' il Mulino Sergej Averincev L'anima e lo specchio L'universo della poetica bizantina Spiritualità e letteratura nei primi secoli della cristianità d'oriente: un suggestivo mondo letterario e morale rivelatoci da un grande studioso russo Carlo M. Cipolla Tra due culture Introduzione alla storia economica Storia ed economia a confronto. nella brillante esposizione dell'illustre studioso Nathan Rosenberg Luther E. Birdzell Come l'occidente è diventato ricco Un'originale interpretazione critica dello sviluppo e delle trasformazioni economiche del mondo industriale Come vincere le elezioni a cura di Paolo Mancini I mass media e le nuove forme della comunicazione politica nelle campagne elettorali degli Stati Uniti Nanni Balestrini Il ritorno della signorina Richmond commentovisivodi GianfrancoBaruchello "Ilritornoin Italia dellasignorinaRichmondavvienene/l'estate1984.ecoincide ca.r11al111ente conquellodel .r11b0iografo in vmi, chedopocinqueanni di esilioin_ tt'rraprovenzaleerastato dalla giustizia italiana amabilmente dichiarato innot'entdeeipiù graviatti di ten-ori.r1110 politico". • Goffredo Parise Arsenico con111.r1aggiodi AndreaZanzotto ... "/t'.ftorit•elatoreS.iapa i temitofft1ti. .ridp1·ril mnti111i1n0m·.rpar.ri dd de11ato 11,·ll'im,,lz,m·della .rilllu.r.ri I' ndl'i111pmnat11rtd1el le.r.ri.m.riaperlaforza di 1111 fl11.r.raotrabiliare t'he i11vestf1i·n dall'inizio l'elabort1zio1sutili.rtim.e.r.ro .riponein 11ntz1ona ro11tig1a1a rte .ri.r111ogragfiaeddianeoaddirit111raCélim•· ... Edizioni Becco Giallo Via Garibaldi 31026 Oderzo (TV) Tel. {(H22) 7J2,l72 P.agina30 perdersi. Perdersi. Ma non chiedere la direzione, nessuna direzione essendo quella giusta se suggerita da altri e scoprire tutte le direzioni a caso». Perdersi allora dentro questo avventuroso volume, con il piacere di farlo. Goffredo Parise Opere A cura di Bruno Callegher e Mauro Portello Introdozione di Andrea Zanzotto Mondadori, Milano, 1987 pp. LXVI - 1636, lire 49.000 Goffredo Parise Veneto Barbaro di Muschi e Nebbie Fotografie di Lorenzo Capellini Quattro racconti, con scritti di Alberto Moravia e Nico Naldini Nuova Alfa Editoriale Bologna, 1987 pp. 193, lire 50.000 Derrida e i dialoghi dell'altro Giovanni Scibilia P syché raccoglie 26 interventi derridiani scritti negli ultimi dieci anni. Studi, conferenze, prefazioni, letture, aforismi, questi testi apparentemente si disperdono lungo le traiettorie più disperate (dalla filosofia ali' architettura, dalla psicanalisi a temi politico-sociali), che lambiscono un gran numero di nomi propri (Platone, Dionigi, Benjamin, Barthes, Heidegger ecc.). In realtà la dispersione è solo apparente e una fitta rete di rimandi raccoglie tutti i frammenti in un unico grande mosaico, una «teoria distratta» (p. 9). Nell'impossibilità di ricostruire l'intero, ci limitiamo ad aprire un varco, una possibile via d'accesso. La scrittura di Derrida è da sempre caratterizzata da un mimo dialogico: in quasi tutti i saggi di Psyché un je si rivolge a un vous secondo il più elementare modello della comunicazione; altrettanto spesso Derrida si pone obiezioni che potrebbero venirgli dai suoi interlocutori silenziosi. L'ermeneutica contemporanea (si pensi a Gadamer) ha fatto del dialogo il nocciolo della propria speculazione. In Verità e metodo il dialogo è il modello che permette di studiare il fenomeno ermeneutico, il rapporto fra testo e interprete perfettamente speculare alla relazione che si stabilisce fra due interlocutori. Nell'interazione dialogica riuscita nessuno dei due attanti in gioco prevale sull'altro, piuttosto essi si ritrovano uniti e trasformati in ciò che hanno in comune, luogo che viene indicato come «verità» dell'oggetto del loro discutere (sul piano ermeneutico si realizza secondo Gadamer una «fusione di orizzonti», quello del testo e quello del suo interprete). La dialogicità che caratterizza i testi di Derrida è la decostruzione di questa concezione del dialogo; in particolare, il je dei testi di Psyché si rivolge al vous non per indicare una sintesi di posizioni, quanto per raccontare l'impossibilità di trovare un punto d'incontro, a meno di non spostare il luogo dell'intesa possibile. In sostanza 1. decostruire il dialogo per 2. costruire un dialogo «altro». La decostruzione del dialogo passa attraverso la riconsiderazione del modello della comunicazione che contrappone i due interlocutori, l'«io» all'«altro». In Moi-la psychanalyse (1979), ad esempio, Cfr Derrida nota come la lingua francese permetta al soggetto dell'enunciazione di stabilire un contatto con se stesso grazie alla possibilità di utilizzare lo stesso pronome moi sia come apposizione del soggetto («Moi, je dis que ... ») sia in posmone ·di oggetto ( «Prends-moi .. . »). Il soggetto viene così definito riflessivamente, risulta assolutamente presente a se stesso. D'altra parte l'interlocutore del soggetto fenomenologico non può essere pensato che come sua proiezione narcisistica, ciò che la pratica dialogica cerca di ricondurre a un «sé» cresciuto: sintesi (Gadamer nota come sia possibile interpretare la dialettica hegeliana come una lettura [errata] dell'autentica natura dialogica della dialettica platonica). In Psyché. Invention de l'autre (1983), il saggiochiave del testo e perciò posto in apertura, si decostruisce questa tipologia dell'altro sventolandola sembra così «trascendentalizzare» la considerazione dell'altro oltre il senso ontologico che Heidegger attribuiva al trascendentale kantiano (inteso come preliminare comprensione dell'essere): occorre pensare l'altro, «al di là dell'essere» (p. 60). Come nella riflessione heideggeriana l'«essere-perla-morte» permette di svelare la dimensione dell'autentico, qui è la morte a rendere palese che non solo c'è un diverso modo di pensare l'altro, ma che ogni pensiero metafisico del soggetto e del suo interlocutore dialogico è in realtà, occultamente, disturbato dall'interferenza dell'altro, che diventa così una «metonimia allucinante» (p. 292; Les morts de Roland Barthes, 1981): nella fotografia, il referente, ciò che è stato fotografato, è irrimediabilmente passato e perduto; solo il movimento intenzionale che riporta il soggetto al fotogramma nel momento feRapimento, 1945 ca come invenzione. Derrida ripercorre l'itinerario di questo «concetto tecno-onto-antropo-teologico» (p. 61) da Cicerone a Schelling. Gli è così possibile definire una duplice concezione dell'invenzione: come disvelamento di certe esistenze o verità, come produzione di un dispositivo tecnico-scientifico (logica che Fable di Ponge ricompone [e decostruisce] in modo indecidibile, tanto da rendere indistinguibile constativo e performativo ).Soprattutto le esemplificazioni storiche mostrano come l'invenzione dell'altro venga continuamente ricondotta al medesimo: l'aleatorietà della scoperta viene controllata e argin'ìi"fadalla pro&,$!ttualitàche informa la ricerca (Leibniz), l'invenzione compie nel mondo finito la verità della ragione infinita (Schelling). Un pensiero del radicalmente altro deve allora muovere da una rottura dello specchio che ne permette la riappropriazione,. Questo altro non può più essere inventato se non come «una certa esperienza dell'impossibile: vale a dire [... ] dell'altro, l'esperienza dell'altro come invenzione dell'impossibile, in altri termini come la sola invenzione possibile» (p. 27). Derrida nomenologico della visione implica un ritorno metonimico del morto referenza). Il soggetto vivente che riguarda la fotografia si rivela sempre già intaccato dalla morte, ovvero dall'altro per eccellenza. Se l'altro è essenziale al soggetto, quest'ultimo non potrà più essere considerato tale. Geschlecht - différence sexuelle et différence ontologique (1983) ripercorre l'analitica esistenziale del Dasein heideggeriano proprio per impedirne la restaurazione in quanto soggetto metafisico: il Dasein è trascendentalmente disperso, disseminato (ciò che Heidegger chiama Streuung), è cioè immediatamente Mit-sein, con-essere dialogante che inaugura il dialogo antico. Nelle pagine di Psyché si delinea quindi un dialogo di tipo diverso. Esso non si articola più fra istanze contrapposte ma si trova già più che trascendentalmente implicato nell' «identità originaria», che risulta essere in questo modo tutt'altro che pura, indivisa, semplicemente presente - come invece accade nella tradizione metafisica. L'affermazione più singolare a questo proposito è forse quella di En ce moment méme ... A lfabeta,11O/111 (1980). In Lévinas la differenza sessuale è subordinata a un Altro, che però è ancora maschile. Se il rischio dell'Altro è quello di fissarti in identità, questa strategia è paradossalmente precauzionale: sarà il femminino a mantenere irriducibile l'alterità, designandosi come «l'altro del Dire del tutt'altro» (p. 197). Derrida scrive in Comment ne pas parler. Dénégations (1986) che il «linguaggio è cominciato senza di noi, in noi prima di noi» (p. 561): c'è una promessa, un ordine (ciò che Heidegger chiama Zusage) che viene all'uomo al di là della sua stessa storia, e a cui l'uomo risponde dicendo «sì» ( De l'esprit. Heidegger et la question, Paris, Galilée, 1987, p. 148), «vieni» (p. 60), risponde cioè con l'apertura stessa del linguaggio. All'origine quindi un dialogo che è un'ingiunzione: Legge - ciò che in Ponge è la «cosa». Ma, aggiunge Derrida, non un debito, né un contratto (cfr. p. 164), cioè - potremmo tradurre - un dialogo senza domande né risposte (mentre in Gadamer la domanda è la condizione stessa del dialogo), senza battute cooperanti capaci di reinstaurare la logica del medesimo. Un esempio di parziale dialogo con il totalmente altro (mimetico della dialogicità dell'altro) è la preghiera, così come intesa da Dionigi e Meister Eckart, riletti in Comment ne pas parler. La preghiera è parola che solo si rivolge senza parlare mai, invio iterabile destinato contemporaneamente a più d'uno (Dio, discepoli, lettori). In breve: testo, apparato differenziale, différence, quasi-sinonimi della Legge all'origine. Dialogo del tutt'altro, dialogo con il tutt'altro: che ne è del dialogo degli uomini tra loro? Anche il dialogo comunemente inteso deve riflettere le modalità del dialogo «trascendentale». Il paradigma è Nelson Mandela (Admiration de Nelson Mandela ou Les lois de la réfiexion, 1986), che Derrida descrive come colui che ha saputo tener distinte le leggi dalla Legge, che ha trasgredito le leggi nel rispetto di una legge più potente e pura. L'autodifesa di Mandela è solo apparentemente parola rivolta ai sordi (i giudici bianchi), in realtà è un appello a un tribunale universale. Voce che parla nella e della Legge senza rappresentarla (la Legge è irrapresentabile, cfr. Envoi, 1979-1980) e lo fa come la Legge parla, ovvero come una scrittura che si dissemina, un dialogo che si fa polilogo, che non ricerca un interlocutore presente; piuttosto parla nella distanza, trascendentalizzando il dialogo antico: «Per una volta, dunque, ci sarà stato il discorso a voce alta e la corrispondenza, il testo scritto della sua difesa, che è anche una requisitoria: ci è pervenuto, eccolo, noi lo leggiamo in questo momento stesso» (p. 471). Il rispetto della Legge permetterebbe dunque di sostituire il colloquio (democratico) al conflitto: è questo l'unico stratagemma per differire la fine assoluta, la fine di ogni archivio simbolico, di ogni memoria e di ogni lutto (questa è la posta in gioco nell'epoca nucleare, cfr. No apocalypse, not now ... , 1984.) Il dialogo deve operare una «dissuasione», ovvero, conosciuta l'inesorabilità della Legge, deve impegnarsi (l'umanità come Shahrazad) a tenerla lontana pur additandola come «verità» che non si dà, regola e minaccia a un tempo. Resta un dubbio sostanziale: a chi avrà effettivamente parlato della
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