Alfabeta - anno IX - n. 97 - giugno 1987

re i tanti lettori contemporanei no, il modello più impressionante formati alla ricca scuola di Propp e di elaborazione instancabile, «fredi Greimas (quando non si tratti netica» (per parlare come lui) è piuttosto dei più lucidi Dungeons certo, negli stessi anni grosso moand Dragons,' giochi di ruoli del- do di Zola, Flaubert. Madame l'americano Gary Gygax ... ). Eco, Bovary per esempio gli prende Fabbri, Debyser hanno ben potu- cinque anni: 42 pagine di «scenegto progettare un mazzo in cui ogni giatura», 1.788 di brogliacci, 490 carta proponga un personaggio o di manoscritti; la parte centrale, i una forma elementare di azione, comices agricoles (23 pagine) ricosì che il loro vario mescolamen- chiede cinque mesi di scritture e to costruirà via via una vicenda riscritture - giorni e giorni (otto, sempre relativamente nuova e di- dieci ore al giorno) su una frase, versa; in maniera poi non troppo ,; su una sola riga. In lui lo scrivere dissimile, anche la critica recente si direbbe così un processo ten- (in particolare, David Baguley e denzialmente infinito, il cui fulcro Philippe Hamon) 1 non ha mancato (se vogliamo seguire Barthes) 3 si di far sorgere almeno in parte le troverebbe di fatto nella «frase»; a stesse storie che inventa Zola dal quel livello appunto, rileva Barrepertorio di modelli e procedure thes, le possibilità di correzione precostituite, provenienti dal sono illimitate, perché illimitate feuilleton, dal poliziesco e così sono le possibilità d' «espansione» via, patrimonio comune di un !et- (incisi, aggiunte ... ), una volta ditore dell'epoca. sciolti, com'è successo alla metà Del resto, sappiamo fino a che dell'Ottocento, codici e norme punto questo scrittore realista fos- della retorica più classica - costrise attento alle realtà del pubblico zioni sì, ma insieme supporto e e del mercato: potremmo forse ap- guida per la scrittura. plicare anche al suo caso la formu- E veramente, i manoscritti di la che Claudine Gothot-Mersch 2 Flaubert fanno venire le vertigini: ha trovato per Simenon, parlando come mostra la recente, monudi una particolare «arte del mana- mentale edizione genetica e diplogement» (Simenon «gestisce la matica di Un c<Eursimple (a cura, composizione dei suoi romanzi co- di Giovanni Bonaccorso e della me gestisce la loro diffusione»); sua équipe), e come mostra la tracosì per esempio, prima ancora di scrizione di tutte le varie redazioni essere del tutto scritto, Germinai aveva degli editori tedeschi e inglesi: e coglieremo forse meglio il senso di quella famosa sua minuzia veridico-documentaria, confrontando il testo del caposcuola naturalista con la pur bella traduzione che nel 1951 ne ha fornito Camillo Sbarbaro. In Sbarbaro appunto la lingua di Zola (tutta nutrita di termini specifici della miniera, della regione, della plebe) si fa invece essenzialmente neutra, aulica, platonica - perfino il triviale «didietro» (derrière) della Mouquette, diventerà per lui un sontuoso «tafanario»: le civiltà letterarie d'origine separavano radicalmente i due scrittori. Un sistema, almeno in apparenza, non dissimile dalla m_etodica precisione di uno Zola, lo troviamo del resto proprio (per fare un altro esempio) nel popolarissimo Simenon: all'inizio di tutto, scritta (come in un rito propiziatorio) sul retro delle sue famose «buste gialle», una lista minuziosa di personaggi - con età, parentele, professione, nomi ... - e accanto, in un'altra cartelletta, orari di treni, menù di ristoranti, piantine topografiche, specialità regionali ... : il materiale quotidiano sta alla sorgente della letteratura. E tuttavia, l'affinità finisce lì, visto che poi tutta la storia sarà scritta probabilmente in non più di sette giorni, sull'onda di una scorrevolissima improvvisazione quotidiana. Come il suo Maigret, Simenon letteralmente ignora quello che capiterà il giorno dopo: vive la sua storia giorno per giorno, e ogni giorno in questa storia fa penetrare atmosfere, impressioni, persone direttamente dal presente che gli brulica attorno. La sua scrittura ha così qualcosa di un happening: in fondo, Simenor,' è rimasto sempre l'autore che, nel 1927, aveva seriamente progettato di rinchiudersi in un gabbiotto di vetro piazzato davanti al Moulin Rouge, e qui scrivere, in tre giorni, un romanzo, i cui personaggi e le cui situazioni si ispirassero alle facce della gente che gli passava intorno. D i fronte a questa concentrazione del fecondissimo padre di Maigret, che (per una settimana) si dà tutto all,nua storia, quello di Zola è un lavoro insieme accanito e diluito, di mesi e mesi, anzi anni; in lui la volontà possente è forse, di fatto, anche il modo per mantenere una distanza (sia pur minima) rispetto all'opera che sta generando. Su questo piamanoscritte dei comices agricoles, curata da Jeanne Goldin. Un vero e proprio horror vacui sembra spingere Flaubert a stipare più che può lo spazio bianco e infinitamente disponibile di questi fogli. Sempre nuovi elementi riempiono così i minimi pertugi della pagina pur già costituita (lo spazio tra le righe, i margini, le strisce via via incollate sopra le cancellature del testo ... ): la scrittura ha finito per assomigliare a un moto perpetuo apparentemente senza sbocco. In effetti, le nuove formulazioni, sostitutive o aggiuntive, ben presto - lasciando le zone periferiche del foglio - saranno accolte di pieno diritto in un nuovo testo definitivo, ricopiato poi di nuovo più volte, ostinatamente; ma la nuova pagina a sua volta darà luogo a nuove correzioni, il testo così espanso sarà di nuovo tagliato, condensato, contratto (eventualmente anche del tutto eliminato!), e così via. Insomma, soltanto una vertiginosa Biblioteca di Babele potrebbe forse sperar di esaurire questa proliferazione esponenziale di possibilità combinatorie; e forse anche aJlora mancherebbe sempre il peso di un'ultima parola da cui il Golem, frutto del puro artificio e della pena, possa ricevere invece un soffio vero di vita. E però, concludendo, questo sforzo eroico dello scrittore incatenato al suo scrittoio non è e non può esse.re (come che vadano le cose) infinito - infinito non lo rende neppure l'intensità vagamente maniaca di una simile pratica. Utilizzare così allo spasimo il foglio, la striscia, il pezzetto di carta, l'angolino, conservare fino ai limiti del possibile tutto il materiale accumulato, ammassare comunque sia (possedere) prima persino, eventualmente, di sopprimere, ricorda certo in qualcosa la «volontà borghese di tesaurizzazione» evocata da Jeanne Goldin; ma di fatto, saturando così la pagina scritta, Flaubert sembra voler saturare in qualche modo lo scrittore stesso, per obbligarlo a proiettarsi, finalmente, fuori di sé. In un certo senso, come vivere (dar corpo) è eliminare, così esprimere sulla carta è anche scartare: sulla carta, il romanziere ha bisogno di materializzare le sue ipotesi, di metterle sperimentalmente alla prova, prima di poter decidere: ha bisogno di vederle scritte, così come ha bisogno di controllarne l'efficacia con letture ripetute a voce spiegata. Sulla carta, Flaubert proietta un processo che non è solo facile e felice, e non saprebbe compiersi soltanto nello spazio privatù della sua mente; sulla carta, l'epigono di Sant' Antonio del deserto ritrova un punto d'appoggio, un'eco e quasi un primo abbozzo di conversazione a due. E in effetti, si direbbe che proprio questa prima distribuzione strutturale Piero Gilardi nello spazio sia per lui il preludio di una successiva e più piena intuizione (perché non designarla sotto il nome gestaltico di Einsicht?), che bruscamente ristrutturerà tutto il campo percettivo e darà, forse, il testo. L'amputazione stessa di una pagina già scritta non è, sembra, puramente negativa e non è solo il segno di un disperante e assurdo travaglio di Sisifo; da una parte, come (nel volume citato del Corpus flaubertianum) ha notato Simonetta Micale, in Flaubert la ricerca stessa della parola «giusta» porta spesso non tanto a un nuovo termine, quanto piuttosto a sopprimere, puramente, semplicemente e una volta per tutte, tutti i termini finora accumulati; d'altra parte, il soppresso (la materia lungamente «triturata» di cui parla Renl! Dumesnil), 4 poi in un modo o nell'altro finirà per nutrire del suo «peso», secondo la formula suggestiva della Goldin, ciò che del testo ha meritato di restare alla fine: potremmo dire, la sua quintessenza. Al contrario (se almeno vogliamo dar la parola al prefatore della Becker, Claude Duchet), la pagina di brogliaccio in Zola non si poteva dire certo il luogo di una moderna «lotta con l'Angelo». E infatti, tendenzialmente, uno scrittore così preso dai ritmi della produzione in serie è stato spesso accusato di non elaborare a sufficienza il suo prodotto: nella sua frase pur messa in forma, Zola sembra spesso trasporre (meglio, «ammucchiare», secondo la formula di Ch. Bruneau)5 una serie di particolari ancora grezzi, direttamente come si trovano raccolti nelle pagine dei suoi carnets. Eppure, Lutte avec l'Ange era proprio uno dei titoli previsti all'origine per l'Oeuvre - storia di un pittore geniale ma capace solo di abbozzi e frammenti. Spiegazioni e analisi di questa eccellenza e di questa impotenza possono essere infinite, ma alla base,,.e nonostante tutte le apparenze, questo romantico genio fallito non è poi forse così diverso dall'insieme di un secolo dinamico e aggressivo come il suo: capitani d'industria, scienziati, esploratori, agitatori, poeti vogliono in fondo tutti dominare la terra: così, nel suo quadro sempre fallito e sempre ricominciato, il pittore di Zola, Claude, cerca attraverso un corpo femminile di possedere in qualche modo la vita stessa. La confession de Claude era - non a caso - il titolo del primo romanzo (largamente autobiografico) di Zola: e anche Zola forse, a suo modo, ha sempre teso a scrivere qualcosa come il Libro di Mallarmé - quello totale e unico, la «spiegazione orfica della Terra», come lo descrive il poeta, nella sua lettera a Verlaine del 1885. In questa luce, lo sforzo del costruttore Zola ci sembra forse meno felice e univoco di quanto non apparisse all'inizio: anche lui, come Claude, lavora su frammenti e abbozzi, e anche per lui si tratta, partendo da questi frammenti, di «fare la vita» attraverso una tensione volontaria, prepotente, ma anche (in qualche misura) artificiale; questo proprio nel momento in cui gli impressionisti (uno dei modelli, sia pur polemici, del suo Claude) nel passeggero e nell'effimero cercavano in qualche modo una forma di eternità. N elio stesso 1886 (Flaubert era scomparso da pochi anni) il pubblico parigino poteva scoprire le Jlluminations di Rimbaud- a un secolo esatto, André Guyaux ce ne dà una sottilissima lettura, che già il titolo prepara, indicando, alla base di questi poemetti in prosa, una chiave insieme interpretativa e genetica: la poétique du fragment. 6 Per Guyaux appunto, quella del «frammento» è una forma non casuale, ma preordinata, compiuta proprio grazie alla sua incompiutezza (dove insomma la «parte» sta vantaggiosamente per il «tutto»); così, la prosa poetica delle Jlluminations - sulla cui composizione manoscritta sappiano per altro ben poco - non segue più di fatto la tradizione architettonica baudelairiana, ma realizza piuttosto il sogno di quel puro frammentismo «profetizzato» da romantici come Novalis: nel frammento, la parola isolata è messa potentemente in valore - il frammento ci dà frammenti di un cosmo, che questa tecnica rende estraneo e sempre nuovo, immensamente dilatato. Per chi dunque volesse basarsi su questi ed altri indizi, il secolo nuovo sembra (almeno a parole) resistere violentemente all'idea della totalità: «Nous ne vous donnerons jamais d'Oeuvre», «Non vi daremo mai un'Opera», scriveva emblematicamente, nel ma'ggio 1920, Francis Poulenc («Le coq parisien»). Il meccanismo stesso della creazione può diventare, sembra, del tutto soggettivo e arbitrario; Raymond Roussel per esempio, in un testo postumo del 1934 ( Comment j' ai écrit certains de mes livres) ha rivelato, o così sostiene, il suo sistema clandestino: in breve, le istruzioni per il montaggio e i pezzi stessi dei suoi stupefacenti e labirintici puzzles verbali a lui sarebbero sempre venuti dalla manipolazione di parole o frasi collezionate più o meno a caso, da cui appunto il gioco di trascrizioni e varianti fonetiche, polisemie, sinonimie, associazioni, opposizioni avrebbe derivato regolarmente trame, personaggi, macchinari, scene e costumi per il testo a venire. Un meccanismo del tutto diverso, ma certo non meno artificiale, guiderà mezzo secolo più tardi Georges Perec nel costruire la sua Vie mode d'emploi (nove anni di lavoro): 7 astrattamente matematici sono infatti gli schemi, seguendo i quali imponenti serie di dati a ciò predisposti vengono a stivarsi e distribuirsi nei 99 capitoli e 100 ambienti di questo suo palazzo parigino - sorta d'arca di Noè che raccoglie le vicende quotidiane e non dei suoi occupanti vecchi e nuovi, raccogliendo però soprattutto, com'è immaginabile date le premesse, una serie vertiginosa di oggetti unici - dal quadro al catalogo, alla locandina, alla ricetta, al lume, alla piastrella, al volantino, al ritaglio di giornale, al fiore, al puzzle, al foglietto della citazione - riuniti tutti in istantanee irripetibili; il lettore-voyeur ha per così dire sotto mano, o sott'occhio, tutti gli oggetti del mondo o poco manca ... L'Opera, in altri termini, ha dato luogo a un vero e proprio supermercato delle meraviglie; anche se, di fronte a questa massa praticamente illimitata di articoli a sua disposizione, questo stesso voyeur finirà poi per ritrovare soprattutto (forse soltanto in termini più netti) la sua condizione più generale di vivente, cui, diremmo quasi per contratto, resta sempre e in ogni caso da trovare, di una simile abbondanza di cose offerte, proprio il mode d'emploi - insomma, le fondamentali «istruzioni per l'uso» ... Note (1) Ph. Hamon, Le personnel du roman. Le système des personnages dans [es Rougon-Macquart d' Emile Zola, Genève, Droz, 1983; D. Baguley, Germina[ et les genres, «Europe», n. 678, 1985. (2) Un roman en sept jours. Le cas Simenon, in Dossiers CACEF, Namur, n. 91-92, nov.-déc., 1981. (3) Le degré zéro de l'écriture, Paris, Ed. du Seui!, 19722 . (4) lntroduction a G. Flaubert, Madame Bovary, in Oeuvres, Paris, Gallimard, 1982. (5) F. Brunot-Ch. Bruneau, Histoire de la langue française des origines à nos jours, Paris, 1972 (voi. XIII, 2). ~ (6) A. Guyaux, Poétique du fra- (::5 gment. Essai sur [es illuminations de .S Rimbaud, Neuchatel, A la Baconniè- ~ re, 1985. Questo testo teorico è accom- I::). t'--.. pagnato, presso lo stesso editore, dalla ~ • raffinata edizione critica (con com- -, mento) delle llluminations, sempre a e cura dello stesso Guyaux. Noterò del ~ resto, di passaggio, che in un articolo •Ò-0 recente (Poétique, avril 1986), J.P. r---.. Bobillot riconduce l'«incompiuto» di °' Rimbaud proprio a una linea letteraria s:! dell'«impotenza», che secondo l'auto- ~ re, oltre a Schwob, Jarry, Mallarmé, ] farebbe capo anche a Flaubert. ::f:, (7) Paris, Hachette, 1978. ~

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