Alfabeta - anno IX - n. 94 - marzo 1987

Mensile di informazione culturale Marzo 1987 Numero 94 / Anno 9 Lire 5.000 Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70• Printed in Italy Rorty (testo) FreuedRiess(RnD1 Scenamriuseali (Morpurgo) Il degradaoccademico (Semçnìrt1 .;.~·' Sull'estetica (Givone,R81cì)' ••·•· Maubon/Salaris AlmansillnJsaliìl/Fermris/Patella PerVia.-.io87-Varic. a ili• letteraria . (FeaTetti,For~Luperini,Mu-uloli,Pemiola,P

Einaudi RaymonQdueneau Ladomenidcaellavita Un piccolo gioiello dell'immaginario romanzesco di Queneau: le avventure farsesche di una merciaia e di un soldato nella Francia tra le due guerre. Traduzione di Giuseppe Guglielmi. «Supercoralli», pp. 198, L. 18 ooo CharleBsaudelaire I fiordi elmale ealtrepoesie La nuova traduzione di Giovanni Raboni esalta· tutta la ricchezza e la modernità del linguaggio poetico di Baudelaire. «Supercoralli», pp. x-352, L. 24000 RabindranTaathgore Aquetlempo I sogni, gli incanti, la vita quotidiana nei ricordi del poeta e filosofo indiano. A cura di L. Tamburini. «Nuovi Coralli», pp. 119, L. 7500 Molière Il misantropo nella traduzione di Cesare Garboli. «Scrittori tradotti da scrittori», pp. l 16, L. 7500 FrancMooretti Segneistili delmoderno Lo sviluppo delle retoriche narrative moderne: il quadro di una civiltà che si scruta e si rappresenta nel racconto. «Saggi», pp. r.x-261, L. 25 ooo AngioFlaerraris L'ultimo Leopardi Pensiero e poetica 18301897: Leopardi si misura con il presente e le possibilità del linguaggio-poetico. «Pbe», pp. v-181, L. 12 ooo ErnsTtugendhat Problemdiietica I temi classici della riflessione etica riconsiderati in una interpretazione di grande attualità e di rigore autocritico. A cura di Anna Maria Marietti. «Biblioteca di cultura filosofica», pp. XVI-138, L. 18 000 LuigEi inaudi Leprediche delladomenica Scuola, giustizia, occupazione, politica fiscale: « un breviario del quale l'uomo politico e il cittadino comune potrebbero fare oggetto di meditazione». Prefazione di Guido Carli. «Gli struzzi», pp. XI-140, L. 8500 PierLuigCi iocca L'instabilità dell'economia Il caso Italia e i fattori di instabilità delle economie capitalistiche. «Paperbacks», pp. xv-267, L. 26000 le immagindiiquestonumero Franz Kline L a semplificazione delle forme e la riduzione del ventaglio cromatico fanno parte, da sempre, della ricerca figurativa, ma anche della riflessione filosofica; è il desiderio di controllare il fenomeno che ci porta a una sorta di Riduzionismo linguistico, necessario per accelerare i processi di comunicazione e di relazione sociali. Ma ogni tanto appare un'esperienza, quasi sempre artistica, che mette in discussione questo ·progetto, in fondò totalizzante, ricercando altri itinerari dove la natura, l'uomo, anche la storia, si affacciano attraverso rappresentazioni non risolte, aperte a sviluppi ulteriori, ma, soprattutto, attraverso segni che a distanza di anni, di decenni, appaiono sempre originali, nel loro significato di esemplare autenticità. L'artista che «Alfabeta» presenta in questo numero, l'americano Franz Kline, in occasione di una mostra che si tiene in queste settimane allo Studio Marconi di Milano con la collaborazione della Pafinvest, costituisce un'esperienza estetica irriducibile a una maniera linguistica, quasi fosse la sua arte una sorta di folgorazione gestuale, nella quale però il gesto è il risultato di una rigorosa intenzionalità costruttiva. Come scriveva nel 1963 F. O'Hara nella presentazione di una mostra di Kline, un anno dopo la sua morte, presso la Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino, «Kline è il pittore d'azione per eccellenza; egli non desidera essere dentro la pittura, come Pollock, ma creare un segno del suo passaggio, in qualsivoglia interazione di spazio e di tempo, Sommario Sergio Finzi Freud e Darwin: l'etica delle forme (Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904, di S. Freud; Alle origini della psicoanalisi, Giornata di studio, Firenze 1987) pagine 3-4 Il degrado accademico Giuseppe Semerari pagina 5 Valerio Morpurgo Scenari museali pagine 6-7 Bianca Bottero La regola e il modello (La regola e il modello, di F. Choay) pagina 7 Giuseppina Restivo Mal d'America (Voci dal Nord Est, di M. Corti; Lettera agli amici americani, di E. Galli della Loggia; La riscoperta dell'America, di U. Eco, E. Ceserani, B. Placido; Addio diletta Amelia, di M. Soldati) pagina 8 Prove d'artista Luca Patella pagina 9 Catherine Maubon Aragon l'erotico (La défense de l'Infini e Le con d' Irène, di L. Aragon) pagine 10-11 attraverso il mondo». Giustamente commentando queste parole, la curatrice del catalogo per la mostra di Marconi, edito da Electa, Adachiara Zevi, scrive che « Kline non si immedesima univocamente né nella realtà esterna né in quella della tela; guarda alla prima come fonte di idee ed emozioni spaziali da riportare sulla seconda in cifre assolutamente spaesate, immemori del contesto originario, con la foga del gesto, ma anche con il distacco di chi vuole creare un Siegfried, 1958, olio su tela, 261,6 x 205,7 cm prodotto autonomo dalle sue motivazioni». Proprio qui sta la sua esemplarietà, nel panorama della pittura non solo americana, della fine degli anni quaranta e degli anni cinquanta: Pollock, De Kooning, Gottlieb, Motherwell; i bianchi e il nero, o i neri e il bianco, sono sempre costruiti, tanto è vero che Kline ritorna spesso, in tempi diversi, sulla tela nell'incertezza del segno, nell'incertezza degli spazi che si aprono e si chiudono Claudia Salaris L'eredità dei futurismi (Il futurismo e le avanguardie, Convegno internazionale, Venezia 1986) pagina 11 Cfr. pagine 12-14 Testo: Richard Rorty Di là dal realismo e dall'anti-realismo pagine 15-18 Romano Madera L'economia-mondo: la semiperiferia (Semiperipheral development. The politics of southern Europe in the twentieth century e The stratification of the world economy: an exploration of the semiperipheral zone, di G. Arrighi) pagine 19-20 Maria Luisa Cesoni La riforma penitenziaria pagine 21-22 Bruno Almansi Il libro delle meraviglie (L'arte della meraviglia, di M. Brusatin) pagina 22 Manlio Brusatin Almansi almeno ... pagina 22 Maurizio Ferraris Problemi del soggetto (La posta in gioco. Heidegger, Husser/.,e il soggetto, di P.A. Rovatti; Fenomenologia. Storia di un dissidio, di E. Husserl e M. lfeidegger) pagine 23-24 Enrico Lotti Drieu La Rochelle (Racconto segreto, di P. Drieu La Rochelle; Né destra né sinistra, di Zeev Sternhell) pagina 24 in un'apparente imprecisione. La ragione e la precisione si possono esprimere, o direttamente con una costruzione geometrica sicura e facilmente identificabile, o attraverso il farsi delle forme, del concetto: Kline appartiene a questa seconda tipologia progettuale, e la sua casualità nello stendere i colori e nel disegnare gli spazi è una testimonianza della difficoltà della scrittura quando si rappresenta l'esterno a sé, l'altro. È meno difficile la via della figurazione e della riduzione della diversità a formule geometriche; è più tortuosa l'altra via che, transitando all'interno di un'apparente gestualità e del non-finito, indica illuminazioni, forme nuove, possibili labirinti. Anche il quadro che «Alfabeta» pubblica nella copertina di questo numero è un'opera aperta, pur dentro un equilibrio tra neri e bianchi, tra gli elementi più orizzontali e quelli più verticali. La superficie bianca è grumosa, perché Kline non si accontenta mai della prima stesura di colore, passa e ripassa indeciso, per rintracciare l'idea da cui era partito, idea verso cui tenderà la sua progettualità nel farsi prodotto. L'opera più interessante è forse, insieme al Quadrato Giallo (dove l'artista americano chiude lo spazio bianco all'interno di una cornice cromatica facendo comunque sempre affiorare nella parte bassa della tela un segno nero), il corpo sostanzioso dei disegni, inchiostro su carta, lavori, credo, di studio, di cantiere, dai quali emerge l'attenzione che sempre ha posto alla composizione, sviluppando questa ricerca da una sorta di grumo di tracce, di macchie, di figure, Enrico Menduni Tempo, amore e politica pagine 25-26 Franco La Cecla Manifesto animista pagina 26 Loretta Innocenti Letteratura e realtà (Il Romanticismo, a cura di M. Pagnini; Critica della critica, di T. Todorov) pagina 27 Gianfranco Gabetta Scetticismo e nichilismo (Tra scetticismo e nichilismo, di F. W. Lupi, R. Genovese, G. Panella e G. Varnier) pagina 27 Polemica sull'estetica Sergio Givone Franco Rella pagina 29 Giornale dei giornali ltaly ltaly pagine 30-31 Indice della comunicazione Carte laser pagina 31 Supplemento Per Viareggio 87 - Varia critica letteraria Le immagini di questo numero Franz Kline di Aldo Colonetti In copertina: Franz Kline, Senza titolo, 1954 olio su tela 127 x 138 cm per arrivare poi alla semplicità, quasi miracolosa, di un'immagine senza alcun elemento decorativo e accessorio. È sufficiente analizzare, da questo punto di vista, ( due inchiostri su carta marroncina, nei quali tutto concorre, anche la fortuità di una macchia, alla chiusura perfetta della forma. Come scrive Theodor Adorno in Parva Aesthetica, «l'incertezza del/'arte come prodotto della coscienza mortale non deve diventare un pretesto per negare differenze qualitative chiaramente riconoscibili e mettere sullo stesso piano il Kitsch tirato a lucido e la grande opera d'arte, la cui grandezza è quasi sempre inconcepibile senza l'idea della sua fragilità»: Franz Kline mostra tutta la fragilità sulla quale si regge una grande opera d'arte, fragilità che consiste, soprattutto, come sottolinea Adorno, ne~'assenza del tirato a lucido e nella presenza inconfondibile di una poetica, irriducibile a un modello seriale. L'eredità di Kline è andata oltre l'orizzonte museale, ha varcato altre soglie, in particolar modo, l'area del grafitismo spontaneo, di un certo linguaggio grafico, anche il mondo della pubblicità tirata a lucido è stato coinvolto. Resta comunque unico e irripetibile il gesto, riconoscibile a distanza, della mente più che della mano di Kline, un gesto di grande significato culturale.dove è presente, insieme alla casualità, una vera e forte intenzionalità: «non decido prima che dipingerò una determinata esperienza, ma nel/'atto del dipingere diventa un'esperienza genuina per me». Aldo Colonetti Per la pagina 9 - «Prove d'artista» Sono giunte alla nostra redazione, su nostro invito, opere grafiche di Barni, Beltrametti, Bonfà, Cascella, Caletta, Cisternino, Cresci, D'Agostino, Del Re, Dorazio, Gastini, Guerini, Mari, Mattioli, Mendini, Menea, Purini, Stacciali, Tirelli, Wolf. Pubblicheremo via via questi contributi di «ricerca» letteraria e artistica, e siamo grati agli artisti. alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese Maria Corti, Gino Di Maggio Umberto Eco, Maurizio Ferraris Carlo Formenti, Francesco Leonetti Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Studio Asterisco - Luisa Cortese Grafico: Roberta Merlo Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, ~ viale Monte Grappa 2, Milano ~ Comunl·caz1·one·a1c·ollaborator1· • o · e· h ·1 • Distribuzione: -5 pagme e prezzo; ccorre m me tenere conto c e I enteMaurizGioribaudi di «Alfabeta» c).gli articoli devono essere inviati in rio indispensabile del lavoro intellet- Messaggerie Periodici R Mondoperaio Le collaborazioni devono presentare i triplice copia; il domicilio e il codice tuale per Alfabeta è l'esposizione degli Abbonamento annuo Lire 50.000 i---... seguenti requisiti: fiscale sono indispensabili per i pezzi argomenti-e, negli scritti recensivi, dei ) oO emito peraio. a) ogni articolo non dovrà superare le 6 commissionati e per quelli dei collabo- temi dei libri- in termini utili e evidenti eSt ero Lire 65 -000 (poSt a 0rd inaria ~ cartelle di 2000battute·, ogni eccezione ratori regolari. per il lettore giovane o di livellouniver- Lire SO.OOO (poSt a.aer 3 ea 000 ) e La formazione dei gruppi N eri·arretrati· Lire N dovra, esse·reconcordata con·la d1·rez1·0- La • • d 1· • 1· • • • • • I d. • I um • "'- sociali a Torino: l'analisi maggiore ampiezza eg I artico I o s1tano 1mziae, 1 preparazione cu tura- 1 . 1,. 1 t ~ ne del giornale; in caso contrario sare- il loro carattere non recensivo sono le media e non specialista. nviare importo a: n rapresa ~ dei percorsi di centinaia mo costretti a procedere a tagli; proposti dalla direzione per scelte di la- Manoscritti, dis~gni e fotografie non si Cooperativa di p~oro~?te culturale ""° di famiglie, tra campagna b) tutti gli articoli devono essere corre- . voro e non per motivi prefe_renzialio restituiscono. Alfabeta respinge lettere TviealeCfoapnoos(il 0 e 2 )2 • 5 2 926 1 8 7 4 1 ano : e città, tra condizione d • d • • d 1· • ·e • • • • I h ... l d at1 a preC1Se1 ettag iati n enment1 personali. Tutti gli articoli inviati alla e pacchi inviati per cornere, sa vo e e Conto Corrente Postale 15431208 ... ~ operaia e e assi me ie. ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso redazione vengono esaminati, ma lari- non siano espressamente richiesti con ~ «Biblioteca di cultura storica», dei libri occorre indicare: autore, tito- vista si compone prevalentemente di tale urgenza dalla direzione. Tutti i diritti di proprietà letteraria -e pp. xxx-173, L. 2 4000 lo, editore (con città e data), numero di collaborazioni su commissione. . Il Comitato direttivo e artistica riservati ~ ---------------~-----------------------------------------------~-----------------~~ ,I

Sigmund Freud Letterea WilhelmFliess 1887-1904 Edizione integrale a cura di J.M. Masson Torino, Boringhieri, 1986 pp. 560, lire 65.000 Alle origini della psicoanalisi Giornata di studio Gabinetto Vieusseux Palazzo Strozzi Firenze, 30 gennaio 1987 A Ile Relazioni tra il naso e gli organi genitali femminili Wilhelm Fliess dedicò l'opera che pubblicò nel 1897 con l'incoraggiamento e per interessamento di Freud. Quest'opera parla del naso, come le altre scritte dal famoso otorinolaringoiatra e biologo di Berlino, ma quello che ci colpisce è il modo in cui, dopo il sommario e prima del primo capitolo, una pagina viene dedicata dall'autore a tratteggiare la collocazione centrale di quest'organo. Il naso ha in questa pagina un ritratto, e l'impronta che lo designa come la firma dell'autore del libro. «In mezzo alla faccia, fra gli occhi, la bocca e le formazioni ossee del cervello anteriore e medio, vi è il naso. Collegato allo spazio rinofaringeo, comunica con l'orecchio e la laringe. Ma la sua importanza non è dovuta solo ai suoi rapporti anatomici o alla sua funzione respirativa e olfattivà. In realtà, un legame importante lo associa all'apparato genitale, col quale intrattiene rapporti stretti e reciproci. Gli sviluppi che seguono dovranno render conto effettivamente di un tale legame, almeno per quanto riguarda il sesso femminile. E l'autore si appoggerà sulle proprie esperienze.» Scopriamo così che il Naso firma le opere di Fliess e che Fliess è il Naso. La pubblicazione dell'intero epistolario di Freud rispetto alle selezioni che se ne conoscevano ci permette di cogliere la vera natura del rapporto, e della rottura, che Freud ha avuto con Fliess. Si è sempre parlato di questo rapporto e di questa rottura in termini che potremmo dire interpersonali quasi a salvaguardare un possibile ritrovamento del!' altra metà del carteggio, quella tuttora mancante e andata perduta di Fliess, e a rispettare il posto vuoto dell'altro interlocutore. Dagli studiosi, a Fliess era stato riservato il posto dell'analista, ora silenzioso, di una mitica analisi originaria (Mannoni) o, più recentemente, quello del «testimone della mancanza di padre» (C. Traversa). Ma l'impressione che si ricava dalle fitte pagine delle lettere ritrovate di Freud, e dalle sue minur.-i <::! te, è che !'«apertura» di Freud ver- .s so il suo corrispondente sia stata ~ . e::.. tale in realtà da escludere quer--.. st'ultimo, fino al punto di tras,for- ~ ...... mare, al di là della dimensione trac sferenziale, uno scambio tra due ~ ~ soggetti in una dialettica quasi impersonale, in cui non ha nemmeno ~ senso ridare a Fliess, come tende I:'! Sulloway, lo spazio decisivo delle ~ sue idee: Fliess, il Naso, ci per- ~ mette di cogliere i primi tratti che ~ Freud pone alla forma dell'appaFreu eDarwin: l'eticadelleforme rato psichico. Il nome di Fliess non ha un peso nell'epistolario per quello che la persona di Fliess ha contato in fatto di amicizia, e tantomeno per supposte complicazioni di tendenze omosessuali, durante la vita di Freud. Queste lettere non sono infatti la traccia di un'esperienza trascorsa, ma questa stessa esperienza lavorata, manipolata e già trasformata in esperienza intellettuale ed estetica. In esse non dobbiamo cercare tanto un dramma umano quanto un dialogo platonico. E le tappe decisive di un processo di formazione, di una Bildung. DiaS rgio Finzi delle inclinazioni di Freud. La forma del naso, che è la forma destinata per eccellenza a individuare un profilo, una si/h'@uette, sembra prestarsi in modo del tutto peculiare a definire il rapporto del soggetto con il Disegno. Si tratta di capire se tutto ciò che fluisce, il tempo come le onde del mare o le onde luminose o il mare, la terra e le forme viventi, se il fluire stesso che in Darwin è il fluire della crosta terrestre e il modificarsi delle specie che la abitano e in Fliess è il fluire del flusso mestruale assunto come modello di tutte le manifestazioni della nascile àccettare le innovazioni proposte qualora si tenesse fermo che lo Stream of Variation, che il flusso di variazioni, è orientato, è guidato da un disegno superiore. A costoro Darwin rispose chiedendo se ritenevano che la forma del suo naso fosse stata voluta così, fosse stata cioè disegnata da Dio, e se sì se pensavano coerentemente che Dio si prestasse anche a imprimere nelle ossa nasali dei piccioni tutte quelle modificazioni di cui gli allevatori si avvalevano per produrre nuove razze. Il «nervosismo moderno» partecipa di questo grande dibattito stoSenza titolo, 1950, olio su pagina di elenco telefonico, 28 x 22,8 cm logo, Bildung, ruotano intorno a un'idea della bellezza che sta però, come vedremo, non a precisare un atto della creazione, ma a modellarne una forma etica. Sul versante di Fliess, il fulcro di i quest'idea è in una forma che ha il •privilegio di stare al centro del volto umano, che dunque vi fa parte, e che è la forma del naso. Ma se Fliess è il Naso, il naso è il disegno. È il centro infatti di una visione semplice e grandiosa che troverà infine espressione per Fliess nella formula della «costituzione bilateralmente simmetrica», un «disegno» dell'essere umano e •del corso della Vita (Der Ablauj des Lebens) dal quale principia (lettera 152) il distacco delle idee e ta, della costruzione e della decostruzione e fine del nostro organismo, si tratta di capire se un Disegno, Dio o la Simmetria bilaterale, comanda questo fluire e le anime che ne vengono trasportate con i loro pensieri e desideri, o se invece è dalla perdita di questo Disegno, più ancora dalla perdita della stessa capacità di disegnare (non dal perdersi in un labirinto ma dal perdere il labirinto ordinato del disegno), che sorge una diversa facoltà di formare e di formarsi. I ntorno alla questione del disegno, un grande dibattito ebbe luogo ai tempi di Darwin. A molti scienziati sembrava più faciriccre lo fa schierandosi per il Disegno. Che vi sia un disegno appare infatti al nevrotico, nel corso della sua analisi, come una questione di vita o di morte perché ove venga negato egli è messo di fronte al godimento del padre, il quale godimento colpisce, nel da- _re la vita, con la stessa cecità del fulmine nell'uccidere {ed è singolare che per confutare il disegno Darwin ricorra proprio all'esempio paradossale del fulmine tradizionale strumento della giustizia di Dio di cui è imbarazzante però •pensare che scelga le sue vittime). La credenza nel disegno appare come la più valida salvaguardia dalla psicosi. Ogni più piccola incertezza sul fatto che un disegno presieda ali' origine del soggetto può essere già sufficiente alla formazione di complicate catene di sintomi: come quella che lega Kafer, e la paura dei maggiolini, attraverso Marienkaf er, la coccinella (ma «sua madre si chiamava Marie») a Que faire?, due parole in un'altra lingua che, benché pronunciate prima della nascita e anche del concepimento del soggetto, dalla madre dubbiosa se sposare quello che poi sarebbe diventato il padre, tolsero al loro disegno d'Amore quell'assolutezza che sola avrebbe potuto sollevare il concepito dal regno, ancora seminale, degli insetti. È il fulmineo piccolo caso esposto alla lettera 152 della raccolta. E si capisce così perché un'ombra di ebraismo ricada sempre sull'analista. Questo 1·0 rende infatti, malgrado il suo essere contro ogni parvenza di elezione, garante e pegno di un certo grado di predilezione e di destino. «Se tutto è designed - nota Darwin in una sua lettera - certamente anche l'uomo ha da esserlo»: lo attesta la sua propria «coscienza interiore», solo çhe questa coscienza interiore è, Darwin già lo sapeva, una falsa coscienza, «a false guide» (C. Darwin ad Asa Gray, Down, Dee. 11, 1861). Clinicamente, il vantaggio cui il nevrotico mira, difendendo così il disegno, e che in qualche modo ottiene è di poter barattare ogni piccola concessione, ogni più piccola rinuncia al disegno appunto che dovrebbe presiedere alla sua vita, con un'equivalente misura di paranoia: se non è predestinato sarà incompreso, se una vocazione non lo chiama la sua grandezza trapelerà nella lieve depressione periodica o in punte di esaltazione. Ogni analisi è dunque una traversata del Disegno. E la guarigione si misura dalla dimissione di quel residuo della primitiva, originaria, abilità di disegnare, provata spesso da un solo disegno, che è la silhouette con tutta la straziante carica di nostalgia che si porta dietro per una produzione, per una creazione senza sforzo. D'un sol tratto. A opera degli angeli. Ma «dinanzi alla meta gli dei hanno posto il sudore». La questione del disegno riguarda dunque l'origine, nella sua faccia volta verso la psicosi, e la creazione, in relazione alla morte. Come la credenza nella «creazione continua» comporta la micidiale conseguenza di permettere la distruzione non solo di sempre nuove specie viventi ma delle stesse condizioni di continuazione del-' la vita sulla terra, così il riconoscimento che le specie muoiono, cioè che la sopravvivenza non solo degli individui ma delle stesse forme dell'Universale è affidata a una lotta che trae vantaggio da ogni variazione casuale, questo riconoscimento è il presupposto di qualsiasi vera creazione artistica o intellettuale. Solo rompendo col Disegno si diventa responsabili della vita delle Forme. «Una coppia di coniugi - racconta Freud nella lettera 199 - che possedevano un gallo e una gallina, decisero di celebrare una festa

con un pranzo a base di carne di pollo, ma non riuscivano a decidere quale dei due uccidere, per cui consultarono un rabbino. 'Rabbi- _no,che cosa dobbiamo fare? Abbiamo solo un gallo e una gallina. Se uccidiamo il gallo, la gallina soffrirà, se uccideremo la gallina soffrirà il gallo. Comunque sia, vogliamo avere carne di pollo per il pranzo festivo. Rabbino, che dobbiamo fare?' 'Ebbene, uccidete il gallo', disse il rabbino. 'Ma allora soffrirà la gallina.' 'Sì, è vero; beh, allora uccidete la gallina.' 'Ma rabbino, allora soffrirà il gallo!' 'Lasciatelo soffrire', replicò il rabbino.» E Freud dal canto suo tira il collo al suo cruccio ossessivo se produrre l'opera «universitaria» sulle nevrosi, che avrebbe potuto assicurargli il pane, o se mandare invece in porto il sogno. Il sogno è «maturo» e Freud lo libera in un certo senso dal labirinto del disegno, quel labirinto che per lui (lettera 209) è «il bosco buio degli autori (che non vedono gli alberi)», una sorta di «sistema naturale» della materia nota, nota ma non conosciuta, con un taglio, una recisione da cui può uscire qualcosa che è ben più di un libro perché ha i caratteri di una nuova specie vivente. Viene in mente, come voleva Fornari in uno dei suoi ultimi lavori, l'immagine del parto, ma forse solo per la forma in cui Freud calava il suo pensiero a uso di un interlocutore abituato a privilegiare la sfera della ginecologia e della procreazione. È a Fliess che Freud presenta così la genesi della sua opera, anche come se si trattasse dell'esperienza di un parto. Ma il «modello» sottostante è quello «di una passeggiata immaginaria», di un bosco «dove è facile perdersi» (irrwegreich, pieno di strade sbagliate), ma che rientra in un «tutto congegnato» (lettera 209). Ed è dal mondo vegetale che Freud prende in prestito il «congegno della natura» (le darwiniane Contrivances in Nature) che colloca l'opera, la genesi dell'opera, non nella linea dell'atto della creazione ma in quella dell'evoluzione naturale. «Nessuno dei miei lavori è stato mio in modo così completo come questo; mio è il letto di concime, mia la talea e una nova species mihi» (lettera 199). Fliess, nel processo della creazione intellettuale, rappresenta dunque presso Freud, l'istanza del disegno. Rispetto a questa istanza Freud, come il Darwin dei Taccuini, si misura, si supera. F liess incarna la bellezza ordinata: la simmetria e la proporzione di un giardino all'italiana. «I piani simmetrici e le proporzioni numeriche delle relazioni di nascita fanno ovviamente grande impressione» (lettera 156), gli scrive Freud anche se in realtà l'amico non ha mai parlato di «piani simmetrici». E proprio in rapporto all'arte italiana, Freud situa il senso del bello di Fliess. «Questa volta mi auguro di riuscire ad approfondire un pochino di più l'arte italiana. Incomincio a intravedere il tuo punto di vista: tu prendi in considerazione non tanto ciò che ha interesse storico-culturale, quanto piuttosto la bellezza assoluta racchiusa in forme e idee e in sensazioni di spazio e di colore gradevoli a livello elementare» (lettera 137). Dalla parte di Freud il paesaggio è diverso, una grotta e l'ordine è combinatorio: «La mattina andammo nella grotta di Rodolfo, a un quarto d'ora dalla stazione: in essa le stalattiti formano le figure più strane: equiseti giganteschi, torte a piramide, zanne d'elefante sporgevano dal basso, mentre dall'alto pendevano cortine, pannocchie di granoturco, tende dai pesanti drappeggi, prosciutti e volatili» (lettera 164). Mentre si dichiara privo di qualsiasi senso dello spazio e di qualsiasi disposizione per la geometria, mentre, ancora, rifiuta, col mancinismo, l'idea che un disegno, un «piano simmetrico» presieda a processi strutturali come la rimozione, mentre porta la sua opposizione al disegno fino a confessare di aver semmai sempre avuto «due mani sinistre», nessuna cioè abile a tracciare profili, Freud pone mano a un procedimento diverso. La via per individuarlo è sJata tormentosa e ha coinciso, nel tratto della corrispondenza con Fliess, con una sorta di martirio isterico dell'eccitazione sessuale, un calvario che fa pensare alla carriera chirurgica di Marie Bonaparte e del suo organo genitale. Qui l'oggetto è il naso, sottoposto a cauterizzazioni alternate a spennellate di cocaina: quello che egli esperimenta, per questa via .riflessa, è l'inferno (cita due volte Dante, e l'Italia è per lui un «punch al Lete») di tutte le intossicazioni (i sigari, le spennellature al naso di cocaina, il vino che il naso lo arrossa) che hanno il loro «modello» nell'eccitazione puro dell'eccitazione, attinto dal ·serbatoio di impressioni ricevute da piccolo nel salone di bellezza condotto dalla madre, ed espresso in innumerevoli silhouettes di figure femminili tracciate per ore dimenticando la fatica e la fame. Un vero punch al Lete. La cosa andò avanti finché attraverso l'analisi egli non fece una scoperta liberatoria: scoprì cioè di potersi curare del disegno con l'acquerello. L'acquerello conserva alcune delle qualità della silhouette, l'apparente facilità, l'unicità della pennellata che non richiede correzioni, ma senza la precisione dei contorni, quel dominio della linea che imparenta il più semplice dei disegni con la potenza ordinatrice di un dio. La repressione del disegno mediante l'acquerello vale a compensare il fallimento di quella che 'Hermann ha descritto come la rimozione dell'intelligenza periferica e che per noi consiste nell'oblio, nella perdita della capacità di disegnare. Oblio, perdita di cui rimane traccia, residuo, nella nostra mappa del luogo della fobia e che introduce alla costruzione di un soggetto in sintonia con un pensiero suo. Freud, al termine della sua relazione con Fliess, è incantato dal Franz Kline fotografato intorno al 1950 sessuale, nell'intossicazione cioè di materie sessuali. Eccitazione onanistica ed eccitazione creativa vanno dapprima di pari passo, sostenute dalla «etiologia sessuale», dalla tesi cioè che attribuisce l'angoscia nevrotica al coitus interruptus e che suggerisce quindi, se, come a un certo punto Freud, non si intendano avere altri figli, di astenersi tout court da una «vita sessuale». Il passaggio decisivo sarà il seguente, quando Freud si accorge che l'eccitazione sessuale non gli serve più (lettera 144). E a questo punto, dopo aver compiuto con la sua lettera164 ( un vero poemetto) il funerale dell'ebrezza e dell'intossicazione, egli, come via di guarigione, sceglie non tanto il sogno quanto il lavoro del sogno (il lavoro del sogno e il suo lavoro sul sogno), cioè di seguire, per il suo pensiero, una via diversa da quella di prima: anziché inspirare il profumo di un disegno, lasciare che questo si dissolva nel semplice desiderio di dormire. Anziché lasciarsi prendere dalla scoperta del contenuto latente, praticare su un'altra scena quella che chiamerei una modulazione coloristica del dolore. Un mio paziente ha portato per molto tempo in analisi il disegno disseppellimento dei resti del labirinto di Cnosso e passa volentieri il suo tempq libero sulle mappe della città di Roma. Alla «bellezza pura e geometrica» di cui Fliess era stato rappresentante ha imparato, o almeno si esercita, a sostituire una modulazione analoga a quella dell'acquerello. «Ho imparato che nel campo della sofferenza esiste una sfera di sensibilità così ricca e diversa nei suoi elementi e nelle sue combinazioni com'è quella dei suoni e dei color.i,sebbene ci siano poche prospettive di fare un uso analogo di questo materiale di sensazioni; è troppo doloroso» (lettera 182). Potrebbe essere, una modulazione coloristica e musicale del dolore, una nuova definizione del sogno? Come ebbe a osservare acutamente quel mio analizzante, l'acquerello è un sostituto, o meglio un equivalente dell'angoscia. Ciò gli venne in mente in seguito a un episodio. Una mattina molto presto prima di venire in analisi, mentre si recava all'aeroporto, vide di colpo un uomo steso a terra per strada («come un ubriaco dei nostri giorni giaceva sul lastricato antico» di «un pezzo di antica strada _romana affiorante in un campo», Lettera164) forse ferito, forse morto. Riuscì a far fronte molto bene all'emergenza e'si spiegò più tardi quell'insolita capacità di assorbire all'istante l'urto di una sorpresa così violenta con il fatto che la notte precedente si era dedicato lungamente a fare acquerelli. Era come se l'acquerello, pur non potendo essere considerato un farmaco, avesse anticipato l'evento che doveva verificarsi il mattino dopo e ne avesse neutralizzato per tempo gli effetti traumatici. Allo stesso modo l'angoscia prepara a un pericolo impedendo che il non presentarsi tempestivo dello Spavento apra nell'apparato psichico una di quelle falle che solo il lavoro della Ripetizione, reintroducendo la funzione dell'angoscia, sarà poi in grado di riparare. D i un simile processo troviamo, ne sono convinto, traccia nella lettera 251 scritta alla vigilia di quello che sarà l'ultimo «congresso» di Freud con Fliess, il disastroso incontro dell'estate del 1900a Achensee che fece esplodere fra i due.malumori e dissensi inconciliabili. Il passo sul quale vorrei soffermarmi colpisce per una singolare intensità poetica, la più alta direi di tutte queste pagine, a volte, come nelle brevi storie di casi, così felicemente narrative: «I grandi problemi non sono ancora risolti. Tutto ondeggia e albeggia, un inferno intellettuale, una cosa sopra l'altra, dall'abisso più profondo si profilano alla vista i tratti di Lucifero-Amore» (lettera 251). Il brano è molto suggestivo ma per capirne tutta l'importanza dobbiamo smontarlo pezzo per pezzo rifacendoci per di più all'originale che la tràduzione stiracchia qua e là un po' troppo. I grandi problemi non sono ancora risolti. Von den grossen Problemen ist noch nichts entschieden. Non i grandi Problemi, ma su, intorno ad essi, il pennello incomincia a effettuare quei movimenti di nutazione che Darwin scoprì nelle piante rampicanti: dondolii, ondeggiamenti ma non dispersivi, capaci anzi.di avanzare intelligentemente nel vuoto, diancorarsi potremmo dire allo spazio puro, come la cupola del Brunelleschi. Sui grandi Problemi niente è ancora deciso. Entscheiden evoca una sentenza, un verdetto, qualcosa di assolutamente tranciante, di fermo, risolutivo: in sospeso ma già alle soglie. Tutto ondeggia e albeggia. Al/es wogt und diimmert. Il verbo diimmern riguarda sia l'alba che il crepuscolo, sia il farsi chiaro che il farsi scuro. Esso pone fine comunque a quella netta separazione dei campi della luce e dell'ombra che si mantiene in tutto l'epistolario. Fliess è il Sole, è nella luce anche quando avanza dall'altro lato della galleria scavata da Freud (lettera 153; ma anche 212: «Hai a che fare con la luce non con l'oscurità, con il sole, non con l'inconscio») e porta la luce, ma questo lo predispone, mentre la sua meteora tinge ancora di sé la volta del cielo, a prendere il posto di Lucifero. Tutto ondeggia dunque ma l'alba si confonde, o si scambia, con il crepuscolo, proprio come pare a Dante che nell'ultimo canto dell'Inferno domanda a Virgilio «çome, in sì poc'ora, da sera a mane ha fatto il sol tragitto?» Nasce, dal tramonto della silhouette, un giorno nuovo, una luce differente, esprimibile in «mescolanze» e «combinazioni». Il riferimento a Dante è tutt'altro che casuale, è indispensabile anzi e ci illumina su che cosa significhino le parole che vengono dopo: Un inferno intellettuale. Queste parole non vanno prese infatti nel senso banale, emotivo, descrittivo di uno stato d'animo, che dapprima sembra imporsi. Un inferno intellettuale non significa altro che questo: la forma, la necessità, la legge dell'inferno dantesco come funzione della mente. L'Inferno come metodo (con la maiuscola perché si intende riferito all'Inferno di Dante). Questa legge ha un nome, la legge del contrappasso, Freud la evoca nella lettera 171 («Si vede l'immagine riflessa del presente in un passato di fantasia che diventa poi profetico per il presente. Il tema segreto è quello della vendetta insoddisfatta, che Dante presenta perpetuata nell'eternità, e dell'inevitabile castigo») e ne dà qui immediata illustrazione con le stesure che fa di colore in vista dell'incontro imminente. Dico stesure di colore perché la traduzione di eine Schicht hìnter der anderen con «una cosa sopra l'altra» è sbagliata. Uno strato dietro l'altro, uno strato dopo l'altro, come si danno mani di colore, è dunque la nostra versione che varia anche in quel che segue: im dunkelsten Kern die Umrisse von Lucifer-Amor sichtbar. In modo che il testo «restaurato» suonerebbe così: «Circa i grandi problemi niente è ancora deciso. Tutto ondeggia e albeggia, un Inferno intellettuale, uno strato dopo l'altro, nel centro più oscuro il profilo di Lucifero-Amore visibile». Il disegno, rimosso, è stato così disseppellito. Avviene, lungo il corpo villoso di Lucifero il capovolgimento che lascia sbalordito Dante al trovarsi, senza saper come, dall'altra parte. È il percorso, per la natural burella, di un'analisi compiuta. Un passo che è un contrappasso. Gli stessi strati che compongono la struttura precipitosa dell'inferno ne mostrano ormai la scala rovesciata: al centro, quel centro solare, che era stato emblematizzato dal naso dell'amico («in mezzo alla faccia... »), risponde ora un altro centro, il Kern, il nucleo scurissimo in cui appaiono i contorni ( Umrisse) del suo ritratto. L'Inferno intellettuale, l'inferno in forma di intelletto è ciò che permette ormai a Freud di gettare nel vuoto la cupola della sua creazione senza i supporti tossici_dellenevrosi attuali. Il vuoto di senso lasciato dal tramonto del Disegno si esprime nell'adozione del «pappagallo di Humboldt» come simbolo. «Mi sono rassegnato a vivere come una persona che parla una lingua straniera o come il pappagallo di Humboldt!» (lettera 258). Da questo autore che tanto piaceva a Darwin Freud riprende il racconto degli indiani Guarico sulla tribù degli Atura che sospinti dai nemici sull'orlo di una rupe perirono tutti. E tuttavia esisteva ancora un vecchio pappagallo di cui gli indigeni non comprendevano il linguaggio perché parlava la lingua di quella tribù estinta. Il commento finale di Freud: «Essere l'ultimo della propria stirpe o il primo e forse l'unièo, sono situazioni che si rassomigliano molto» indica una collocazione sulla punta del cuneo dell'evoluzione che vede coincidere il lavoro silenzioso e inavvertito della Selezione Naturale con quello dell'Istinto di morte. E si definiscono così anche due ':tc::s posizioni intellettuali. Quella di .s Fliess che in un certo senso ignora ~ la morte. Egli si accompagna al t--- flusso del plasma immortale. I ~ ...... suoi «periodi» si trasmettono dalla e madre ai figli senza soluzioni di ~ continuità. E quella di Freud la cui È vittoria sulla morte avviene in no- ~ me dell'archeologia, l'eredità con- s:: tro l'ereditarietà, che segue Dar- S ~ win al di là di ogni filosofia della -0 ~ Natura. ~

Proseguiamo Larubrica aperta da Maria Corti nel n. 88 (settembre 1986), e che ha ospitato interventi di Aurelio Roncaglia, Cesare G. De Michelis, Mario Vegetti, Gian Carlo Alessio, Giuseppe Petronio, con questo scritto di Giuseppe Semerari, Professore Ordinario di Filosofia Teoretica nell' Università di Bari. Il vero punto dolente Giuseppe Semerari Bisogna essere grati a Maria Corti per aver dato voce, con la nota Degrado accademico, al disagio morale e politico, che in molti di noi si è largamente e dolorosamente diffuso man mano che si sono conosciuti certi risultati dei recenti concorsi universitari a cattedra di prima fascia. Tali risultati hanno, purtroppo, confermato taluni difetti del vigente sistema concorsuale già chiaramente manifestati con la precedente tornata del 1981 (e, per qualche aspetto, anche con quella del 1975). C'è ora sufficiente esperienza perché sul nuovo mos dei concorsi universitari possano essere formulati giudizi misurati e appropriati, sottratti a immediate e momentanee reazioni emotive. In situazioni del genere, allorché si denunciano le pecche del «nuovo», si corre il rischio di passare, contro ogni proposito personale, per Laudatores temporis acti. Il fatto è che noi non vogliamo, in nessun modo, elogiare il passato e non ne sentiamo alcuna nostalgia. Anche il vecchio sistema non era immune da vizi, anch'esso si prestava a giochi non sempre immacolati, benché, per la verità, allora accadesse di rado quanto, negli ultimi tempi, è sovente accaduto, il chiedersi, cioè, gli esperti, a sentire i nomi di certi vincitori di cattedra: ma chi sono costoro? Nella più parte dei casi, col vecchio sistema, il «ternare» non era la invenzione improvvisa e gratuita di un «cattedratico»: era, piuttosto, la sanzione ufficiale e formalizzata di una posizione di notorietà e di prestigio culturali già acquisita. Il sistema nuovo ha aggravato i mali del vecchio e ne ha causati altri i cui effetti si rifletteranno, come ben dice la Corti, su più generazioni di studenti. E non sono da sottovalutare - aggiungerei - i guasti che ne vengono alla immagine, che di sé la Università italiana deve offrire al paese e all'estero. L'analisi molto precisa della Corti coglie il vero punto dolente della situazione: la lottizzazione. Una volta che si sia costituita la commissione, possono ritirarsi in buon ordine quei candidati, che, nella commissione, non abbiano chi direttamente li «rappresenti» e ne tuteli gli interessi (il loro «maestro» o persona su cui il «maestro» possa contare a occhi chiusi per motivi di amicizia- ma amicizia, si badi! aprova di bomba o di stretta lr) <::S affinità e solidarietà ideologiche). -5 Per essi, anche se molto titolati ~ scientificamente, non ci sono sper--.. ranze: verranno, senza pietà, sca- ~ valcati anche da chi ha meno titoli e scientifici (oggi è di moda mettere ~ <::S in cattedra candidati che, al mo- !:: mento, sono soltanto delle pro- ~ messe) e scarsa o nessuna espe1:! rienza didattica (mi hanno raccon- ~ tato di recente che un giovane, ;g_ inopinatamente innalzato alla cat- ~ tedra e del tutto estraneo alla Università fino alla conclusione del concorso, arrivato nella sede, che lo aveva chiamato, ha candidamente dichiarato di non sapere come si organizza un corso universitario, come si fanno le lezioni, quali e quanti testi vanno adottati, ecc.). Tutto ciò non va. Uno dei costi più duri dell'attuale sistema concorsuale sono le roventi umiliazioni inflitte a studiosi preparatissimi e didatticamente efficaci, costretti a uscire sconfitti dal concorso solo perché non inseriti o non inseribili nel giro delle lottizzazioni, mentre, all'incontro, i vincitori ai quali essi sono stati sacrificati non valgono affatto più di loro e non sono ciò di cui la Università non può assolutamente fare a meno. A questo punto, non ci si può limitare a constatare quello che non va e a raccogliere e presentare lo. La nuova legislazione universitaria ha stabilito un ordinamento della docenza, che è bi-articolata nella fascia degli ordinari e nella fascia degli associati, e il ruolo dei ricercatori, sopprimendo l'antico e iniquo precariato degli incaricati e degli assistenti volontari. Pur con tutto il rispetto, che si deve-avere per i ricercatori, soprattutto per quelli che lavorano seriamente, non può certo contarsi come evento positivo per la Università italiana il salto, che a non pochi ricercatori è stato fatto fare, negli ultimi concorsi, direttamente nel ruolo degli ordinari con lo scavalcamento del livello intermedio dell'associazione. La cosa è tanto più preoccupante e triste in quanto, per rendere possibile il salto dei ricercatori, sono state frustrate le legittime attese di associati aventi innegabili meriti (anzi, più meriti) sivi cambi di cattedra (e di raggruppamento: ma quando finirà il privilegio tutto baronale degli ordinari di mutare cattedra, quando e come vogliono?), con la fortuna, che non gli è mai venuta meno ai sorteggi, con la complicità del parere del Consiglio di Stato secondo il quale un raggruppamento diventa un altro raggruppamento allorché perde o acquista una nuova disciplina. Il dato decisivo, nel sistema attuale, non è il raggruppamento nella sua astratta formalità, ma la concretissima persona del commissario: come la storia recente dei concorsi sta a dimostrare, si può vincere la cattedra per una disciplina prevista dal raggruppamento X, anche se si abbiano titoli solo per il raggruppamento Y, purché in commissione ci sia chi faccia da «padrino». Ai «corsi e ricorsi» concorsuali di determinati Senza titolo, 1950, inchiostro su carta, 53,3 X 45, 7 cm cahiers de doléance. Occorre cercare di modificare la macchina concorsuale, riducendo o eliminando, alla radice, i presupposti della lottizzazione. A mio avviso, due vie sono alternativamente percorribili per venir fuori dalla insostenibile situazione presente. Con la prima via potrebbe essere mantenuto il sistema attuale, ma a determinate condizioni. Quali condizioni? Eccole: 1. ammissibilità ai concorsi di prima fascia soltanto per gli associati. La cattedra di prima fascia quale livello più elevato della docenza universitaria esige che chi vi concorre, e per la qualità e la quantità della ricerca scientifica già compiuta e per la esperienza didattica accumulata, dia, in linea di principio, precise garanzie di autolegittimazione per ascendere a tale livelscientifici e didattici. Se la progressione nella docenza universitaria non deve essere ridotta all'automatismo burocratico dall'avanzamento per mero diritto di anzianità, essa, nondimeno, non può essere configurata come trasgressione della gradualità del cursus honorum accademico, che è anche gradualità di tempi reali di maturazione scientifica, didattica e, perché no?, anche umana. 2. Divieto categorico per chi ha giudicato un concorso di candidarsi per qualsiasi concorso immediatamente successivo. La legislazione vigente limita il divieto ai concorsi che si facciano per il medesimo raggruppamento di discipline. Il che non ha impedito, negli ultimi dieci anni, ad alcuni ordinari di amministrare, quali commissari, più concorsi senza soluzione di continuità con l'astuzia dei succesordinari ha fatto riscontro, nelle tornate dal 1975 al 1985, la puntuale esclusione di altri ordinari che,. pur votati ampiamente dalle Facoltà, sono immancabilmente caduti ai sorteggi. 3. Dovere di scegliere tra l'uno o l'altro tipo di concorsi per quanti fossero chiamati contemporaneamente a far parte di commissioni per concorsi a cattedre di prima e di seconda fascia. La presenza del medesimo commissario anche nella commissione di associazione ha influenzato, in non lieve misura, le conclusioni degli ultimi concorsi per la prima fascia. 4. Impossibilità, per i candidati, di fare domanda per più di un concorso. Se si esige, per ragioni di professionalità, che si sia commissari soltanto nei concorsi relativi ai raggruppamenti, in cui è compresa la disciplina della quale si ha la titolarità, la stessa cosa, e per le stesse ragioni di professionalità, deve valere per i candidati. I candidati più seri, infatti, si presentano a un solo concorso, non si rendono giuridicamente disponibili per le collocazioni più disparate e anche improprie, che la logica della lottizzazione concorsuale può imporre. Questa la prima via. L'altra, alternativa, è ben più radicale e ad essa vanno, da sempre, le mie preferenze personali. Qual è? Allorquando una Facoltà ritiene che un suo associato sia meritevole di passare alla prima fascia di docenza, si fa istanza perché si costituisca una Commissione Nazionale di esperti, che dovrà pronunciarsi sulla idoneità dell'associato in questione a passare al livello degli ordinari. La Commissione giudicherà quella persona soltanto nel suo merito scientifico, senza valutazioni comparative (che, nella pratica attuale, sovente sono fasulle, realizzandosi come arbitrarie aggiunzioni di meriti ai candidati che devono comunque vincere e in altrettante arbitrarie sottrazioni di meriti ai candidati che devono comunque non vincere), fuori, infine da ogni gioco di lottizzazione, che è sempre un gioco fatto di intrighi, intimidazioni, ricatti, ecc. Il giudizio ·deve riguardare il singolo candidato proposto dalla Facoltà e non altri. Si tratterebbe, insomma, di applicare ai concorsi di prima fascia la formula che presiede, oggi, ai passaggi da straordinario a ordinario. Si tratterebbe anche .di allargare il campo dell'autonomia delle Università presentemente ristretta al solo ambito amministrativo. Mettendo la richiesta delle Facoltà al centro della prassi concorsuale, si toglierebbe di mezzo l'altra bruttura della più recente storia della Università italiana, che è la costituzione, di fatto, di un rapporto di natura «feudale» tra le «grandi» (o presunte tali) e le «piccole» (o presunte tali) Università, onde I «piccole» devono chiedere i concorsi per consentire la sistemazione di studiosi, che si sono formati e lavorano nelle «grandi», che, dalla loro parte, non chiedono mai o quasi mai concorsi. Quali siano gli effetti di tale rapporto, è sotto gli occhi di tutti. I candidati delle Università «piccole», tranne infrequenti eccezioni, vengono «bruciati», i vincitori- i candidati delle «grandi» Università - si fermano nelle sedi «piccole» il tempo strettamente necessario perché nella «grande» sede-madre nasca il posto anche per loro, non si adattano a prendere la residenza nella sede, che pure li ha chiamati, fanno i pendolari, procurandosi, così, l'alibi per dare un apporto di non grosso impegno all'attività generale della Facoltà, che li ospita, quando addirittura non la disertino con la pratica dei congedi per motivi di studio. Il rapporto, breve nella durata e non intenso nei contenuti e nelle forme, di tali professori con le «piccole» Università non consente la formazione e/o la valorizzazione dei vivai scientifici locali: le «piccole» Università vengono condannate a restare permanentemente tali, gerarchicamente subordinate alle «grandi», luoghi di interlocutorio collocamento della ~suberante «mano d'opera» delle «grandi» e niente di più.

V i è un passo, nello sterminato «schedario» di Benjamin, sul museo ottocentesco concepito come luogo di una ambigua dialettica tra ricerca scientifica e connotazione emblematica di epoca trasognata del cattivo gusto, Infatti, quasi ogni epoca sembra aver sviluppato, in base alla propria disposizione interna - un determinato problema architettonico - ed è proprio l'Ottocento (con la sua inclinazione rivolta all'indietro a lasciarsi permeare dal passato) che si riveste di travPstimenti storicistici, comprimendo le nuove possibilità costruttive dentro scenari di pietra. Nel periodo più recente, la trasparenza e la porosità del movimento moderno sembravano aver definitivamente messo fuori causa la monumentalità fatale e ereditaria: anche nei nuovi musei (il Guggenheim, i musei di Oakland e di Berkeley, la National-Galerie a Berlino ... ) si imponeva una ben differente e organizzata spazialità sottratta al brivido storico. Oggi lo scenario è alquanto cambiato (ammesso poi che mai -sia stata eretta una diga di vetrocemento a salvaguardia della trasparente porosità modernista). Anche senza fare esclusivo riferimento al dibattito in corso sulla museografia o a quello del riuso delle strutture del passato, il progetto di architettura viene, di norma, fondato (anche come utopia del nuovo) con rinnovato accesso al brivido della memoria storica e al culto delle «rovine». Oggi le «rovine» del passato sono ovunque nel presente: anche nei gusci-cattedrali della Fiat, dove, perduto il senso della motivazione originale, si promuove la ri-costruzione di una specificità del luogo perlomeno come emblema celebrativo e propagandistico (concorso del Lingotto); mediante il disotterramento dalle rovine di strati consistenti di significato - con aggiornamento successivo - e allegoria del nuovo; ma il nuovo «o non c'è o sta altrove» (nel robot alla catena di montaggio). Infine questa invocazione del nuovo come ultima spiaggia (proprio in base alla disposizione interna - della nostra epoca - di raccogliere e custodire tracce ... ) viene praticata, nei grandi interventi del restauro di architettura e della conservazione di un ambiente, come l'ultimo travestimento di uno spazio (più nel senso di intérieur) che sta per indossare, come un essere tentatore, i costumi degli stati d'animo. Due sono gli episodi - rilevanti - dell'ultimo periodo, dentro questo scenario progettuale: - l'annessione al paesaggio museografico parigino di una «rovina» (la Gare d'Orsay) riplasmata da Gae Aulenti con sofisticato specialismo; - il progetto fiorentino (di larga intenzione e per ora sussurrato appena) di riuso di un'area periferica di proprietà Fiat di un ambientalista americano come Laurence Alprin con ipotesi innovativa e di totale trasformazio_ne; questi opera nella linea di una nuova frontiera del paesaggio (degradato e privo di connotazione) come una California possibile; non senza rischi, però, di un travestimento della natura garbatamente risarcitivo. Due situazioni antitetiche e con matrici culturali affatto diverse. Ma in qualche modo sincrone al filo epocale (tra raziocinio e sogno) del progetto urbano - oggi - Scenarimuseali dentro la cultura delle rovine, dei resti, dentro i modi attuali di una certa teatralizzazione del mondo con sceneggiature urbane ad usum delphini (lo spazio e il potere più che il potere della spazialità). Entrambi i progettisti hanno partecipato al concorso per la sistemazione dell'area del Lingotto. Le stazioni e, in genere, tutte le architetture del ferro (mercati coperti, palazzi delle esposizioni, ecc.), hanno rappresentato per tutto il XIX secolo il simbolico ruolo di dimore oniriche del collettivo. Esse si associavano ai momenti funzionali della vita economica - fondati suile nuove conquiste della tecnica - e non erano certamente prive di «artisticità» se, proprio a proposito della Gare d'Orsay appena inaugurata nell'anno 1900, qualcuno aveva voluto asserire che «assomigliava a un Palais des Beaux Arts» e, ·ironicamente, la proponeva per questa destinazione d'uso. In realtà la Valerio Morpurgo seali (soprattutto europei e in particolare tedeschi), sulle indicazioni di metodo e sulle coordinate museografiche a essi relative: meno labirintiche che a Parigi, con adeguamento a una scala più ragionevole e, talvolta, mediante aggiustamenti e sovrapposizioni al di sopra di istituzioni già funzionanti e riconoscibili. Se per il Musée d'Orsay è possibile una prima valutazione, ammetto che, nel mio riferimento personale, questa si precisa sull'onda di un impatto con la fantasmagoria di una profezia che si avvera. Più meditato e consapevole potrà essere un bilancio che si compie nel ragionevole rito dell-aconoscenza. Dunque per ora soltanto un emozionale rito di passaggio sul filo di una soglia finalmente varcata (e per i lunghi anni dei «lavori in corso» prefigurata in congetture e intrighi spaziali sottili attraverso gli addocchiamenti dal Lungosenna sulla rovfoa assopita). in salita - soltanto ai tecnici. Percorsi che qui a Orsay sono questi inediti delle «torri museali», delle gallerie degli impressionisti (con effetti «illuministici» che mi fanno ricordare la Dulwich Gallery di Soane) e i nuovi scorci di segnalazione urbana, sul Louvre e le Tuilleries, aperti come emozionanti momenti di pausa nella caffetteria e nelle sue terrazze. Il prim·o impatto per chi si affacci su di questo imponente labirinto museale è senz'altro quello di un attraversamento epocale (quella attuale che ha ancora qualche - ovvia - attinenza con la porosità e la trasparenza del XX secolo). Uno spazio che si realizza nella indubbia complessa modernità di un veramente nuovo che non è però quello che si rende percepibile per la prima volta con la sobrietà del primo mattino (a questo proposito si veda il mio intervento Sommossa dei disegni onirici sul n. 88 di «Alfabeta» ). Voglio a questo punSenza titolo, s.d., gouache su carta, 45 x 52,5 cm stazione non era piaciuta molto e, soltanto nell'epoca più recente, sarebbe risultata comprensibile e accettabile la metonimia del luogo funzionale che diviene luogo culturale e museale. Sono abbastanza noti gli accadimenti francesi che, verso la metà degli anni settanta, hanno promosso la trasformazione di questa «rovina» nella linea precisa di un cambio di destinazione d'uso: l'ipotesi di un risarcimento per l'abbattimento delle Halles attraverso la presa di coscienza dei valori dell'archeologia industriale; la vasta sensibilizzazione opera_ta nel 1980 come anno del patrimoine; il buon momento dell'economia produttiva e di mercato che susseguiva il trauma sessantottesco; l'effetto «grands travaux» conclamato nei progetti della grande scala pubblica e l'impatto .con il nuovo Palais Beaubourg per nuovi consumi culturali di massa - archiviati quelli politici. E ntrando in questo inedito Musée d'Orsay mi pare di poco ausilio un riferimento con i più recenti esperimenti muE ancora sarà necessaria, attenuata la grancassa degli effetti speciali e delle omologazioni imperiali, una conferma riferita alla nai"veté quotidiana del pubblico. Un pubblico che non dispiace rivedere (per un attimo e con lampo di paradosso fulmineo) sornionamente imparentato con le masse del «basso materialismo» di un Bataille (il Bataille di Documents che non piacque neppure a Breton); che definiva un museo, l'insieme delle sale e degli oggetti artistici, nient'altro che «un contenente il cui contenuto è formato dai visitatori [... ] i quadri non essendo altro che superfici morte, laddove è nella folla che si producono i giochi, gli scoppi, gli sfavillii luminosi descritti tecnicamente dai critici autorizzati». Un museo, questo d'Orsay, che realizza, inoltre, nell'originalità e nella «novità» di alcuni suoi percorsi, un'altra metafora di Benjamin-Giedion: quella dell'accesso al nuovo, al decisivo dello spazio, nei luoghi che per lungo tempo (prima dell'avvento delle architetture funzionali) erano accessibili - con percorsi to precisare - a chiare lettere - e a evitare qualche possibile fraintendimento, che risulta evidente per quale non agevole erta museografica si sarebbe inoltrato chi avesse voluto fare i conti con una preesistenza del genere (quasi un' «astuccio» premonitOFe e universale di tutto il tardo Ottocento); come l'inclinazione più facile sarebbe stata quella di lasciarsi irretire dalla polverosa fata morgana del giardino d'inverno, con la fosca prospettiva della stazione con l'altare della fortuna nel punto in cui si intersecano i binari [. ..] dalla principessa col viso di orologio che sbuffa e che fischia. (Sempre da Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, come le altre citazioni in questo testo riportate in corsivo), inclinazione che Gae Aulenti - senza mezzi termini - ha evitato con sovrapposizione di una sua lingua, a più voci, del proprio sofisticato lessico d'architettura. Riplasmando l'ingombrante astuccio, guerreggiando con esso in ogni sua connessura, di per sé già ripiegata e sagomata. Attraverso un'infinità di autonome congetture spaziali, funzionali a un percorso museale dal permanente intrigo tra contenente e. contenuto. Vi è inoltre, nel Musée d'Orsay, una risoluzione importante ed è quella di aver rimosso l'implicazione di intérieur (nel museo ottocentesco l'interno di un museo si precisava come intérieur elevato a potenza) che avanza verso l'esterno, riproponendo con la grande galerie una strada coperta (o passage) con due serie di facciate spazialmente complesse e con intersezione di percorsi. Il tema dell'architettura è stato sinora quello che ha sollevato un maggiore dibattito attorno a questo nuovo spazio museale (ben diverso dalla macchina «iperrealista» del planetario fieristico delle arti che è poi il Beaubourg dove, tra l'altro, proprio Gae Aulenti - nel Musée nationale d'art moderne - ha rimosso il XX secolo di Tati per una più attendibile fruizione dell'opera). Vi è poi - rilevante - la coordinata museologica (le opere e lo squarcio d'epoca da ritagliare sopra di esse). Sarà però lo storico a valutare se sia stato esemplare sezionare il XIX secolo: privilegiando il momento dell'apoteosi borghese (Baudelaire, Proust, la pittura di Manet, le Nouvel Opéra, ovviamente più congeniali alla traccia di Orsay) al sublime della borghesia «eroica» (Stendhal, il primo Ingres, i romantici tedeschi, la querelle romantica per una nuova concezione dell'antichità «molto diversa dalla fredda calma della libertà descritta da Winckelmann e dipinta da David» (Hugh Honour). Forse l'intento critico dei coordinatori francesi è stato quello di opporsi all'egemonia degli impressionisti su tutta l'arte figurativa del XIX secolo - consacrata - dalla cultura di massa anche per omologazione dei valori del mercato; annettendo taluni settori della cultura accademina o pompier, tra pittura e arti decorative, e altri ancora più pertinenti ai nuovi strumenti della riproducibilità, tra architettura, fotografia e le nuove tecniche dell'arredo seriale (Guimard, le sedie Thoner, ecc.). V enendo ora al progetto ambientalista dell'area Fiat a Novoli, è chiaro che rientra con più pertinenza nella utopia ricompositiva delle degradate periferie urbane prive di connotazione, con scontro più diretto tra effetto economico, politico e speculativo; la valenza museologica, un «effetto secondario» ma non completamente metaforico, sta dentro l'ipotesi di una museificazione territoriale. È di questi ultimi tempi, infatti, la tendenza della più avvertita imprenditoria privata (vincente sulle sabbie mobili della programmazione pubblica) di «risarcire» i propri utenti - per logica del Capitale - attraverso una vera e propria promozione museografico-celebrativa; proposte che arrivano sino al «travestimento» di imponenti operazioni speculative ~ (è il caso di Firenze), affidando a -5 un ambientalista come Alprin !'in- [ carico di individuare un'area-pae- r--... ~ saggio per il terziario «avanzato» e -. per un consumo sociale privilegia- o ~ to dentro un ambiente riqualifica- c:::s to e, in qualche modo, segnalato E come «museo di un ambiente». ~ Laurence Alprin è architet- ::: to-ambientalista assai noto in ~ Cl,) America e con prestigio di molti i progetti realizzati. Spesso in colla- ~

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