Ricercatori & Co. Materiali letterari e storico-critici in preparazione del Convegn di Viareggio 26-27-28 man 1987 Appunto critico su un ~campione» e sul periodo nuovo Questo è un frammento narrativo di autore nuovo e giovanissimo per la discussione a Viareggio. Con titolo provvisorio, pubblico due pezzi (in ordine utile qui, sono le pagine 45-48 e 19-22dell'originale) di un romanzo breve di Gior- • gio Mascitelli. Ho letto un suo racconto lungo precedente, che espone le percezioni dentro una caverna, con uscita che diviene disastrosa. Questo altro itinerario è quasi esplicitamente kafkiano (con elementi anche di cultura europea dell'est). Ora, cosa vuol dire ciò? Poiché si tratta qui di una narrazione analitica del vivere - della vivenza come diceva Fachinelli - nella metropoli d'oggi e del futuro, risulta che il procedimento allegorizzante, con espressionismo non marcato, ha loscopo non già di suggerire un senso ulteriore, ma quello di effettuare una presa su un certo reale o ambiente, che oggi si differenzia dalle convenzioni anteriori, oppure non è raggiungibile. Ci sono malattie e loro scomparse improvvise, sospetti o indizi di vario genere, e anche esecuzioni o impiçcagioni, e riferimenti straordinari ad oracoli, almanacchi o cartografie, e all'uso di più lingue. Mascitelli (figlio di Maria Leali concertista e di Ernesto biologo e teorico) è della generazione nata poco prima del Sessantotto. A me pare che quella del cinquanta, venuta dopo i decisivi nuclei di Marx, Freud e Saussure, e che ha poi fatto a vent'anni una scelta alternativa o neutra saltando i'impegno risultato spesso disastroso, ha dato diversi esempi di abilità nei romanzi simili a sceneggiature, che seguono i passi di personaggi in carne ed ossa. Ai nuovi ventenni, o almeno a Mascitelli, posso dire, pesano addosso lo spessore e la perdita che a quella data si collegano, quanto è inevitabile per chi cerca di cominciare con serietà. Nulla invece dei voli falsi di allora è presente nella sua prosa, che capta e tenta di definire, con una propria lentezza paratattica a tratti folgorante, la materialità vaga dove oggi ci troviamo. Se i motti e le metafore folli di Lacatena hanno dietro il Sessantotto (più distese e già professionali in Tondelli) qui si procede con molta più distanza. Né si osa ancora una penetrazione locale negli ambienti vissuti, che è il modo più verificato internazionalmente oggi per esprimersi bene col nuovo genere, il racconto. E a petto del racconto (come abbiamo visto anche nel supplemento letterario con Eccentrici nel numero estivo di «Alfabeta») è assai meno interessante la poesia, nei giovani ... E però non si tratta qui, con l'esempio di Mascitelli e di altri poi; delle generazioni, né dei generi, né del vecchio nesso di cultura e politica, né del mercato che si presenta ora con diversi livelli come in un ricorso addirittura degli anni trenta ... Ma si tratta dei motivi maggiori e delle scelte nella cultura e anche, o più proprianiente, nella letteratura. E qui il motivo penetrante oggi a mio giudizio è quello connesso a una «utopia negativa» - come ne ha detto Vattimo di recente rileggendo Adorno - la quale si muove verso i feticci del progresso con elementi ironici e distorsivi. E ricerca un nuovo senso vivibile e avanzato dell'appartenenza alla terra. Francesco Leonetti Tragitto dell'appestato in città Giorgio Mascitelli Q uando apro la porta di casa sento già un lieve dolore. Faccio pochi passi dentro e comprendo di avere il mal di stomaco. Il mal di stomaco è un male comune a Milano. Di solito inizia quasi impercettibilmente e solo dopo un po' si palesa. E così anche in me il mal di stomaco si erge con graduata maestria. Colpo dopo colpo viene a dominare i visceri ed anche le cose intorno assumono un aspetto diverso. So che il mal di stomaco è in una certa misura collegato alla città. E soffrire di questo male fa esplodere sentimenti collerici mai visti. Le mie prime andate al/'acropoli erano tutte imbastite di questa rabbia da dolore. Ma ora, dopo tutto, tendo solo ad accasciarmi su qualcosa e a cercaredi riposare. Eppure il mal di stomaco è una delle sorgenti del dolore urbano. Può avvenire che ad un certo punto ci si chieda perché bisogna continuare a sentire questa specie di dolore di fondo e una domanda tira l'altra. Ma solo a volte. Non è però che il mal di stomaco sia legato a qualche aspetto particolare del vivere a Milano. E soprattutto non viene a chiunque. Il mal di stomaco è un'espressione del vivere a Milano, talvolta può capitare di averlo in testa. È comunque un tratto somatico di chi cerca di vivere esistendo, di non entrare nelle linee coccodrillesche di sopravvivenza. Ma è estremamente noioso da tenere soprattutto perché, e questo mostra la sua profonda affinità con la metropoli, non raggiunge esplosioni alte e poi discese, ma è continuo sordo incessante. Delle esplosioni si hanno solo quando si riflette su qualcosa che va oltre la vita a Milano. È in un certo momento esplosiva l'idea di esistere al di fuori della città. E dirompente. Ma ben presto viene tagliato via dall'incedere del mal di stomaco. Tuttavia cerco un equilibrio non viscerale per salvarmi dal mio male. E il mio pensiero interiore diventa una pietra che cade in uno spazio senza base e supera ogni cosa. Tutto il mio corpo si protende e cerca d'inseguire il pensiero-pietra sfuggente e irraggiungibile. Con gli occhi del mio cervello vedo spazi siderali inimmaginati e cerco e cerco di raggiungerli con il resto, ma la fuga è continua. Pure mi sembra di avere uno slancio come in una discesa ripida e questa immagine rimane fissa in me anche quando il cupo e gretto mal di stomaco ricomincia ad avere il sopravvento. Ma l'immagine è ormai incisa nella mente. Non può esserci allora un sopravvento totale, in quella ·situazione poi sono accettabili anche vie narcotiche per fughe momentanee dal dolore. Oppure quando è più grande la stanchezza è anche gradito un lieve trascinarsi con qualche lamento, come io ora. Ma sono solo fughe di breve durata quando l'immagine è incisa. Un altro problema che si associa a questo è quello della stanchezza continua, onnipresente, ossessiva che ad un certo punto assale. La stanchezza all'inizio è considerata tradizionalmente come qualcosa da cui riposarsi, eppure dopo un po' è chiaro che è qualcosa di diverso. Diventa un elemento contro cui lottareper sempre e che a volte prevale inebetendo. La stanchezza assume caratteristiche speciali, astratte ed è capace di coprire tutto il quadro visivo. Una caratteristicaè quella di attutire tutto come sotto una specie di strato, finché la nausea non cresce e rompe quello strato. Ma soprattutto è un senso di irrilevanza che domina e con esso lo sguardo miope alla monumentalità della città. È la stanchezza, dopo il mal di stomaco, un altro dei mali metropolitani più diffusi. Però pure la stanchezza non è invincibile, allorché l'immagine è incisa. Ed è già tempo di resistenza. Ma accade con facilità che, passando il tempo a combattere questi mali metropolitani, ogni sforzo si concentri su quelli e il resto scorra fuori irraggiungibile. C'è come una presenza che solo si limita a cancellare le tracce. Me ne accorgo ora che ho cercato anch'io di seminarne alcune. Ma è solo un istante di fuggevole comprensione. Dopo è ancora lo stesso strapiombo di prima. Difficile, dopo i molti strascichiper la città, riflettere con lucidità, posto che ciò sia preferibile a questo strascicare incessante. Ma anche il pensiero può essere rivolto ad altro. L'Oracolo è forse definitivamente divorato dalla città e da quello che cancella le tracce. Per cancellare le tracce talvolta basta renderle incomprensibili e per fare ciò basta togliere gli strumenti atti a comprenderle. È un continuo impercettibile. Dover cercare le fucine nascoste dell'operazione potrebbe anche essere un'indagine interessante. Ma, e già si sa, raramente si trova lo spazio ed il pensiero per cose proficue. Quando poi questa cancellazione viene scoperta è da sentirsi come una bottiglia che rovescia il suo contenuto. Ed è pure atroce non sapere come dire questa cancellazione, che parole usare, che pesci pigliare. Certamente i varchi incompleti vengono abilmente rinchiusi. E poi oltre queste sofferenze, oltre i ma.:limetropolitani rimane sempre il fatto dell'irresolutezza del problema della liberazione dalla sofferenza. E poi la periferia mi assale e confonde coi muri delle case e con i mezzi che passano. È come stare nella nebbia anche quando non c'è nebbia. È difficile riuscire a convivere con tutto questo, ma bisogna riuscire perché non vi è altra soluzione. L'origine della periferia è avvolta nella fitta coltre del mistero. Ma alcuni sostengono che è sempre esistita e non sono mai occorse modificazioni sostanziali. Altri sostengono che si è originata dal/'acropoli. Ma certo quando la si intuisce tutta, e ci vuole un po' di tempo, diventa pressoché impossibile fare ipotesi. La sua informità ha talvolta caratteristiche eccezionali e antispaziali, ma non come il labirinto. La periferia indica sempre una via d'uscita verso qualcosa, perché è obbligatorio tornarvi. Le strade che vanno verso l'acropoli sono le stesse che poi impongono il ritorno e determinano il paesaggio urbano. Eppure c'è ancora qualche vago ricordo di alcuni cartografi che tentarono di descrivere minutamente la periferia e soprattutto di cercare di capire la sua forma. Ma di questi cartografi non si sa molto, la storia è assaiframmentaria, partirono una mattina e quando tornarono erano più strani del solito. Avevano girato in lungo e in largo la periferia e buttato giù molti schizzi parziali. Tuttavia non sapevano dare risposte precise e definitive. E poi neanche le domande erano state formulate. Probabilmente non avevano capito o forse, e il sospetto da sospetto diviene sicurezza, non c'erano parole per espri- 'vE;NEZ,DIT LE. 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