Alfabeta - anno X - n. 104 - gennaio 1988

pagina 34 scrive: «Quando il produrre produce l'aprimento dell'ente, la verità, il prodotto è un'opera. Un tal produrre è il fare dell'arte. In.quanto è un produrre di questo genere, esso è piuttosto un ricevere e un attingere all'interno del rapporto col non-esser-nascosto»: ma questo ricevere e questo attingere, questo scegliere senza determinazione (come Duchamp fra gli oggetti più comuni) è possibile solo se noi siamo capaci di «sospendere (an sich halten) ogni modo abituale di fare e di giudicare, di conoscere e di vedere, per soggiornare nell'accadimento (geschehenden) della ve,rità nell'opera». 11 Solo in questo modo possiamo permettere al1' Erstaunen (lo stupore per il prodigioso) di aprirci in un lampo quello che nelle cose si dà ancora come da pensare. Forse arte e filosofia (come due dei «pochi modi essenziali» in cui accade (geschieht) la verità) continuano per questo a mantenersi nella storia della nostra cultura: perché la fine (venir meno) della storia che Heidegger sottolinea nell' Ereignis ( e Hegel nell'assoluto) non è qualcosa che sopraggiunge in seguito a un ciclo epocale come una sua conclusione, ma qualcosa che è già sempre dentro la storia, il mondo e le cose come la loro intima apertura verso l'inesauribile. Benjamin l'aveva scritto nelle sue Tesi di filosofia della storia, quando aveva sottolineato il compito d'urto e d'arresto che spettava al «materialista storico» come pensatore: 18 urto e arresto come unica possibilità, nella storia, di far saltare il continuum della storia. Quello che si nasconde nelle cose più abituali è l'intima possibilità (come apertura) di un tale urto, di un arresto disorientante, di un soffermarsi in ritardo. Questo urto non è però qualcosa che giunge da fuori, come il messaggio redentore di un'estranea divinità, ma il nascosto che in ogni cosa nella sua essenza rende spaesante ogni indagine in profondità (come nella scienza stessa era avvenuto durante gli anni trenta quando la meccanica quantistica aveva posto a fondamento della materia un «principio d'indeterminazione», ossia un'incertezza fondamentale). La Terra non sarà più allora soltanto un «oggetto della manomissione umana, alla merce del volere umano come rappresentazione oggettivante assoluta» né la natura un mero «oggetto della tecnica». 19 Nella sospensione della destinazione consumistica delle cose, l'anti-arte dadaista, quella di Duchamp e quella pop, hanno forse cercato all'interno del loro ambito di indagare più a fondo l'essenza oggettuale dell'arte sconfinando nei gesti abituali della follia. La follia di Duchamp potrebbe essere allora quello sradicamento che porta le cose nel loro luogo più proprio, aperto nel mezzo di esse come una terra straniera: ossia «nel lucido sapere del Saggi folle, il quale vede e pensa altro che non i cronisti dell'attualità che si esauriscono nella cronaca degli avvenimenti del presente, che conoscono solo un futuro, oggetto di previsione e pianificazione [... ]». 20 Lucida follia che nulla ha a che vedere con l'elogio macabro di un delirio malato che solo aprirebbe alla comprensione di un «altro;>mondo. In questo senso poesia e filosofia confinerebbero fra loro senza confondersi. L'opera di Duchamp non è la scelta delirante e disordinata di un anarchico _agire,ma il raccoglimento nell'aperto delle cose stesse, dove _lecose restano cose (la ruota di bicicletta resta una ruota di bicicletta) oltrepassandosi nel loro ritardo. L'irretimento di un attaccapanni o di un pettine fabbricati in serie (due ready mades duchampiani degli anni dieci) arresta il tempo che gli è attribuito. Isolata dalla costellazione di scopi e fini specifici cui la fabbricazione l'aveva destinata, la pala può diventare un'opera d'arte. La cosa non rimane più incatenata e nascosta all'interno di un ciclo (suo proprio) sempre più frenetico di produzione-consumo (il cui difetto comporterebbe una congestione fatale per il mercato), ma urta contro la sua consumistica organizzazione bloccandosi proprio nel mezzo del ciclo e riportando alla luce il suo carattere essenziale: l'apertura. Il luogo del blocco sta nel passaggio dall'esser prodotto all'esser consumato: prima di venir consumata ma dopo essere stata prodotta. Quel luogo dove un oggetto diventa la cosa che è, manifestando il fatto che essa sia. In questo scarto di tempo, in questo «fra», si apre un luogo che al pensiero resta ancora da pensare (che potrebbe trovarsi anche fra le nozioni marxiane di valore d'uso e valore di scambio; questa parentesi restando soltanto una traccia per un eventuale lavoro futuro). «Zu den Sachen selbst» si rivela allora come un motto ancora ricco di significato: la questione della cosa (delle cose) apre al pensiero una regione inabituale nella quale la filosofia ha appena cominciato ad inoltrarsi, e che l'arte, in alcuni, rari, momenti è riuscita a indicare. Heidegger ha tentato di mantenerla in quel mondo costituito dal semplice gioco rispecchiante di cielo e terra, divini e mortali: non appariscente, modesta, è la cosa (Ring ist das Ding): «Ciò che diventa cosa, avviene a partire dal giro del gioco di specchi del mondo [... ). Modesta è la cosa: la brocc2 e il banco, il ponticello e l'aratro. Cosa è però anche, a suo modo, l'albero e lo stagno, il ruscello e la montagna. Cose sono anche, che coseggiano di volta in volta a loro modo, l'airone e il cervo, il cavallo e il toro[ ... ). Modiche e di poco conto sono però le cose anche nel numero, in confronto all'innumerabilità degli oggetti ovunque indifferenti». 21 Alf abeta 104 Questa modestia, questa scarsità nel numero, erano anche la preoccupazione di Duchamp riguardo ai suoi ready mades, dei quali aveva limitato la produzione a uno o due ogni anno: una cosa ripetuta per un numero eccessivo di volte diventa gusto perdendo il lampo improvviso dell' Erstaunen che le permette di essere la cosa che è. Tutto questo è quanto resta ancora, nella nostra storia presente, da pensare. Note (1) H. Rosenberg, La s-definizione dell'arte, tr. it. Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 149-158. (2) M. Heidegger, Gelassenheit, 1959, tr. it. L'abbandono, Genova, Il Melangolo, 1983, p. 38. (3) M. Heidegger, Die Frage nach dem Ding, Tilbingen, M. Niemeyer, 1962, p. 8. (4) È da sottolineare che la creazione dei ready mades è cominciata negli anni dieci per Duchamp, mentre le riflessioni di Heidegger intorno alla cosa prendono consistenza soltanto a partire dagli anni trenta. Per questo può trattarsi solo di una consonanza, e non di una relazione «reale» fra le due operazioni. L'importanza di questa è tuttavia da cogliere nel fatto che la cosa-oggetto acquista, nell'arte, a partire da Duchamp, una consistenza concettuale che si tradurrà nelle correnti principali dell'arte degli anni sessanta. (5) M. Duchamp, Duchamp du signe, Paris, Flammarion, 1975, p. 191. (6) M. Duchamp, op. cit., p. 41. (7) A. Schwarz, La sposa messa a nudo in M. Duchamp, anche, tr. it. Torino, Einaudi, 1974, p. 39. (8) F. Mennea, La linea analitica dell'arte moderna, Torino, Einaudi, 1975, p. 100. (9) M. Heidegger, Sentieri interrotti, tr. it. Firenze, Nuova Italia, 1968, p. 10. (10) M. Duchamp, op. cit., p. 192. (11) M. Duchamp, intervista con J .-J. Sweeney, in op. cit., p. 181. (12) M. Heidegger, op. cit., p. 97 n. (13) G. Agamben, Stanze, Torino, Einaudi, 1977-,p. 69. (14) M. Heidegger, Sentieri interrotti, cit. p. 59. (15) lvi, p. 38. (16) lvi, p. 39. (17) lvi, p. 51. Diamo qui una traduzione leggermente diversa da quella dell'edizione italiana curata da P. Chiodi, il quale traduce geschehen con storicizzarsi ( c.vo mio). (18) W. Benjamin scriveva infatti nella tesi 17 che il carattere costruttivo del pensiero èonsisteva proprio nell'arresto delle idee: «Alla base della storiografia materialistica è invece un principio costruttivo. Al pensiero non appartiene solo il movimento delle idee, ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si arresta di colpo in una costellazione carica di tensioni, le impartisce un urto per cui esso si cristallizza in una monade», in W. Benjarnin, Angelus Novus, tr. it. Torino, Einaudi, 1981, p. 85. (19) M. Heidegger, op. cit., p. 235. (20) M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, tr. it. Milano, Mursia, 1973, p. 79. (21) M. Heidegger, La cosa, in Saggi e discorsi, tr. it. Milano, Mursia, 1976-1980, p. 121-122. SETTIMANALE D' /DEE ED' JDEALI -----,, -----JN TUTTE LE fDICOLE-----------

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