Alfabeta - anno X - n. 106 - marzo 1988

Alfabeta 106 non allude affatto alla sospensione di ogni giudizio o decisione etica, politica o estetica, a una nuova origine mitica: essa si riferisce piuttosto alla coscienza dei limiti del progetto, del dominio tecnicoscientifico come di quello politico, mette in campo l'ambiguità dell'immagine contro la precisione del concetto, scruta le opportunità che si aprono in una situazione di contingenza del rapporto dei soggetti col mondo, assume l'irreversibilità della secolarizzazione, della demitizzazione e del disincanto come la forma specificamente tardo-moderna della narrazione mitica. Se si assume questo punto di vista nei confronti della neo-tecnica, non si tratterà più né di accettarne la progettualità dispiegata, trasparente, ottimistica, né di demonizzarla, bensì di cogliere le oc- • casioni interstiziali che si dischiudono nel suo sviluppo irreversibile, le tangenti di fuga, le possibilità di invenzione che essa offre. Aldo Colonetti. Io invece vorrei riportare il tema del dibattito all'interno di un orizzonte più concreto, nel senso che tutta questa serie di riflessioni che noi ritroviamo nei materiali dell'inserto e anche nel libro di Manzini li materiale dell'invenzione, da cui, in un certo senso, l'idea è partita, è all'interno di una grande questione che ha a che fare con il nostro vivere quotidiano. In che senso? Perché è centrale il problema di una diversa organizzazione della materia all'interno delle relazioni sociali? È centrale se è riportabile, direttamente o indirettamente, a alcuni problemi che da tempo il progetto moderno cerca di risolvere e che non sempre è riuscito a risolvere. Cerco di sintetizzare queste problematiche all'interno di alcuni temi. Il primo è questo: una materia siffatta è in grado di semplificare il problema del controllo sulle azioni? Questo significa domandarsi se oggetti costruiti con queste nuove materie possano avere una serie di risvolti, effetti, positivi per quanto riguarda l'uso, la pragmatica. Questo è un problema. La seconda riflessione è questa: il problema delle funzioni. Cioè, questo tipo di contributi intorno ai nuovi materiali, questa nuova apertura sulla materia, ha a che fare con alcuni aspetti funzionali che poi il soggetto è in grado di controllare? Senza sposare tesi catastrofiche, il mio timore è che una accettazione acritica, o comunque poco critica, di questi risvolti della ricerca possa anche travolgere, totalmente o parzialmente, alcuni aspetti fondamentali di una società complessa come la nostra. Il controllo non è sempre facile, le funzioni, molte volte sono al di là di quella che è la nostra capacità di decifrare, di poter manipolare - come diceva poco fa Formenti - come se l'oggetto diventasse soggetto, come se l'oggetto, in questo caso la materia, una certa materia, potesse introiettare tutto ciò che nella tradizione filosofica, ma anche nel progetto moderno, era di pertinenza del soggetto. Un'altra considerazione, legata alla precedente, già sottolineata, mi sembra, nell'intervento di Maldonado contenuto in questo inserto, è questa: i nuovi materiali, invece di operare nella direzione della semplificazione del parco degli oggetti, sembrano operare nella direzione opposta, cioè nella moltiplicazione del parco degli oggetti; e allora non è sempre vero che questa rivoluzione della materia produca, perlomeno alla luce di ciò che sta accadendo, un effetto positivo per quanto riguarda il sistema degli oggetti. Io penso che la moltiplicazione degli oggetti - nel senso di oggetti dove la funzione immediata è chiaramente dichiarata, e dove la possibilità di soluzione di questa funzione è molteplice - non è un fenomeno negativo. È negativo quando questo significa perdere di vista l'obiettivo, che è appunto, o dovrebbe essere, quello della semplificazione delle funzioni. È un tema alfa bis. 2 zionale, e tutta una serie di fenomeni che conosciamo molto bene. Perciò se osservo gli anni dal 1970 e cerco di fare una riflessione rispetto al tema del nostro inserto, temo, in parte, che questo tipo di accettazione troppo ottimistica, possa, invece che risolvere i grandi temi della modernità, operare nel segno opposto. In altri termini, invece che semplificare, rendere più complesso ciò che già di per sé è compl~sso:- invece che semplificare i rapporti linguistici tra soggetto e oggetto, tra soggetto e parco degli oggetti, tende a complicare le cose. pio in alcune parti della Fenomenologia dello spirito, quelle dedicate alla Autocoscienza. L'ultima considerazione che vorrei fare è questa: ciò non significa, o non dovrebbe significare, secondo me, un rifiuto acritico degli apporti di una materia nuova o di un modo diverso di progettare la materia. Però dovrebbero, questi contri- -buti, essere considerati all'interno di un orizzonte culturale, politico ed etico, più consapevole. In parte lo stesso saggio di Manzini, La materia dell'invenzione, da cui, in fondo, questo inserto si Maxime du Camp, Gustave Flaubert, International Museum of Photography, George Eastman House, Rochester, New York, 1850 che già Formenti poco fa aveva sottolineato e già in altri dibattiti - i due inserti di «Alfabeta» dedicati alla grafica e al design - è stato analizzato: noi assistiamo alla riduzione del cuore della macchina (dal punto di vista tecnologico) all'interno di un volume, di un oggetto. Questo potrebbe portare a una semplificazione, a una capacità di interloquire con X in modo più semplice, invece questa tendenza ha provocato, negli ultimi anni, direi dagli anni settanta in avanti, una serie di fenomeni dove l'elemento preoccupante è lo sviluppo della forma fine a se stessa. Quindi scelte di carattere decorativo, scelte di carattere post-funDirei che accanto a questa preoccupazione c'è un altro aspetto, secondo me problematico che è l'allontanamento progressivo - quello che Maldonado chiama dematerializzazione - dalla realtà fenomenica, da parte del soggetto, cioè la messa in crisi della funzione dell'interprete; invece che essere attiva, interagente direttamente in modo attivo con l'offerta delle capacità funzionali dell'oggetto, tende ad essere introiettata nell'oggetto stesso. Ma questo è un problema non nuovo, che possiamo già rilevare· all'interno di indicazioni filosofic~e, per lo meno dalla metà dell'Ottocento, ~nzi, anche prima, in Hegel, per esemsviluppa, mostrava già un limite di carattere «culturale»; le sue riflessioni non erano inserite sempre all'interno di una sistematica che s1 ponesse al di là del luogo specifico della ricerca; tra le righe era possibile rilevare un atteggiamento ottimistico nei riguardi di questo particolare settore della progettazione, o comunque della ricerca tecnologica. E questo mi rende un po' scettico per quanto riguarda i contributi possibili, anche perché, se noi guardiamo agli anni settanta e al fenomeno «plastica», i risultati dal punto di vista del design, e non solo del design, dell'ambiente in senso lato, e in particolare i risultati per quanto riguarda la sempagina V plificazione delle funzioni nel parco degli oggetti, non sempre sono stati brillanti. Per la maggior parte sono stati risultati nel segno della moltiplicazione delle funzioni attraverso una serie di offerte dove, spesso, l'elemento diversificante era quello di carattere cromatico o, al massimo, di carattere formale. Qui il tema del contendere è più complesso, direi più ontologico, o vorrebbe essere più ontologico, più approfondito, perlomeno queste dovrebbero essere le intenzioni del dibattito; però già i risultati, parziali, che si possono intravvedere, per esempio attraverso la riduzione del cuore della macchina (se quelle sono indicazioni interessanti o abbastanza rilevanti per indicare tensioni future), credo che sarebbe necessario essere più attenti da questo punto di vista. È necessario, cioè, inserire il discorso delle innovazioni tecnologiche, per quanto riguarda la dimensione della materia, all'interno di una intenzionalità etica e politica, più consapevole. Questo, secondo me, è abbastanza periferico e carente per quanto riguarda alcuni rappresentanti di questo particolare settore della ricerca tec~ologica. Maurizio Ferraris. In molti discorsi sulla plastica (chiamiamoli così per brevità), è in opera una sorta di proiezione antropomorfica, per cui la plastica v.ienedotata di vita e di spirito. Tutto il vitalismo che in precedenza orientava i discorsi sulla società organica, o sulla vita come forza incoercibile (per non parlare del panteismo o dello sciamanismo), viene ora trasportato nel discorso sulla materia intelligente e vivente che pulsa, pensa, vive esattamente come noi. Con tutto questo, non viene superata la contrapposizione soggetto-oggetto, ma nell'oggetto vengono trasferite le caratteristiche del soggetto (e del soggetto più classico); il dualismo è quindi confermato. Non c'è da sorprendersi. Un discorso che nasce dalla tecnica è forse poco adatto a oltrepassare quelle categorie, come soggetto e oggetto, che sono costitutive della tecnica. Sappiamo bene come sia proprio la tecnica a pensare la categoria soggetto-oggetto, perché la tecnica è chiamata a produrre, e muove quindi dalla ipotesi di un soggetto che manipola oggetti. Ma non è stato proprio Heidegger a pensare che il Gestell, l'imposizione della tecnica, avrebbe potuto autotrascendere in una sorta di compimento apocalittico le proprie stesse categorie? Certo. Ho però il sospetto che quando Heidegger parla di Gestel/ ( con un pathos che è tutto degli anni trenta) pensi a fenomeni come la mobilitazione totale dell'umanità, o come la bomba atomica: casi-limite, insomma, che danno a vedere come l'essenza della tecnica non sia tecnica. Dubito invece che la plastica rientri in questa classe di casi-limite. E la prova mi sembra che risieda proprio nel fatto che la plastica si lascia docilmente umanizzare, come un oggetto che non è nulla più che tecnica. Alessandro Dal Lago. Devo dire che, a prima vista, la lettura dei testi sul nµovo aspetto immateriale della produzione (come anche l'enfasi sul carattere prometeico delle nuove tecnologie) suscita in me una certa impressione di patetismo, nel senso di un pathos mal

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