editoriale, il frammento successivo, Voyageurs (tutti i titoli degli inediti sono del curatore), è composto da una serie di paragrafi, legati tra loro dalla -solanumerazione dell'autore, nei quali il narratore deride la vana spinta ad evadere dei viaggiatori così violentemente denunciata qualche anno più tardi nel Traité du style. Si tratta della trascrizione di alcuni dei 50 fogli mandati a Doucet, che non ricevette mai, come era stato stipulato, l'insieme del manoscritto della Défense de l'infini. Fragilizzati dalla loro incompiutezza, sono sottesi da una violenta denuncia dell'illusione romanzesca che dà luogo ad uno sviluppo ipertrofico del metadiscorso critico: «Je suis trop dégoiìté pour peindre d'après nature. Ainsi la ferme du premier paragraphe, tu aurais juré che j'avais campé mon chevalet devant elle pour la décrire, tant elle frappait de vérité. Au fond, tu es un na'if.Je vais te donner un bon conseil, laisse ce livre, et lis du Jacques de Lacretelle» (p. 114). Si percepisce in queste pagine (pp. 105-164), come in quelle di Je te déteste univers (pp. 171-184) che Il futurismoe le avanguardie Convegno Internazionale Sale Appollinee, Gran Teatro La Fenice, Venezia 26-27-28settembre 1986 ' ra le iniziative che hanno accompagnato la grande mostra del futurismo a Venezia, dopo l'incontro della primavera scorsa sull'ideologia e la politica, ha avuto luogo in settembre un convegno sui rapporti tra futurismo ed avanguardie. Organizzato da palazzo Grassi, il meeting si è svolto in tre sedute - rispettivamente presiedute da Pontus Holten, Germano Celante Serge Fauchereau - che hanno avuto per tema «Il futurismo e le sue origini», «Il futurismo e le avanguardie della sua epoca», e «Il futurismo e le avanguardie tra le due guerre». Molti gli interventi degli studiosi stranieri che hanno sottolineato l'influsso a largo raggio del movimento marinettiano e quindi la sua intrinseca anima cosmopolita: Jean-Claude Marcadé (rapporti tra futurismo italiano e futurismo russo), Folke Edwards (barbarismo, darwinismo e futurismo), Billy Kliiver (Severini a Parigi), Jean Clair (Duchamp e il macchinismo), Stanislas Zadora (futurismo polacco), Richard Cork (vorticismo), Phil Mortens (futurismo in Belgio), Louis Simpson (Ezra Pound e il futurismo), Frantisek Smejkal (futurismo nell'arte ceca). Numerosi naturalmente gli italiani: Maurizio Calvesi, Vittorio Strada, Luciano De Maria, Ester Coen, Enrico Filippini, Francesco Dal Co, Gillo Dorfles, Gianni Rondolino, Claudia Salaris e Massimo Carrà. Ha avviato il dibattito Calvesi, ....., partendo dall'analisi delle fonti ...... o::s del manifesto di fondazione del .s 1909in cui confluiscono suggestio- ~ ni•del vitalismo dannunziano, echi t--- carducciani; stimoli nietzscheani e ~ ....., da Wagner (che in L'opera delo l'avvenire già aveva espresso l'i- ~ o::s dea d'una convergenza delle arti), E e l'influenza della scapigliatura ~ lombarda con i suoi elementi di t: avvenirismo. Dietro al manifesto ~ c'è dunque un clima tutto proteso l verso le magnifiche sorti del pro- ~ gresso, un clima in cui rientrano possono essere lette le une quanto le altre come una requisitoria, il rancore di Aragon contro l'incomprensione dei surrealisti, la solitudine alla quale essa lo condanna, sforzandolo - in nome dell'amicizia e della solidarietà di gruppo - a mascherare, in quel difficile momento, le sue frustrazioni sentimentali e i suoi travagli di scrittore. Il volume prosegue con la Lettre à François Viélé-Griffin sur la destinée de l'homme (pp. 165-170). Seguono, dopo Le Cahier noir (pp. 171-232), Entrée des succubes (pp. 232-246) e Moi l'abeille j'étais chevelure (pp. 247-254), «c'est à dire un certain ton pédagogique où le légendaire l'emporte sur le réel pour le premier texte et la résurgence dans mes écrits de l'écriture automatique» per il secondo, preciserà ulteriormente Aragon (Prélude à un autodafé) (p. 352), sottolineando in questo modo l'eterogeneità del suo proteiforme testo. Pubblicate la prima su «Littérature» (1924), le altre due su «La Révolution surréaliste», queste «digressioni non-romanzesche» che avrebbero dovuto compure, secondo Calvesi, quei dipinti murali di Galileo Chini scoperti nel padiglione centrale dei Giardini a Venezia, che di poco precedo- •no la nascita del futurismo, e descrivono le tappe della civiltà, proponendo la figura di un Icaro che sale in cielo portando una lampadina elettrica tra le mani. Si tratta d'una iconografia molto diffusa all'epoca (basti pensare a certa coeva grafica pubblicitaria, densa di retorica avvenirista), cui appartiene pure l'immagine marinettiana . della «divina luce elettrica». Per l'enfasi dello stile e la vocazione nazionalista di Marinetti, Calvesi ha giustamente individuato un antecedente nel melodramma ottocentesco. De Maria ha invece tracciato un bel ritratto del capo nel tentativo di vanificare quell'«ombra di sospetto» che grava ancora su Marinetti, dovuta ad una sorta di rimozione che si basa su due pregiudiziali: «una antiavanguardistica, l'altra ideologico-politica». Marinetti personaggio insolito: nazionalista e cosmopolita, missionario dell'arte e perfino «allevatore e allenatore» di talenti, personalità in cui nietzscheanamente «un cuore afoso coesisteva con una testa fredda». De Maria ha voluto così fornire un profilo psicologico, distinguendo tra l'esibizionismo ostentato a fini propagandistici e la gentilezza privata del leader futurista. Ne è emerso un Marinetti meno dissacrante del solito, più ricco di sfumature, un Marinetti pronto, in anni prefuturisti, a rendere il dovuto ossequio ad un grande della poesia come Carducci (e si può ricordare anche il rapporto col Pascoli, vedi il carteggioPascoli-Marinetti su «Alfabeta», n. 71, 1985). Ma la vera novità apportata da De Maria riguarda un inedito e assai stimolante accostamento fra Marinetti e Marcel Proust, autore quest'ultimo assai sensibile, sia pure sotto apparenze inequivocabilmente «passatiste», ai temi dell'avanguardia con la teoria e la tecnica della metafora e dell'analogia. De Maria ci informa che nella Recherche il Narratore, durante un soggiorno a Balbec, compie alcune gite in automobile e si piacere i surrealisti non riuscirono invece a placare la loro ira quando Le Cahier noir apparve su «La Revue européenne» (1926). Ed è facile capire perché. Nella falsa riga del Bildungsroman, Le Cahier noir ripercorre, con una rigorosa scansione narrativa, la storia di una vocazione amorosa. Mai come in questo testo estremamente seduttivo - di una seduzione che risultò probabilmente diabolica a Breton - «le vrai et l'inventé se marient comme ces feuillages d'où sort une fleur étrangère à l'arbre qui !es porte» (p. 225). La versione inedita qui proposta costituisce il terzo capitolo - recentemente ritrovato - di un manoscritto venduto nel 1929a un libraio americano «aans un temps de véritable famine» (p. 352). Gli altri due capitoli contengono i sei frammenti de L'instant e il racconto Les A ventures de Jean-Foutre la Bite (pp. 291-330). Mentre il primo appartiene alla gestazione de La Defense de l'infini, il secondo annuncia la violenza del Traité du verbe, esasperata inoltre da un'esuberanza erotica che lo riallaccia alle Onze mille Claudia Salaris dilunga in «considerazioni di evidente ispirazione futurista>>sulla relatività di tempo e spazio in rapporto alla velocità: la macchina fa scoprire il mistero dei luoghi, la bella «misura della terra». Apprendiamo inoltre che Proust ha preso da Marinetti anche il topos dell'aeroplano, simbolo di «art vivant», il contrario della «littérature de notations». ' re sono le fini emblematiche del futurismo in Russia secondo Vittorio Strada. La prima riguarda la linea di politicizzazione che investe dopo il 1917il futurismo, inducendolo a statalizzarsi; la rivoluzione segna così il passaggio dal «ribellismo nichilistico» dei primi cubofuturisti al «costruttivismo rivoluzionario», razionalista e volontaristico, che porta «dal laboratorio alla piazza», in direzione dell'arte tecnicizzata, industrializzata e di agitazione e propaganda. Questa linea ottimistica ha la sua fine «organica e catastrofica» nel suicidio di Majakovskij. Una seconda direttrice è quella degli «oberiuti», gli «assurdisti» che alla fine degli anni venti riprendono temi scandalistici del primo futurismo, ma in un «neonichilismo giocondo e disperato» che sfida il futurismo razionalista del Lef. Hanno vita effimera. Il terzo percorso è quello di Boris Pasternak, che dopo aver fatto parte del gruppo Centrifuga (1913), supera l'esperienza avanguardistica recuperando il modello critico-umanistico. Insomma, secondo Strada, la grande ambizione iper-prometeica futurista è costretta a restare schiacciata tra i due poli della distruzione e dell'edificazione. La nozione di «barbarismo» come azzeramento dei valori della tradizione idealistico-umanistico-cristiana caratterizza per lo svedese Folke Edwards l'ideologia futurista, che s1 schierò appunto contro l'establishment culturale che aveva condannato le scienze come barbare. Combattendo il Sublime, il Bello i futuristi hanno ricondotto la creatività su questa terra, ed in fondo Marinetti con le parole in libertà non ha fatto altro verges di Apollinaire, testo profondamente apprezzato da Aragon. In un vagabondaggio che non manca di ricordare la prima parte del Paysan de Paris, il narratore dell'Instant segue la·folla parigina quando, appena svegliata, ancora in preda ai sogni notturni, si avvia al lavoro, avventurandosi in quell'altro labirinto della modernità che rappresenta il metrò, anche esso luogo di passaggio e di desiderio. Pervaso da un'intensa sensualità, il racconto (sensibile inoltre alla miseria cittadina) esalta i poteri metamorfici di un erotismo legato alla temporalità sospesa dell'istante: «[... ] ces rencontres que je n'ai pourtant jamais provoquées transforment leur théatre en une sorte de foret magique» (p. 272). Il piacere vi acquisisce la funzione motrice di una quéte che dà forma e consistenza all'esistenza. Rimangono le inattese A ventures de Jean-Foutre la Bite, deambulazioni metropolitane di un gigantesco pene «atteignant en hauteur la taille d'un homme moyen, je veux dire avec ses autres memche riconciliare uomo e natura, uomo e materia. È stata, questa dei futuristi - secondo Edwards - una spinta al funzionale e non al formale che ha i suoi'paralleli nel-_ la scienza, nella tecnologia e nella filosofia pragmatica americana: non il barbarico primitivo alla Rousseau, dunque, ma il barbaro moderno. Enrico Filippini ha invece individuato nel «mutismo» la tragedia della modernità di cui il futurismo è stato massimo interprete. Se il simbolismo ha registrato la crisi del vincolo parola-senso, nel tentativo di salvarlo, il futurismo ha posto fine a tale rapporto, rappresentando «il punto estremo della voce che si autocontesta, oltre questa voce c'è l'innominabile come voce stessa della modernità». Esempio: il caso-diBalla che dopo la grande stagione approda ad una pittura iperfigurativa che Filippini definisce kitsch in quanto «apoteosi del significato assunto al massimo grado della sua falsità». Gianni Rondolino si è soffermato sui debiti che il linguaggio cinematografico ha nei confronti della teoria della «simultaneità» e della «compenetrazione» dei pittori futuristi. Basta analizzare la grammatica del montaggio, il «fuori campo», la «doppia esposizione», la «sovrimpressione» e via dicendo. Ester Coen ha riletto le cronache dei giornali romani contemporanee al soggiorno di Severini e Boccioni nella capitale nei primissimi anni del secolo, tratteggiando il profilo d'una Roma certo non ancora città moderna, ma non troppo sonnolenta e provinciale, dove si registra perfino la comparsa d'un giovane Marinetti che già affascina il pubblico con le sue letture di poeti simbolisti. Massimo Carrà ha invece analizzato gli interscambi tra futurismo, orfismo, astrattismo tedesco, futurismo russo, neoplasticismo olandese, indugiando su quell'incrocio tra principi futuristi e sintassi cubista rappresentato dal cubofuturismo. Non sono mancate le voci dissonanti e le critiche a certi aspetti dell'operato futurista. Principale accusatore, Gillo Dorfles ha debres, marchant je ne s_aiscomment, une sorte de foulard au-dessus de ses glands et les couilles drapées dans un plaid écossais de teintes sombres, rapiécé en plus d'un endroit» (p. 296). Con estrema sapienza il narratore sfrutta lo straniamento provocato dall'inconsueto personaggio (più comico del resto che osceno nella sua chiara discendenza gogoliana), per lanciare alcuni tra i suoi più violenti attacchi contro i valori del mondo borghese e la sua rappresentazione nel romanzo tradizionale. Nella denuncia dell'ipocrisia dell'una e dell'altro, prende forma una nuova poetica che apre all'indagine romanzesca lo spazio notturno degli interdetti: «Et moi j'ai pris la réalité par les cheveux et je !'ai arrachée à !'ombre» (p. 325). Resta oggi da capire (e l'interesse del volume è proprio di reiterare la domanda) perché i surrealisti non accettarono di riconoscere il potere trasgressivo di questo testo che, nello scatenamento di nuove immagini, apriva uno spiraglio di luce nella loro esplorazione della surrealtà. nunciato la discrepanza tra le grandi opere pittoriche e plastiche e gli oggetti dell'arte applicata, per la mancanza in questi ultimi di reali preoccupazioni progettuali e tecniche. Analoghi i rilievi fatti per l'architettura da Francesco Dal Co, per il quale Sant'Elia e Chiattone, incapaci di raggiungere il livello della scuola della secessione viennese, e lontani dalla dimensione moderna del mutamento tecnologico, avrebbero lavorato esclusivamente sulla «drammatizzazione delle facciate», senza piante, né visioni globali, né volume, né luce, restando alla superficie del problema, alla decorazione, al maquillage. La loro sarebbe la dimensione del teatro. Puntuale la replica di Enrico Crispolti, che, non solo ha suggerito di far eseguire dal computer gli irrealizzati progetti santeliani, ma ha punto nel vivo ricordando che dietro la società italiana e quella austriaca ci sono diverse realtà economiche e culturali, riconducendo così il problema alla questione della committenza, che poi è alla base dell'architettura e delle arti applicate. Che ai futuristi siano mancate le occasioni in quest'ultimo campo è una realtà che io stessa ho sottolineato a proposito della pubblicità, un settore in cui i futuristi pur raggiungendo livelli qualitativamente molto alti, furono impiegati in misura inferiore alle loro aspettative. I cantori della modernità avrebbero certamente voluto mescolarsi di più ai problemi della produzione. Ma al di là di tutto i loro prodotti, almeno nei casi migliori, restano come bellissime indicazioni. Alle accuse di inadeguatezza tecnica inoltre si può certo rispondere ricordando che il futurismo è stato anche progettazione dell'utopistico, indicazione del sogno, spesso vago ed eccessivo, sistematica provocazione, il che implica a volte un procedere per le vie del non finito e dell'abbozzato. Fu un'avanguardia calda. Non l'opera in sé, eterna, da consegnare ai musei, ma il processo creativo, il fare come elemento che modifica la realtà; ecco la grande lezione del futurismo, a cui ancor oggi dovremmo attingere.
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