Alfabeta - anno X - n. 108 - maggio 1988

Alfabeta 108 gatoria della vita» (p. 14), non resta che un passo ... e la miseria è proprio al colmo. Da parte sua il fideista critico - consapevole non solo del fatto che la ragione è il nostro bene più prezioso, ma anche del fatto che essa è fallibile e che esistono problemi indecidibili per una ragione filosofica kantianamente intesa - ha cercato di svegliare i «salvatori del Salvatore» dal loro sonno dogmatico di «metafisici classici», ha dato l'allarme contro e davanti agli abuI pacchetti di Alfabeta si della ragione perpretati da questi falsi razionalisti, e ha accennato «ad alcune ragioni che, dalla prospettiva fallibilista di Popper e non-giustificazionistica di W. Bartley, rendono razionale il non-giustificazionismo» (p. 150). Di più non può fare: «Io, scrive Antiseri, penso a una ragione, il cui compito possibile ed effettivo è lo svuotamento delle pretese assolutistiche, onnivore, totalizzanti delle proposte metafisiche. Le teorie scientifiche si provano; la fede si testimonia. Tra la scienza e la fede, l'uso critico della ragione permette alla scienza di non snaturarsi (nello scientismo) e non proibisce alla fede di proporsi proprio come pura fede. Siffatta posizione, egli continua, può essere non gradita, può non solleticare i potenti e non accarezzare quanti vorrebbero non tanto testimoniare la propria fede ma piuttosto imporla agli altri, facendola camminare sulle più o meno sicurizzanti stampelle delpagina 17 le pretese metafisiche. In ogni caso, gradita o meno, io penso che essa sia razionalmente più forte di qualsiasi apologetica positiva. E se qualcuno, troppo sicuro di sé e ampiamente ignaro della storia delle idee, dice che essa è una sciocchezza, a costui faccio solo presente che si respira bene stando vicino a 'sciocchi' come Pascal, Kant, Kierkegaard o Barth» (p. 115). Ma non è affatto poco. Il diveniremusicale Jean-Jacques Nattiez Il discorso musicale Per una semiologia della musica Torino, Einaudi, 1987 pp. 197, lire 9.000 Nicolas Ruwet Linguaggio, musica, poesia Torino, Einaudi, 1983 pp. 245, lire 12.000 S critti tra il 1977 e il 1982 per l'Enciclopedia Einaudi, i sei articoli sulla musica di Jean-Jacques Nattiez che, corredati da una nota e da un saggio introduttivi, compongono li discorso musicale, recano la testimonianza di un interesse teorico maturato dall'autore, in parte occasionalmente, in seguito alla pubblicazione dei Fondaments d'une sémiologie de la musique (la sua opera più celebre, di cui è stata più volte annunciata l'imminente traduzione italiana). Al di là del tono laconico e schematicamente definitorio di talune affermazioni - per esempio: «Definisco opera classica l'opera nella quale i vari parametri sono fra loro in relazione equilibrata, quella che realizza una convergenza fra poetica e estesica» (p. 175) - il lavoro di Nattiez si presenta come un'interessante sintesi di massima sulle nozioni di base del linguaggio musicale. La peculiarità della prospettiva semiologica adottata, consiste nello spostare l'esame dall'oggetto musicale stesso (le opere, gli stili, ecc.) ai suoi modi e criteri di interpretazione teorica. Abbandonando l'analisi strutturale interna all'opera e indirizzandosi verso la sua «catena degli interpretanti» (Peirce), l'autore finisce per redigere, incentrandola sulla chiarificazione di alcuni parametri musicali, un'ampia rassegna della trattatistica musicologica, ovvero una «semiologia del metalinguaggio musicale». Tralasciando di illustrare i tratti salienti di questa analisi, espressamente condotta sulla base del modello semiologico «tripartito» di Jean Molino, ci limiteremo, in questa sede, a ripercorrere e a discutere il modo in cui l'autore «tira le somme» della propria ricerca, impiegandone i risultati per intraprendere e preconizzare i complessi metabolismi strutturali del linguaggio musicale contemporaneo. L'esame della situazione attuale del mondo della composizione prende le mosse, in Nattiez, dall'interpretazione dei parametri tonalità/atonalità. Dopo aver distinto, attraverso un rapido spoglio della letteratura musicologica, un'accezione generalizzata e una ristretta del concetto di tonalità, l'autore sintetizza i capisaldi dello stile tonale incentrato, in primo luogo, sulla dialettica di consonanza e dissonanza, parallela, sul piano dell'analisi estetica, all'alternativa di tensione/distensione e, in terzo luogo, sulla ricerca di una tonalità sonora che ne articoli le fasi. Eludendo il sistema tonale, Schonberg non ha ancora rinunciato a un modello di tonalità musicale, avendone posto le fondamenta su di un elemento unitario, la serie, che nella propria ambiguità strutturale assume le funzioni svolte in precedenza dalla scala dei riferimenti e dal materiale tematico. Alessandro Arbo Tutta la problematicità insita nel passaggio dalla tonalità all'atonalità emerge nell'ambiguità della nozione di serie, portandoci al centro della chiave di lettura che Nattiez applica al mondo musicale contemporaneo, e cioè la progressiva autonomizzazione dei parametri musicali: «Dall'evoluzione dl:lla tonalità e dal suo passaggio all'atonalità dohhiamo trarre una profonda lezione teorica: poiché i diversi parametri tendono a rendersi autonomi, ciascuno di essi evolve secondo il suo proprio ritmo. Così si spiega come alla base della serie schonberghiana vi siano cellule tematiche questa variabile. Al di là dell'interpretazione dei fatti, Nattiez si pone, a questo punto, l'interrogativo riguardante la possibilità, in linea di principio, di basare un sistema linguistico-musicale sull'esclusività del parametro timbrico. La risposta è decisamente negativa: «Diversamente da altezza e ritmo - parametri lineari e orizzontali che pretendono un seguito ed esigono imperiosamente dei prolungamenti, - il timbro( ... ) ci appare come verticale, fisso nel tempo e • incapace di creare, da solo un divenire» (p. 173). Questa osservazione, mirante a salvaguarLottiamo con il Soccorso Rosso! ereditate da Beethoven e da Brahms, mentre è scomparsa la gerarchia tonale delle altezze: allo stesso modo si spiega in Berg il ricorso alle forme classiche, ecc... » (p. 168). Ne deriva una teoria generale di interpretazione storico-musicale, in cui a ogni epoca viene fatto corrispondere uno stile, basato a sua volta sull'autonomizzazione di un parametro. Così, per esempio, mentre nel periodo barocco il timbro costituiva una variabile subordinata alla linea del basso continuo, alle ornamentazioni melodiche e alla struttura armonica, la musica elettro-acustica del nostro secolo denota proprio la più incontrastata egemonia di dare il carattere lineare e progressivo del discorso musicale, testimonia la condivisione, da parte della prospettiva semiologica di Nattiez, di una tesi, di natura begeliana, su cui si erano prodigate molte pagine di Adorno. Le accuse che nel saggio sull'Invecchiamento della musica moderna (1959) Adorno rivolgeva ai compositori degli anni cinquanta, colpevoli di aver bloccato la dialettica musicale in una negazione astratta, trova una conferma nel riconoscimento che l'idea di un divenire musicale, in quanto principio fondante la continuità temporale dell'insieme compositivo, decade, a partire da un certo momento ,.klla storia della musica di questo secolo, a favore di una inutile ricerca di sonorità «vergini», di un accostamento disorganico dei blocchi sonori. L'ipervalutazione del parametro timbrico è interpretata, in questo contesto, come uno svuotamento di senso degli stessi parametri sonori, i quali possiedono un reale significato costruttivo solamente all'interno di una dialettica lineare. Riconoscere validità a questa analisi significa individuare nella dissoluzione di una certa nozione di temporalità musicale un nodo problematico di estrema importanza per interpretare le fasi di trasformazione del linguaggio musicale contemporaneo. Credo tuttavia che prima di rilanciare alle avanguardie l'inveterata accusa di «ripetitività» e di «astrazione sono_ra»,sarebbe necessario rileggere più attentamente la nozione di «dialettica del discorso musica- . le», cercando in particolare di sviscerarne le curvature di senso che emergono nel rapporto topologico di alternanza tra cellule differenzianti ed elementi di ripetizione. È necessario in altre parole evitare il rischio di trascurare i sottili nessi dinamici che traspaiono dall'interazione dei fattori melodici «orizzontali» con quelli timbrici «verticali». Particolarmente interessanti si presentano, a questo proposito, i saggi sulla musica raccolti nel volume Linguaggio, musica, poesia di Nicolas Ruwet. In base alla metodologia analitica linguistico-strutturale, l'autore si prefigge il compito di decifrare, formulando diverse procedure di segmentazione e di scoperta, i codici situati «a monte» del messaggio musicale, rappresentato dalla singola opera. Partendo dalla distinzione (Lévi-Strauss) tra il piano della parole, caratterizzato da un tempo irreversibile e il piano della langue, caratterizzato viceversa da un tempo reversibile, Ruwet evidenzia le contraddizioni insite in un certo modo di intendere il linguaggio seriale, come «irreversibilità radicale e senza restrizione del divenire musicale» (Henri Pousseur). La volontà di esorcizzare una ripetitività che apparve sempre più ideologica e scontata, portò la musica a cercarsi uno spazio di libertà assoluta, completamente svincolata dalle convenzioni, in un'ipotesi costruttiva in cui il divenire doveva costituire la meta indiscussa della creatività artistica. Ma, osserva Ruwet, «Soltanto se si hanno identità sul piano della lingua si possono avere differenze sul piano della parola, cioè un movimento, un divenire» (p. 11) Le difficoltà che si presentano tanto all'analista quanto al compositore consistono di conseguenza nell'individuare le sottili «gerarchie dei rapporti di equivalenza» che, evitando di far ricadere la composizione nell'acritica riesumazione di elementi convenzionali, le permettono contemporaneamente di sfuggire alla paradossale staticità di un divenire musicale inteso come infinita variazione delle cellule tematiche. Esaminando attentamente la funzione della ripetizione nell'ambito sintassi musicale, Ruwet, oltre a fornire, in senso specifico, un'utile chiave di lettura dell'opera debussyana, stimola il tentativo di rileggere le modalità di intervento dello strumento dialettico nell'ambito dell'analisi musicale.

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