Alfabeta - anno IX - n. 102 - novembre 1987

Alfabeta 102 I mmaginate di volare con un elicottero. Salendo di quota il vostro sguardo abbraccia un territorio più vasto. Scendendo potete cogliere i particolari del terreno e, se volete, potete atterrare in un punto prescelto. Immaginate ora che il volo sia simulato, che i finestrini siano dei video e che ciò che vi si osserva non sia la riproduzione virtuale di un paesaggio reale, ma sia «Dataland», il territorio dell'informazione. «Dataland» è il nome che al Media Laboratory dell'MIT - Massachusetts Institute of Technology - è stato dato a un particolare sistema di accesso all'informazione: testi, immagini, filmati sono presentati come se fossero distribuiti su un piano sul quale si organizzano spazialmente, formando aree e regioni riconoscibili e memorizzabili. Una volta dato questo piano, la metafora del territorio, dell'elicottero, dell '«atterraggio» sul dato cercato risulta evidente. Quello di «Dataland» mi pare un esempio particolarmente suggestivo di come oggi ci si ponga e si cerchi di risolvere un problema di primaria importanza: i nuovi media di registrazione ottica o magnetica permettono di immagazzinare con grande densità un'enorme quantità di informazione, ma aprono il problema altrettanto grande di come orientarsi nella massa di dati disponibili, come trovare la strada per arrivare a ciò che serve. «Where in the world is the information?», che approssimativamente tradotto suona «Dove diavolo sta l'informazione?», è l'interrogativo che George A. Miller si poneva già venti anni fa (G.A. Miller, Psychology and lnformation, American Documentation, 1968). Il senso della domanda era letterale: dove nello spazio sta l'informazione. In effetti, ogni informazione, ogni dato numerico, ogni brano letterario, non è collegato agli altri solo da una rete di relazioni logiche, ma anche da un sistema di riferimenti spaziali: si trov.a cioè in un posto preciso. O meglio: tutto questo era chiaro ed evidente fin tanto che l'informazione era registrata sui supporti tradizionali. Passando ai nuovi mezzi di registrazione la questione diventa assai più complessa e si assiste ad una sorta di crisi della spazialità dell'informazione. Per spiegarsi meglio ritorniamo alla situazione tradizionale. Dal momento in cui il pensiero ha trovato il modo per fissarsi su un supporto fisico, l'informazione, tradotta in simboli tracciati dalla mano o impressi meccanicamente, occupa un'estensione macroscopica dello spazio fisico. Così le parole si allineano nello spazio unidimensionale della riga di testo, le righe nello spazio bidimensionale della pagina, le pagine nello spazio tridimensionale del libro. E, a loro volta: i libri formano delle linee sui ripiani, i ripiani si compongono nei piani delle scaffalature, e queste ultime defir.iscono lo spazio delle biblioteche. La conoscenza, cioè la produzione dell'immagine mentale, di questa compenetrazione di spazi è lo strumento che serve a rispondere alla domanda su dove sta l'informazione. È chiaro che vi sono altri modi per arrivarvi: vi sono gli spazi mentali definiti da relazioni logiche di cui l'archivista, con indici per autori, argomenti è parole chiave, fornisce le mappe. Ma la razionalità formale su cui queste ultime sono costruite ne fa uno strumento tanto indispensabile per muoversi in un ambiente informativo ignoto, quanto pesante e farraginoso quando l'impiego diventa frequente e l'ambiente tende a diventare conosciuto. Arrivati a questo stadio si seguono altre più rapide strategie di orientamento. Alla domanda: «Dove sta questo dato o questo testo?», si risponde: «Nello scaffale in alto a destra, nella prima parte del libro, in mezzo alla pagina». È proprio questo passaggio dallo spazio logico (delle parole chiave, degli indici per autori e per argomenti) allo spazio fisico (degli scaffali, dei gruppi di libri, delle posizioni nella pagina) che i nuovi media di registrazione ottica o magnetica rendono impossibile. O meglio, come si vedrà, rendono impossibile a meno di attuare gli opportuni artifici. Prendiamo come esempio la registrazione ottico-numerica, cui in generale ci si riferisce con la sigla CD ROM, che sta per Compact Disc Read Only Memory (le considerazioni che si faranno valgono però, nelle loro linee generali, anche per i videodischi e per le memorie magnetiche dei computer). La scelta dell'esempio non è casuale: il CD ROM è un dischetto di metallo e plastica di 12 cm di diametro che, assai più di altri nuovi media di registrazione, ha la vocazione (potenziale) di essere un prodotto di largo consumo. Di non essere cioè orientato a impieghi specialistici, ma di rivolgersi al pubblico in modo non dissimile dagli attuali Compact Disc Audio. Salvo che, per il tipo di registrazione che permette, la sua posizione merceologica potrebbe essere più vicina a quella del libro che non a quella del disco. Il CD ROM, però, è un libro ben particolare: su di esso possono infatti essere impressi 600 milioni di caratteri, cioè tra le 150.000 e le 350.000 pagine scritte (secondo il tipo di stampa che si prende come riferimento). Inoltre, dato che la «scrittura» è numerica, in esso possono essere registrati anche suoni, immagini,,sequenze animate. Per intendersi: un solo disco può abbondantemente comprendere l'intera Enciclopedia Britannica completa di qualche migliaio alfa bis. 1 pagina IX • a ateriale Ezio Manzini di illustrazioni. Una volta presentato questo «superlibro», possiamo riproporci rispetto ad esso la domanda: dove sta l'informazione? In prima istanza la risposta potrebbe articolarsi in modo non dissimile da quello visto per i libri normali: l'informazione sta impressa in un tratto di linea circolare che, avvicinata ad altre, forma un piano (la superficie del disco), che a sua volta si trova in uno spazio (la biblioteca, o meglio, il juke box che contiene i dischi). Solo che questo modo di vedere le cose trascura un aspetto fondamentale: il rapporto tra la scala dimensionale umana e quello delle tracce ottiche sul disco. Il carattere microscopico di queste ultime fa sì che per noi ne derivi una spazialità dell'informazione assolutamente inintellegibile: testi e dati precipitano in una sorta di buco nero, incapace di produrre una qualsiasi immagine mentale. Certo, l'apparecchio di lettura va principalmente dalla qualità del suo software che gli permette di trattare «fisicamente» e «spazialmente» l'informazione. L'idea vincente (ripresa rapidamente da tutte le altre case produttrici e, all'origine, frutto di una più ampia ricerca condotta al Palo Alto Research Center della Xerox) è stata quella di simulare la fisicità e la spazialità dei supporti informativi riproducendo ciò che succede sul tavolo di chi lavora con dati, testi e immagini. Altri campi applicativi, altri problemi di accesso all'informazione richiedono di metter~ in gioco altre organizzazioni spaziali: appartamenti, palazzi e, forse anche, la riproduzione virtuale di biblioteche reali. Una volta prodotto uno spazio virtuale in cui collocare l'informazione, potremmo pensare di essere ritornati a stabilire delle condizioni di accesso ai testi paragonabili a quelle che si realizzano con i supporti fisici tradizionali. Ma non o E Dopo Il Sublime di Pseudo Longino ,._ Q) e l'Inchiesta sul Bello e il Sublime di Burke un'organica introduzione ai labirinti del sublime - ro c. e o N Da Longino a Longino I luoghi del Sublime a cura di Luigi Russo ·- -e Q) CO (.) Dopo L'Acutezza e l'Arte dell'Ingegno di Gracian un'indagine a tutto campo su come e perché è nato il Barocco +-' Q) perché non siamo (e come siamo) barocchi .e +-' Cl) Q) CO Guido Morpurgo-Tagliabue Anatomia del Barocco connesso ad un video permette di riportare sullo schermo dati, immagini e tratti di testo. Ma se non si attuano particolari strategie di rappresentazione, ciò che vedo è solo una molecola di informazione che mi appare slegata dal suo contesto più generale. P er far fronte a tale problema è nata l'idea di produrre, al di sopra della spazialità reale ma microscopica (e per questo inimmaginabile) dei dati impressi sul supporto, una spazialità simulata ma che appaia macroscopica (e quindi immaginabile). A questo· punto del nostro discorso ritorniamo a «Dataland» da cui eravamo partiti e alla proposta di spazializzare l'informazione in base alla metafora del territorio. A fianco di questa troviamo altre proposte, di cui alcune sono già diventate di diffusa applicaz_ione. Il successo di Macintosh (un persona! computer della Appie) deriè così: i nuovi media, soprattutto se arricchiti di queste interfacce di accesso, in qualche modo cambiano, o potrebbero cambiare, l'idea stessa di scrittura e il nostro rapporto con essa. Per capirci, torniamo ad una tradizionale condizione di lettura. Supponiamo di essere in casa e di star leggendo un romanzo. L'atmosfera della città in cui si svolge la trama mi affascina e incuriosisce. Lascio quel libro, mi alzo e ne cerco un altro specifico sulla città in questione. Seguendone le vicende architettoniche posso essere stimolato a cercare un terzo libro di storia ... e così via. Ora invece sono di fronte a un lettore di Compact Disc. Immaginiamo che in esso sia registrato tutto il contenuto della mia biblioteca. Il percorso tra i testi che posso fare è esattamente lo stesso di quello prima proposto. Solo che il modo in cui ciò avviene produce una rilevante differenza percettiva che dipende dalla diversa scala dei tempi in cui si attua il passaggio da un testo all'altro. Muoversi nella biblioteca «fisica» implica una serie di gesti, di spostamenti, di ricerche di pagine che, nell'insieme, costituiscono una durata apprezzabile. La stessa operazione viene compiuta dal Compact Disc in alcuni decimi di secondo: alla nostra scala dei tempi praticamente all'istante. Questa variazione temporale comporta una percezione totalmente differente della natura del fenomeno. L'informazione a cui accedo mi si presenta come immersa in una sorta di spazio pluridimensionale continuo in cui posso muovermi a piacimento variando di percorso senza interruzioni evidenti. E la scrittura stessa perde la sua tradizionale linearità nel momento in cui ogni parola può sempre essere il punto di intersezione di diversi fili del discorso, procedenti in diverse direzioni (ben inteso: anche muovendomi tra i libri «fisici» della mia biblioteca posso operare una frammentazione della linearità del testo, saltando da un libro all'altro. Ma il distacco temporale generato dall'operazione di passaggio fa permanere l'individuale linearità di ciascun segmento). Questa nuova forma di rapporto con la scrittura propone l'ipotesi di inedite «strutture letterarie»: dal libro estendibile (con la possibilità di approfondire diversi argomenti toccati o di seguire diverse vicende che si intrecciano con la storia principale), al libro in cui è il lettore a costruirsi la storia (mentre l'autore offre l'ambiente, i caratteri dei personaggi, gli antefatti), fino ai più banali manuali di istruzione o cataloghi di vendita per corrispondenza interattivi. È ancora troppo presto per dire quanto di queste possibilità diventerà davvero pratica corrente. Ma se ciò dovesse succedere, la cosa potrebbe avere un impatto culturale profondo. L'introduzione della scrittura, com'è noto, ha costituito anche un fattore di riorganizzazione del pensiero. Dopo il suo avvento e la sua diffusione si è stati portati a pensare ciò che poteva essere scritto: il pensiero, cioè, ha teso ad una maggior linearità. «Mentre viviamo praticando un solo linguaggio i cui suoni si inseriscono in una scrittura loro associata, ci è difficile concepire la possibilità di un modo di espressione in cui il pensiero disponga graficamente di un'organizzazione che potremmo definire a raggera.» Così scrive Leroi-Gourhan riferendosi alla nostra difficoltà a comprendere il pensiero delle culture prealfabetiche (A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, Einaudi, 1977). Altrettanto difficile è immaginare oggi un modo di espressione in cui il pensiero disponga di una scrittura polidimensionale e interattiva.

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