Ha ermas, l'agirec~~i~nicativo Jiirgen Habermas Teoria dell'agire comunicativo tr. it. di P. Rinaudo a cura di G.E. Rusconi Bologna, Il Mulino, 1986, 2 voli. pp. 1135, lire 92.000 Jiirgen Habermas Vorstudien und Erganzungen zur Theorie des kommunikativen Handelns Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1984 pp. 606, DM 48 Ulf Matthiesen Das Dickicht der Lebenswelt und die Theorie des kommunikativen Handelns Miinchen, Fink, 1984 pp. 186, DM 19,80 A cinque anni di distanza dal1e' dizione originale, l'opera maggiore di Jiirgen Habermas è disponibile ora in traduzione italiana. Un lavoro monumentale, sia per mole che per architettonica, consacrato alla definizione della «situazione linguistica ideale». Concependolo secondo lo stile delle grandi opere sistematiche della tradizione filosofica, in esso Habermas riversa tutti i fermenti, le tematiche, le novità che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni della sua riflessione. E con un movimento a raggiera li fa convergere in un unico, decisivo, punto: una teoria che renda possibile la comprensione e l'accordo fra gli uomini. Sembrerebbe quasi un manuale di buon.comportamento, di bon ton della comunicazione, per eliminare i conflitti e i malintesi. Alcuni critici tedeschi avevano ritenuto che proprio di questo si trattasse: ora Habermas ci spiega cosa dobbiamo fare per capirci e andare d'accordo. «Ora si parli per bene!» aveva ammonito ironicamente sullo «Spiegel» Karl Markus Miche!. Ma non è di questo che si tratta e non è di precetti che abbiamo bisogno: Habermas lo sa bene e non si erge mai a dispensatore di regole e consigli che avrebbero il sapore di banalità filosofiche. Non è su questo piano che vanno individuati eventuali limiti e aporie del suo progetto. Il difetto, o forse quello che il lettore può vedere come una sofisticata complessità, riguarda un certo tecnicismo accademico e una certa strutturazione categoriale di una sfera come quella dell'intersoggettività che sembra sottrarsi a qualsiasi categorizzazione. Parliamo e ci comportiamo ogni giorno in mille modi diversi; ci sono già i linguisti, i semiologi e i logici che analizzano quello che facciamo mentre interagiamo e discutono su quello che dovremmo o non dovremmo dire (naturalmente sempre allo scopo di ben intenderci!). Ma se si trascura l'infinita varietà e incontrollabilità delle situazioni reali, a cosa serve una ulteriore teoria in un ambito che, nonostante le apparenze, sfugge costantemente alle regole? Forse radicalizzando questo interrogativo arriviamo al nodo filosofico che credo costituisca il nucleo problematico della teoria dell'agire comunicativo: Habermas non ha portato fino alle estreme conseguenze l'idea di esperienza comunicativa, confinandosi volontariamente sul livello della sociologia e rinnovando la Teoria critica dei maestri francofortesi. Ha aperto tuttavia una strada: il ripensamento della nozione di mondo-della-vita, la Lebenswelt tematizzata da Husserl, entro la dimensione sociale del linguaggio e della comunicazjone. Questa linea di fuga, per quanto non del tutto realizzata, restituisce forse il senso profondo (uno dei sensi) dell'opera: non è un sistema filosofico, né un esito teorico definitivo (nonostante forse le intenzioni habermasiane), ma un punto di partenza stimolante. Proprio m questa relativa incompiutezza sembra risiedere la sua importanza. Ma soffermiamoci un momento sulla sua articolazione interna. Il primo volume è dedicato all'analisi della «razionalità nell'azione» e della «razionalizzazione sociale». Una ricerca cioè delle possibilità o, kantianamente, delle condizioni di possibilità di una interazione sociale razionale e comunicativa. Per proiettare così l'intesa raggiunta nelle singole situazioni sul più ampio orizzonte del mondo sociale. Questo tentativo, che non è una trasposizione dal particolare all'universale e che quindi mi pare fin dall'inizio distante da qualsiasi idealismo hegelianizzante (Lukacs e Adorno compresi), ipotizza un nesso tra linguaggio e intesa alimentato direttamente da una forma di razionalità definita «comunicativa», le cui radici percorrono la struttura sociale in tutta la sua complessità. Attraverso quattro capitoli: Approcci alla problematica della razionalità; La teoria della razionalizzazione di Max Weber; Agire sociale, attività finalizzata e comunicazione; Da Lukacs ad Adorno, -razionalizzazione come reificazione, Habermas sviluppa il proprio concetto di razionalità, preparando le analisi del secondo volume, che rappresenta una serrata critica del funzionalismo sistemico. Contro Parsons e la «ragione funzionalistica», della quale non si può cessare di riconoscere l'incidenza sulla società contemporanea, Habermas delinea ora uno scenario che vede i concetti di «sistema» e di «mondo-della-vita» fronteggiarsi in un conflitto inusuale e singolare, come è inusuale il contrasto fra la razionalità sistemica e quella comunicativa. Questa tensione esplode nella Seconda considerazione intermedia (p. 697 e sgg.): sistema e mondo-della-vita si «disgiungono» battendo percorsi divergenti; il primo mseguendo la tecnicizzazione e lo scientismo propri del moderno funzionalismo, il secondo coltivando le «forme della comprensione» necessarie per raggiungere l'accordo intersoggettivo e per ostacolare la progressiva colonizzazione del mondo-della-vita. E tuttavia entrambe le dimensioni sembrano coappartenere - Habermas parla di una loro complementarità - al mondo contemporaneo. Q uesti passaggi interni conducono a una proposta argomentativa: •possiamo risolvere i conflitti, i dissidi e le controversie basandoci su strutture discorsive che garantiscano la parità dei parlanti, la verità e la veridicità delle proposizioni, l'esattezza normativa delle affermazioni, finalizzando il dialogo alla «comprensione». Se, per dirimere le contese, Leibniz proponeva: «calcoliamo», Habermas sembra dire: «discutiamo». La comprensione diventa così il punto più alto, il telos stesso dell'agire e del comunicare. Questo diagramma formale, rivolto a costituire un a-priori della comprensione entro una ideale «comunità illimitata della comunicazione», tema elaborato da KarlOtto Apel e ripreso da Habermas in vista di una «pragmatica universale», racchiude l'ipotesi e l'interpretazione della modernità: la scommessa habermasiana sull'esistenza stessa del Moderno come liberazione del «potenziale di razionalità» contenuto nell'agire comunicativo. Certo non sfuggirà una netta differenza rispetto a tesi postmoderne come per esempio quelle di Lyotard (il dissfdio insanabile e costitutivo) o di Derrida (il discorso come oratio obliqua, disseminazione di senso). Non senza ragione si può parlare di inattualità di una teoria che vuole regolare i rapporti intersoggettivi, se l'attualità si presenta dominata dalla deregulation, in tutti i settori di interesse. Si avvertono aporie di rilievo nella ricerca di restituire senso e chiarezza al dialogo, quando sappiamo che varianti incontrollabili quali la finzione, la metafora, l'ironia, l'assurdo si insinuano fin nelle più intime fibre della comunicazione, determinandola nella sua forma oggettiva. Non è quindi eliminabile l'impressione che l'agire comunicativo voglia restaurare una totalità infranta, ricollegando la dispersione dei ..,saperi entro una sfera libera dalle imposizioni del funzionalismo. Lo può fare perché ritiene che le strategie di discorso si intreccino passando tutte attraverso un unico punto: cioè il rendersi conto che la comprensione, l'intesa, l'accordo sono immanenti alla prassi quotidiana e che solo piccoli scarti, piccole fluttuazioni deviano il consenso reciproco, rinviandolo e relegandolo in ambiti in cui prevale la sopraffazione. Sotto questo profilo la pressione etica habermasiana si scontra con una realtà effettuale organizzata attorno ad altri valori: il profitto, il dominio, il controllo. Sostenere l'istanza etico-emancipativa del discorso razionale significa proporre un poco convincente neo-Illuminismo dai toni promete1c1 e umanistici, ma rappresenta anche un legame stretto con esiti recenti della filosofia politica, per esempio le riflessioni di Rawls sulla «società giusta» o di Dahrendorf sulla libertà, e della filosofia pratica, sarà sufficiente ricordare Bubner e Ritter. Quindi, vero o presunto che sia, l'anacronismo non impedisce a questo progetto di trovarsi al centro di molte traiettorie che delineano il dibattito attuale. Al di là di inevitabili punti deboli, basterebbe questa considerazione a definirne l'importanza. Tuttavia credo che, pur non trascurando la rilevanza che esso assume per le scienze sociali e politiche, per la linguistica (Searle e Austin sono due importanti interlocutori di Habermas) e l'ermeneutica filosofica (la discussione con Gadamer), per l'etnometodologia e l'epistemologia genetica, l'impulso più energico risieda nella sua contaminazione con tematiche riconducibili all'ambito fenomenologico, con la Lebenswelt in primo luogo. L'ipotesi di una parziale convergenza con la fenomenologia può forse innescare una dinamica felice e ricca di presupposti. All'interno di un. programma che, tra l'altro, si propone di rinnovare la Teoria critica, il concetto di Lebenswelt sembra destinato a un ruolo di secondo piano, considerando il giudizio negativo che Horkheimer e Adorno hanno sempre espresso nei confronti della fenomenologia husserliana. E l'idea di Lebenswelt rappresenta proprio un frutto maturo del pensiero fenomenologico. Habermas però non solo la riprende dal punto di vista terminologico, ma la utilizza anche come sfera precategoriale in cui si addensa il «sapere di sfondo» che la teoria dell'agire comunicativo deve portare alla luce. Esattamente come accade nella fenomenologia per quanto riguarda la coscienza. La crucialità della Lebenswelt è sottolineata anche da G.E. Rusconi nella Introduzione: sulla sua «centralità nella architettura della Teoria dell'agire comunicativo non ci possono essere dubbi» (p. 36). Anche se viene da chiedersi come mai non si adotti la traduzione italiana tradizionalmente in uso per Lebenswelt, e cioè: mondo-della-vita, ma, traducendo «mondo vitale», si separi il concetto dal suo milieu culturale originario, quello fenomenologico appunto. A questo proposito va segnalato un altro particolare, marginale ma significativo: le due opere di Husserl incluse da Habermas nella bibliografia non sono citate nella loro traduzione italiana, come accade invece per tutte (o quasi) quelle di altri autori di cui sia disponibile la traduzione. Sintomi forse di una distanza. In ogm caso Rusconi sembra disposto ad assegnare alla Lebenswelt un posto di rilievo: Habermas stesso le riconosce del resto uno statuto superiore rispetto al mondo oggettivo, sociale e soggettivo. Agire orientato all'intesa significa recupero della pienezza del mondo-della-vita. Allora la situazione linguistica ideale non è un semplice apparato normativo che si applica dall'esterno all'interazione tra i soggetti, ma costituirebbe una prova che esistono dimensioni libere dall'influsso di media ritenuti strategici quali il denaro e il potere. Certo, la valenza utopica fa pensare che si tratti di pie illusioni. Forse ha ragione Luhmann, quando sostiene che «quasi tutto potrebbe essere possibile, e quasi nulla io posso mutare», ma Habermas ci pone un problema ineludibile quando, in aperta polemica con la teoria dei sistemi, scrive che «allora la mediatizzazione del mondo-della-vita assumerà la forma di una colonizzazione» (p. 809). Al «sistema» Habermas contrappone una logica orientata alla formazione discorsiva della volontà e delle decisioni politiche. In questa etica argomentativa possiamo ritrovare una fase fondamentale dell'intersoggettività: la razionalità finalizzata all'intesa supera la razionalità rispetto-allo-scopo, il cui fine ultimo sarebbe invece la tecnicizzazione della società. 11 tema del mondo intersoggettivo rappresenta uno degli elementi comuni tra Habermas e Husserl ed è significativo che, oltre ad essere centrale in questa opera, sia stato elaborato in chiave comunicativa fin dai primi anni settanta. Lo testimonia la pubblicazione, nel volume di complementi e studi preparatori alla teoria dell'agire comunicativo (1984), di un ciclo di lezioni tenute da Habermas nel 1971 all'Università di Princeton e dedicate alla «fondazione teoretico-linguistica della sociologia» (Vorstudien ... , pp. 11126). Attraverso l'analisi e la critica del concetto husserliano di intersoggettività, i cui presupposti monadologici e coscienzialistici escluderebbero la possibilità «che gli Altri, costituiti attraverso di me e per me, possano entrare in forma attuale nel rapporto paritario con me» (ibid., p. 58), ravvisiamo i sintomi di una trasformazione linguistica della nozione di mondo-della-vita. Da questo punto di vista la cosiddetta «svolta linguistica» impressa da Habermas alla Teoria critica sembra essere una derivazione di una scelta più fondamentale: la riformulazione della Lebenswelt da orizzonte della coscienza a scenario della comunicazione. Habermas tiene ferma l'accusa nei confronti della fenomenologia: teoreticismo puro, ma ci sono segnali evidenti che questa avversione tende a trasformarsi in rielaborazione critica di alcuni suoi motivi. Oltre al concetto di Lebenswelt penso a quello di telos e alla critica della tecnica moderna. In questo modo la teoria habermasiana non si chiude, come se avesse trovato una dipendenza filosofica e raggiunto così un punto cieco, ma sembra conoscere tutto lo spessore stratificato del mondo-della-vi- ~ ta. Non è quindi casuale che Ulf .s Matthiesen, facendo collidere «la ~ densità della Lebenswelt con la :: teoria dell'agire comunicativo», ~ ....... parli del mondo-della-vita come _9 «punto zero» a partire dal quale i: esporre le tesi habermasiane a in- :g filtrazioni provenienti da settori ~ culturali diversi: confrontando per ~ esempio la soggettività dell'individuo che parla e agisce con le rifles- ~ sioni di Bataille su individuo e cor- l poreità (Das Dickicht der Leben- ~
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