Alfabeta - anno IX - n. 92 - gennaio 1987

- - • Cr1stocentr1smo Marco Ravera Josephde Maistrepensatore dell'origine Milano, Mursia, 1986 pp. 149, lire 30.000 Cf è una sorta di riproposta dell'inattualità nel pensiero tragico che si rivela anche nella scelta degli autori che vengono presi come punti di riferimento; si tratta di una sorta di ricostruzione di una tradizione «altra» rispetto a quella che costituisce il canone della storia della filosofia, quella sorta di canone che spesso, con una certa ovvietà, trapassa nei manuali di filosofia, per il quale Hegel anche per chi non ha simpatia nei suoi confronti ha più rilievo di Schelling, il pensiero sistematico, o comunque configurantesi nelle categorie della tradizione filosofica, ha più peso o perlomeno ha un rilievo più definitivo di quelle riflessioni, di quei depositi speculativi che sono affidati alla letturatura o al testo poetico. Questo tentativo di rivoluzionare, di sconvolgere l'apparato categoriale della tradizione filosofica, la sua storia, ha una radice diversa dal postulato per il quale normalmente il pensiero filosofico tende a configurare a sua immagine la storia che lo precede, a ricostituire attraverso aggiustamenti e riformulazioni, secondo un nuovo volto, un proprio passaggio per leggere, in questo ricomposto apparato concettuale, la propria legittimità. In effetti il pensiero tragico tende ad interrompere l'autonomia della filosofia in quanto tale. Esso tende ossia a limitare l' h,ybris del pensiero attraverso un'ipotesi ad esso estranea, a fermare il divenire della riflessionè attraverso il suo riferirsi a un'ipostasi morale e/o religiosa. Si tratta dunque di un pensiero che rende edotti dei limiti della ragione, come mostra Marco Ravera nel suo recente volume su Joseph De Maistrepensatore dell'origine, nel quale la scelta di un autore remoto dal dibattito filosofico corrente si connette proprio con il tentativo di ridurre le pretese accampate dall'autonomo dispiegarsi della riflessione, una decisa, sia pur tacita, presa di posizione nei confronti dell'hegelismo e della sua eredità storicistica che si compie nella riflessione ditlheyana e _quindigadameriana intorno allo spirito oggettivo e ai contenuti in esso deposti. La peculiarità del libro di Ravera sta tuttavia nel fatto che il distacco dalla filosofia della riflessione viene argomentato in termini ermeneutici, entro quel medesimo orizzonte dunque entro il quale si colloca la ripresa della tematica hegeliana dello spirito oggettivo. Proprio per questo motivo si può porre più agilmente e con maggior cogenza nei suoi confronti una questione che sembra coinvolgere nel suo complesso la recente ripresa della tematica del tragico nell'ambito del dibattito filosofico italiano. È possibile cioè che un pensiero che limita l'hybris della riflessione appellandosi allo scandalo, al paradosso del sacrificio del Cristo, non reifichi e consumi quel paradosso proprio con il richiamarlo, col renderlo presente, appellandosi come a un'ipostasi che rende al tempo stesso vano e colpevole l'autonomo sviluppo della ragione, del sapere e in particolare di quello filosofico in quanto esso porta a consapevolezza gli orizzonti di senso entro i quali viviamo? Non vi è forse nello storicismo e nell'ontologia ermeneutica una consapevolezza maggiore di questo rischio, laddove essi tacciono di un'origine per volgersi ai resti, alle tracce, al divenire di una tradizione che riconiuga i suoi significati come se essi restituissero un significato mai compiutamente consumabile? Si tratta di un atteggiamento per molti versi affine a quello del Nietzsche intermedio, del Nietzsche «europeo» volto a una genealogia non svalutante, bensì avvalorante ciò di cui si è conosciuta l'origine. Laddove Nietzsche, per esempio, afferma (cfr. Opere, Iv, III, p. 334) che la scoperta dell'origine umana dei valori non costituisce una loro degradazione, piuttosto li promuove ad un nuova dignità, in quanto viene così restituita «l'opera dei vostri padri e dei vostri avi», non vuole probabilmente compiere un'opera d'ingenua laicizzazione della storia della cultura; egli sembra piuttosto attenersi al signiI I j I ' I I I ) !I/ Il 111 i I I I .1 -~ - I I 111 1 l j' I I Il' /1 (r~.:__---- .l/:1: ~~./1·/1'\ Vt\ , '-:S--- ..,... I r 1111 il jl ~,;,i , ,•'/I' I /I I I jJ =•, ~--". • ~~'-1~101I~ /. I / ·"'~ l \ Federic Vercellone ficato secolarizzato dei valori di quest'ultima, al loro costante essere in perdita, per così dire fluidificati rispetto alla loro origine ma pertanto e proprio pertanto più cogenti. Da questo punto di vista il lavoro della memoria, dal punto di vista scientifico, il procedere ermeneutico si prospetta piuttosto come una sorta di abitare nella e la secolarizzazione che come il compito di ritrovare un sapere originario, di ricondursi ad una Parola che il divenire storico, in quanto divenire nella colpa tende, sia pure mai definitivamente, a cancellare. Proprio quest'ultima è la posizione di Maistre, così come essa viene, con molta penetrazione, presentata nello studio di Ravera: «l'uomo [... ] al di là, della decadenza, al di là del falso sapere della ragione individuale, non deve dimenticare il bisogno di ricollegarsi al suo principio, fonte di quel sapere e di quella verità nelle cui tracce residue la ragione 'intuitiva' scorge, ed indica all'uomo, la via del ritorno» (p. 140) e ancora: «Conoscere veramente [... ] è conoscere in quella luce che ci è partecipata da Colui che è supremamente conoscente [... ]. La rappresentazione del Creatore è alla base di ogni atto di libertà e di conoscenza dell'intelligenza creata, ma non come vuota astrazione dell'intelletto bensì come atto vivente di adesione, come amore per la 'dolce catena'» (p. 141). Questa immagine della «dolce catena» che costituisce il culmine di quella che viene definita la «strada del ritorno», del ricongiungersi della creatura caduta al Creatore, costituisce in realtà, dal punto di vista euristico e da quello della presa di campo filosofica, una sorta di avvio. D a questo punto di vista assume infatti compiutamente il suo spessore questa lettura che ci rende un Maistre inedito, estraneo a quella tradizione interpretativa che culmina in Italia con Omodeo e tende a mettere da parte la dimensione propriamente religiosa del pensiero maistriano. Il tradizionalismo di Maistre si prospetta invece, in quest'ottica, in tutta la sua portata religiosa. La tradizione, entro quest'orizzonte, non salda il presente al passato nel continuum della trasmissione storica; «la tradizione, non semplice e statico permanere della verità nel tempo ma richiamo all'origine e alla sede, quindi, del rinnovamento rigenerante della temporalità, attraversa il tempo della caduta senza identificarsi in alcun modo con esso, e offre anzi all'uomo, a quell'uomo che pensosamente la interroghi, l'unica vera possibilità di un dialogo autentico col tempo, non più irrigidito e cristallizzato nella meccanica delle sue tre dimensioni; queste anzi sfumano come dimensioni del tempo 'falso', e la storia e il tempo, partecipi della negatività ontologica del male, non appaiono se non come una parentesi tra due rivelazioni» (p. 143). La dimensione «rivelativa» e non semplicemente «espressiva» del pensiero di Maistre, secondo le categorie che Ravera mutua dal pensiero di Luigi Pareyson, si rivela a questo riguardo in tutta la sua portata. Questa concezione della tradizione si salda e dipende dal fondamentale cristocentrismo del pensiero maistriano: dal punto di vista di Maistre infatti il sacrificio di Cristo compendia e rende perspicua l'intera storia delle religioni. Si tratta cioè dello scandalo della colpa nei confronti degli innocenti, scandalo che. viene profondamente indagato nelle pagine pareysoniane dedicate alla Sofferenza inutile in Dostoevskij, e che viene riproposto in questo studio su Maistre per delineare l'immagine di un Dio partecipe dello stesso dramma umano, sino a identificarsi con esso per riscattarlo. Da questo punto di vista, grazie all'esempio del sacrificio divino, alla sofferenza del giusto e dell'innocente viene restituito un senso. Si tratta infatti di accogliere l'esempio della croce per aprire la via alla reversibilità, a quella via del ritorno del quale la tradizione costituisce il tracciato. Questo fondamentale cristocentrismo si fonda su di una teologia della storia di ascendenza patristica e agostiniana, ove il tempo, la storia vengono visti come «scisma dall'essere», come caduta, oblio e negatività dai quali tuttavia è possibile risalire verso l'origine perduta. Tuttavia, dal punto di vista della caduta, del cieco attenersi al piano orizzontale della caduta e della storia (piano che reca con sé molti altri termini omologhi, tra i quali qui è possibile ricordare per la sua attualità nel dibattito ermeneutico soltanto la scrittura nella sua natura di doppio fallace della parola vivente), diviene impossibile individuare la via del ritorno. La caduta non costituisce infatti soltanto una caduta ontologica, ma anche una caduta gnoseologica, per esprimerci in termini che sono tuttavia lontani dal pensiero maistriano ove i due piani sono inscindibili. Si potrebbe anzi affermare che il sorgere della gnoseologia come autonoma disciplina e riflessione, costituisce uno di quei fenomeni dell'hybris della ragione che essa tende a correggere. La caduta infatti produce l'illusione di una conoscenza indipendente, libera di ogni portata ontologica, ma proprio perciò cieca di fronte alla realtà del male e della sofferenza, illuministicamente fiduciosa. È proprio il piano di questa orizzontalità che viene contestato da Maistre per ricondurci alla modalità peculiare nella quale nel suo pensiero si configura la portata ontologica del conoscere. Sembrerebbe di essere rimandati, anche se l'autore di questo studio prudentemente non si pronuncia in termini così espliciti a questo proposito, a un anomalo configurarsi del circolo ermeneutico. Ogni conoscenza, in quanto si colloca nell'orizzonte della finitezza e della storia, rimanda a quell'Altro da sé che la illumina e le dà consistenza; il finito rimanda così all'infinito mentre, d'altro canto, l'infinità rimanda al finito nella sua tensione salvifica. Il circolo tuttavia non è in questo caso vizioso; esso rimanda infatti, tende ed è diretto al proprio superamento: «il tempo infatti 'non chiede che di finire' e anela al grido dell'angelo dell'Apocalisse che ne annuncia l'avvenuta consumazione» (p. 143). l H. de Malvost, Messa nera dell'abate Guibourg in onore di Madame de Montespan, incisione, in J. Bois, Le Satanisme et la magie

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