Alfabeta - anno IX - n. 92 - gennaio 1987

che modo esiste tra la scuola europea e americana, ma che non era visibile in quel tempo. Allora Jakobson ha proposto questo tennine. Eravamo quattro a decidere, insieme a Lévi-Strauss e Barthes. Dunque, Barthes ha ceduto, e anch'io, dal momento che nei miei testi si può vedere che la parola «semiologia»è impiegata sovente. Optare per la descrizione delle connotazioni, significa una certa libertà, molta più originalità, mentre il linguaggio denotativo è la struttura. Io mi sono impegnato ad essere rigoroso, scientifico, mentre Barthes ha esitato tra la scientificità e la scrittura, perché era uno scrittore, nonostante tutto. In una dedica, si era accusato di aver tradito un po' la scienza. L'ha tradita sempre di più: a ognuno la sua strada ... Io credo che lui avesse più talento di me. Era più brillante, e non ne sono geloso. Sono i percorsi della vita... Qual è attualmente la posizione della teoria semiotica? Più in generale, qual è l'importanza del contributo che il modello hjelmsleviano ha offerto ali'epistemologia delle scienze umane? Direi che la teoria hjelmsleviana è la prima teoria semiotica a carattere scientifico. Dunque, naturalmente, è un punto di riferimento, ma soprattutto una sorta di fonte originaria. Bisogna sottolineare questo: al principio era Hjelmslev. Ma più che di eredità io parlerei di retaggio, di retaggio hjelmsleviano e non glossematico. Se mi è concesso fare ancora un po' di storia, le conseguenze di questa interpretazione della teoria hjelmsleviana come glossematica, e non come semiotica, sono state pericolose. Jakobson si è aggiunto alla confusione per spiegare che si possono cogliere le significazioni solo attraverso le lingue naturali. Allora, da questo punto di vista, se si pone la domanda: «Che cos'è l'analisi della pittura?», la risposta sarà: «È l'analisi del discorso sulla pittura». Il problema si pone continuamente. Sì, non è un buon servizio che Jakobson ha reso a Hjelmslev, che, dal canto suo, aveva previsto questa possibilità di significazione altra che le lingue naturali. E anche Barthes ha contribuito a quest'interpretazione linguistica della semiotica. Sì, Jakobson ha appoggiato quest'interpretazione, ed è per questo che Barthes, nel Sistema dellamotra il 1920e il 1940;Hjelmslev non ha aggiunto niente. Se si prendono le riviste dell'epoca, la discussione era centrata sull'arbitrarietà del segno. Su questo punto Hjelmslev ha tirato delle conseguenze che erano già nell'episteme dell'epoca. In questo caso, mi sembra, la questione è un po' più sottile, perché ad essere in gioco è l'abitrarietà della teoria, e non quella del segno. È il fatto di pensare che la costruzione della teoria, benché adeguata, non è motivata dall'oggetto. Sì, in effetti, ma la motivazione presuppone il riconoscimento a priori del mondo esteriore come cosa, dunque è un positivismo. da, dice: «Io scelgo i giornali di moda e non la moda stessa». Qui Barthes ha confermato questa tendenza. Era molto difficile lottare contro quest'atteggiamento per di- ~.· re che la semiotica non sono le lingue naturali. D'accordo sul fatto che non c'è pensiero senza linguaggio, ma si tratta in questo caso del linguaggio nel senso largo della parola, dunque non soltanto delle lingue naturali, ma anche di altri sistemi. All'inizio, e questo vale tanto per me come per Hjelmslev, Jakobson o Barthes, non c'è pensiero senza linguaggio. Il pensiero può articolarsi e si articola solo con l'aiuto del linguaggio. Qui c'è l'incompatibilità con Peirce, per ~ esempio, che era un filosofo del ~ XIX secolo. È una differenza capi- .s ~ tale. Non si possono confondere i ~ due sistemi di pensiero. Ci sono l'--. ~ cinquant'anni di differenza tra i ......,due, sia che si creda tanto o poco -~ al progresso della scienza_in gene- ~ raie. Se non ci si crede, allora Ari- ~- ...., stotele è l'origine di tutto: ha già ~ detto tutto. t: Vorrei venire adesso al proble- ~ ma dell'arbitrarietà. La prima co- ,-C:) sa da ricordare, è che si tratta di ~ ~ un problema discusso dai linguisti Tuttavia, oggi, un teorico come René Thom, per esempio, pensa che bisogna reintrodurre la motivazione tra la teoria e l'oggetto... D'accordo, ma in definitiva, ognuno pensa come vuole. Io mi pongo all'interno di questo sviluppo del pensiero linguistico; bisogna sapere quello che Thom intende per motivazione, perché è un termine pericoloso. Anche nell'adeguazione ci sono due possibilità di scelta: si può considerare questo termine nel senso positivista, ed è allora la definizione della verità secondo Einstein. In questo senso, l'adeguazione è la corrispondenza tra il linguaggio e la realtà. Ma nessun fisico ha mai visto la più piccola parte di realtà. F. Bastide ha consacrato la sua vita al concetto di vedere in scienza: non vedono niente. La realtà è un concetto mitico. È per questa ragione che tale interpretazione dell'adeguazione è positivista; ma preciso che non bisogna allora confonderla con il concetto di adeguazione di Hjelmslev. L'altro punto è: attraverso cosa riconosciamo la verità? In primo luogo attraverso la coerenza. Qui penso che tutti i matematici, e Thom per primo, sarebbero d'accordo sul fatto che è più importante delle motivazioni. Poi, lei lo sa bene, c'è l'esaustività, la semplicità, vale a dire il principio di empirismo. Dunque, evidentemente, la teoria non è motivata. Ogni motivazione è già una presa di posizione metafisica nel dominio della scienza. D'accordo, bisogna che ognuno scopra le sue cai;.te, e si passa alla filosofia, ma non è innoJean Duvet, L'Apocalisse, Lyon 1561 cente. Bisogna essere in realtà molto ingenui per essere positivisti. In questo caso, quello che faccio, è di mettere tra parentesi il problema metafisico della natura della realtà. Non si potrebbe fare scienza altrimenti. Per la fisica è diverso, cammina da sola, mentre le giovani scienze umane o sociali sono troppo fragili per permettersi discussionimetafisiche: vi soccombono. Questa è la mia posizione. Per quanto concerne il modello hjelmsleviano, direi che tra le conseguenze più importanti c'è la demolizione dell'atomismo in scienza. La linguistica del XIX secolo, che io considero sempre come scienza pilota tra le scienze umane, è stata atomista: prendeva ogni fenomeno separatamente per studiarlo. Il retaggio di Hjelmslev è di cominciare non dai termini ma dalle relazioni. I termini appaiono come le intersezioni tra le relazioni. Sono le funzioni e i funtivi, un capitolo abbastanza duro dei Prolegomena. Da questo ·punto di vista, è un contributo all'insieme delle scienze sociali - forse insufficientemente utilizzato - e la condizione dell'avvenire di queste scienze. Poi, per non citare che alcuni modelli, c'è la distinzione tra il sistema e il processo, che ha permesso lo sviluppo della sintassi. Naturalmente, per quanto concerne la parte teorica, è Hjelmslev il maftre à penser. Quello che voglio dire, è che ho voluto identificare la semantica con la dimensione di una cultura. Le lingue naturali rivestono la cultura e permettono di articolarla nell'insieme: è troppo grandioso per essere vero. In Del senso, sono passato veloceperfetto. Sono aspettualità che pertengono~_)<figurativo profondo». Sono delle basi, ma ce ne sono altre, come eccesso/insufficienza forse, ecc... Da questo pare possibile la costruzione dell'assiologia estetica. L'ultima domanda concerne il futuro della semiotica. Nella prefazione ali'edizione francese de Il linguaggio, lei ha premesso questa singolare citazione hjelmsleviana: «Ma per uno studioso, non c'è niente di più bello del vedere davanti a sé una scienza da creare». Che cosa resta ancora da fare di questo programma insieme scientifico, etico ed estetico? Qual è la direzione della ricerca dopo l'esplorazione delle assiologie? Ci sono tre cose che io vedo, quello che vorrei intraprendere e che delego alle generazioni future. In primo luogo la semiotica discorsiva resta da fare, per arrivare, per suo tramite, alla semiosi. D'altra parte non dimentichiamo che il piano del significante, o dell'espressione, non è ancora stato studiato semioticamente. È un lavoro enorme. O si studia questo piano da solo, oppure, se non è possibile, vuol dire allora che noi manchiamo di strumenti per fare la fonologia del mondo naturale. Bisogna riconsiderare da un lato la semiotica discorsiva sul piano del contenuto e, dall'altro, il percorso generativo sul piano dell'espressione: fare qualcosa di equivalente a quello che esiste per il piano del contenuto. Bisogna riempire le caselle vuote, le scatole nere. Ma • 1 non si può pre-giudicare e dire che sarà esattamente la stessa cosa, è un campo da scoprire. mente al concetto di micro-universo: lo si è chiamato universo del discorso. Si può studiare e descrivere semioticamente solo una piccola parte, solo un settore del senso: non si possono ritrovare soltanto dei semi universali la cui combinatoria renderebbe possibile la descrizione del campo semantico di ogni cultura. È un'ispirazione ancora tassonomica, leibniziana. Quello che ha indirizzato la semiotica nel senso in cui io l'intendo è la presa in considerazione dei micro-universi. Resto fedele a Hjelmslev nell'omogeneità del piano di studio. Bisogna che la semiotica possieda un livello-omogeneo per non comparare sempre delle cose non comparabili. Se lei prende per esempio l'assiologia estetica, una delle categorie fondamentali in grado di articolarne il campo è la perfezione e l'imperfezione, il perfetto e l'imIn terzo luogo, c'è quello che ultimamente ho chiamato l'avventura assiologica. Con il prolungamento delle assiologie che abbiamo un po' studiato in questi ultimi tre anni - le assiologie epistemica, etica ed estetica - ci si è accorti che, in definitiva, la base di un fare semiotico è il programma narrativo. Che cos'è il programma narrativo? È la ricerca dell'oggetto di valore. La semiotica, così come la ' si è costruita, è una semiotica assiologica, che postula il soggetto antropomorfo in cerca di valori. Si sa infatti che il soggetto non si definisce che nella misura in cui è in relazione con un oggetto di valore. Si tratterebbe in definitiva di costruire dei sistemi assiologici per vedere quali sono quelli che si ritrovano culturalmente e transculturalmente. In seguito si tratterebbe di dare alla semiotica come missione ideologica la valorizzazione del mondo. Abituare la gente a pensare che mira a qualcosa. Non vuol dire imporre un valore o l'altro. Il mondo è già un sistema di valori. Ma queste sono estensioni che non sono più scientifiche: si tratta semplicemente del buon uso della scienza. La· parola-fine della storia è l'avventura assiologica. Nota (1) Rinviamo il lettore all'articolo di J.C. Coquet «Éléments de bio-bibliographie», in Exigences et perspectives de la sémiotique - (Recueil d'hommages pour A.J. Greimas), présenté par H. Parret et H. Ruprecht, tome I Le paradigme théorique, Amsterdam, J. Benjamins Publishing Company, 1985. La conversazione che abbiamo presentato in queste pagine di «Alf abeta» è tratta da un lungo colloquio che A.I. Greimas ha concesso alla rivista di studi semiotici «Versus» in occasione del ventennale della scomparsa del linguista Louis Hjelmslev, (L. Hjelmslev, Linguistica e semiotica strutturale, n. 43, gennaio-aprile 1986, a cura di A. Zinna). La traduzione italiana è di Giulia Ceriani.

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