traccia necessaria di ogni movimento del corpo, di ogni spostac mento nello spazio, non è metafora del fare, del camminare, del respirare, né semplice visione, ma piuttosto «prossimità» di ogni momento di vita alla parola che in esso germina e muove. «In forma di parole» Anno settimo, n. 4 Padova, Liviana editrice, 1987 pp. 224+ 150, lire 20.000 «Invarianti» Claudio Mutini Presentando alcune riflessioni habermasiane che dalla Teoria del1'agire comunicativo (del 1981) si sviluppano in Der philosophische Diskurs der Moderne e Die Neue Unubersichtlichkeit ( entrambi del 1985, e soprattutto rilevante il secondo perché, al di fuori delle regole del lavoro accademico, Habermas discute su temi di attualità a mezzo di interviste e articoli su periodici), Sergio Marconi sottolinea che «la nuova non-chiarezza» identificata da Habermas nel dibattito contemporaneo è quella che storicamente segue alla crisi del Welfare State e all'esaurimento delle energie utopiche. In questi scritti il francofortese polemizza vivacemente sia con le posizioni neo-conservatrici che vorrebbero mantenere inalterato a qualsiasi prezzo il modello capitalistico della modernizzazione economica e sociale a costo della rinuncia a una cultura moderna, sia con le opposte posizioni di quanti criticano la crescita in maniera talvolta esasperata in senso antimodernista. «Limitare la crescita della complessità monetario-amministrativa - afferma Habermas - non equivale assolutamente a rinunciare a forme moderne di vita». Vorremmo aggiungere: comprendere i fenomeni di complessificazione che appaiono a livello monetario e amministrativo dovrebbe significare la riconsiderazione moderna dei rapporti sociali e della produzione di una «nuova oggettualità» da parte di un pensiero critico volto - a parte le estremizzazioni di «debolezza» e l'appello ai «diritti naturali» - al «riconoscimento dell'altro e autorappresentazione del sé». Che è quanto riprogetta, da un'angolazione di tipo semiologico, Giorgio Patrizi presentando quel libro «insieme affascinante e irritante [... ] ricco dell'opacità, della superficialità di una scrittura rizomatica» qual è L'America di J. Baudrillard. «Nell'estrema fase di capitalismo tecnologico - scrive Patrizi - al valore d'uso dei segni e degli oggetti si sostituisce il valore di scambio di questi in un regime assoluto di 'equivalenti universali' che si rapportano l'un l'altro senza più alcuna apertura sull'universo dell'uso». A questa realtà dura ed eloquente dell'oggetto - non più «prodotto» ma cosa, riproducibile sull'equivalenza della copia e del modello - «occorre guardare - scrive Patrizi - con l'attenzione non all'apocalissi, prossima o già avvenuta, ma agli spazi che è ancora possibile sottrarre alla storia [... ] dell'accumulo e dell'esibizione». Queste riflessioni su Habermas e Baudrillard ci sembrano indicative della metodologia di «Invarianti», il nuovo trimestrale politico-culturale (n. I, primavera 1987) edito a Roma da Antonio Pellicani. Le attuali «trasformazioni» che la rivista si propone di indagare e di «descrivere» con gli strumenti di una aggiornata critica materialistica vengono osservati nel campo lungo della genetica e dell'arte della guerra, del pensiero politico e della pratica artistica. Assunto lo spessore della ricerca come carica interdisciplinare e non come un insieme di tessere da rifunzionalizzare entro un anonimo apparato di rappresentazioni (processo in cui il collettivo redazionale ravvisa la vecchia strategia della classe dominante di mascherarsi, come indicava Marx, o di a-nominarsi, come dichiaravano le Mitologie barthesiane), la critica di «Invarianti» dirime l'ambigua oggettualità postmoderna riproponendo il confronto con il passato o con l'ideologia. È così che, operando su un concetto di natura «fortemente antropizzata», Giovanni Berlinguer può distinguere un'etica laica della scienza dal naturismo di origine cattolica e dall'avventurismo tecnico-scientifico dei progressisti ad ogni costo; così Manlio Carpio, analizzando la guerra «a bassa intensità» adottata dagli USA in Centro America su modelli vietnamiti, può descrivere le strane peripezie di un «classico» della guerra, il testo di K. von Clausewitz, sfuggito dalle mani dei rivoluzionari e caduto in quelle del generale John Waghelstein, capo degli assessori americani in Salvador; così si ridescrive la «fortuna» della Rivoluzione liberale di Pietro Gobetti dall'interpretazione di De Caro a quella recente di Bobbio (via Spriano); così, in un importante settore musicologico affidato a Giuliano Mesa, Alessandro Sbordoni è in grado di ricondurre l'ascolto della musica contemporanea a «uno sforzo di conoscenza [... ], e questo - aggiunge - in una società come la nostra in cui spesso si combatte a colpi di immediatezza». E sotto questo aspetto, sono «immediate» o insignificanti nel senso «iperrealistico» del termine le immagini filmiche del documentario o quelle letterarie che ci vengono da L'uomo di Pechino oppure dalla recente narrativa italiana (De Carlo, Tondelli, Busi)? Si tratta insomma di innocenti documenti di vita o di iperideologia dello spettacolo che omologa testimonianze artistiche anche culturalmente distanti? Regina Franceschini, della redazione di «Invarianti», replica alla sottile consensualità invocata dalle immagini di pensiero con una mise en scène di materiali da Dostoevskij, Kafka e Blanchot, che non fortuitamente riecheggia la «filosofia dell'eclisse del moderno» attribuita da Habermas alla distruttività delle avanguardie. «Invarianti» Per descrivere le trasformazioni Trimestrale politico culturale Direttore resp. Sonia Trincanato Roma, Antonio Pellicani Editore Anno I, n. I, primavera 1987 lire 8000 «Methodologia» n. 1 Bruna Zonta Fra le riviste di cultura una neonata (giugno 1987), ma di lontani e nobili ascendenti. Titolo, «Methodologia», e sottotitolo, Pensiero, Linguaggio, Modelli, evocano chiaramente le cinque generazioni che la precedono: direzione, comitato scientifico e autori del primo numero ne sono testimoni oculari nell'arco di più di 40 anni. Capostipite «Analisi», del 1945, dedicata alla critica della scienza, con i nomi di Silvio Ceccato, Vittorio Somenzi e Giuseppe Vaccarino, per le redazioni di Roma e Messina. Sua erede diretta, «Sigma», con il sottotitolo di Conoscenza unitaria, a cura degli stessi Somenzi e Vaccarino, con contributi ceccatiani, seguita nel 1949 da «Methodos», organo del Centro italiano di metodologia e analisi del linguaggio. Ai tre citati fondatori si erano intanto uniti Ferruccio Rossi Landi, Paolo Facchi ed Ernst von Glasersfeld, mentre fra i collaboratori stranieri cominciavano ad inserirsi filosofi e scienziati come H. Dingler, logici come Bochenski, teorici dell'informazione e cibernetici (V. Braitenberg, D. Gabor, O. Selfridge, C.E. Shannon, A.M. Turing e N. Wiener). I contributi «cibernetici» erano sempre più numerosi, sinché la rivista nel 1959 divenne organo del Centro di cibernetica e di attività linguistiche dell 'Università di Milano, diretto da Silvio Ceccato. Fra gli autori dei primi anni sessanta figurano anche i nomi di due ingegneri cibernetici, collaboratori di Ceccato nelle costruzioni modellistiche «Adamo II» (1956) e «Cronista meccanico» (1962): Renzo Beltrame ed Enrico Meretti. La ripresa di «Methodos», sotto il nuovo nome di «Pensiero e linguaggio in operazioni» (1970), assumerà un carattere più strettamente linguistico, in contributi sull'analisi del testo, traduzione meccanica, e lingua universale, con i nomi di Giampaolo Barosso e Maria Vittoria Giuliani. Nasceva intanto (1967-73) «Nuovo 75»: Metodologia, Scienze sociali, Tecnica operativa, per iniziativa di Felice Accame e Carlo Oliva, che fin da giovanissimi, insieme con Marco Sigiani, avevano partecipato alle attività del Centro. Qual è il phylum che lega, al di là dei nomi e denominazioni, questa nuova «Methodologia» a quel passato che abbiamo brevemente ricordato (e ci scusiamo per le involontarie omissioni)? Ne offrono la chiave proprio gli articoli di Somenzi, La scuola operativa italiana, e di Vaccarino, Costruttivismo e conoscitivismo. Di taglio storico, come è consuetudine dell'autore, il primo ripercorre la storia delle idee che sono confluite nella Scuola, e che differenziano al suo interno, per esempio, la posizione di Ceccato da quella di Vaccarino. Per gli operazionisti italiani si tratta sempre di considerare ogni cosa nominata frutto di operazioni e non di riflessione passiva di una qualche «realtà esterna» che si imporrebbe per così dire già pronta, tutta lì da «conoscere». Nell'approccio operativo, infatti, non ci sono oggetti a priori, alla maniera realistico-positivistica, e neppure soggetti a priori, secondo i dettami dell'idealismo-spiritualismo, ma semplici operazioni mentali, che la mente può compiere, non compiere, o compiere diversamente, con risultati di volta in volta diversi (anche se, a parere di molti, non è sempre facile difendere la posizione della Scuola dalle «accuse» di idealismo!). Analisi e descrizione dell'attività mentale e dei suoi prodotti, è dunque il programma comune. Più rivolto alla meccanizzazione dei risultati, anche se provvisori, Ceccato, nel suo intento «logonico»; paziente sistemista e teorico della completezza, il chimico Vaccarino. Acerrimo nemico del filosofare e dei filosofi il primo, più ancorato, anche se in atteggiamento critico, alla storia della filosofia il secondo; entrambi con molti ripensamenti alle spalle. Resta dopo la lettura una curiosità: che cosa caratterizza e distingue l'operazionismo italiano da altre posizioni analoghe quali quelle di H. Dingler o di P.W. Bridgman? Ci piacerebbe vedere, in un prossimo numero, ripreso e approfondito un questionario promosso al proposito nel 1972 dal ricordato «Nuovo 75». Nel merito della posizione operativa italiana si addentra Vaccarino, contrapponendo «operativo» a «conoscitivo», con l'accostamento al primo di «costruttivo», allontanandosi forse un poco dall'ortodossia della Scuola, ma evidenziando così la parte appunto «construens» del programma, a nostro avviso ancora più originale di quella critica, «destruens». Ed è ancora Vaccarino a cercare nella storia gli antenati dell'operazionismo: .dall'imperativo socratico, il «conosci te stesso» (che in termini rigorosamente operativi forse suonerebbe meglio come «sii consapevole di ciò che fai») ai processi «sintetici a priori» kantiani, e forse anche a qualche sofista, con quel riferire tutto all'uomo e al suo fare (se tutto o quasi ciò che sappiamo di un Protagora, avverte Vaccarino, non ci provenisse da un accanito denigratore, Platone). Alla critica del conoscitivismo, cioè alle aporie della epistemologia tradizionale, ritorna Glasersfeld insieme con Francisco Varela in Problemi della conoscenza e organismi cognitivi, condividendo tuttavia il pensiero di Thomas Kuhn, che sinora non è stato prodotto alcun accettabile paradigma alternativo. Riconoscono, i due autori, che il socratico Teeteto potrebbe essere scambiato per la registrazione di un attualissimo seminario. Glasersfeld vive da anni negli Stati Uniti e, come tutti coloro che si distaccano per necessità dalle origini, presenta assieme a uno spiccato conservatorismo i caratteri di un necessario adattamento all'ambiente: fedele alle prime istanze dell'operazionismo, resiste agli sviluppi, mentre non è alieno alle voci nuove. È così che per lui «costruttivismo» assume tutt'altro significato, se non abbiamo frainteso, e cioè un modo di formulare e provare ipotesi rivolto alla umana sopravvivenza, modo che diventa costruttivo, appunto, nella misura in cui ci ha salvato e nei limiti in cui non sia stato contraddetto dall'esperienza. Gli autori non nascondono i molti problemi che rimangono aperti, per esempio, quello degli altri organismi cui attribuire o non le nostre invarianti, quello del rapporto osservatore-osservato, quello delle argomentazioni circolari e dell'autoriferimento. E qui le culture della cognitive science e delle computazioni ricorsive fanno sentire mutuazioni ed estrapolazioni dalle e nelle scienze naturali. Approdato più recentemente all'operazionismo è Marco Bettoni, ingegnere, e cultore di intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda il confronto e riconoscimento meccanico di forme da parte di dispositivi ottici. Nel suo Human vision and artificial vision, che chiude il primo numero di «Methodologia», il modello seguito è l'architettura fisica del cervello proposta da Wolfgang Kinzel, che riprende in parte una vecchia ipotesi della fisiologia, secondo la quale combinazioni frequenti di· stimoli sarebbero memorizzate funzionalmente in strutture complesse, dando vita a connessioni relativamente stabili. Al riapparire degli stimoli, verrebbe messo in moto l'intero processo di «riconoscimento». In questa linea, l'interazione fra i recenti ritrovati della fisica dello stato solido, i modelli matematici, le giovanissime «connection machines» di Daniel Hillis per la computazione parallela, insieme con una particolare applicazione delle analisi ceccatiane, potrebbe garantire, secondo Bettoni, un modello integrato e fecondo per la comprensione della base neurofisiologica delle attività mentali umane. «Metholodogia» Pensiero Linguaggio Modelli Rivista quadrimestrale A cura della Società di Cultura Metodologico-Operativa Edizioni Intrapresa, anno I, n. 1 Milano, giugno 1987 pp. 85, lire 15.000 re ·ac'è librodi piritin ercadi • un Gabriele Frasca Il fermo volere Una nuova avventura dell'ingegnoso Spirit A. Arcomanno, Pedagogia, educazione e istruzione nell'Italia unita (1860-1877) pp. 280, L. 30.000 L. Terreni, La prosa di Paul Celan pp. 173, L. 15.000 E. Fiandra, Stifter e i suoi lettori. Storia critica del « Witiko» pp. 80, L. 15.000 M. Argentieri, L'asse cinematografico Roma Berlino pp. 130, L. 15.000 F. Liberatori - G.B. De Cesare, Nozioni di storia della lingua e di grammatica storica spagnola pp. 189, L. 20.000 C. Bordoni, Il romanzo senza qualità. Sociologia del nuovo rosa pp. 184, L. 17.000 R. Runcini, Lineamenti di sociologia della letteratura pp. 115, L. 8.000 C. Bordoni, Il piacere della lettura pp. 120, L. 15.000
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