti rapporti capitalistici avrebbe come risultato la tirannia della finanza e dell'industria pesante sull'insieme del continente. La libertà politica e l'auto-governo dei popoli che parteciperanno alla federazione europea potranno essere garantiti solo dalla socializzazione delle leve economiche fondamentali. Gli interessi economici legati ai sistemi autarchici dovranno essere distrutti. go Un sistema di organizzazione politica europea ispirato da sentimenti di odio e vendetta verso singoli popoli sarà di breve durata e causa di future guerre. 10° La delimitazione delle frontiere europee non dovrà essere regolata secondo i bisogni di sicurezza militare degli stati vincitori. Potrà essere duratura e rispettata come giusta solo una pace la quale riconosca il diritto all'autogoverno locale anche ai piccoli popoli nel quadro della Federazione Europea. 11 ° I socialisti italiani riaffermano più che mai la loro avversione alla dominazione politica ed economica dei paesi europei sui popoli di colore. La federazione europea non potrà accettare l'imperialismo come eredità della vecchia Europa. 12 ° L'Italia socialista è particolarmente interessata alla liberazione dei popoli dell'Africa del Nord. Essi sono maturi per l'autonomia. Quelli di essi che avranno ancora bisogno di un'assistenza da parte di popoli più progrediti, non la riceveranno dai militari e dai banchieri, ma dalle associazioni dei lavoratori, dei tecnici e degli intellettuali dell'Europa libera. 13° I socialisti italiani propongono l'organizzazione di una federazione dei partiti socialisti di Europa su basi interamente diverse dalla vecchia Internazionale Operaia Socialista. Sale nella piaga Promiscuità e comunità La promiscuità è il contrario della vera umana comunità. Il contatto tra uomo e uomo in una massa t" orzatamenle promiscua è sempre esteriore, meccanico. L'uomo perciò non è mai tanto solo come nella massa. Il nostro secolo sembra essere quello delle masse e nello stesso tempo quello della solitudine. Guardatevi attorno: non esiste più il vicinato, non esiste più il prossimo. Osservale l'uscita degli operai da una grande fabbrica: sono rari gli operai che tra loro si parlano, che si sorridono, che si danno appuntamento; e quelli che l'osano, si guardano attorno incerti, diffidenti. I più fuggono, esauriti e tristi, come da un penitenziario. Oppure osservate l'uscita da un cinematografo: duemila persone sono state sedute assieme nel buio durante due ore; hanno sognato lo stesso sogno, ognuna a modo suo, e quando le luci si accendono, ognuna si affretta per la sua strada. (E' una fortuna che vi siano ancora degli amanti. Ma anche tra essi quanta promiscuità!) La promiscuità è polverio umano ammucchiato. Essa favorisce la tirannia. Lo stato tirannico nasce appunto dalle promiscuità e si affretta a ripartire nei suoi robusti stampi di ferro gli uomini ridotti a informe spazzatura; si affretta ad affiancarli da ringhiosi cani da guardia, a impaurirli, a renderli diffidenti del vicino, a impedire che sorgano fraternità, amicizie. Quegli stampi si chiamano partito unico, sindacato obbligatorio, caserma, dopolavoro; sono organizzazioni coatte che non sopprimono l'atomismo, non distruggono la solitudine, né sopprimono la promiscuità; essi la rendono obbligatoria, le danno un'uniforme di Stato. In quegli stampi animaleschi la solitudine dell'uomo diventa spasimo. Gli oratori dello stato tirannico esaltano il forzato ammasso nel quale sono costretti gli uomini sciolti dai loro legami naturali e ridotti a vile spazzatura, quale diretta espressione della comunità nazionale, o razziale, o di classe; ma la promiscuità, anche statale, è il contrario della vera umana comunità. La promiscuità è caos; è disperata solitudine nel caos. La comunità invece è ordine, è armonia, è amicizia, è spontaneità, è fraternità, è scelta. Non è concepibile una vera comunità senza libertà. La guerra ha accelerato ancora di più la tendenza moderna all'ammasso, alla promiscuità e alla congiunta triste solitudine. La guerra separa gli amici, scioglie le famiglie, disperde le scolaresche, trapianta millioni di esseri dal loro ambiente abituale in ambienti sconosciuti dove si sentono estranei tra estranei. Ma il bisogno di viva e calda comunità nell'uomo è tuttavia cosi forte che perfino nell'orribile e inumana promiscuità bellica si formano spesso in segreto piccoli e forti nuclei di amici. Nelle trincee, nei campi di concentramento, nei carceri, nei gruppi politici clandestini, nei distaccamenti partigiani, si creano, tra uomini fino a ieri sconosciuti ma che un'intima affinità d'anima attira e fa subito riconoscere, legami autentici di forte amicizia. Quelli che hanno questa fortuna sopportano la guerra, la prigionia, la deportazione, l'illegalità, e finiscono con l'amarla malgrado le difficoltà materiali, a preferenza della vita comoda e pacifica di prima della guerra, perché vi han trovato qualche cosa che vale infinitamente di più del buon mangiare e della casa riscaldata: il rischio fraterno, una comunità elettiva. Nel cadaverico ammasso quelle sono le sole cellule viventi. Esse testimoniano l'immortalità clell'umano nell'uomo. La comunità vale più del comunismo. La socialità vale più del socialismo. Cristo vale più, infinitamente più, del cristianesimo. Se c'è qualche motivo di speranza, esso oggi non è riposto negli «ismi», non tanto nei partiti, quanto nella forte nostalgia degli uomini ad uscire ad ogni costo dalla forzata burocratica promiscuità e a ristabilire tra sé e il prossimo i legami di affinità, di ordine, di armonia, di solidarietà che solo la libertà consente e dai quali soltanto può nascere la comunità. La nostra avversione al fascismo è dunque molto di più dell'opposizione di un partito politico ad un altro. E' un rifiuto sdegnoso del pecorile surrogato di «comunità» che esso promuove; è un bisogno di vera e autentica e libera coniunità. Noi siamo socialisti perché sappiamo che questa comttnità timana, ordinata, armoniosa, libera, è veramente incompatibile col grande capitale monopolista. Ma noi sappiamo che l'opposizione tra promiscuità e comunità può ripresentarsi disgraziatamente anche nell'interno del socialismo. Sappiamo che la fabbrica può essere disgraziatamente un carcere o una caserma anche senza padrone. Sappiamo che il partito, il sindacato, la cooperativa possono essere greggi promiscui d'individui impauriti, diffidenti, solitari, anche, disgrazicltamente, dopo l'abolizione della proprietà privata. Noi aborriamo e rinneghiamo un simile degenerato socialismo con la stessa veemenza della forzata promiscuità impostaci dal fascismo e dalla guerra. Noi vogliamo un socialismo ad immagine di quello che c'è cli più uniano nell'uomo e che realizzi il suo profondo e insopprimibile bisogno di libertà, di amicizia, di simpatia, di buon vicinato. •

• Bit • L'azione ~ociali~ta nel dopo-guerra Il problema dell'impiego totale della mano d'opera 1 ° Dopo questa guerra l'Europa, più degli altri continenti, si ritroverà di fronte all'angoscioso problema della disoccupazione. L'Europa nel corso di 150 anni si è industrializzata con vertiginosa rapidità determinando una corrispondente intensità anche nell'organizzazione della produzione agricola. La densità della popolazione risentì l'influenza di questo intensificarsi dei mezzi di produzione. Per non citare che le cifre totali - cifre tonde - del continente, il numero degli abitanti era di 187 milioni nel 1770, di oltre 400 milioni verso la fine del 19° secolo, e di circa 550 milioni alla vigilia della guerra. L'Buropa verso la fine del 19° secolo - ancora attrezzata come unica fornitrice di prodotti industriali al mondo, sovrapopolata - sentì che il suo posto sul mercato mondiale era minacciato dal fatto che l'America del Nord si attrezzava rapidamente per un'intensa produzione industriale e che nell'Estremo Oriente asiatico paesi a popolazione densa iniziavano anch'essi un'intensa attività nel campo della produzione e del commercio. Donde la preoccupazione di diversi paesi europei. Essi dovevano difendere il loro posto per assicurare lavoro e sufficiente guadagno alle loro crescenti popolazioni. Anziché risolvere il grave problema seguendo il principio degli accordi e della collaborazione, quei paesi si misero in lotta fra di loro per assicurarsi ciascuno - a spese degli altri - un posto privilegiato. Qui troviamo una delle ragioni, la principale, della guerra fra paesi europei che, preparata già nei primissimi anni del 20° secolo, scoppiata nel 1914, sospesa nel 1918, ora ha ripreso più violenta, più micidiale, più distruggitrice che mai. Questa guerra non risolverà - per nessun o - i 1 pro b-1e ma de 11 a c r i s i c h e p e s a s u 11 ' E u r o p a. Comunque essa si risolva, l'America del Nord ·avrà approfittato del conflitto per consolidare l'unione di tutti i suoi Stati, per attrarre nella sua orbita il Canada, l'America del Sud e l'Australia; e l'Asia ne uscirà comunque affrancata dall'egemonia europea. America e Asia - ricche di materie prime e di fresche energie umane - intensificheranno la loro attività produttrice, soprattutto nel campo industriale, a tal punto che l'industria europea non resterà sul mercato mondiale che un piccolo resto del posto che essa vi occupava un tempo. Non perdiamo tempo a discutere - da un punto di vista astratto - se questo sia un bene o un male; se - internazionali - dobbiamo averne piacere o dispiacere. Ci basti constatare il fatto, e trarne le debite conclusioni. Le conclusioni non sono gaie per noi europei. Ricordiamoci che anche oggi tutta l'organizzazione economica e soci a I e dell'Europa resta la stessa dei tempi quando l'Europa era la principale fornitrice di prodotti industriali al mondo. Essa dispone di una attrezzatura industriale fortissima, divenuta tanto più forte in quanto la sua incapacità ad arrivare ad un'intesa fra i suoi paesi ha ridotto tante nazioni che erano quasi unicamente agricole ad organizzare anche una loro produzione industriale. Tanto più forte in quanto, anche la Russia - ricca di risorse naturali - ha fatto dopo la sua rivoluzione un immenso sforzo nel senso della sua industrializzazione, di cui ora si vedono gli effetti. L'Europa è dunque un continénte organizzato per un'intensa produzione industriale senza disporre più di sufficiente spazio sul mercato mondiale per collocare i suoi prodotti. Una crisi industriale l'attende. Molte fabbriche - venute su come funghi durante la guerra per fabbricare armi - dovranno arrestare la loro attività. Molte altre dovranno lavorare per poche ore del giorno. Vi è poi la minacciata paralisi dell'industria pesante tedesca da parte dei vincitori. Le conseguenze per la massa operaia sono facili da trarre : ci sarà una spaventosa disoccupazione. Si tornerà a parlare di 40 ore settimanali, e anche di meno; di ricerca di lavoro ... 2° D i r i c e r c a d i I a v o r o soprattutto. Il grande problema sta qui. L'indennità ai disoccupati, fa u te d e mi e u x , si presenterà come necessaria. Ma si tratterà di una di quelle spese che si dicono «improduttive». Non discutiamo l'esattezza del termine. Diciamo piuttosto che c'è di meglio da fare: cercare di avviare gli operai disoccupati verso forme di attività che - mentre giovano all'economia pubblica - possono procurare loro un sufficiente reddito per vivere. Forma, questa, più dignitosa, oltre che socialmente più utile. Il problema non è di facile soluzione. Esso si presenta sotto diversi aspetti, l'esame dei quali ne mostrerà le grandi difficoltà. Chi ha la debolezza di attaccarsi a dei luoghi comuni per nascondersi la gravità dei problemi, dirà che bisogna avviare gli operai delle industrie verso il lavo:ro dei campi. C'è qui, certamente, una soluzione da non scar.tar a vri,p~ Ma è una ol~ione ~ssa· complessa, che richiede tempo e grandi mezzi. Non bisogna credere che si possa semplicemente trasformare dall'oggi al domani dei lavoratori delle fabbriche in lavoratori dei campi. L'Europa, da quando è divenuta un continente fortemente industrializzato e molto popolato, ha sempre avuto bisogno di importare dei prodotti agricoli per la sua alimentazione (cereali e carni in primo luogo) e per le sue industrie (principalmente cotone e lana). Ciò non la preoccupava affatto nel passato. Essa pagava le importazioni esportando prodotti industriali, e godeva anzi di un margine di profitto che la arricchiva permettendole di elevare i regimi di vita delle sue popolazioni ... e di attrezzarsi per la guerra. Ma domani - quando le sue esportazioni saranno molto ridotte a causa della concorrenza americana e non ci sarà più, a tener su le famiglie, l'artificiosa economia di guerra basata sui debiti e sull'ipoteca di una vittoria - con che potrà essa pagare le sue importazioni? Le merci si pagano con le merci, e un paese che deve pagare le sue importazioni con dell'oro va verso l'esaurimento delle sue risorse. Se non c'è modo di pagare con l'esportazione tutte le importazioni, bisogna cercare di risolvere il problema in un altro modo: ridurre, per quanto è possibile, le importazioni. Non con la riduzione del consumo, ma aumentando la produzione in Europa di quelle derrate agricole che bisogna in parte importare. E' possibile? Una risposta esauriente è difficile darla. Bisogna basarsi su degli elementi vaghi e anche su delle supposizioni. Ma è certo che delle possibilità esistono, e non anti-economiche, s e a v r e m o 1a R u s s i a c o n n o i. Le grandi pianure russe possono aumentare di molto la loro produzione di cereali, di carne e anche di materie prime agricole. Quando si pensa che la produzione media per ettaro del grano non ha mai superato - in Russia - di molto gli 8 quintali per ettaro (la famosa organizzazione dell'agricoltura nella Russia sovietica è ancora a base di sistemi estensivi, e i famosi kolkkoz sono dei veri e propri latifondi non superiori per intensità di lavori e per capacità di produzione a quelli siciliani e pugliesi) ; quando si pensa che in Russia l'allevamento del bestiame è ancora allo stato primitivo, e che esistono in quel paese delle larghe possibilità di produrre molto cotone, molta lana e altre materie prime agricole di grande importanza, si potrebbe essere ottimisti quanto alla possibilità di assicurare in Europa una produzione agricola che riduca sensibilmente le nostre importazioni extra-continentali di derrate alimentari. Anche gli altri paesi europei, oltre la Russia, possono ;:i.umentare la produzione delle loro terre. Ma qui il compito è più difficile. Quando un sistema di produzione agricola è già intensivo, ogni grado ulteriore di intensità comporta un tale aumento del costo per ogni unità di prodotto che il margine della convenienza si restringe presto, fino a diventare nullo, e a trasformarsi in perdita. Nei paesi occidentali l'agricoltura ha raggiunto un elevato grado di intensità. Superare ancora quel grado è tecnicamente possibile, ma la convenienza dello sforzo è scarsa e sarebbe presto nulla (a parte alcune regioni spagnuole, italiane e balcaniche). Il compito dell'aumento della produzione agricola spetta principalmente ai paesi dell'Europa orientale, da compensare con convenienti forniture di prodotti industriali. Qui si affaccia il grave problema del bilancio fra la produzione industriale e la produzione agricola. E' un problema che non si risolve se non lo si pone sopra un piano continentale, europeo: piano di intese e di collaborazione. Anche qui sorge la necessità dell'unità europea. L'Europa occidentale deve poter conservare la sua economia prevalentemente industriale; l'Europa centrale e orientale deve poter conservare la sua economica prevalentemente agricola: le due parti del continente devono potersi scambiare le loro produzioni valendosi di accordi basati au t a r i f f e p r e f e r e n z i a 1i. Autarchia europea? No. Ma un regime che permetta un conveniente equilibrio fra due parti dell'Europa le quali, per ragioni geogra-: fiche e storiche, hanno sempre avuto due economie diverse. O quelle economie trovono modo di combinarsi in un'economia unica, basata su un concetto dell'unità continentale che ammetta accordi di interna preferenza, o, se esse dovessero restare distinte, non trarrebbero l'Europa da una crisi che è già grave e che si troverà ancor più aggravata dopo la guerra. L'Inghilterra e soprattutto gli Stati Uniti ci fanno già intendere che essi sognano un regime di parità fra tutti i paesi del mondo, con scambi basati sulla c I a u so 1a de 11 a n a - z i o n e p i ù f a v o r i t a. La clausola della nazione più favorita - data la loro superiore attrezzatura industriale e data l'attrezzatura industriale che avrà domani l'Estremo Oriente asiatico - metterebbe l'Europa continentale te di inferiorità tale da farle subire una vittoriosa concorrenza extra continentale, tale da indurla a deperire in uno stato di crisi economica cronica. Clausola della nazione più favorita applicata ad un'unione continentale europea, questo si; ma a 11 ' in te r n o de 1 continente i paesi devono potersi scambiare i prodotti fra di loro a condizione di preferenza. Tutto sta a vedere se questa unione continentale è fattibile, almeno per quanto riguarda le relazioni commerciali con paesi di altri continenti. Dobbiamo volerla; dobbiamo persistere a volerla, anche se gl'imperialisti vincitori vorranno ostacolarla; essa sola può salvarci. 4° Questo significa che la nuova organizzazione della produzione agricola in Europa non implica semplicemente una questione di mano d'opera. Essa esige una modificazione profonda e generale dei sistemi agricoli. Il che vuol dire: modificazioni della struttura delle aziende, modificazioni nella distribuzione delle culture, nuove direttive per gli allevamenti di bestiame, ecc. Essa esige un piano di accordi fra tutti i paesi: accordi di carattere tecnico, economico e finanziario; accordi per gli scambi fra paesi europei e con paesi extra-europei. Essa esige una organizzazione delle comunicazioni tale da rendere conveniente gli scambi fra le diverse parti dell'Europa. Per quanto riguarda la mano d'opera, in ogni caso, non si creda che sia tanto facile trasformare un lavoratore di officina in un lavoratore dei campi. I rapporti fra l'uomo e la terra danno al lavoro agricolo una caratteristica speciale, ben distinta da quella del lavoro nelle industrie. E' un lavoro che esige una molteplice capacità tecnica in ragione delle diverse forme di attività di un'azienda agricola, ed es i g e I una attitudine morale speciale, senza della quale il coltivatore non riesce a sopi portare e le dure fatiche e le sconcertanti variazioni del tempo, delle annate, dei redditi, ecc. Questa attitudine morale non si ha, non si acquista se non nel caso che il coltivatore lavori per sé, o in una piccola o piccolissima azienda familiare sua, o in una media o grande azienda collettiva. Il lavoratore agricolo salariato non ama la terra. Vi risiede se non può farne a meno. Vi lavora per abitudine; ma, se può, se ne va. Si pensi un po' come possa un lavoratore di fabbrica diventare un lavoratore salariato dei campi. Si esige da lui, subito, una capacità tecnica che non ha. G 1i o c c o r r e u n' a t ti - tudine morale che gli manca e che n o n si i m p r o v vi s a. Questa è la ragione per la quale tutti i tentativi fatti in diversi paesi - ad esempio in Francia e negli Stati Uniti - per avviare i disoccupati dalle fabbriche verso i campi, hanno dato risultati pietosi. 5° I disoccupati di domani - quelli dei paesi europei - potranno, secondo noi, trovare un'utile occupazione immediata nei lavori di ricostruzione (la guerra ne aumenta ogni giorno, spaventosamente, le possibilità) e nei lavori relativi alle nuove comunicazioni. 6° Non c'è bisogno di insistere sui lavori di ricostruzione. A guerra finita, quando si farà l'inventario delle rovine, si troverà che c'è un gran numero di fabbricati, di porti, di strade, di ponti da ricostruire; che c'è un gran numero di ettari di terra su cui è passata la guerra distruggendo tutto quello che l'uomo aveva accumulato in essi e su di essi con un duro, paziente e sapiente lavoro di secoli, e senza del quale la terra - ridiventata selvaggia - non può produrre; che c'è tutto un materiale rotabile delle ferrovie e delle strade che deve essere ricostruito o riattato; che ci sono delle flotte da ricostruire, ecc. Sono tutti lavori da fare, se si vuole che la vita collettiva riprenda un ritmo normale e tale da permettere ai popoli di lavorare con vantaggio specializzando le loro attività e di scambiarsi con vantaggio i loro prodotti. 7° Ma c'è di più. Si è parlato qui di rapporti fra l'Europa orientale, dove domina la produzione agricola, e l'Europa occidentale, dove domina la produzione industriale. Fra queste due parti dell'Europa bisogna che le relazioni commerciali diventino più intense e continue, se si vuole che l'Europa possa crearsi una propria economia unica abbastanza equilibrata, rispondente alle nuove condizioni del mercato mondiale. L'Europa orientale deve aver in te - resse ad aumentare la sua produzioneagricola e ad organizzarne la vendita in forme collettive, e deve a v e r i n t e r e s s e a fornire all'Europa occidentale delle materie prime per la produzione industriale. L'Europa occidentale deve potere salvare il massimo possibile della sua produzione industriale trovando nell'Europa orientale - e nei paesi confinanti dell'Asia e dell'Africa - un mercato conveniente. Ciò non sarà possibiie che a una condizione: quella di adatti mezzi di comunicazione fra le due parti del continente. Di mezzi di comunicazione organizzati a n c h e su un piano internazionale, e che siano adatti alla diversa natura dei prodotti da scambiare, che siano sufficienti, rapidi, economici. Il problema è di primaria importanza; è un aspetto del problema dell'unificazione politica ed economica del continente. Adesso le comunicazioni fra i paesi di Europa sono insufficienti, troppo costose e impacciate da una rovinosa quantità di ostacoli di carat~ tere nazionale. Sono insufficienti. Chi guarda una carta europea dei mezzi di comunicazione, non può esimersi dal constatare due stati di cose. Il primo: i sistemi di comunicazioni hanno uno o diversi centri per ogni paese, sono principalmente sistemi nazionali. Le comunicazioni internazionali esistono certamente, ma non sono abbastanza dirette e sono poco numerose. Il secondo: fra l'Europa orientale e l'Europa occidentale le comunicazioni sono scarse, lente, non in accordo fra di loro. Questi due stati di cose fanno ora dell'Europa occidentàle e dell'Europa· orientale due corpi distinti, dai rapporti scarsi, lenti e troppo costosi. I paesi dell'Europa occidentale trovano maggiore convenienza a rifornirsi presso i paesi di America piuttosto che, per esempio, presso la Russia, la quale non è sufficientemente premuta ad aumentare la sua produzione agricola. Domani, ciò può essere di grave pregiudizio per l'Europa in generale, sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista politico. E' vano parlare di intese politiche quando non può esistere una stretta collaborazione economica. Bisogna dunque provvedere - più rapidemente che ciò sia possibile - ad organizzare su più larga base le comunicazioni fra i diversi paesi di Europa, con questi obiettivi concreti: a) La rete ferroviaria europea, anziché essere una scacchiera di reti nazionali, deve diventare una rete veramente europea, con la costruzione di nuovi raccordi, con la costruzione di linee più dirette, con l'aggiunta di binari, con la costruzione di materiale rotabile potente per forma di trazione, per velocità, per capacità. b) Alla rete ferroviaria deve aggiungersi una rete di auto-strade. Il conflitto fra la ferrovia e l'autostrada deve essere risolto nel senso di una equa ripartizione dei servizi. c) A loro volta, rete ferroviaria e rete di autostrade devono essere completate da una rete di canali e di fiumi navigabili scavati e aperti secondo un piano internazionale. Anche qui deve essere organizzata una razionale distribuzione delle funzioni. d) Vi sono dei porti nei diversi mari europei che devono far parte dell'insieme della rete europea di comunicazioni; devono diventare porti europei. Devono quiru:li essere allargati e organizzati in modo da potere essere adibiti ad una tale funzione. L'organizzazione di una rete europea di comunicazioni comprenderà un·a parte, forse considerevole, di lavori di ricostruzione di cui si è parlato al capitolo 6 e - in più - tutti i lavori per le ferrovie, le autostrade, i canali e fiumi, i porti. Essa richiederà grandi somme. Sarà un sacrificio necessario. N o n si d e v on o trovare i miliardi solo per fare la g u e r r a. Bisogna poterli trovare anche per la produzione e lo scambiò dei beni nell'interesse dell'umanità che lavora e vuol vivere in pace. Noi prevediamo p e r t u t t i q u e s t i lavori e per la gestione dei mezzi internazionali di comunicazione la fondazione di uno speciale istituto europeo presso la Società delle Nazioni Europee comunque si chiami. Questo istituto dovrà disporre di un fondo costituito con contributi imposti ai diversi Stati interessati, ognuno in ragione composta della propria capacità finanziaria e del vantaggio che potrà ritrarre dal funzionamento della futura rete di comunicazione. Esso dovrà preparare un piano generale di tutti i lavori da compiere, e dovrà poi disporre di tutti i mezzi per intraprenderne e condurne a termine l'esecuzione. Dovrà poi presiedere, come istituto permanente, alla manutenzione della rete e del materiale, all'amministrazione dei servizi. Quale sia l'organizzazione interna di questo istituto non è qui necessario studiare nei particolari. Certo ci sarà un'assemblea con delegati di tutti i paesi, ci sarà un consiglio con delegati dell'assemblea, ci sarà un comitato esecutivo e ci saranno degli uffici tecnici e degli uffici finanziari, in relazione con gli uffici corrispondenti dei diversi paesi. 9° L'esecuzione dei lavori di ricostruzione e i lavori per l'organizzazione di una ret~ europea delle comunicazioni riusciranno ad assorbire molta mano d'opera (terrazzieri, muratori, minatori, metallurgici, meccanici e falegnami, ecc.) che domani si troverà disoccupata. Riusciranno ad assorbirla tutta? Non si può dire. Supponiamo di no. Il «no» costituisce infatti la risposta più probabile. In questo caso, che si fa? Non si può - per ragioni di ordine sociale e di ordine politico - considerare con cinica indifferenza il caso di milioni di operai senza lavoro. La società si troverà domani di fronte ad un dilemma davanti al quale non sarà possibile bendarsi gli occhi per non vedere e turarsi gli orecchi per non sentire: o trovare un'occupazione a tutti i lavoratori, o subire delle convulsioni che metteranno il mondo sottosopra senza tendere ad una ricostruzione stabile. Non dimentichiamo il ruolo dei disoccupati nello sviluppo del nazionalsocialismo tedesco. Dove non si riuscisse ad occupare tutta la mano d'opera su 1 p o s t o , bisognerà pensare

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