Alfabeta 105 Rispetto all'antichità, in cui restava la religione a far da sfondo, restavano i ritmi naturali (v. la concezione ciclica del tempo) a fare da limite, questo è diventato più vero per l'epoca moderna. Infatti la concezione cristiana di una storia di redenzione, in progresso, ha permesso la secolarizzazione della storia in funzione del procedere della tecnica, che ha abbattuto gli «idoli» della natura (Marx). 8 La «natura» stessa certo pone dei limiti ben determinati, ma essi si rivelano come tali solo all'interno di ogni contesto di interrogazione cui viene sottoposta attraverso l'uomo: ciò che è un limite insuperabile per un uomo privo di strumenti non lo è per un uomo dotato di una strumentazione più o meno complessa. Così l'interpretazione che l'uomo dà della natura cambia a seconda degli strumenti con cui la affronta. La natura parla alla stessa scienza a seconda di come è interrogata. Ma così cambia anche l'interpretazione che l'uomo dà di se stesso, poiché egli interpreta diversamente il proprio posto nel mondo. Se prima la pensavamo come un intero funzionamento di cose, cui speravamo di poterci affidare, poi dobbiamo riconoscere che queste cose funzionano così anche perché noi così le interpretiamo. La natura viene a noi attraverso il linguaggio, è essa stessa che si fa parola attraverso il differenziarsi e unirsi, nell'esperienza, di ciò che fa da segno e ciò che viene indicato: il significato. 9 Reciprocamente, anche il linguaggio appartiene a ciò che per noi è più «originario» poiché in esso il nostro domandare trova il proprio limite. Inoltre grazie ad esso appare, viene alla luce un mondo, e in questo è «natura» delle cose. Ma con ciò si deve pensare che l'identità della parola e della cosa - come l'identità di ogni «legge» o «norma» - è relativa, perché proviene dal differenziarsi. Una «identità» è, piuttosto che l'oggetto di una norma, il convenire con sé attraverso il differire (Eraclito, Holderlin). Tutto ciò non può forse metterci in grado di individuare immediatamente delle norme esatte, dei divieti precisi, il cui raggio di significato e azione si colloca a livelli più determinati. Né si tratta di contrapporre semplicemente questa concezione alla interrogazione della scienza. Le stesse scienze sono modi in cui la «natura» viene al linguaggio. Semmai si tratta di prendere le distanze da aspettative mal riposte, da pregiudizi che orientano la ricerca, tesi a progetti di dominio che non possono trovare risposta o legittimazione in nessun esperimento, poiché non appartengono all'ambito che la sperimentazione scientifica può interrogare: un esperimento può verificare quale delle alternative poste dalla domanda sia vera, non può legittimare in senso assoluto il peso, la «validità» della domanda. Ad esempio la convinzione di un 'ampia parte della comunità scientifica che non si debba po-rre alcun limite alla ricerca e alla sperimentazione, non è «scientifica», ma è l'assunzione di una certa «misura». In questo senso quanto si è d~tto non sarebbe probabilmente privo di conseguenze. Uno sguardo indietro alla storia, ad una storia che ci fa concludere che l'uomo non può disporre totalmente di sé, neppure dei propri desideri e pensieri, può forse arrestare un atteggiamento prevaricante, che ha la possibilità materiale di riuscire nel proprio intento. Un limite potrebbe sorgere qualora ci si convincesse che ciò che spinge verso una certa trasformazione nasce da esigenze più parziali di quelle che spingono a rinunciarvi. Questa prospettiva non può dare norme esatte non per impotenza, ma perché la domanda si colloCfr ca ad un livello in cui esse non possono essere richieste. Tuttavia da essa può nascere la convinzione che di volta in volta è possibile, attraverso una nuova attenzione alla complessità di cui l'uomo è parte, prendere decisioni più equilibrate. Quando si tiene conto degli equilibri non si adotta né un criterio solo scientifico (perché le scienze privilegiano certi tipi di modelli interpretativi), né solo morale o giuridico, perché si.deve metter in conto il rapporto fra l'ambiente e il possibile mutamento nel pensiero e nei metri di valutazione. Quanto si è detto ci obbliga a riconsiderare il pensiero e l'agire umani al di fuori della volontà di potenza, in un atteggiamento di attenzione che oltrepassa sia le prevalenti interpretazioni del mondo che sottendono i progetti degli apparati di ricerca scientifica, sia la morale moderna, fondata sul pregiudizio di una libera «volontà» dell'uomo. È forse possibile riprendere un concetto di natura come non contrapposto all'uomo, a patto di non caricarlo di valori immediatamente normativi, ma di cercare nel rapporto fra uomo e natura la possibilità di trovare un equilibrio nei contrasti. Forte come il cinese dell'ippodromo, questa Pace! ne ingoia lame di spada! «Le Charivari», 1 agosto 1867 • 11 -· pagina 31 ·L'uomo può ritrovare se stesso, con la meravigliosa ma anche spaventosa capacità di differenziarsi rispetto all'ambiente che lo contraddistingue, solo in un mondo che gli è dato sempre solo parzialmente dove una norma «fondamentale» manca. Note (1) Cfr. P. Singer, Animai liberation, Jonathan Cape, 1976. (2) Anche la posizione di S. Maffettone, Una filosofia pubblica per l'ambiente, «Teoria politica», n. 3, 1986, non ci sembra tener conto delle difficoltà che il pensiero giusnaturalista moderno, basato sui diritti dell'uomo, ha nel confrontarsi con istanze che devono condurre alla limitazione del potere e dell'arbitrio dell'uomo. Su questi problemi vedi M. Ruggenini, Dirilli dell'uomo o dirillo del soggetto? L'uomo senza ethos nel tempo della tecnica in Volontà e interpretazione, Milano, F. Angeli, 1985; H. Blumenberg, Die Legitimitiit der Neuzeit, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1976. (3) Ovviamente non si intende negare la opportunità o l'utilità di ricorrere a leggi per difendere la «natura». Si dubita della capacità del neocontrattualismo di dare i principi. (4) Pensiamo soprattutto a Holderlin e a Schelling. J. Passmore, La nostra responsabilità per la natura, Milano, Feltrinelli, 1986, opportunamente riconosce l'importanza del pensiero romantico, e l'opportunità di una sua rilettura. (5) Cfr. H. Blumenberg, La leggibilità del mondo, Bologna, Il Mulino, 1984. (6) Cfr. P. Ricoeur, La sfida semiologica, Roma, Armando, 1974; H. Blumenberg, Paradigmi per una metaforologia, Bologna, Il Mulino, 1969. (7) P. Ricoeur, cit.; J.G. Herder, Abhandlung ii.ber den Ursprung der Sprache, in Sprachphilosophie, a cura di E. Heintel, Hamburg, Meiner, 1960; F. Holderlin, Hyperion, Siimtliche Werke, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1984. (8) K. Marx, Lineamenti fondamentali, Firenze, La Nuova Italia, 1970, voi. II. (9) Sulla inesperibilità delle cose al di fuori del linguaggio e sulla priorità della parola rispetto alla differenza fra «sensibile» e «intelligibile» cfr. M. Ruggenini, Parole fondamentali, Heidegger in ascolto di Eraclito, «Itinerari», 1-2, 1986 e Volontà e interpretazione, cit.; cfr. anche H.G. Gadamer, Verità e metodo, Milano, Fabbri, 1972, e P. Ricoeur, cit . . ....
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