Alfabeta - anno IX - n. 103 - dicembre 1987

Cfr evide11ziatore Cari Schmitt Imprigionato a Norimberga tra il 1945 e il 1957, perché accusato di aver collaborato attivamente nella sua qualità di giurista, con il regime hitleriano, Cari Schmitt stende una serie di riflessioni storico-politiche e di brevi testi poetici, che compongono una vera e propria «sapienza della cella». Ora, questi materiali che offrono una sorta di confessione intima e una apologia pro domo sua sono a disposizione del lettore italiano (Ex Captivitate Salus. Esperienze degli anni 19451947, Adelphi, 1987, con un saggio di F. Mercadante). Ma chi cercasse in questo volumetto qualcosa di analogo a una famosa ballata di Villon e al De profundis di Oscar Wilde, resterebbe abbastanza deluso. Il grande giurista offre di sé l'immagine del vinto, ma del vinto, che proprio in quanto tale, è capace di scrivere la storia. In questa fiera assunzione di un ruolo storico, Schmitt trasfigura la propria condizione e si colloca idealmente accanto all'altro grande vinto della storiografia europea, Tocqueville, un vaincu qui accepte sa défaite, secondo le parole di Guizot riprese da SaintBeuve. Ma più ancora che da Tocqueville, la vera cifra che Schmitt lascia trasparire di sé' è il Benito Cereno di Melville, ovvero il capitano che, fatto prigioniero dagli schiavi trasportati sulla sua nave, finge di stare al loro gioco e infine, con il suo comportamento stravagante, le mezze ammissioni e allusioni, raggira il nuovo padrone e riesce a fuggire. Don Benito Cereno è dunque Schmitt sotto il regime nazista - il grande giurista che aveva cercato di orientare i nazisti (non diversamente da Heidegger, in un contesto ben diverso) ma che aveva scelto la strada del silenzio e della dissimulazione dopo la sua sconfitta politica. Non possum scribere in eum qui potest proscribere: con questa sentenza di Macrobio Schmitt giustificherà, ai propri occhi e a quelli del mondo, la sua scelta politica e soprattutto il suo silenzio davanti agli orrori del nazismo. Schmitt intreccia dunque in questo libro un complesso gioco di specchi e di rimandi a una saggezza nascosta, quella dei vinti che sanno. Che conoscono cioè la tragica realtà della guerra civile, ma non ignorano le arti del silenzio quando il potere che avrebbe dovuto fondare il nuovo regno sulle ceneri dell'anarchia democratica si dimostra ben più feroce del male che aveva voluto combattere. Schmitt rimanda ad altre vittime della conoscenza, a poeti suicidi come Kleist, o poeti del radicamento e del destino tedesco: un soffio mortuario spira in queste pagine (forse le più belle); il terribile realismo visionario del giurista lascia spazio alla pietà dello sconfitto per gli sconfitti, all'jdentificazione con i caduti di ogni tempo, al senso della propria fine senza riscatto. In questa introspezione nutrita di allegorie e di identificazioni, Schmitt non esita a ritornare sul suo contributo più famoso alla dottrina giuric;licae politica, l'antitesi amico/nemico, ritrovando l'orgoglio di essere l'ultimo grande giurista, dopo Bodin e Hobbes, che abbia _osato pensare l'impensabile fino a restarne vittima: «lo sono l'ultimo consapevole rappresentante dello ius publicum Europaeum, l'ultimo ad averlo insegnato ed indagato in un senso esistenziale, e ne vivo la fine così come Benito Cereno visse il viaggio della nave pirata. Qui è bene ed è tempo di tacere. Non dobbiamo spaventarcene. Tacendo, ci sovveniamo di noi stessi e della nostra origine divina» (p. 78). Nell'identificazione esistenziale con la propria teoria, Schmitt giunge a conclusioni sconcertanti solo per chi ha del suo pensiero un'immagine manierata o esclusivamente legata ai suoi contributi dottrinari: «Chi posso in generale riconoscere come mio nemico?- Evidentemente soltanto colui che mi può mettere in questione. Riconoscendolo come nemico, egli mi può mettere in questione. E chi può mettermi realmente in questione? Solo io stesso, o mio fratello. Ecco, l'Altro è mio fratello». L'antitesi amico/nemico si rivela qui, se ce ne fosse bisogno, una polarizzazione ontologica ben più profonda della sua convenzionale applicazione politica o giuridica. Questi cenni possono rendere il fascino che emana dai brevi testi di Schmitt. Eppure, si ha l'impressione che questa fascinazione emani da un pensiero e da un'esperienza che restano totalmente estranei alla nostra condizione storica ed emotiva. Non sconcerta qui tanto il pensatore cattolico che deve la radicalità della sua esperienza alle proprie origini religiose (come appare anche nell'intenso Cattolicesimo romano e forma politica, Giuffré, 1987). E nemmeno l'identificazione della storia con la necessità storica, tale per cui il vinto è sempre consapevole della sua ragione, anche quando la storia parla inequivocabilmente contro di lui. Sconcerta, soprattutto, l'identificazione con un cattolicesimo trionfante, con un monoteismo politico che non solo agli occhi dei laici, ma di tanti cattolici, appare oggi iri discussione. Leggendo Schmitt, si ha spesso l'impressione che la sua identificazione con il religioso non comprenda l'atto fondativo della crocifissione del sofferente e dello schiavo. O meglio, che del Cristo crocifisso egli avverta la gloria storica, ma non il dolore della vittima sacrificale. Se Cari Schmitt è un vinto che ha saputo scrivere la storia, è un vinto superbo. Innumerevoli altri vinti non hanno potuto scrivere la loro storia. Alessandro Dal Lago Ologrammi sovietici C'è una mostra dove l'immagine di una realtà attuale diventa realtà fattuale; Giovanni Anceschi nel presentare Olografia, Arte e Scienza in Urss (Bologna, 30 ottobre-20 dicembre 1987), fa riferimento, non casualmente, a questi due termini di Joseph Albers, a proposito dell'effetto straordinario olografico, sospeso tra tangibilità concreta e illusione ottica. I confini della rappresentazione visiva valicano i limiti della bidimensionalità, per cui l'oggetto reale si trasforma, lentamente, in un pretesto materiale per realizzare un altro oggetto, diverso ma identico all'originale, il precursore di questa particolare tecnica di visualizzazione è il fisico ungherese Dennis Gabor, ma il grande esperimentatore e inventore dell'olografia a riflessione è il fisico russo Yuri N. Denisyuk. Gli oggetti in mostra a Bologna (l'iniziativa è curata da Magie Busin in collaborazione con l'Associazione Italia-Urss e i saggi in catalogo sono di G. Anceschi, P.L. Capucci, E. Reiter, G. Cavicchioli e dell'Accademia delle Scienze dell'Urss) appartengono alle arti decorative in Ucraina e in Russia, dai Cimmeri agli Zar, più di 2500 anni di storia. Perché di oggetti si tratta e non d'immagini. L'impressione di un visitatore, infatti, che non conoscesse questa particolare tecnica di riproduzione, è quella di essere capitato in una sala dell'Ermitage di Leningrado: la rivoluzione visiva si è completata perché l'olografia «osservabile o la stessa modalità di visione della realtà (pluriprospettiva, parallasse totale) viene a turbare, come scrive Capucci, una sorta di status quo formale dell'immagine». Il confine tra realtà e rappresentazione si presenta al di là dell'iconico tradizionale, senza con questo oltrepassare la realtà, come certe tecniche iperrealistiche. L'olografia non è iperrealistica perché non è una trascrizione: l'occhio gira intorno all'oggetto e, tattilmente, entra nel suo campo percettivo. La funzione documentaria è una delle qualità, culturalmente, più affascinanti di questo nuovo linguaggio visivo; il concetto stesso di mostra potrebbe cambiare se l'unicità virtuale di una scultura, di un reperto può essere, contemporaneamente, in più luoghi, al di là delle tradizionali prescrizioni di tempo e di spazio. La mostra di Bologna forse è l'evento visivo più interessante, di questo scorcio di anno, ma anche la mostra più importante nel settore dell'olografia, tenuta in Italia, e non è un caso che proprio a Bologna, in occasione del 9° centenario dell'Università del capoluogo emiliano, il marchio di tutte le iniziative culturali sia stato realizzato da Giovanni Anceschi, con la collaborazione dello studio Designo, anche in una versione olografica. La definizione e la promozione di un'immagine tridimensionale è indimenticabile: la memoria dell'olografia è più forte di ogni altra rappresentazione perché possiede un alto tasso onirico. Aldo Colonetti Angelo Terminatore Lo scorso novembre Italia Uno ha riproposto un film del 1984: Terminato, di James Cameron, con Arnold Schwarzen~gger. Rivisto in televisione, il film giustifica ampiamente il grande successo di pubblico che aveva ottenuto, men- ~ tre suscita perplessità la disattenzione della critica che, evidentemente incapace di vincere il pregiudizio nei confronti del genere («favola fanta-horror», come lo ha di nuovo sbrigativamente classificato la pagina televisiva de «La Repubblica» del 3 novembre), lo aveva archiviato come il polpettone americano di turno. È ormai luogo comune attribuire ai film di SF un interesse puramente spettacolare, dovuto all'uso degli effetti speciali. Giudizio che lascia trasparire il discredito nei confronti della funzione supplettiva del mezzo tecnico nei confronti del talento artistico di registi, sceneggiatori e attori. Esiste tuttavia - ed è il caso di Terminato, - un uso degli effetti speciali che non si limita a sbalordire il pubblico, ma riesce a suscitare inquietudini, sentimenti, emozioni profondamente radicati nell'immaginario collettivo contemporaneo. Le scene in cui l'uomo-macchina, l'indistruttibile spietato cyborg interpretato da Schwarzenegger, «si ripara» il braccio e l'occhio danneggiati in uno scontro a fuoco, in cui «risorge» da un rogo che ne ha completamente distrutto le parti umane sino a scoprirne lo scheletro d'acciaio, e infine in cui, semidistrutto da un'esplosipne, insegue ancora la preda trascinandosi sul tronco meccanico senza gam-. be, non ripropongono solo il topos del mostro indistruttibile, comune a tutto il genere horror, ma evocano con grande efficacia il rapporto ambiguo e inquietante dell'uomo contemporaneo con la macchina: un doppio mostruoso che assume connotazioni demoniache proprio perché la nostra cultura trova crescenti difficoltà a tracciare il confine della differenza fra umano e macchinico. Al di là degli effetti speciali, di un ritmo formidabile e della buona recitazione (Michael Biehn e Linda Hamilton accanto a Schwarzenegger), Terminato, è un film straordinario perché integra in un intreccio narrativo ben congeniato diversi temi mitici dei Vangeli: an- 1 nunciazione, strage degli innocenti, resurrezione. Proiettati nel passato da un futuro in cui uomini e macchine si combattono per la conquista di -una Terra devastata dalla guerra nucleare, un cyborg e un soldato lottano, il primo per uccidere, il secondo per salvare, la donna da cui nascerà colui che potrebbe guidare gli uomini alla vittoria. La macchina uccide sistematicamente tutte le donne che portano il nome della predestinata, il soldato la trova per primo e, dopo averle rivelato il suo destino, ne ottiene l'amore e muore salvandola dalla macchina. Egli sarà quindi il padre del futuro Messia e, dato che, pur non rivelandolo esplicitamente, il film allude alla possibilità che lui stesso sarà il Messia, il mistero trinitario dell'unità di Padre, Figlio e Spirito Santo ci viene qui svelato nella forma di un paradosso temporale. Ma ciò che rende commovente la conclusione non è la citazione biblica, ma il ripetersi di un'antica speranza soteriologica che soccorre gli uomini di fronte all'orrore della guerra: la speranza di vincere la morte rinascendo dal rapporto d'amore con una donna. Carlo Formenti KARLMARX QUADERNOSPINOZA 1841 La lettura del testo spinoziano assume in Marx la forma di una appropriazione e ricomposizione personale del Tractatus. KARLPOLANYI LALIBERTÀIN UNA SOCIETÀCOMPLESSA Democrazia, socialismo e «civiltà tecnologica•: la filosofia politica dell'autore della Grande trasformazione. ERMAN O CAVAZZO I IL POEMA DEI LUNATICI Romanzo La strana storia di qualcuno che si fa chiamare Savini. Un romanzo di ilare e visionaria •follia padana•. JEANAMERY INTELLETTUALEA AUSCHWITZ • Un volume che da molti anni vorrei vedere tradotto in italiano.• Primo Levi MARI A JARRE GALAMBRA Quattro storie con fantasmi Le attese, le presenze, le domande non dette che si insi-. nuano nelle storie quotidiane d'amore e di vita. In Iiibreria a fine mese EMILEZOLA TACCUINI OTTO PÀCHT LAMINIATURA MEDIEVALE SILVANA SEIDELME CHI ERASMOIN ITALIA 1520-1580 a cura di DAVIDS. LA DES A CHE SERVONO I PADRONI? Le alternative storiche dell'industrializzazione H.-0. PEITGE P.H. RICHTER LA BELLEZZA DEI FRATTALI Immagini di sistemi complessi Bollati Boringhieri

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