pagina VIII primo. Situazioni, dunque, caratterizzate da servizi ospedalieri e da servizi ambulatoriali, spesso non collegati tra loro (ambulatori in cui, magari, vengono realizzati interventi tecnici molto sofisticati); tra essi il vuoto, non solo di strutture, che possono anche non essere indispensabili, ma anche della necessaria cultura della attenzione, della assunzione di responsabilità nei confronti della popolazione di competenza. Questo modello non ha possibilità di risposta alla domanda psichiatrica più impegnativa; essa ne viene delegata al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura nel migliore dei casi, e per periodi di tempo limitati, o a istituzioni private, ovvero al vupto di risposta, all'abbandono. La risposta si produrrà al momento della nuova emergenza, del disturbo della quiete pubblica, del nuovo TSO, in un circolo vizioso destinato a perpetuarsi inalterato. G iungi al quartiere S. Paolo di Bari dalla città percorrendo la strada per l'aeroporto di Palese. Quando sei nei pressi di edifici di dieci piani senza balconi (le chiamano le «torri di cartone») vuol dire che sei arrivato. Costruito agli inizi degli anni sessanta per sistemare i senza tetto della città, il S. Paolo prima si chiamava C.E.P. (Centro Edilizia Popolare). e ancor oggi i baresi, per definire una persona in senso dispregiativo dicono «ceppista». Nonostante in epoca successiva si siano insediati ceti operai e piccolo-borghesi il S. Paolo mantiene pressoché immutata l'immagine di quartiere «ghetto», «pericoloso», con tutti i luoghi comuni e la retorica che l'accompagnano. Percorrendo le strade larghe tra alberi rinsecchiti o incarcerati in fazzoletti di verde condominiale, hai l'impressione che le grida dei bambini - tanti - si perdano nel vuoto. Nelle sere di pioggia il quartiere si allaga tutto e non c'è nessuno in giro. Le luci color zafferano della strada sciabolano contro il parabrezza dell'auto, ti penetrano il cervello e aumentano la tua solitudine e il senso di estraneità. Se prosegui lungo la strada principale del quartiere, giungi in piena campagna, dopo aver superato a sinistra un asilo nido mai entrato in funzione, nuovo, con porte e finestre murate, e a destra un condominio popolare sgomberato più volte dalla polizia, poiché occupato da abusivi. Nella campagna sorge un edificio di dieci piani a più blocchi, vuoto: è il nuovo ospedale, 600 posti letto, da tempo attrezzato di tutto punto, mai aperto per infinite beghe politicoamministra tivo-clientelari. In un'ala dell'ospedale, accanto al Pronto Soccorso, è ospitato il Servizio di Salute Mentale; o meglio, ci siamo presi questa sede secondo l'abitudine, per noi antica, dell'occupazione, nel febbraio del 1987, quando eravamo stati sfratQuesto tipo di forbice, che ho cercato di descrivere, tra l'abbandono nel manicomio, e l'attesa nel territorio, corrisponde molto bene alla logica tipica del modello clinico tradizionale: che rifiuta di confrontarsi con i suoi fallimenti e delega gli scarti (la cronicità) a istituzioni non sanitarie, e che interviene solo sul caso acuto, a danno già prodotto, rifiutando l'intervento a livello preventivo, ossia negandosi alla contaminazione necessaria per un intervento calato al livello delle condizioni storico-sociali al cui interno si produce il danno e la sofferenza. 4. Non è certamente questa la indicazione contenuta nella legge di Riforma Sanitaria; essa, al contrario, pone al centro della organizzazione sanitaria non più la malattia, ma la salute; richiede un intervento, da parte del mondo sanitario, non più riparativo, ma atto a tutelare e promuovere la salute dei cittadini, nelle varie fasi della alfa bis. 3 loro esistenza. La affermazione di questi principi, la loro traduzione in pratiche da essi orientate, richiedono un profondo mutamento degli orizzonti culturali, dei fondamenti epistemologici, prima ancora che pratico-operazionali. Nel caso della psichiatria, non vi è dubbio alcuno che le indicazioni legislative sanciscano in modo inequivoco questa necessità, con la affermazione della non terapeuticità degli Ospedali Psichiatrici, affermazione che pone le basi di una vera rivoluzione copernicana nel settore. È proprio a partire da questa consapevolezza che va recuperato un approccio critico nei confronti dell'esistente, per accelerare i processi di trasformazione e, per quel che riguarda gli operatori (ma non solo) va sviluppata la capacità di confronto con i nuovi compiti che la legge ad essi affida, all'interno di un progetto di più ampio respiro. Alla capacità di assumere la «sfida» in modo globale è legata la possibilità di essere parte integrante di un processo di profonda trasformazione nella dialettica servizi-cittadini, ed anche la possibilità di rifondare le professionalità, recuperando la dimensione eticopolitica dello agire sanitario, unica dimensione capace di colmare il vuoto di rapporti che la medicina clinica, bio-medica, impone. Note (1) Solo brevemente: a Livorno, è in corso di «costruzione» una rete di Servizi Territoriali funzionanti lungo l'arco delle 24 ore, guidata dalla ipotesi complessiva di rendere possibile una presa in carico globale all'interno della comunità. Esiste un Servizio Ospedaliero di Diagnosi e Cura, la cui utilizzazione va decrescendo, 2 Centri Territoriali per la Salute Mentale - il terzo è in costruzione - aperti sulle 24 ore, ciascuno dei quali servirà, a regime, una popolazione di circa 65.000 abitanti. Esistono Peri matti tati dai locali che ora ospitano la Compagnia dei Carabinieri.' Le stanze sono ampie e luminose. Hanno litografie, stampe, piante: doni di utenti, familiari, amici. Nel salone un accogliente divano con poltrone, un tavolo da ping-pong, musica diffusa dallo stereo. C'è anche una cucina attrezzata un po' sommariamente, ma ben funzionante. Caffè, tè, a volte spaghetti sono consumati insieme agli utenti. Un luogo, dunque, dove la gente può incontrare l'operatore per il colloquio o i farmaci, ma anche l'amico con cui suonare la chitarra, litigare per il sussidio, giocare a carte o a ping-pong, lamentarsi perché sente «le voci», farsi la flebo perché beve troppo, scontrarsi perché non vuole farsi la fiala, organizzare la gita o la festa, costringere l'operatore a chiedere più soldi per sé, coccolare il gatto (raccolto per strada e che ora vive nel Servizio), starsene in pace seduto con un giornale ed anche leggere e scrivere poesie. Insomma un luogo di accoglienza, di ascolto, dove pezzi di vita possano scambiarsi, sguardi incontrarsi, corpi toccarsi, paure diluirsi. Nel dibattito, spesso piatto e scontato, raramente stimolante, su «che cosa è terapeutico», troppe volte si dimentica che non vi può essere «terapia» senza attenzione a ciò che l'altro ci vuol dire nella sua interezza, alla sua inventiva e alla sua ovvietà, alla sua simpatia e alla sua «pesantezza» e, insieme, ai nostri limiti, ai nostri scacchi e alla nostra voglia di andare avanti: nonostante tutto. «In particolare si dimentica che il dialogo è l'evento che dà un volto alle persone come alle cose che si incontrano in una pratica e in questo senso illumina e protegge il loro essere e solo così può essere terapeutico».' Se questo è il punto di partenza, l'ascolto è il metodo principale, un ascolto scevro da pregiudizi, non condizionato da tecnicismi, né da soluzioni preformate. «Solo così il terapeuta può liberarsi da quel paraocchi ascetico che il metodo delle scienze naturali ha diffuso e ricominciare a vedere le possibilità più proprie.» 3 Questa modalità di rapporto non ci fa dimenticare la materialità delle situazioni, anzi ne svela lo spessore reale, poiché tende a vedere il soggetto nella globalità della sua vita. Maria, venticinquenne, si deprime perché soverchiata dal senso di responsabilità materna: l'asilo nido non funziona; se potesse mandarvi i figli, potrebbe pensare più a sé. Nicola, quarant'anni, beve dall'età di venti; scacciato da casa dalla moglie, è uscito qualche giorno fa dal carcere e non sa dove andare a dormire. Gino: tanti ricoveri in ambiente psichiatrico e una famiglia di otto persone; mangiano una sola volta al giorno: il nostro sussidio non basta e il Comune ha finito i soldi. Così ci impegnamo nelle iniziative per rendere più vivibile il quartiere ed insieme al Coordinamento degli operatori sociali, sanitari e culturali di base ci battiamo per più servizi, strade illuminate, scuole, consultori, centri sociali. Da una situazione specifica psichiatrica, si va oltre il sintomo. Si creano alleanze e complicità con gli altri operatori: rapporti reali, attraversati anche da dissensi, ma fon.,.datisu vincoli di solidarietà. In alcuni momenti si ha la sensazione di vivere insieme un'unica ed autentica esperienza di cambiamento. Abbiamo l'impressione, da quando lavoriamo nel quartiere S. Paolo, a contatto quotidiano con la gente e la sua sofferenza, di essere cambiati noi. È come se cogliessimo nella nostra vita più direttamente l'essenziale delle cose, è come se fossero caduti progressivamente, nella lettura degli avvenimenti, i tanti veli delle ideologie; è come se il nostro linguaggio fosse più scarno, per arrivare prima all'osso delle questioni. Ci interessano di meno le «analisi complessive», di più le feste; di meno «i programmi», di più i murales dipinti dai bambini. Attraverso le istituzioni, essendone riattraversati, accompagnando gli utenti nei percorsi istituzionali, ci accorgiamo - oggi ancor più di prima - che le mille facce della miseria si coagulano nel sintomo psichiatrico, mosaico mostruoso di tante disperazioni e solitudini. Il tentativo di risposta non può, allora, essere sempre lo stesso, immutabile, cronificante e in ogni caso si deve situare in una rete di sostegno per la cui costruzione ciascuno di noi ogni giorno è impegnato. Per chiarezza: occuparsi dei detenuti con un Servizio che entra con continuità in carcere, lavorare stabilmente nella scuola che ci segnala i ragazzi difficili, rapportarsi con i Tribunali e le forze dell'ordine, intervenire nelle fabbriche, non significa «psichiatrizzare» i problemi, ma essere presenti là dove nasce il disagio o esplode il conflitto, nel tentativo di creare più solidarietà intorno a chi è più debole, di prevenire fenomeni di espulsione o di neoistituzionalizzazione. I problemi del folle sono troppo complessi per essere ridotti a spiegazioni biologiche o psicologiche o sociologiche, troppo dirompenti per essere contenuti in costruzioni tecnicistiche. Hanno bisogno, invece, di operatori, organizzazioni pubbliche e private, spontanee e non, amministratori, cittadini, soldi, intelligenze per poter essere presi in carico e, possibilmente, risolti. Nel Sud, ai margini di una città, in un servizio di salute mentale, è in corso un tentativo attraverso il quale sembra possibile coniugare le competenze e i ruoli con l'affettività, lo specifico psichiatrico con la rottura del paradigma della follia, la soggettività con le lotte complessive. Il tutto sostenuto Alfabeta I 12 inoltre due case-famiglia per persone provenienti da Volterra (l'OP di cui fruiva la provincia di Livorno), e un «Gruppo Residenziale Terapeutico» per giovani psicotici. Viene inoltre svolta a livello distrettuale una attività di tipo ambulatoriale e domiciliare. Il tutto immerso in una tensione verso il contatto con la.Comunità cittadina, al cui interno, con il supporto di varie istanze e livelli associativi, vengono realizzate iniziative di animazione, di tipo ricreativo e culturale. (2) In estrema sintesi: lo spezzettamento delle équipes nelle varie USL anche di piccole dimensioni con la perdita delle caratteristiche di gruppo fino ad allora esistenti; il confronto, impari a livello politico e amministrativo, con la medicina e la organizzazione ospedalcentrica delle USL, rispetto alla centralità che la psichiatria aveva per le Amministrazioni Provinciali; il cosiddetto «riflusso» che fece perdere di vista il significato politico complessivo dell'agire psichiatrico, ormai «normalizzato» dentro il complesso dei Servizi Sanitari la fine, cioè, sia pure a livello formale, della peculiarità della psichiatria ... dalla riflessione e, a volte, dal silenzio. Due mesi fa si è concluso un laboratorio di poesia e narrativa svoltosi nel nostro Servizio e organizzato dal locale Centro di Servizi Culturali. Si chiamava «L'Ora Blu»: tra la notte e il giorno, quando la natura è come sospesa, nel silenzio. E poi viene il sole. Note (1) Il servizio di Salute Mentale di Bari S. Paolo, presente nel quartiere da circa sette anni, comprende i quartieri S. Paolo, Stanic, Zona Industriale, Palese, S. Spirito, per un bacino d'utenza di circa 80.000 abitanti. Vi lavorano tre medici, sei infermieri, tre assistenti sociali, una psicologa. È aperto tutte le mattine e cinque pomeriggi dei giorni feriali, fatto eccezionale per la provincia di Bari, dove i servizi psichiatrici territoriali sono di norma aperti dalle ore 8 alle 14. Due volte alla settimana funziona anche un centro nel quartiere Palese-S. Spirito. Il servizio gestisce, attraverso una cooperativa di servizi, una casa-alloggio ed un gruppo-appartamento per ex degenti dell'Ospedale Psichiatrico di Bisceglie (ente ecclesiastico privato convenzionato). I ventiquattro ricoverati in ospedale psichiatrico di competenza del Servizio sono stati tutti dimessi. Il Servizio di Salute Mentale di Bari S. Paolo presta servizio di consulenza continuativo nel Carcere di Bari, attraverso una convenzione con il Ministero di Grazia e Giustizia, e nelle scuole del quartiere. Collabora all'attività di una cooperativa di lavoro (pulizie e maglieria), costituita da utenti dei servizi psichiatrici della città. Alcuni dati dell'attività del 1987: - visite ambulatoriali, domiciliari e sociosanitarie: 5000 - utenti in carico: 830 - nuovi utenti: 110 - trattamenti sanitari obbligatori negli ultimi due anni: 8. (2) G. Rocca. li soggetto e la terapia. La pratica terapeutica tra modello clinico e riproduzione sociale, Atti Convegno di Trieste 22-23-24 settembre 1986, Centro di Documentazione di Pistoia Ed., 1987, p. 68 (3) G. Rocca. op. cit.. p. 69.
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