Alfabeta - anno IX - n. 103 - dicembre 1987

pagina 40 La questione decisiva si. è così andata profilando come legata al rapporto soggetto-oggetto. Già Luperini aveva contrapposto ad un'ontologia del linguaggio, volta a privilegiare l'uno dei due termi!)i (o esaltando il soggetto, come in Fish, o esaltando l'oggetto, come in Eco, per il quale l'interprete è funzione del testo), un'ontologia dell'essere sociale, e cioè una fondazione nella relazionalità e nella storicità del rapporto, appunto, soggetto-oggetto di quella dialettica del dialogo dove la comunicazione è certo vincolata alla convenzionalità, ma dove alla convenzionalità dell'interprete corrisponde sempre quella del testo che l'interprete è chiamato non solo a fondare ma anche a riconoscere. A questo problema del rapporto soggetto-oggetto e alla prospettiva della dialettica del dialogo si è collegata la relazione di Giovanni Jervis e di Susanna Guida (La psicoanalisi come interpretazione e come critica dell'interpretazione), aprendo a nuove prospettive il dibattito. Basti pensare alle implicazioni di quello che è stato il suo punto di partenza, e cioè che la critica analitica deve coinvolgere come autocritica l'interprete e come metacritica l'atto dell'interpretare. E decisiva appare anche la difesa delle finalità cognitive e razionali dell'interpretazione nell'analisi, in sintonia con le tesi di un altro grande citato (generalmente con approvazione) del convegno: Habermas. Ma non esiste - hanno affermato Jervis e Guida- autonomia della razionalità rispetto alle pulsioni, né tanto meno esiste un'autonomia della linguisticità; e poiché la pulsione è legata al suo oggetto e ne viene influenzata, tra soggetto e oggetto si dà una inevitabile dialettica non esaurita dalla sfera della coscienza ma ad essa non estranea: né soggetto né oggetto sono autonomi, ed anche per questo la psicoanalisi può essere intesa come una critica sia del progetto oggettivo che di quello soggettivo della conoscenza, cioè come critica dell'epistemologia e dell'ermeneutica. In una posizione solo apparentemente laterale rispetto al fulcro del dibattito è stata la relazione di Francesco Orlando (Esperienza di una ricostruzione di codice letterario), dove l'affermazione dell'importanza delle costanti tematiche intertestuali è stata accompagnata da una fortissima coscienza della storicità del rapporto tra letteratura e società, anche nell'ottica della formazione di compromesso. Così, se tra il 1780 e il 1820, contemporaneamente all'affermazione della rivoluzione industriale e del concetto conseguente di funzionalità, si diffonde in letteratura la costante dell'elenco di oggetti invecchiati e antifunzionali (secondo i risultati di una ventennale ricerca non ancora conclusa), si tratterà di un ritorno del represso moral-comportamentale sul terreno del risarcimento letterario. È ovvio che una tale conclusione può essere tratta solo riconoscendo all'oggetto (cioè al testo) una peculiarità di legami storici e con.testuali che l'interprete può ricostruire ma non certo fondare: è convenzione, sì, ma gli preesiste. I l pomeriggio del secondo giorno si è aperto nel nome di Hans George Gadamer, il quale, impossibilitato ad intervenire di persona per ragioni di salute, ha inviato uno scritto (Sentire, vedere, leggere) tradotto e letto da Cesare Cases. L'ombra del filosofo tedesco, punto di riferimento costante di molti interventi, di buona parte della relazione di Sandro Briosi (Su Gadamer e Hirsch) e, più in generale, del com,:egno, si è materializzata, con aperto richiamo ad alcuni postulati centrali della dottrina ermeneutica espressi proprio in Verità e metodo: il miracoloso verificarsi di un riconoscimento globale del senso (e della verità) da parte del lettore nel testo per la forza evocativa della· parola poetica; il perpetuo rientrare della presenza nella parola poetica grazie al fatto che l'interprete, leggendo, lascia parlare il testo. Le parole di Gadamer hanno trovato un'eco, e soprattutCentri del dibattito to un'estremizzazione, nella relazione di Gianni Scalia (Ermeneutica, estetica e critica letteraria); ma hanno anche offerto lo spunto ad una serie di interventi critici, fra i quali particolarmente notevoli quelli di Francesco Muzzioli e di Francesco Leonetti. Il primo ha affrontato la questione della dialogicità, centrale nel pensiero di Gadamer e fatta propria da altre tendenze (per esempio dall'estetica della ricezione). Smentita la possibilità di dialogo tra testo e interprete, in posizione comunque asimmetrica rispetto, se non altro, alle opportunità di interagire, Muzzioli ha indicato nel gesto della critica un vero carattere dialogico (ma, meglio, di dibattito e di polemica chiarificatrice) al di fuori della mediazione unica della tradizione affermata da Gadamer e all'interno di un sistema in cui il testo offre una relativa garanzia e verificabilità al confronto degli interpreti e questi ultimi si misurano con la tradizione al modo stesso che con un'altra interpretazione, senza adesioni scontate. Leonetti si è soffermato sul rapporto di Gadamer con Spitzer per individuare, al di là di esso, un momento centrale dell'elaborazione gadameriana nella critica al pensiero di Schleiermacher. Gadamer riapre un problema circa la certezza riguardo a un testo, confluendo la sua critica a Schleiermacher (e, indirettamente, il suo disinteresse per le Adelphi ~ OLIVER SACKS Risvegli « Biblioteca Adelphi », pp. 483, con 6 tavv. f.t. in bianco e nero THOMAS BERNHARD L'imitatore di voci «Piccola Biblioteca Adelphi ", pp. 165 ANNA MARIA ORTESE In sonno e in veglia "Fabula", pp. 176 LEONARDO SCIASCIA Porte aperte «Fabula", pp. 110 MANLIO SGALAMBRO Trattato dell'empietà «Saggi", pp. 182 ANANDA K. COOMARASWAMY Il grande brivido A cura di Roger Lipsey Edizione italiana a cura di Roberto Donatoni cc Il ramo d'oro», pp. 576, con 15 Illustrazioni in bianco e·nero R.H. VAN GULIK La vita sessuale nell'antica Cina cc Il ramo d'oro», pp. 456, con 50 tavole a colori e In bianco e nero sue posizioni spitzeriane) nella «scelta moderna di una massima evidenza del linguaggio»: l'insegnamento di Heidegger spinse Gadamer a rigettare la processualità storica; mentre ciò che a Leonetti appare decisivo è il rifiuto di qualsiasi ipostatizzazione o assolutizzazione del linguaggio, alla ricerca di un suo fondamento nella storicità e nella materialità, in «senso contestuale non linguisticistico». La presenza, tra i relatori, di ben quattro statunitensi (Culler, Dombrosky, Lucente, Ryan) richiede certo qualche spiegazione. Il fatto è che in questi anni il dibattito teorico ha avuto nel Nordamerica un centro di grande rilevanza (si pensi anche ai nomi di Jameson e di Fish). E una caratteristica importante è stata, frequentemente, l'impegno, da noi quasi estinto o marginalissimo e fuori moda, nella critica dell'ideologia. Di ciò si è avuta conferma anche nel convegno senese, se Robert Dombroski ha dedicato il proprio intervento (Per una criticagramsciana della letteratura) ad una rilettura di Gramsci e Gregory Lucente («Pluralismo critico» nella tradizione americana: vantaggi e svantaggi dell'interpretazione pluralista) a considerare i limiti propriamente ideologici della critica pluralista americana, offrendo, tra l'altro, un quadro ricco ed interessante del dibattito oggi negli Stati Uniti, non senza un costante piglio Tesi di N e/ convegno a Viareggio nello scorso marzo 1987, Ricercatori & Co. (primo di un triennale incontro sulla ricerca letteraria, artistica, critica e saggistica sul Novecento), il lungo dibattito pomeridiano di due giorni, partendo dalle relazioni di Antonio Porta e Renato Bari/li, con presenza di Francesco Leonetti, ha seminato un interesse elaborativo nuovo presso i teorici anziani e giovani. Ciò ha avuto un successivo e decisivo centro nel convegno sulle tendenze e le riviste letterarieoggi tenuto a Lecce in aprile per iniziativa del Comune e del gruppo rivista «L'immaginazione». Alcuni viareggini erano assenti (per esempio Porta, andato in Cina); altri da Bologna e da Roma (Giuliani, Di Marco) erano qui e non a Viareggio. In questo resoconto redazionale da parte nostra va detto che ne~'estate e autunno è stato elaborato e ha cominciato a circolare dattiloscritto un testo teorico collettivo breve, che si svolge in modo tendenzioso da quegli incontri, con un impianto neo-benjaminiano e semanticista, per proporre un raccordo tra talune posizioni degli anni sessanta e altre recenti di tip°oprogettualistico, Ìn antitesi a un periodo fra fine settanta e inizio ottanta, detto variamente po~t-moderno o transavanguardistico in letteratura e in arte, e considerato sostanzialmente recessivo o passatista, e comunque da porre in discussione dentro lo stesso contesto complessivo attuale dell'editoria (con «giovani narratori» montati ed esclusioni nella poesia) e dell'informazione dominata dai media. Ma seguiamo il filo del testo, che è di probabile prossima pubblicazione per cura del/'editore Piero Manni e del gruppo «L'immaginazione», e interessa e raccoglie vivamente le iniziative di «Alfabeta» a cominciare dal 1984 a Palermo con l'argomento epistemologico Il senso della letteratura. Si tratta di una «serie di punti di scrittori-critici di più periodi (generazionali) per una teoria di letteratura e arte che, in contrasto con i motivi divenuti dominanti in questo decennio, ripresenti i nessi fra la ricerca intorno al 1960 e il nuovo di oggi». Diamo qui di seguito un estratto di ciascun scritto breve col suo titolo, come una precisa interlocuzione e, insieme, un riassunto. (Sono invece interi i riferimenti di Edoardo Sanguineti e di Alfredo Giuliani.) Aggiungiamo qui che un ampio dibattito potrà darsi, con riferimento anche a queste tesi, quando sarà pubblicata per Alfabeta 103 demistificante, fatto soprattutto di sarcasmi e di allusioni. Se, poi, Jonathan Culler, nel tentativo di mettere in dubbio la priorità dell'interpretazione rispetto all'importanza della poetica (e Poetica ed ermeneutica: i rapporti nel post-strutturalismo era appunto il titolo della sua relazione), si è soffermato sul classico Correspondances baudelairiano, ponendosi in posizione alquanto appartata rispetto a questo discorso, con la relazione di Michael Ryan (Post-strutturalismo in Derrida, Habermas e Unger) i nodi sono venuti al pettine e le critiche rivolte ad Habermas in nome di, un improbabile binomio Derrida-Marx (che rischiava di trasformarsi in trinomio con l'aggiunta del femminismo) hanno rivelato quanto rischio ideologico sia insito in una siffatta critica dell'ideologia (dove al mordente polemico non corrisponde un punto di vista realmente alternativo; e dove la decostruzione, insomma, non diviene mai tensione costruttiva). In sintesi, Ryan ha accusato Habermas di autoritarismo, essendo la razionalità comunicativa di cui egli parla né più né meno che quella del maschio dotto socializzato. Luperini, intervenendo nel dibattito, a tale concezione ha contrapposto la fondazione materialistica della razionalità (e qui, oltre che la lezione di Habermas, ha richiamato quella di Timpanaro), accusando Ryan di confondere pericolosamente ideologia e ragione. Il pomeriggio dell'ultimo giorno è stato occupato da una tavola rotonda presieduta da Franco Fortini cui hanno partecipato anche Cases, Remo Ceserani, Filippo Bettini e Antonio Prete. Qui, grazie anche ad un intervento conclusivo di Luperini, sono state tirate le fila del convegno, compiendo, insieme, opera di rielaborazione e di storicizzazione. Soprattutto significativo è stato il riconoscimento del valore politico di un convegno apparentemente tutto filosofico, e del fatto che, dopo un decennio e più di assenza, in un ambito di riferimento materialistico e marxista, di riflessione e di dibattito teorici, misurarsi con l'ermeneutica significa riprendere contatto con le maggiori tendenze di questi anni, non per esserne divorati ma, al contrario, per superarne criticamente i limiti e le strettoie. Fortini ha perciò ricordato che l'interpretazione letteraria è lecita solo se è attribuzione di puntuale importanza ad un atto particolare del generale processo di interpretazione del mondo, ridando così al livello strutturale (ovvero economico-politico) la priorità che marxianamente gli compete. Per qua,nto riguarda più da vicino la critica letteraria, Cases ha ribadito l'importanza della scrittura e del testo, entrambi bisognosi di maggiore rispetto di quanto l'ermeneutica sia disposta a concedere, e Ceserani quella del complesso e molteplice rapporto con i testi, nessun aspetto del quale deve essere assolutizzato, salvo a trovarsi nella situazione insostenibile di Fish. Bettini si è invece soffermato sul problema della lingua comune, che non è né fondazione di senso né luogo dove il senso viene fondato, ma luogo dove si misurano i conflitti della storia. Esiste sempre conseguentemente nel testo - egli ha ricordato - un residuo di langue, vincolante per autore e per lettore, base nucleare del testo e del suo senso. I significati di un'opera sono tra gli interpreti luogo di conflitto, certo, ma a partire da questo vincolo e cioè dai significati posti storicamente dall'autore, non univoci ma comunque dati: è questo che fonda l'oggettività del testo e che subordina ogni possibile ermeneutica alla semantica. Il convegno si è concluso quindi con due ipotesi: che non manchi davvero di utilità, per la critica letteraria, la riflessione teorica, secondo il fertile esempio degli anni cinquanta e sessanta; e che la ripresa di un dibattito così concepito entro l'orizzonte del marxismo evidenzi un proprio mordente politico. Se la prima ipotesi ha trovato già in molti interventi, oltre che adesione, conferma, la seconda, come è ovvio, resta legata alla verifica dei mesi venturi e all'impegno di quanti credono in essa. intero la discussione a Viareggio (di cui lamentiamo il ritardo, causato dall'impegno pur doveroso già preso col Comune di Viareggio di pubblicare tutti i nastri in un volumetto allegato al giornale). Per altro «Alfabeta» n. 101 ha già avviato un dibattito teorico sul nuovo artistico letterario, con inizio piuttosto relativo ali'arte perché in essa il nuovo è oggi già presente e sensibile, e può forse orientare il lavoro di innovazione e la critica relativa. Preliminari: progetto, tendenza, allegoria Filippo Bettini Q uanto è stato occultato e rimosso o esplicitamente ripudiato dalle ideologie rampanti della restaurazione letteraria degli anni settanta è oggi da riprendere e da attraversare, per essere svolto, ex novo, ad apertura di nuove prospettive e a fondazione di più matura e consapevole elaborazione strategica nella teoria e nella prassi della «cosa letteraria». Non per mero spirito di nega-

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