Alf abeta 114 derridiana del procedimento del- ca che dura fino a Heidegger, l'analisi tematica in un riflessivo. un'eredità che poi in Gadamer e in Così, l'apologia culleriana può le- Derrida subisce rispettivamente gittimamente sfociare nell'affer- una urbanizzazione e una radicamazione per cui «bisogna conte- lizzazione. D'altra parte, questa stare l'assunzione che oppone la medesima dialettica di vitalismo e scienza all'interpretazione, e la ge- positivismo si ritrova in un'altra neralità alla particolarità come dialettica, quella fra pragmatismo due possibilità alternative, e assi- e scientismo, dove il tentativo di mila qualunque critica della scien- liquidare la metafisica, sia nello za alla celebrazione interpretativa scientismo radicale, sia nell'intendella particolarità» (p. 202). zione critica ed emancipativa delle Dunque, non solo la decostru- scienze dello spirito, continua zione non è affatto irresponsabile sempre a esporsi alla denuncia di e sregolata, ma, proprio operando metafisicità (negli scacchi a cui va una riflessione rigorosa sul rap- incontro il neopositivismo tentanporto tra filosofia e letteratura, do di sussumere a sé le scienze delgiungerebbe a indebolire l'opposi- i • lo spirito, o di emarginarle in zione gerarchica delle «due cultu- quanto extrametodiche). In quere». È da questo esito dell'opera- sto modo, la storia dell'ermeneutizione culleriana che conviene par- ca approda a un finale problematitire, per confrontare la sua valen- co. Il tentativo di mediazione di za documentaria con la valenza ryr. , 11 .,,. storiografica dell'operazione di ( f1 Ferraris. Ferraris, infatti, salta oltre all'apologia etica e scientifica di Derrida, adoperandone i suggerimenti per collocare l'ermeneutica in un contesto ancora più vasto, tematizzando il rapporto fra ambiti disciplinari diversi (non solo fra critica letteraria e filosofia) e gli impianti della metafisica. L'intento dichiarato dell'opera di Ferraris è quello di rifarsi a Verità e metodo di Gadamer, proponendosi di ampliarne l'estensione storiografica e di indebolirne l'habitus antiepistemologico ed extrametodico di ascendenza heideggeriana. In effetti, tale operazione . mira piuttosto a produrre una ricostruzione storiografica che, diversamente dallo scritto gadameriano, muove da una ricognizione critica dell'attuale dibattito interdisciplinare intorno all'ermeneutica, e non verso unà teoria (dell'interpretazione dialogica). A ciò è appunto funzionale la preliminare definizione dell'ermeneutica come "attività di tipo pratico", "esercizio trasformativo e comunicativo" che "si contrappone alla teoria come contemplazione di essenze eterne, non alterabili da parte dell'osservatore" - definizione allargata nella nozione di prestazione linguistica, di interpretazione come trascendentale dell'atto del significare (p. 5). In questo modo, la settorialità degli ambiti regionali e tecnici dell'ermeneutica (interpretazione religiosa, giuridica, letteraria ... ) risulta solo apparente, mentre essi (oltre che universali in quanto linguistici) sono tradizionalmente normativi, orientando le operazioni del mondo della vita; e di qui, allora, la dichiarazione prospettica per cui «L'universalità dell'ermenautica contemporanea non va[ ... ) intesa come l'estendersi di pratiche originariamente regionali, ma, semmai, come l'accesso a un diverso livello» (p. 7). La storia dell'ermeneutica sarà dunque la storia che porta una costellazione di prassi - non una teoria - già da sempre fondanti a intendersi in maniera ontologica e poi antimetafisica. In questo senso, il dettagliato racconto del perfezionarsi delle pratiche interpretative e del loro legarsi al riconoscimento della trascendentalità della parola mira a verificare l'ipotesi di partenza - orientata da una lettura della situazionè di arrivo. Questa si prefigurerebbe in tutta la sua attualità fin dall'Ottocento, allorché la nascita dell'ermeneutica filosofica ha luogo nell'apparente contraddizione fra positivismo e storicismo post-romantici, fra la comprensione di tipo museale e quella di tipo vitalistico. Si tratta di una dialettiI I • Ricoeur (il suo doppio movimento di spiegazione metodica del testo e di comprensione del mondo del testo come appropriazione esistenziale), la teoria dell'intesa dialogica di Gadamer (guidata da una sorta di archeocentrismo), il progetto emancipativo di Habermas (guidato da una sorta di telocentrismo che riscatta il progetto illuministico), risultano tutti più o meno compromessi con una metafisica della vita e del soggetto. E per la formulazione di tali appunti è nuovamente decisiva la prassi di Derrida, che procede senza porre un'istanza extrainterpretativa (scientifica o vitale), parificando e distinguendo i testi della filosofia, della letteratura, della scienza, ecc., in quanto nessuno di essi riposerebbe sulla presenza di un senso da cogliere, da restaurare o da instaurare. Jonathan Culler Sulla decostruzione Bompiani, Milano 1988 pp. 303, lire 30.000 Maurizio Ferraris Storia dell'ermeneutica Bompiani, Milano 1988 pp., 484, lire 45.000 La «messa in vuoto» di Necchi Francesco Leonetti I 1nucleo forte dell'insieme di racconti di Piercarlo Necchi è dato dalle invenzioni poste al centro del suo libretto. Racconti? Estensivamente sì, ma anche frammenti (come i vociani), pensieri (come si diceva una volta), ecc. C'è anzi Jin taglio specifico dell'autore, che ha tre formulazioni (sempre presenti insieme e differenti secondo l'accento dato all'una o all'altra): racconto filosofico breve, poemetto in prosa, «divertissement» o gioco ironico-mentale. Ciò risponde a un suo singolarissimo impianto inventivo critico, che è connesso a una sua costante semantica da dirsi secondo me: «messa in vuoto» di valori conven~ zionali. Sembra che egli attraversi con furore lucidissimo lo «stato di cose presenti» per predicare dimostrativamente la tensione insoddiCfr sfatta. Devo dire che al mio primo approccio mi è parso che ciò fosse accordato a quella corrente neomistica (e anche neo-gnostica) che è la più consistente nel «post-moderno» (con riferimento ai classici, con trascuranza del contesto storico-sociale, con formalizzazione eclettica). Ma, c'è il fondamentale motivo e timbro che ho detto «messa in vuoto» (o chiarificazione svuotante di ciò che è mistificatorio); e che è dunque fornitt) di razionalità tagliente, nuova, con ardue esigenze etiche e criticistiche. Sono presenti all'autore Borges e Poe, e minori romantici di grande qualità come «I Notturni di Bonaventura», e i molti filosofi. L'erudizione è fitta, non esibita, avvalendosi di epigrafi e di rinvii testuali sottintesi o fulminei. L'impronta emerge personalissima. È difficile collocare Necchi, già saggista in due scritti apparsi in «Alfabeta». Oggi sono prevalenti i narratori-sceneggiatori di cui parlano i media (dai minimalisti statunitensi, più pregevoli o meno come testimoni puliti del sociale, ai giovani italiani di vario umore e di mordente stilistico perso). In questo periodo neo-conservatore c'è però qualche apertura e novità: io segnalai in «Alfabeta» Mascitelli giovanissimo (inedito); è stato Luperini a presentare Lacatena molto buono due-tre anni fa («Le spose del marinaio» presso Manni, Lecce); in «Alfabeta» è apparso Vitarelli (anziano e attuale, per cura di Porta); Squassabia e altri sono stati indicati da Spinella; c'è Comolli del gruppo di «aut aut». Con Del Tredici, e altri, si è fatto da parte di Porta e mia un supplemento letterario dell' «Alfabeta» dove ho proposto la definizione critica di «eccentrici» per questi autori sperimentali nuovi e diversi fra loro. Bisognerebbe farne un altro inserto. E Necchi starebbe bene fra questi, per precisione necessaria nella critica letteraria: e, mentre trasporta alcune sofferenze vacue della generazione del post-moderno, che potrebbero ancora affaticarlo in qualche crisi, mira agli esti alti della prosa inventiva e dell'aforistica (questa già krausiana e adorniana), con fumisterie da ricordare forse Palazzeschi, e con scrittura illuministica che viene più recentemente da Calvino ... Ma con quale combinazione sua! Viene da pensare piuttosto a certi classici minori, o, ripeto, ai gusti vociani. I testi caratteristici o più qualificati dei suoi modi potrebbero essere indicati così: anzitutto quelli al centro del libro: «Storia del burattinaio» (e ne scrive: «storia strana, inaudita, dove tutto si capovolgeva e vacillava, dove nessuno partiva, nessuno ritornava, la patria si scioglieva, la terra colava e si disperdeva»); «Banalia», paese e albero, in un apologo della banalità e della noia, con uno stupendo gabbismo nel titolo; «Ultimi balli dell'Arlecchino», dove accade che «in breve rimase solo il capo che, come uno struzzo insensato, continuò ad ondeggiare nella bolla del vuoto tutt'intorno»; e «Breve storia di un furto speculativo», tutto sillogismi sul vero-falso e sul doppio speculare, con detective dotto, che perviene a supporre un auto-finanziamento di gruppuscolo sessantottesco (detto, acutamente, «neo-campanelliano»). E però le paginette piuttosto aforistiche su «come stanno le cose del Mondo, e cioè come non stanno», agli inizi e alla fine del libro, hanno frequenti bellezze-verità, volentieri paradossali, in uno spessore immaginativo inconsueto e mai semplificato. Esempi: nel labirinto Arianna vede che «non uno ma due Tesei, perfettamente identici nelle loro forme, discorrevano tranquillamente», mentre il minotauro è «una maschera di proporzioni straordinarie» (e dunque c'è un duello al nostro interno fra l'eroe e il mostro). C'è un autolesionismo d'autore raffigurato da Procuste che «non pensa ma fa»: e «si fa irrimediabilmente a pezzi». C'è una straordinaria bussola dentro una scatola, portata con rapide occhiate impossibili, dentro il disordine del vivere. E c'è Dionisio duplice come visionario di sé e della vita: incoronato, torturato e martire, l'uno, e l'altro che getta «due dadi di coccio ridendo smisuratamente». Sul piano linguistico stretto è vero che la non facilità e la resa non immediatamente letteraria dei grumi di Necchi induce a sentire una sua prosa faticata (seicentesca) pur con selettività lessicale, piuttosto, e qualche povertà e iterazione espressiva. Ma l'elaborazione è molto lunga, nella formazione di scrittori; e, scavati i timbri del testo, si corre leggendo e si ha meraviglia di varie arditezze. Non sono convinto che questa edizione «prima» non consenta una stesura ulteriore di varianti, e d'altro ordine degli scritti, e soprattutto di nuovi pezzi simili per una crescita del libro se l'autore non punta a un altro organismo stilistico maggiore e unitario. Piercarlo Necchi Invisibilia, (racconti) Firenze libri, 1987 pp. 76, lire 11.500 Michelangelo Fardella Gaspare Polizzi N on basta la larga notorietà ottenuta in vita a motivare la stampa di due inediti del filosofo e scienziato Michelangelo Fardella (Trapani 1650 - Napoli 1718), curata con durevole dedizione da Salvatore Femiano per conto dell'Istituto Italiano per gli studi Filosofici. Né si può notare in Italia un'iniziativa editoriale e accademica di largo respiro tesa a valorizzare le opere della tradizione filosofica nazionale, come avviene invece in Francia. Eugenio Garin - nello scritto, come sempre vivido ed erudito, posto a· . .. pagina 27 Prefazione - individua il significato del percorso intellettuale del filosofo francescano inserendolo nell'evoluzione del pensiero europeo seicentesco, nell'ambito della cultura filosofico-scientifica italiana e padovana in particolare. I Pensieri scientifici (1713) e la Lettera antiscolastica (redatta nell'arco di tempo 1714-1717) documentano dunque, con ampiezza di argomentazioni e riferimenti autobiografici, la fase ultima di tale percorso intellettuale, allargando di un tassello la nostra conoscenza della filosofia italiana tra Seicento e Settecento. Tuttavia la lettura degli scritti testimonia, al di là del riconoscimento storiografico, una problematica che - nella sua costante niedietà - non cessa di riproporsi. Nei Pensieri la requisitoria agguerrita contro «quelle tante chimere, che oggi riempono le Scuole» - che costituisce anche l'ossatura della Lettera - è mossa dalla ricerca di quelle verità che «[ri]guardano le cose a noi più famigliari, o più comuni, spesse volte più importanti e necessarie a conoscersi, quando più ordinarie ed a noi domestiche» (p. 24). Così pure la presa di distanze dai Veteres e dalle scuole dei moderni (pedanti e umanisti), unita all'ostilità per l'abuso delle dispute e al ripetuto richiamo al primato di ragione ed esperienza, comunque non disgiunto dalla professione di fede cattolica, richiama a «motivi» che non richiedono particolare lavoro di «traduzione» nell'attuale dibattito filosofico. Le coordinate dentro le quali prende corpo l'opera di Fardella sono, naturalmente, assai precise. Vanno evocati i termini generici di: cartesianismo, tramonto dell'aristotelismo, diffusione delle scienze fisico-matematiche moderne, atomismo e scetticismo, spirito della Controriforma. I nomi personali degli interlocutori sono ancora più perspicui: Gassendi, Malebranche, Leibniz (con il quale Fardella ha un rilevante scambio epistolare su questioni filosofico-teologiche, ora documentato in un volume in corso di stampa a •cura dell'Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli), Bayle, A.Conti, G.Toaldo (cfr. Alfabeta, n. 84, maggio 1986), Berkeley, L.Porzio. E, nella fitta trama di questi incontri, che aprono a vicende biografiche tormentate, sia nel fisico (la precoce debolezza della vista e la grave malattia che contrasse a Barcellona) che nel morale (gli scontri con gli Aristotelici, il provvisorio passaggio al luteranesimo), rilievo preminente assume il periodo dell'insegnamento presso l'Università di Padova (16941709), durante il quale Fardella opera con incisività per la diffusione degli studi scientifici e per il difinitivo ridimensionamento della tradizione aristotelica, lì - come è noto - particolarmente consistente. Detto ciò, colpiscono tuttavia in queste pagine alcune accurate annotazioni sulla nocività della filosofia scolastica, sul valore «moderno» del cartesianismo, sulla ridefinizione del rapporto fede-ragione, dettate in una fase di sintesi e di ripensamento ultimo. Sul primo punto la Lettera è densa di luoghi illuminanti, in un'articolazione argomentativa che non tralascia nessun aspetto dell'insegnamento canonico e che mira a dimostrare come la filosofia scolastica non aiuti a perfezionare la ragione e offuschi l'intendimento, a
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