O ggi lunedì 16 febbraio 1987 diamo inizio alla rubrica di . conversazioni «A più voci», dedicata, in questa prima occasione, ai libri di Luigi Malerba (Il pianeta azzurro, Milano, Garzanti, 1987) e di Nanni Balestrini (Gli invisibili, Milano, Bompiani, 1987). Maria Corti. Questo libro a me sembra abbastanza eccezionale. Mentre i precedenti libri di Malerba in un certo senso venivano fuori per naturale sviluppo l'uno dall'altro, questo ha una ricchezza di punti di vista e di livelli di lettura veramente nuova. C'è in comune con le opere solite di Malerba la leggera deformazione che lo porta ad essere trasgressivo sempre. E quindi risulta anche accentuato quell'aspetto a parer mio abbastanza affascinante dell'opera di Malerba per cui quello che in genere non è importante, o ci sfugge, diventa qualcosa che sta in primo piano, mentre invece quello che secondo i codici culturali soliti è importante, e sta in primo piano, con Malerba quasi scompare; quindi, la sua ironia ma anche la drammaticità che sta dietro a ciò. Il libro ha un intreccio particolarissimo, ma direi che è anche particolarissimo il fatto che ci siano in un certo senso tre autori del libro, cioè un primo personaggio che scrive il diario, un chiosatore e poi l'autore che interviene. Questa è una grande novità; il vero romanzo è questo, non è la storia, a parer mio, del personaggio che vuole uccidere, ecc. A fianco di questa impostazione così letteraria, c'è invece qualche cosa di sociologicamente molto importante: il senso dell'odio, il senso del marcio. 'Cliqna società, il senso della corruzione. Ora, trovare uno scrittore che sappia dare tutto questo, pur essendo letteratissimo, a me sembra un risultato assai notevole. Francesco Leonetti. Dico ubito che leggendo il più recente Malerba ho scoperto io lui Uf\'eJi-citàche mi sembra kantiana. Egli . infatti perseguisce nel suo libro un infame personaggio del potere politico ed economico di oggi: niente emerge però della problematica sociale di classe o del conflitto tra strati sociali e interessi .. Anii il protagonista e doppio/triplo narrante de ll pianeta azzurro ucciderebbe anche la moglie propria, traditrice silenziosa, semplicemente; e dunque-ha un ideale astratto e morale di comportamento umano. Si presenta sempre ambiguo ma contrassegnato da un maniacale bisogno di assoluto, di dover essere, di principi integerrimi (quali si è soliti attribuire al magistrato o al funzionario pubblico). . Né il personaggio infame e furfantesco, mafioso e attorniato di gorilla, è da lui perseguitato linguisticamente. Malerba non vuole inventare un modo di nominarlo ,.,.., che risulti comunque forte (quale .5 in Gadda il Truce, ecc.). È lo stes- ~ so individuo come viene indicato ::: dai giornali e dai media. Cioè Ma- ~ !erba postula, secondo me, che il ...... ~ mondo deve essere puramente ·;:::: giusto e migliore. §- A me non pare che sia il !in- ~ guaggio e il vuoto l'elemento ~ strutturale del libro, come è parso ~ a Gramigna, che è diventato il più ;g, acuto fra noi. Io trovo subito quel- ~ l'eticità, in un linguaggio a tratti reso omogeneo, dove sono più vive che tutto il resto, a mio avviso, le immaginazioni di femmine nella loro non-presenza reale, che è l'aspetto linguistico a mio avviso più riuscito del libro. Antonio Porta. Il pianeta azzurro di Luigi Malerba mi ha messo in difficolta. In una prima difficoltà perché ci sono molte digressioni, non sempre giustificate sul piano narrativo; a volte sembrano «informazioni» di tipo enciclopedico non necessarie al procedimento narrativo. Questo è stato rilevato anche da altri critici, ma diciamo pure che questo sarebbe un «difetto» minore. Quello che mi ha messo realmente in difficoltà è come è impostata la struttura a tre autori, non per la struttura in sé, ma perché ho trovato eccessivo che anche il chiosatore sia un ingegnere come l'autore del diario. Per informazione dei nostri lettori possiamo dire rapidamente che questo romanzo è così costruito: si trova un diario scritto da un ingegnere che ha occupato una casa al mare e l'affittuario è un altro ingegnere che si mette a chiosare questo diario e che leggendo e chiosandolo si identifica - ed era prevedibile che ciò succedesse - con l'autore del diario. L'autore vero, cioè Luigi Malerba, che riunifica i due scritti, il diario e le chiose, alla fine spedisce tutto questo malloppo all'editore e ne esce il romanzo Il pianeta azzurro. Rimprovero, amichevolmente, a Malerba, di essersi nascosto troppo in questo romanzo. A mio modo di vedere, ciò che imbarazza il lettore e che diluisce l'aggressività .che il romanzo ha invece dentro di sé - quell'aggressività che diventa eticità, come ha detto giustamente Francesco Leonetti - è che il secondo autore sia anche lui un ingegnere. Allora i lettori ingenui - come anche, credo, quelli smaliziati. - a un certo punto si chiedono: ma perché questi due ingegneri improvvisamente sono diventati scrittori così acuti? Per il primo passi - ha lasciato anche un diario -; ma che ci sia anche un secondo ingegnere che scrive un secondo romanzo è qualche cosa Italo Calvino ®David Levine (1974) Courtesy Studio Marconi -- che allontana troppo l'autore del racconto. Luigi Malerba avrebbe dovuto . identificarsi subito con il chiosatore. Quello che mette in imbarazzo sia il lettore normale che il lettore critico è questo troppo ritardato scoprimento delle carte. Malerba si nasconde dietro un personaggio di troppo. E allora cosa succede? Che la sua eticità rischia di indebolirsi, mentre un ingresso più immediato dell'autore dentro il romanzo - perché dell'autore sempre si tratta, sia pure sdoppiato, anzi non sdoppiato ma triplicato - avrebbe snellito l'opera e l'avrebbe resa anche più tagliente. Di conseguenza il finale non può che essere casuale: il personaggio odiato, l'uomo più nero della nostra società e della politica italiana di questi anni, muore per un puro caso, perché si è dimenticato un· finestrino della sua auto blindata lievemente aperto - forse perché aveva caldo, dice il romanziere - cosicché l'assassino è riuscito a sparare. Mario Spinella. Quanto mi ha sempre colpito in Malerba, fin da quando, molti anni fa, ho letto Il serpente e poi attraverso gli altri suoi libri - il libro scritto con linguaggio arcaico, medievaleggian- • te, il libro sui suoi sogni - è il fatto . che ho sempre avuto l'_impressione che egli adoperassè - scientemente e còn abilità - la categoria di Slovskij di «estraneazione». I libri di Malerba mi sono sempre piaciuti - e quest'ultimo non fa eccezio- •r:ie- proprio perché non sono mai in presa diretta, ma sono sempre in presa indiretta. L'autore non vi • si espone, ma dice al lettore: «Guarda che questo è un testo letterario e·quindi un testo falso, una finzione». Detto. questo, mi sembra che proprio µn .atteggiamento di questo genere mette in questione quanto diceva prima Leonetti, cioè la problematica dell'eticità. Qual è l'eticità di Malerba?-"Seeondo me l'eticità di Malerba consiste ·proprio in questa sua capacità di porgere le cose in modo indiretto, non impegnato - apparentemente - ma con quell'impegno di secondo grado che è l'ottica specifica non dico dello scrittore in generale, ma di alcuni scrittori che a me sono particolarmente cari. Il contesto linguistico-narrativo del Pianeta azzurro è certamente super ridondante, pieno di digressioni, pieno di tirate, pieno di ruminazioni con intrusioni e inclusioni di cultura a volte apparentemente raffinata, a volte di una banalità sconcertante. A me sembra che questo tipo di discorso sia una mimesi del personaggio degli anni ottanta, di una certa cultura, che è il personaggio televisivo, che sente di tutto, le cose più varie, dalla mattina alla sera, dall'astronomia alla astrologia, da Pippo Baudo a Cesare Musatti e fa un grande pastone, non capisce più niente, si disperde, si disgrega, appunto, e quindi, per forza di cose; fa digressioni, tutta la vita è una digressio- ·ne, tutto il suo sapere è una digressione. • ' A questo punto, che cosa tiene in piedi questa macchina? Proprio la struttura. Io sono di parere diverso da quello di Porta: secondo me la struttura del libro è estremamente sapiente. É sapiente nella sua scansione in capitoli, è sapiente nella ripetizione e poi triplicazione del punto di vista che si sposta, ed è sapiente proprio anche nella conclusione in cui la casualità della morte del protagonista odiato è appunto, ancora una y,oJ-. ta, la mimesi del caos e quindi del caso, entro cui tutto quello che oggi avviene è precipitato. Vorrei aggiungere soltanto un piccolissimo rilievo in senso, stretto sulla lingua, una lingua chiara, omogenea, da comunicazione di massa in prima apparenza, e invece sostanzialmente tutta mossa: è come una superficie d'acqua che sembra piana ma invece è piena di refoli, è piena di correnti, di risucchi sotterranei. Francesco Leonetti. Aggiungo brevemente quanto segue. Certo che ho voluto mettere in evidenza questo fondo di eticità, senza il quale secondo me effettivamente il libro nel suo embrione non si spiega. Detto questo, si può invece esaminare tutta la sua composizione, così come ha fatto Spinella. E alla fine aggiungerei che il dettaglio inventivo finale della piccola apertura nell'automobile da cui è possibile ferire mortalmente e uccidere questo infame personaggio mi sembra un'invenzione di estrema acutezza, su ciò che nella tradizione di sinistra chiamiamo «interstiziale», cioè minimale: contro il potere si può agire solo attraverso questi minimi interstizi. Così come è molto bella l'invenzione che ci sia la pura contemporaneità della morte quando il libro è come se fosse sicuramente già finito e quindi il libro è fabuloso, è semplicemente fabuloso, però c'è la contemporaneità di una morte. E quindi l'eticità è soddisfatta così come il discorso indiretto è dominante. Maria Corti. Io vorrei fare due brevissimi commenti a quanto hanno detto gli amici. La nozione di «straniamento» o «estraniazione» a cui ha accennato Spinella è veramente una delle cose più importanti in tutta l'opera di Malerba e a questa io legherei anche il fatto che quel secondo ingegnere che dà tanto fastidio a Porta, in ,sostanza è il primo ingegnere, perché· nelle ultime cento pagine del libro si capisce che il chiosatore è, con tutta probabilità, l'autore stesso. Allora se entriamo in quest'ottica dell'ambiguità, non poteva che far l'ingegnere - primo. E, secondo,. ci sono queste cosiddette digressioni\ su cui si sono soffermati tutti i recensori. • Per me sono addirittura -la cosa più bella del libro,. quei discorsi sull'anima, sui pipistrelli, sul riso, sul vuoto: insomma, questo libro è una specie di Bouvard et Pécuchet in chiave moderna; c'è qualcosa di veramente flaubertiano, ed è ciò che in genere manca nella narrativa italiana contemporanea. Antonio Porta. Sono d'accordo che certe digressi0ni sono funzionali al romanzo. Altre di tipo storico-informativo possono essere giustificate da quello che ha detto Mario Spinella, ma perché «raddoppiare» la non-cultura di massa? Per quanto riguarda il secondo ingegnere (che ovviamente si scopre essere il primo e poi si scopre che tutti e due, in fondo, sono l'autore) perché a me - come dice Maria Corti - dà fastidio questo
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