Alfabeta - anno IX - n. 93 - febbraio 1987

■Novità Marsilio Enrico Crispolti IL FUTURISMO E LA MODA Le stoffe, il vestito da uomo, il vestito da donna, gli accessori, il costume teatrale nell'opera di Balla e degli altri futuristi Grandi libri, pp. 280 con 180 ili. a col. e 180 b/n, rilegato, L. 75.000 Paolo Maretto LA CASA VENEZIANA Nella storia della città dalle origini all'Ottocento Mille anni di architettura domestica per riconoscere l'immagine autentica di Venezia Grandi libri, pp. 624 con 48 ili. a col. e 620 b/n, rilegato, L. 130.000 B. Chardère G. e M. Borgé I LUMIÈRE L'invenzione del cinema: a cent'anni dalla sua scoperta la prima biografia dei fratelli Lumière Tra cinema e fotografia le immagini di una tecnica che si rivela arte Grandi libri, pp. 208 con 5 ili. a col. e 180 b/n, rilegato, L. 60.000 • G .A. Cibotto LA VACA MORA Una /avola ruzantesca nella Venezia del dopoguerra Novecento, pp. 212, L. 15.000 Demostene PROCESSO A UNA CORTIGIANA (CONTRO NEERAJ Libere e schiave, signore e prostitute: le vere donne della società greca antica a cura di Elisa Avezzù con testo greco a fronte Il convivio, pp. 176, L. 14.000 Ovidio RIMEDI CONTRO L'AMORE La risposta all'ars amatoria: come guarire dal male d'amore a cura di Gian Biagio Conte e Caterina Lazzarini con testo latino a fronte Il convivio, pp. 184, L. 14.000 J eanne des Anges AUTOBIOGRAFIA Il punto di vista dell'indemoniatl!, La straordinaria testimonianza di una monaca del Seicento posseduta dal demonio a cura di Mino Bergamo Il corpo e l'anima, pp. 232, L. 15.000 Sergej M. Ejzenstejn IL MONTAGGIO Il quarto volume delle «Opere scelte» a cura di Pietro Montani Cinema, pp. 320 con 120 ili. b/n, rilegato, L. 45.000 Werner Szambien J.-N.-L. DURAND IL METODO E LA NORMA NELL'ARCHITETTURA Alle origini del «moderno» i fondamenti del neoclassicismo Polis, pp. 400 con 181 ili. b/n, L. 44.000 SARIN Censis CULTURA DELL'INFORMAZIONE E DOMANDA TELEMATICA Il primo rapporto sulla situazione italiana Telematica, pp. 128, L. 25.000 poeta nella penultima decade dell'Ottocento, la più travagliata se non la più feconda di un secolo, poetico più di ogni altro. E di questo travaglio egli non ha saltato nessuna tappa, riuscendo anzi a percorrere in un così breve tempo l'accidentato cammino che dalle ultime costrizioni del Parnasse conduce alle prime sperimentazioni delle potenzialità ritmiche ed emotive del verso libero. Decadente e simbolista nonché membro dell'esclusivo cenacolo modernista degli «Hydropathes» ( e lì trovò la stima e il sostegno che gli permisero di non perdersi prima nella noia quotidiana), Laforgue riuscì ad essere tutto ciò che poteva essere chiunque si avvicinasse alla poesia in quegli anni. Eppure nessuna di queste etichette riesce a collocare il poeta in una qualsiasi tipologia letteraria che non sia grossolanamente superficiale. Essere di fuga («Oh! come sono cari i treni perduti / Dove ho passato la vita rischiando di imbarcarmi!... »), egli ha lasciato nella poesia francese le tracce labili del suo difficile incontro con le cose e le persone. Impatto ridotto all'immagine di un punto di tangenza, la sua presenza corre inafferrabile lungo un asse in continuo sviluppo nella sua reiterata impossibilità a scontrarsi contro qualcosa di concreto a cui aggrapparsi per potervisi fermare, costruire ( Celibato, celibato, tutto è solo celibato). Molte delle incomprensioni, delle reticenze che Laforgue suscita ancora oggi trovano la loro origine nei vuoti così aperti, nel senso di vertigine che essi procurano («Questo mondo è ben piatto; e quanto all'altro, bubbole. Io seguo rassegnato la mia sorte, e di~ spero, I E aspettando la morte, per ammazzare il tempo, / Fumo in faccia agli dei sigarette di lusso»). Ma c'è chi della vertigine subisce il fascino - il più famoso dei quali fu in questo caso T.S. Eliot che da Laforgue imparò a «trasmettere segreti, a confessare attraverso il personaggio di disfatta la sua disperazione». In Italia se ne sono occupati pochi: Ivos Margoni (Laforgue, Poesia e prose, a cura di I.M., Mondadori) e ora Enrico Guaraldo, ottimo traduttore e commentatore dell'ampia raccolta di poesie recentemente pubblicata dalla Biblioteca Universale Rizzoli. Per il lettore si tratta di una felice occasione di scoprire o riscoprire il poeta presentato nei suoi sfaccettati risvolti («[... ] l'emblematicità [decadente] attribuita al microcosmo di questo scrittore non giova alla sua comprensione: se dapprima esso può parer falsamente costituito da stereotipi, ci s'avvede poi di quanto sia mobile e, nella mobilità, magari ostile al lettore; e non piace, oppure attrae ma per una sfuggenza, che resta d'altronde sensazione inesplicabi~ le») con la giusta complicità di chi non si lascia trascinare dalla propria disponibilità all'oggetto di studio. L'introduzione ~ i commenti a piè di pagina forniscono gli strumenti più immediatamente funzionali ad un primo approccio all'opera rispettata in ciò che vi è di più peculiare: il fragile equilibrio dei suoi difficili compromessi, delle sue impercettibili sfumature. Un filo conduttore lega l'insieme dell'apparato critico sorretto da una chiave di lettura assai convincente nel suo riallacciarsi ad una lontana origine infantile, il traùma della separazione che impose il suo modello all'insieme dell'esistenza che mai riuscì a rimarginarla («Posso morir domani e non ho mai amato. / Mai labbra di donna le mie labbre han toccato, / Nessuna mai ·mi ha offerto, in uno sguardo, l'anima. / Nessuna mi ha tenuto stretto al cuore nell'estasi»). Iscrivendo l'opera sotto il segno di una feconda quanto sofferta pregenitalità, Guaraldo· sottolinea il carattere malinconico della quete che spinse il poeta nella folla anonima dei Compianti (1885), nel mondo marginale e esiliato dei «passanti» ai quali per primo Baudelaire aveva fatto varcare il confine che li teneva lontani dalla scena della rappresentazione. Echeggiano in questi componimenti venati da una sottile ironia i ritornelli delle canzoni popolari legate all'infanzia, i ritmi sapientemente cadenzati e ansimanti di una quotidianità sofferta e derelitta («Udite, nel fisico e pure nel morale,/ io sono solamente una colonia / Di cellule casuali; e quel signor che chiamo/ lo, è solamente, dicono, un fatale polipaio!») E nulla cambia nelle raccolte successive, che si tratti dell'identificazione con i disincantati e sterili Pierrot de L'imitazione di Nostra Signora la Luna secondo Jules Laforgue (1886) o della spietata scansione delle Domeniche nei Fiori di buona volontà («Fuggire? e dove andare, in questa primavera? / Fuori, domenica, niente da fare ... / Niente da fare nemmeno dentro casa ... / Oh! Niente da fare sulla Terra!. ..). Un pessimismo sempre acuto restringe le pareti di un uniNell'arco di cent'anni, il liquido, il design, il logotipo, il contenitore, gli slogan pubblicitari hanno declinato parallelamente loro storie specifiche, formando una griglia aperta a riferimenti simbolici e immaginari flessibili e pressoché universali. Se si vuol decidere se 155 milioni di persone consumano Coca Cola perché la Multinazionale ha invaso il mondo grazie alle sue strategie massmediatiche, o viceversa, si è nel bel mezzo dell' «indecidibilità» di un mito che si autorinnova rarefacendo sempre più la sua connessione con se stesso. Paradosso o potenza di un mito? Jean-Pierre Keller, studioso svizzero di sociologia dell'arte e analisi dell'immagine, analizza minuziosamente i vari elementi che hanno consentito il successo della Coca Cola, mostrandoci , come proprio il paradosso, cioè lo scarto del processo razionale di produzione capitalistico che ha, invero, permesso la sua diffusione mondiale, sia proprio il punto di soglia della effervescenza mitica della Coca Cola, che aleggia nell'immaginario astratto di tanti popoli e tante genti diverse e, talvolta, anche contrapposte. Ricchi e poveri, occidentali e orientali, reazionari e rivoluzionari, uomini potenti e gente comune, LaGola2 Nuova serie Mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale 84 pagine a colori, Lire 7.000 In questo numero: Salomè Brillat-Savarin A. Greirnas Design alimentare (Concorso) Il naso a fumetti Formaggio. ricette di Piccinardi Abbonamento per un anno ( 11 numeri) Lire 70.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2. 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Edizioni Intrapresa verso chiuso fin dall'inizio («Mio padre [un duro per timidezza] I È morto con un profilo severo / Mia madre quasi non l'avevo conosciuta I E dunque sono rimasto sui vent'anni»). L'unica via di uscita rimasta al poeta che in questo modo riscatterà quanto di coatto ci poteva essere in una tale tematica sarà appunto la scoperta e la sperimentazione delle virtù liberatorie del verso libero «O fanfare nella sera I Sarà barbaro/ Sarà senza pietà». J. Laforgue Le poesie a cura di Enrico Guaraldo Milano, Rizzoli, 1986 pp. 365, lire 9.500 Cento anni di Coca Cola Salvo Vaccaro Celebrare il centenario di un mito può sembrare un paradosso: giacché il mito della Coca Cola si è negli anni distanziato progressivamente dall'oggetto Coca Cola in quanto tale, bevanda semi-misteriosa inventata giusto nel 1886 da un farmacista del sud statunitense. tutte omogeneizzate di fronte al consumo della Coca Cola, come di fronte al Dio del Giudizio Universale. Il paradosso alimenta una incredibile macchina mitica che sembra eternarsi ben al di là delle vicende, economiche, politiche, estetiche persino, sociologiche che attraversano tutta la dimensione Coca Cola, in ciò presentandosi come una spia significativa della combinazione a tre poli, razionale, irrazionale e arazionale, che costituiscono le regole del gioco di questa nostra incredibile vicenda esistenziale. Jean-Pierre Keller Il mito Coca Cola Milano, Elèuthera, 1986 pp. 196, lire 15.000 I Pasos di Lope de Rueda Silvia Monti Enrica Cancelliere propone in traduzione italiana le dieci farse di uno dei più importanti uomini di teatro del Cinquecento spagnolo, il «gran Lope de Rueda», come lo definisce Cervantes, che ricorda di averlo visto recitare e che ne traceia una breve biografia nel prologo alle Ocho comedias. Autore, attore e capocomico, il sivigliano •Lope de Rueda viaggia incessantemente per la Spagna con la sua compagnia, adattando il suo articolato repertorio a feste sacre, profane e di corte. Accanto a un ridotto numero di commedie di tipo italiano e di colloqui pastorali del genere delle representaciones di Encina, i pasos costituiscono la ,parte più interessante di ciò che ci è pervenuto della sua produzione, pubblicata postuma dal famoso editore-scrittore valenzano Juan de Timoneda. Paso era nella Spagna del Cinquecento una breve rappresentazione comica che metteva in scena personaggi e motivi delle classi subalterne, con una singolare vicinanza di temi e linguaggi al mondo della Celestina e della picaresca. Di quest'ultima i pasos di Lope de Rueda condividono il motivQ.della fame e dei ripetuti intenti di soddisfarla passando attraverso l'inganno. Nel saggio introduttivo, la curatrice sottolinea opportunamente come i tre poli intorno a cui si articolano le dieci farse di Rueda - fame, sesso, inganno - entrano in un rapporto di circolarità continua, sostituendosi l'uno all'altro in piani di lettura diversi ma compresenti e sempre possibili. Lo si vede fin dal primo testo, I servi, in cui al postribolo, dove i due protagonisti hanno passato la giornata, si allude attraverso la metafora della pasticceria o casa delle frittelle, e la soddisfazione dell'appetito sessuale è evocata dalla descrizione di una incontenibile abbuffata. La comicità si fonda in primo luogo su presupposti ideologici che disegnano un mondo alla rovescia in cui furto, inganno, violenza, ozio e gola diventano valori positivi, e in cui il mondo degli emarginati imita cortesie e ipocrisie delle classi dominanti, ma lo fa con continue spie che lasciano spazio al riso. Tuttavia non sono solo le classi sociali elevate o le grandi istituzioni dell'epoca, Chiesa e Monarchia, ad essere sbeffeggiate. Uguale trattamento viene riservato anche a negri e mori, o meglio, moriscos, la cui presenza in scena è sempre fonte di comicità. Da questa mappa umana scaturisce il comico di carattere in una sfilata di personaggi in parte prevedibili, ma sempre reinventati con grande libertà e senso scenico. Servi, padroni, soldati, ruffiani, prostitute, medici ignoranti, studenti ... sono autori o vittime delle beffe che costituiscono la struttura diegetica della farsa, con ripetuti scarti che configurano di nuovo una circolarità di rapporti, in cui colui che ordisce la beffa ne diventa vittima e viceversa. È evidente che al linguaggio verbale, straordinariamente ricco di registri e denso di allusioni, e al sottotesto mimico era affidata la resa di questo mondo di ambiguità e insicurezza. La traduzione, per forza di cose, non ne restituisce che una pallida traccia e la mancanza del testo a fronte priva il lettore specialista di un rapido quanto proficuo riscontro. Supplisce, almeno in parte, una copiosa annotazione che si sforza di chiarire il gioco dei doppi sensi e delle allusioni, e presta particolare attenzione alla ricostituzione del sottotesto fisico-gestuale, proponendolo come parte rilevante dell'evento teatrale, dotato di una sua propria articolazione di senso e di un suo ritmo parallelo rispetto al testo verbale. Lope de Rueda I Pasos Introduzione, traduzione e note a cura di Enrica Cancelliere Roma, Bulzoni, 1986 pp. 190, lire 18.000 'O ....... <::s .5 ~ c:i... t--... ~ ....... <:) ·- <::s ... .J::) .J::) ~ ~ I:! <::s - ~ .J::) ~ il - <::s

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