• di uomini chiusi nella loro costretta solitudine, o nel destino saputo della loro morte. Essi accettano la loro natura così com'è, e non tentano neppur~ di cambiarla, perché il termine di comparazione con la realtà non è probante, non è affascinante, le scelte furono fatte altrove, e il comportamento come il modo d'essere, esente dai sensi di colpa, è semplicemente quello che può essere, secondo il codice di ogni persona. L'assenza di una sceneggiatura, tipica di film come questo, cioè film poveri, rivela un risvolto insospettato, per un film non più sperimentale, di basso costo, ma comunque girato in 16 mm. I dialoghi dei personaggi sono in parte inventati, in parte provati a lungo su una traccia di canovaccio, proprio come ai tempi dello sperimentalismo, ma anche dei troubadours. Dunque, la cosa interessante, è l'apporto degli stessi attori, scelti del resto secondo il loro spettro armonico, per così dire, per la frequenza conosciuta delle esperienze di vita, e per ciò che in definitiva possono dare; come nel teatro di Artaud, alla fine l'idea dell'opera non può che essere condizionata dalla complessità dell'attore, cioè dalla sua esperienza. O gnuno resta chiuso nella sua monade, con le esigenze che il proprio universo reclama, e che sono puntualmente disattese. L'incompiuto è proprio un parametro tipico nell'ambito della sperimentazione. Come potrebbe convincere fino in fondo una passione che va oltre sé come è presentata in Mas alla de la passion ( Oltre la passione), un film spagnolo, il cui regista-produttore dichiara che «la passione sado-masochista» è un'eredità spagnola, come la fede, le stigmate, l'erotismo criptico? Eppure l'idea originaria, fra corridoi acquosi e passi che rimbalzano, di una donna che cerca se stessa nella propria repulsione e si potrebbe dire «espulsione» dal seno della realtà, in mezzo a una febbre che fa sempre parte dell'universo gelido e caldissimo del lungo viaggio verso la coscienza, perché no? immersa nell'erotismo che provoca negli altri, essa stessa al contrario, vergine incosciente, in un atteggiamento di attesa verso di sé propria ai tempi contemporanei. l'idea originaria, dicevo, anche se non sviluppata adeguatamente, in questo caso «se vuelve a la folia», diventa follia. Così incidendo a fondo come un picchio perfora l'albero che ha scelto, gli autori di film pieni di citazioni letterarie, quelli più intellettuali, perseguono il loro scopo insistendo sulle metafore. Che non sia il linguaggio più appropriato alle immagini, il più diretto, diciamo, è evidente. Con una «buona laurea» certo si riesce a riallacciare ogni contesto, quando si parli di arpie e di latino e anche di disgregazione del linguaggio, usando naturalmente i modi più diversi, dalle varie lingue idiomatiche, al simbolismo didascalico; tutto ciò comunque, nel film di Stravos Tomes, non si confà all'immediatezza della traduzione visiva. La stessa cosa si può dire per il film portoghese di Monteiro, A fior do mar, con una Laura Morante perfettamente statica. Far dire a un terrorista, che ha appena ucciso un uomo in un attentato, «che bella notte stellata stanotte», e «non c'è vento», per quanto in seguito riescano a superare un posto di blocco parlando di Dante Alighieri, casualmente anche nome di un figlio del poliziotto, non è semplice citazione letteraria, ma forse una forma di ingenuità verso la citazione stessa. Quando si respira un'aria vitale, va comunque bene, si è in presenza di qualcosa di costruttivo. Come nel film egiziano di Chahine, dove alla peste segue una danza inaspettata alla Fred Astaire, che significa superare il tracciato di una sceneggiatura per raggiungere quello più opportuno dell'uomo-attore, che par hasard, sa ballare. Per i segni della ragione diviene assai clamoroso l'abbandono subdolo al contesto che si dava p~r reale e concreto. Ma Il sesto giorno, così si chiama il film, non teme contraddizioni, e va diritto. gio eterno alla fonte, i fucili sparano e se ne vede il fuoco e il fumo che uccidono, una bocca puntata dell'uomo contro l'uomo. Questo pare faccia parte dell'evoluzione e delle ragioni sociali per cui un popolo ha necessità di sopprimere un altro popolo: nulla da dire quindi, dicono. L'Armeno, che ha visto il proprio popolo e la propria moglie massacrati, ha «Sosteniamo i nostri ragazzi» © R. Cobb Ora, della sceneggiatura si può fare a meno, anche degli attori, anche dei registi, anche della macchina da presa. Cosa ne nasce? Dal polo all'equatore, di Gianikian e Ricci Lucchi, ricavato da migliaia di metri di pellicola girata ai primi del Novecento dal polo dell'equatore appunto, e montati da loro, con musiche originali. Hanno virato il film, hanno rigirato le scene scelte, le hanno rallentate. Hanno voluto mostrare, cosa ardua, un gioco della memoria, e sciogliere i nodi che il tempo in apparenza forma, nell'eterna tensione verso l'autenticità dell'uomo, che passa attraverso la sua stessa bestialità, la sua crudeltà; i cacciatori cacciano, e sono fieri delle loro prede, i selvaggi aggrediti resistono e muoiono, le donne ~~ 'J masticano il bethel, in questo v~ ~ / ~~~~i,►'.I ... ~,~ ~' ,,1/,, -------~\,,\.,V" provato a • testimoniare ancora, con la rarefazione dell'attraverso il tempo, che la sua storia continua a ripetersi, e per ora, ci sono minime possibilità che il suo andamento possa determinare un effettivo mutamento nella coscienza di tutti. Foto di grUPRlcnoenscultori ' ra gli scultori che negli ultimi dieci anni si sono affermati sulla scena internazionale occorre mettere in luce i nomi di Giovanni Anselmo, Amalia Del Ponte, Luciano Fabro, Luigi Mainolfi, Giuseppe Maraniello, Hidetoshi Nagasawa, Giuseppe Spagnuolo, Mauro Staccioli, Antonio Trotta, Gilberto Zorio. Nelle installazioni di Anselmo - per esempio cento grandi telai sovrastati da un ammasso di pietre - l'immagine del mondo è sospensione, pietrificazione, silenzio teso. Energia come rivelazione del carattere originario della realtà, come forza che raffigura il divenire delle cose, come distinzione tra forza viva e peso inerte. Il denso mistero dei monumenti megalitici ritorna con le forme di Amalia Del Ponte, assieme alla seduzione dell'ordine ideale di misure. Ordine, armonia, simmetria; ma, sulle pietre tornite e sui marmi, il passaggio del tempo, il tocco dell'essere umano, l'usura del vento e dell'acqua, in un'atmosfera lievemente magata. Novello filologo, Fabro rettifica o chiosa la lezione dei sacri testi, sa che la filologia fa di una lingua morta una lingua viva in quanto riesce a proiettare nel presente una bellezza che è sempre necessariamente passata. Le variazioni o le interpretazioni che Fabro assume dai grandi del Rinascimento, del Barocco o del Neoclassico sono quelle di coloro che hanno concepito la forma come nello spazio • e nel tempo invece che come forma dello spazio ~ del tempo. Sono favole le opere di Mainolfi, ma la favola è problema, la favola è un ·rapporto con la morale, con la cultura e il costume di un popolo. La favola non è una tradizione inerte, ma l'espressione viva dell'immaginazione e della fantasia collettive; è una forza storica. Mainolfi privilegia l'ethos popolare originario della nostra cultura mediterranea: con immediatezza palpitante lo troviamo nelle chiome dei suoi alberi, negli occhi di lapislazzulo delle sue veneri, nel sortilegio delle piane, delle valli, del mare, delle isole, oggetti di culti universali. Ricettacoli di potere magico appaiono anche le opere di Maraniello, miraggi imprendibili, apparizioni inquietanti e pur benigne. Faber e ludens ad un tempo, plasma e incide demonietti ed ermafroditi piccoli e minimi, accorpati o svettanti su strutture lignee. Le figurine, sagome quasi filiformi si contraggono a poco più che un ghirigoro, scomparirebbero se non le trattenesse, alla soglia del nulla, un precario residuo di cera o di bronzo. Non è l'idoletto che fa lo spazio ma lo spazio che disfa la figurina. Solenne e leggiadro, sommesso e fastoso, felpato e inafferrabile secondo la tradizione orientale lo spazio di Nagasawa. Cartoni e carte, seta e bambù, sughero e papiro non sono tanto materiali collocati sullo o ilello spazio ma forme di coagulazione dello spazio. La scultura è sempre frammento di mondo in cui essa è come sospesa. Il tema della crescita organica della materia è la condizione romantica di Spagnulo. L'albero che tenta di divenire figura, gli autoritratti con le orbite cave, la Dafni sono come un mucchio di braci dall'eccitato splendore. Lf equilibrio-disequilibrio, la simmetria e l'asimmetrico, l'instabilità sono i cardini intorno a cui ruota Staccioli nelle sue forme monumentali in bilico su luoghi del tutto improbabili come le scale. I suoi enormi cementi sono irti, ostici, nessuna affabulazione. Una scultura di Staccioli è un intervento nello spazio esterno; anche i dolmen, le piramidi, le opere di Beverly Pepper o Caro o King hanno funzione e collocazione simile ma la differenza con la scultµra puramente astratta o di tipo geometrico consiste nel carattere paradossale della forma di Staccioli che è inquietante presenza apotropaica. La finzione nella finzione di Trotta fa gridare al prodigio. La lettura naturalistica dell'arte canoviana così amorosamente calcolata è il contrario della classicità artificiosa, dello stile frigidaire erotico, il contrario dell'erotismo algido del revival. Piuttosto il capriccio del romanticismo di marca illuminista, il piacere del fasto mediterraneo. Trotta è il portatore del sogno; ricompaiono, nei soavissimi pannelli di marmo bianco di Can:ara o nei travertini, l'equilibrio e la pace negati dalla storia. . Nella fucina di Zorio chimica, energia, alchimia mutano ferro, stagno, solfato di rame, cuo10, bicromato di ammonio in colore e luce, nell'antitesi delle materie cioè, senza che le materie cessino di essere tali. A Zorio preme evidenziare la morfologia dei materiali e degli oggetti scelti, sia che si tratti del mestolo da fusione, sia che si tratti del laser, di un giavellotto, di una canoa, di una lampada. Insieme a questi artisti ve ne sono altri dalla dimensione più domestica ma ugualmente rappresentativi. Non si possono almeno non ricordare i loro nomi: Pietro Coletta, Eliseo Mattiacci, Gianni Piacentino, Giuseppe Penone, Fausta Squatriti, Maurizio Mochetti, Ettore Spalletti, Iginio Legnaghi, Paolo Icaro, Gerardo Di Fiore, Nanni Valentini, Carlo Lorenzetti, Teodosio Magnoni, Antonio Paradiso, Giuliana Balice. Tra i trentenni che mantengono una misura classica, c'è, primo fra gli altri, Nunzio Di Stefano. Debuttò nel gennaio del 1984 alla galleria di Fabio Sargentini a Roma, presentato da Giuliano Briganti. Dai gessi acquarellati degli inizi è passato a legni bruciati e piombo, premiato alla ultima Biennale di Venezia, ha già mostrato le sue opere a New York. Tra le sculture da leggere come •forma solida contro cui lo spazio si infrange respinto da tutte le parti - situazione assai frequente tra giovani e giovanissimi - ci sono i ferri patinati di Fabrizio Corneli, le terrecotte di Antonio Violetta, i legni colorati di Antonio De Palma, le cartapeste irte di aculei di Angelo Barone, le terre, cere e catrame di Sergio Monari. Accanto a questi vanno ricordati anche Marco Bagnoli, Vittorio Messina, Paola Brusati, Sandro Martini, Roberto Camoni, Saverio Vollaro, Ettore Consolazione e Fiorella Rizzo. Il rapporto odierno dell'uomo con gli oggetti si manifesta anche sotto il profilo della dilatazione del banale e della caratterizzazione semi-comica dell'oggetto d'uso. Tra i giovanissimi, in odor di squisitezza eretica, ci sono Alex Como con la moka-ufo o il frullaspazio, Manlio Caropreso con le sue fantascientifiche macchine inutili, Stefano Arienti con delle composizioni di carta stampata. E tra i freschi di prima personale Alfredo Zelli che ha occupato la galleria di Ugo Ferrauti a Roma con i suoi paraventi-pareti-pannelli di legno dipinto e stucchi. ~ Ma la scultura, oggi, è anche _ 5 tornata ad essere simulacro, e rac- ~ conto di un universo che è uscito t:l.. l'-.. dalla realtà, algida e taciturna al ~ confine tra sacro e umano, là dove ...., .9 la vita pare avere il suo sconcer- "' o tante e solenne cominciamento. In ~ -- .9 - ~ - questo senso vanno viste le opere di altri giovanissimi: di Antonio Catelani, Ernesto Jannini, Antonio Jevolella, Daniela De Loreo- ~ zo, Lucilla Catania, Marco Maz- -, zucconi, Carlo Guaita, Luigi Car- i:: boni, Massimo Antonaci, Marco ~ -C:) Magrini, Roberto Taroni, Alfredo !.-!'.;, ~~- ~
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==