Alfabeta - anno IX - n. 93 - febbraio 1987

so»), dopo una confutazione dialettica dell'identificazione plotiniana di male e «materia» che viene criticata alla stregua di un dualismo irrazionalistico, Proclo giunge alla conclusione che racchiude lo statuto ontologico del male nel concetto di «quasi-esistenza» (parypòstasis). Il modus essendi del male consiste in definitiva nell'assenza di una derivazione diretta dalla Causa «principale» e nel mancato riferimento ad un fine ultimo della «ragione» del proprio essere. L'essere appartiene al male «per accidente» e in forza del bene da cui, come suo «sub-contrario», esso trae la sua potenza e il principio della sua attività (III, par. 49-54). Cf è quindi un' «ambiguità» ontologica del male, ed è proprio essa che si ritrova, con un'accentuazione del suo tratto «spaesante», nel celebre trattato di Schelling intitolato Ricerche su~'essenza della libertà umana (1809) che, insieme alle Lezioni di Stoccarda tenute nel 1810 di fronte ad un ristretto gruppo di uditori ed amici, costituisce uno dei momenti più alti e decisivi del riapprofondimento «moderno» del problema ereditato dalla tradizione della filosofia greca e medioevale. Nel tentativo di formulare una definizione compiuta del «sistema della libertà», in un progetto che al di là della pur feconda contaminazione mistico-teosofica ci appare oggi (dopo la fondamentale interpretazione di Heidegger che al trattato schellinghiano dedicò un corso universitario nel 1936) in tutta la sua radicalità onta-teologica, Schelling s'imbatte nella necessità di ripensare a fondo la categoria del male che, nell'ambito di ogni ricerca metafisica in quanto pensiero dell'essente-in-totalità, non può che apparire come l'elemento tendenzialmente «frantumante» il Sistema, come il dià.:bolos che attenta al legame dell'essere e del suo fondamento. Dell'inesauribile ricchezza di temi che anima l'opera, ci limiteremo qui a prendere in considerazione iì problema della definizione ontologica del male così come essa viene riformulata da Schelling. In questa sfera, ciò che di primo acchito colpisce è l'accento posto sulla positività ontologica con cui si manifesta il male. «Il fondamento del male - scrive Schelling - non può consistere affatto nella mancanza o nella privazione». Se da ciò potrebbe sembrare che Schelling, sottraendo la negatività del male al suo «svanire» in mera «negazione logica» (F. Costa), si distanzi radicalmente dalla linea dominante e da uno dei presupposti essenziali della filosofia precedente, tuttavia ad uno sguardo più attento non sfugge come nella sua teorizzazione permanga un forte elemento di ambiguità che ricomprende infine l'elaborazione entro la decisione teoretica originaria della Ragione pensante il male. La portata delle difficoltà inerente al problema si può scorgere da quanto scrive Schelling in un passo delle Lezioni del 1810: «Il difficile, la croce di ogni filosofia, sta appunto nell'indagare l'essenza del non-essere [... ]. Il male è nel mondo morale quel che è la malattia in quello corporeo: considerato da un lato è il più radicale non-essere, e tuttavia ha una terribile realtà». Da una parte, quindi, il male è un nulla, dall'altra, un essere estremamente reale. Schelling tematizza in questo modo una figura ontologica dell '«oscillazione» tra essere e non-essere, di una relativanegatività capace di apparire ed «essere» come la più terribile delle realtà. Essere-del-nulla, positività-del-negativo, essere-della-negazione - in queste formule può essere condensata l'irriducibile paradossalità del male e la cifra inospitale, straniante, della regione che il pensiero, tentando di «misurare» il paradosso, si trova a percorrere. Ma, in che modo si configura l'essere di qùesto «nulla», di questo «dio invertito», come si esprime Schelling, che è il male? Come si scorge da numerosi brani, ciò che balza in primo piano è la natura «famelica», «parassitaria» ed «egoistica» che caratterizza l'ingresso del male nel dominio del1'essere. In ciò esso si presenta come un'inquietante mescolanza di potenza e impotenza. «Il male infatti - scrive Schelling - non è appunto altro che il relativamente non-essente che si erige a essente e allontana così il vero essente». Esso è dunque !'«usurpatore» dell'essere che, come non-essente, «vuole» essere un essente. Attraverso questo pòlemos si compie il rapporto tra il bene e il male che, secondo il nuovo teorema schellinghiano per cui «senza lotta non c'è vita», garantisce la mobilità dell'Intero. In tal modo, però, viene anche affermato che solo nella forma della lotta e dell'opposizione si può manifestare l'aspirazione ontologica, la «fame» d'essere del male, volontà che dal fondo della sua origine eredita la sua necessaria impotenza e la sua ineluttabile caduta. Il male,, in def+nitiva, non è una realtà in sé, ma si fa realtà solo nell' «avvelenare» ciò che realmente è reale. Riprendendo quasi letteralmente un'espressione dell'amico teosofo F. van Baader, Schelling scrive che il male «non è mai, ma sempre vuol essere». Così, proprio per la coessenziale negatività, esso «non può arrivare a realizzarsi, e serve semplicemente come fondamento, affinché il bene, svolgendosi da esso per forza propria, sia una realtà indipendente». Con ciò si scorge che, al di là di un apparente rovesciamento delle tesi conclusive di Proclo, Schelling è da ultimo ripiegato sul paradigma della «dialetticità» del male. Questo emerge con evidenza ancora maggiore dal passo in cui il male viene definito come una «contraddizione che si consuma e si annichila in se stessa», tema questo che viene oggi ridiscusso da Cacciari in un densissimo capitolo del suo più recente lavoro dedicato alla figura «scandalosa» dell' Apocatastasi e al rapporto tra il male e la dimensione dell'éskaton. Seguendo il movimento di quella che gli appare come un'«inviolabile logica», Cacciari scrive che «[... ] male e peccato non possono sussistere, non detengono alcuna reale sussistenza, poiché quel movimento, quella logica in base a cui si auto-annullano è da sempre, è il loro proprio fin dalla prima caduta. Non ha perciò alcun senso affermare che [... ] il male è destinato a nulla, poiché il male è costitutivamente nulla, null'altro che la determinazione dell'essere che s'annulla non appena considerata [... )» (p. 128). Si compie così, nel segno di una «necessità di tipo logico-gnoseologico», la meditazione classica sull'ontologia del male. Sembra così da ultimo che, posta di fronte al male, la Ragione sia giunta come al bivio in cui decidere della fedeltà a se stessa così come dell'accettazione della sua estrema impossibilità. Riconoscere la «tremenda» realtà del male, al di là di ogni rimozione od oblio contro cui urla la sofferenza delle vittime, è possibile al lògos solo nell'affermazione di un essere-delnulla che, come tale, risospinge l'intera concettualizzazione nel dominio dialettico centrato sulla strategia dell'auto-contraddittorietà e dell'auto-negazione. Con ciò il pensiero classico ha celebrato il suo fasto e la sua capacità di porsi all'altezza dell'irrazionale. Di contro a questo, solo ad un orientamento radicalmente «aperto» alla prospettiva dell'annientamento del «senso», il male potrebbe apparire in tutta la sua carica distruttiva come «insensata» potenza della negazione. Ma qui, nella contemplazione di questa negatività irrelata, senza residui absoluta, resterebbe soltanto lo spazio per il silenzio di una stupefazione orripilata. Stupore, questo, paralizzante, di cui si avverte l'incombere nelle parole di Cioran che, reintroducendo nel secolo di Auschwitz la lucidità dell'antica disperazione gnostica e della sua carica «perturbante», giunge ad un estremo rovesciamento della tradizione ontologica del male: «Il bene è ciò che fu o sarà, ciò che mai è [... ], non può essere ·attuale né esistere di per sé [... ]. Tutto prova la sua insostanzialità; è una grande forza irreale [... ]. Poiché il male presiede a tutto ciò che è corruttibile, ossia a tutto ciò che è vivente, è ridicolo il tentativo di voler dimostrare come, rispetto al bene, contenga meno essere, o addirittura non ne contenga affatto» (pp. 11-12). L a formula, piuttosto incon- animano la scienza contempora- costttuisce qualcosa di metastori- mente positiva e rassicurante dal malica corrisponda, in modo sueta, della trascrizione fede- nea ci verrebbe spontaneo con- co f. ..] Nessuna teoria può venire momento che siamo pienamente pressoché speculare, la capacità le di un dialogo-dibattito «a trapporre uno tra i più significati- giudicata rigorosa in astratto; essa coscienti che progresso scientifico che ha la matematica stessa di potre voci», svoltosi «dall'autunno vi dei Pensieri di Blaise Pascal, il infatti meriterà il titolo di scienti- vuole ormai dire anche, inevita- tenziare l'esperimento, cioè di sadel 1985 alla primavera del 1986» filosofo e lo scienziato che fu te- fica solo rispetto alle esigenze di bi/mente, potentissime tecnologie perne trarre la maggiore informa- (che occupa gran parte del libro, stimane diretto del formarsi del rigore accolte in una determinata che sempre più sollecitano un no- zione possibile» (pp. 84-85). costituito anche da due saggi scrit-. pensiero scientifico moderno: «li epoca, che possono essere note- stro impegno globale, che sia an- Pur condividendo pienamente ti rispettivamente da Geymonat e cuore ha ragioni che la ragione va/mente diverse da quelle accolte che etico, politico e filosofico. l'opinione che l'impresa scientifiGiorello e da un'appendice di Fa- non conosce» (277). Con queste in un'altra epoca» (p. 7). li testo di Geymonat e Giorello, ca, per il suo altissimo potenziale bio Minazzi sullo storicismo parole Pascal non solo esortava a In secondo luogo, le afferma- però, come si è detto, vuole man- predittivo e conoscitivo, costituiscientifico), unita all'importanza ricordare che la razionalità scien- zioni scientifiche non sono più tenere alla scienza un ruolo assai sca in qualche modo il momento ed all'attualità del contenuto, fan- tifica non esaurisce l'intera sfera considerate, seguendo un ideale più fondamentale, quasi di «gui- estremo della razionalità e della no di questo testo, già atteso con della «significatività», del Logos, cartesiano che oggi ci appare trop- da» per gli altri aspetti della razio- significatività, vorremmo però grande interesse, una lettura coin- ma sottolinea come essa non sap- po semplicistico, come verità pun- nalità umana. Seguendo la strada concludere esprimendo una certa, volgente e piacevole. pia nemmeno comprendere e co- tua/i, assolute, immediatamente aperta da Galileo, secondo cui la possibile cautela verso quegli atAl di là delle divergenze di api- nascere quanto di tale orizzonte evidenti, ma sono costituite da natura è un libro scritto in /in- teggiamenti, di derivazione vaganione e delle convinzioni contra- di senso le risulta esterno, né pos- «dati» che necessitano di una guaggio matematico, gli autori mente positivistica; che tendono a stanti, risulta evidente che Mae- sa quindi costituire per esso un «'messa in relazione' con altri da- tengono infatti a sottolineare la porre nel «rigore» e nel formalistro e Allievo concordano piena- modello illuminante. ti» (Geymonat, p. 117), devono grandissima importanza svolta smo matematico un valore assolumente su alcune questioni centrali Certamente le «ragioni» che ha subire una riorganizzazione che dal supporto matematico-teorico to, oltre che degno di essere esteconcernenti la scienza e la filoso- oggi la scienza da proporre alla «assume il carattere di una inter- che contraddistingue ogni discor- so, quanto più possibile, anche a fia che di essa vuole occuparsi. nostra riflessione sono ben diverse prelazione - una sorta di erme- so scientifico, anche là dove la discorsi «non scientifici»; non va Motivo dominante del testo ri- e ben più simili alle «ragioni del neutj,ca che, lungi dall'escludere suddivisione tra formalismo teori- infatti dimenticato che ogni «damane la fiducia nella grandezza e cuore» di quanto non supponesse certe 'domande' come 'prive di si- co e sperimentazione pratica si fa to» utilizzato nella costruzione nella validità del/'«impresa scien- Pascal. gnificato', mira invece a riqualifi- meno netta (così accade nel di- scientifica è «innalilzitutto e per lo tifica»: la sdenza non solo assume In primo luogo infatti è sempre carie comprendendone le motiva- scorso di Giorello, il quale sostie- più» un evento che ha già in sé un inevitabilmente di fatto un ruolo più largamente riconosciuta e va- zioni» (Giorello, p. 89). ne da un lato che «la matematica suo significato, che è già da semcentrale nello sviluppo della civil- lutata «l'intrinseca e ineliminabile Le «ragioni della scienza'»paio- stbsa abbia una natura 'quasi em- pre collocato nella più vasta sfera tà occidentale - essendo sempre storicità dell'impresa scientifica» no quindi sempre più chiaramente pirica' proprio perché una dimo- della razionalità e della significa- ~ più intrinsecamente legata al pro- (p. 96). Ed essa è ritenuta tale non essere anche «ragioni» storico-ar- straziane matematica, almeno a tività, che non può dunque, nem- ~ gresso tecnologico - ma, grazie al- solo e non tanto perché i suoi ri- gomentative, consegnate a quello livello preformale o informale, è meno in linea teorica, lasciarsi to- -~ la sua stessa metodologia, assume sultati appartengono ad un qual- stesso divenire di tradizioni ed in- qualcosa di molto simile a un talmente inglobare nell'unico, per ~ di diritto una sorta di «ruolo-gui- che contesto storico specifico non- terpretazioni nel quale si dà anche esperimento mentale che mira a quanto importante, carattere della ~ da» per proporre un esame critico ché contingente, ma soprattutto il pascaliano esprit de finesse, a esplicitare sotto che condizione scientificità. ....... anche delle strutture fondamentali perché le sue stesse strutture non cui la scienza appare perciò oggi, valgano i lemmi impiegati, a sco- -9 di alcune peculiari «regioni» del- costituiscono una atemporale ra- almeno per alcuni aspetti, assai vi- vare dei controesempi, a miglio- Ludovico Geymonat 1 l'espressione umana, quali cultu- zionalità scientifica: posto, con cina. rare le congetture originarie otte- e Giulio Giorello t ra, economia, etica, religione. Geymonat, che il carattere princi- Si potrebbe pertanto asserire, nendo dei teoremi che inglobano Le ragioni della scienza ~ Al sincero entusiasmo che spin- pale presente nella scienza sia il parafrasando Pascal, che «sempre nella loro formulazione stessa le con la partecipazione e un saggio ~ ge Ludovico Geymonat e Giulio rigore -· o la ricerca del rigore - meno ragioni ha il cuore che la eccezioni alla congettura primiti- di Fabio Minazzi S Giorello ad indagare e dibattere dovremo anche ammettere con lui ragione non conosce» ed è questa va», d'altro lato che «a questa na- Bari, Laterza, 1986 ~ m quest'ottica le «ragioni» che che «tale caratterizzazione non certamente una massima assoluta- tura 'quasi empirica' della mate- pp. 256, lire 23.000 ~ '---------------------------------------------------------------------------'~

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