mento, quelle forme si sono caricate culturalmente di certi significati, di certe «pregnanze emotive». La nostra cultura visiva fa uso di quelle forme così semantizzate, senza però necessariamente fare più riferimento all'origine della loro semantizzazione. Così fa anche Mattotti, con l'aggiunta che il contesto narrativo-fumettistico in cui queste forme si presentano le risemantizza nuovamente, combinando il loro significato culturale con quello contestuale. Si tratta delle stesse forme, ma il fatto di essere giustapposte tra loro in un certo modo, e in relazione a una certa situazione narrativa ne modifica ed esalta i significati. In fondo questo non è diverso dall'operazione del poeta o del pittore. Le parole di cui l'uno dispone, e i colori di cui dispone l'altro, sono in numero limitato ed è la posizione reciproca in cui vengono messi che li riempie di quel significato fondamentale che li fa costitutivi dell'opera nel suo complesso. Non perché Mattotti usa forme pittoriche, lo si può accusare dunque di non fare veri fumetti. Le forme che un fumettista (che ogni artista) usa possono venire da qualsiasi ambito, ma l'ambito in cui l'artista le usa ne ridefinisce inevitabilmente il significato e l'importanza. Il fatto che l'estetica di un linguaggio artistico debba essere «aperta» - nel senso di disponibile ad accettare e spiegare forme provenienti da altri linguaggi - non significa che essa non possa esistere, e che non possa fare il punto su una serie di specificità del proprio oggetto. Questo è il motivo per cui le posizioni degli oppositori alti e bassi non sono realmente significative, ma sintomo più di una mancata riflessione che di risultati teorici. Anche perché uha riflessione teorica sull'estetica del fumetto praticamente non esiste, e i tentativi di provocare una discussione sull'argomento sono abbastanza caduti nel vuoto. Da segnalare, a questo proposito, è almeno il dibattito sviluppatosi nell'anno 1985 sulla rivista «alter alter», nella rubrica Alter Arte tenuta da Renato Calligaro. Implicitamente, comunque, le posizioni assunte da diversi giovani fumettisti italiani sono posizioni teoriche nel senso di un'estetica del fumetto così come l'abbiamo accennata in queste righe. Questa presa di coscienzaestetica è a mio parere quello che maggiormente distingue il nuovo fumetto da quello tradizionale. Non il fatto dunque di essere operatori artistici, poiché i fumettisti lo sono sempre stati, ma il fatto di sapere di esserlo, e di non aver timore di dichiararlo. Frontierdeelfumetto L eggo in una intervista ad Arnheim («Alfa beta», n. 88) questa considerazione: «Sì, i critici in generale non emettono. più giudizi di valore, ma pare che adesso abbiano il compito di accettare tutto, di descrivere, spiegare e tutto finisce lì». Un giusto rimprovero, se la critica è una funzione dell'estetica come scienza dell'arte e fonda il suo statuto sulla interpretazione e sul giudizio di valore. Forse una delle ragioni non secondarie di un tale atteggiamento sta nella esautorazione dell'estetica provocata dall'avvento delle comunicazioni di massa. Poiché le comunicazioni di massa tendono a produrre più mito che arte, diventano il campo d'analisi più della sociologia che dell'estetica; e se per creare mito è necessaria ovviamente una adeguata «formazione» dell'opera, una tale formazione diventa però a sua volta oggetto di analisi della semiotica, per le sue caratteristiche di macchina industriale. Infatti i significati non sono sottoponibili a un giudizio di valore estetico, e la macchina è comunque sotto controllo in un contesto di «sistemi che tendono a escludere la interpretabilità, cioè a ridurre la dinamica della esistenza associata a una pura comunicazione e ricezione d'informazioni» (Argan). L'assenza di giudizio estetico si accompagna alla convinzione che nell'ambito delle comunicazioni di massa non ci sia posto per l'arte, e al malinteso di un'arte d'avanguardia che esaurisca in sé l'arte tout court. Ma se l'avanguardia con la sua esasperata attenzione alla forma si è opposta dialetticamente alla cultura di massa, la dimensione mimetico - illustrativa di una realtà intellegibile e decifrabile propria dell'arte tradizionale perdura appunto nell'arte di massa, che di quella tradizionale è diretta discendente. In fondo la maggior parte della produzione di opere di comunicazione estetica, più nella letteratura e nel cinema, meno nella pittura e nella musica, appartiene all'arte tradizionale di massa. Anche il fumetto d'autore appartiene a questa categoria, ma è singolare che l'estetica (la critica d'arte), pur presente negli altri linguaggi, sia stata pressoché totalmente assente nel fumetto. Basti dire che non esiste nei mass media alcuna rubrica fissa sul fumetto, ed eccezionali apparvero per un certo periodo sull' «Europeo» le recensioni di Carlo Della Corte. Ora, poiché l'estetica (e la critica d'arte), esautorata all'interno della cultura di massa, si coltiva invece e fiorisce nella cultura della avanguardia, possiamo ben dire che là dove questa non c'è (non c'è stata), là non c'è l'estetica. Il fumetto infatti è l'unico dei linguaggi, anche dei recenti quali il cinema e la fotografia, a non aver prodotto una avanguardia. Il perché, e cosa abbia comportato e comporti questa assenza, potrebbe essere il teme: di un dibattito interessante quanto vivace: poiché la maggior parte degli autori di fumetto coltiva una radicata avversione verso la critica d'arte e si compiace di negare l'artisticità del mezzo. Considerando appunto arte solo quella dell'avanguardia, e vedendo in essa nient'altro che la manifestazione della «morte dell'arte», ogni discorso sull'arte viene così liquidato, in nome di una estetizzazione diffusa non interpretativa e non giudicante, sotto la sovrana potestà dei mass media. Ma poiché da un lato l'annunciata «morte dell'arte» non avviene, anzi, in una ritrovata dialettica fra istanze mitiche massmediali e istanze di rigore formale, essa si rinnova ancora superando ogni autonegazione; e dall'altro l'estetizzazione globale si risolve nella organizzazione del consenso e nella pura narrazione di un mondo divenuto favola, la riproposizione del problema estetico non è eludibile. In questo senso, di fronte a una crisi se non quantitativa, certo qualitativa del fumetto, stretto inoltre fra la logica del mercato e la concorrenza degli audiovisivi, c'è da proporre una nuova attenzione ad esso da parte della critica in generale. Attenzione che, per esempio, in Francia e in Belgio si esprime già da tempo attraverso la prestigiosa rivista «Les Cahiers de la Bande Dessinée» (il cui numero 71, settembre-ottobre 1986, dedica fra l'altro uno speciale Italia ad alcune problematiche del nuovo fumetto). L'estetica non solo si pone i modelli per l'analisi, ma quale laboratorio progettuale si pone modelli/ipotesi di lavoro per l'operare artistico. Essa legittima pertanto la proposizione di nuove «teorie», nuove frontiere anche per il fumetto. Ma una innovazione radicale (e qui intendo anzitutto nel fumetto per antonomasia, cioè quello narrativo metonimico) investe il problema centrale del «racconto». Alla base della resistenza alle innovazioni c'è l'idea che non ci sia «racconto» se non nel raccontare una «storia» (un intreccio). Per questo il modello di narrazione tradizionale mimetico/descrittivo/illustrativo, di stretta dipendenza dai sistemi del mito e della fiaba, viene difeso da ogni intrusione intellettualistica, formalistica che possa «disturbare» l'intreccio della storia. Ma, se «in principio era il racconto», anche oggi e dovunque c'è il racconto. Qualsiasi percezione che si svolga in un tempo dato è percezione di un racconto (al limite anche in un suono iterato, in un quadro tutto nero), e non solo perché le opere sono «aperte», ma perché in fondo il racconto è nella loro oggettiva struttura di comunicazione. Così anche nell'arte d'avanguardia che «comunica solo se stessa». Quello che invece conta è che c'è uno sviluppo del racconto dal racconRenato Calligaro to/mito co-me memoria al racconto/arte come coscienza, e ciò comporta uno sviluppo delle tecniche e dei modelli. Anche l'arte d'avanguardia racconta, ma appunto cose diverse con tecniche diverse. La questione non sta allora tanto nel rifiuto di una struttura formale pregiudizievole al «raccontare», quanto nel rifiuto di raccontare cose diverse che necessitano strutture formali diverse. Come dice Robbe-Grillet (Pour un nouveau roman: questi argomenti sono stati ampiamente dibattuti in ambito letterario anche in Italia dai tempi del Gruppo 63): «... non è l'aneddoto che è sospetNovembre Dicembre 1986 Numero 40 Anno 4 Lire 5.000 autore, imbalsamandolo». È un problema sociologico e psicologico, ma perché non dislocarlo nella dimensione dell'estetica, dove se ne può prendere coscienza in modo nuovo? Dove l'autore può porsi non solo come fabulatore, ma anzitutto come artista? Non perché già non lo sia di fatto, ma perché una nuova autocoscienza metodologica, operativa, può portare a nuove esigenze creative (là dove c'è l'estetica, là c'è l'avanguardia). Non è una ipotesi idealista: va solo suffragata da argomenti concreti. Io credo che se ne possano porre immediatamente quattro punti, Scienza Esperienza La ricercafarmaceutica in Italia Dati• Investimenti• Aziende • Esperti. • Segreto • Ritardi • Tecnologiebiomediche • Informazione Speciale:guerrestellari Il rapporto sovietico Comecostruiamola realtà Intervistaa Paul.Watz/a.wick In tutte le edicole e nelle migliori librerie dal 1° novembre EdizioniMediaPressesrl - ViaNinoBixio,30 - 20129Milano to, è soltanto il suo carattere di certezza, la sua tranquillità, la sua innocenza». Non è dunque un problema della macchina, ma dell'operatore. Per farsi accettare, per essere amato, narra favole modificandone le carrozzerie ma non la struttura. Come dicevo altrove (Cat. Csac-Parma): «È una operazione cosmetica. Narratore consumato, commuove il pubblico con un artificio, non disumanizzato. Un'operazione sleale, direbbe Ortega y Gasset. Per tutto questo l'artefice è decisamente monostile (mentre l'arte contemporanea si caratterizza appunto per la non fissità dello stile): quando il pubblico è giunto a riconoscerlo, a possederlo (il piacere dell'uomo medio sta più nel riconoscere un Van Gogh che nel goderne la forma), quando in definitiva è il pubblico che gli dà identità e lo fa esistere, questo non può essere tradito, non gli si può rompere il giocattolo che lui ha collaborato a costruire. Intervenire sulle strutture (e infrangere così l'unità di stile), viene interpretato dal pubblico come un defraudarlo del suo possesso. Più che la difficoltà di lettura, è il privarlo di ciò che lui ha fatto, ed è suo, che il pubblico non perdona. Ecco perché il pubblico è conservatore: conserva la sicurezza che ha acquisito 'facendo' un tesi a una emancipazione della «scrittura» (sia del testo che della immagine) dalla referenzialità più scontata, in modo cioè che la «scrittura» possa (al limite, se necessario) anche prendere il sopravvento sulla «storia»: nel senso che non si tratterà di raccontare un'avventura, ma di raccontare il «linguaggio come avventura». 11 primo di questi punti concerne un nuovo rapporto testo/immagine; il secondo le variazioni non all'interno di una struttura, ma delle strutture (o modelli) all'interno della «storia»; il terzo la eterogeneità degli stilemi e delle tecniche; il quarto l'uso della metafora. Si tratta, per il primo punto, della possibilità di liberare la «fi0 gura» (le immagini), in misura e secondo esigenze diverse, da una funzione illustrativa del testo. La funzione illustrativa è normale nell'arte tradizionale, ma è anche il più delle volte situazione di subordinazione dell'immagine al testo. Si sa che da una stessa sceneggiatura si possono dare sequenze di immagini diverse, ma qui si pone una questione di metodo: in una sceneggiatura non fissa, una immagine di particolare pregnanza può determinare variazioni della sceneggiatura e, quello che conta, dello stesso intreccio, in modo che la storia si costruisce nel suo dispiegarsi, si inventa facendo. Ciò comporta maggiori possibilità di resa estetica, per la imprevedibilità delle invenzioni linguistiche (sia sul piano testuale che su quello figurale). È una questione di metodo: cioè dell'uso di un progetto «debole» (mentre la sceneggiatura tradizionale è un progetto «forte») che è una prerogativa dell'arte contemporanea dove la funzione illustrativa esteriore e descrittiva è andata perdendosi a vantaggio della possibilità di dare «forma» alle istanze profonde della psiche e della realtà. Il punto secondo concerne le possibili variazioni di struttura all'interno di una storia, passando per esempio da una struttura tradizionale metonimica (narrazione) a una struttura tradizionale metaforica (strisce), da una sequenza mimica (teatro) a una tavola di immagine unica come fermata/stazione di «figura intensiva» (pittura) a una fermata/stazione di testo (poesia visiva) ecc. Ciò instaura una nuova dimensione: cioè un ritmo delle strutture, e non più solo quello dei riquadri e delle parole. Il punto terzo concerne l'uso a questo punto quasi obbligato dei diversi stilemi e tecniche, nella «figura» (passando dal naturalismo al grottesco, dal descrittivo all'astratto, dal gestuale al surreale, ecc.) come nei testi (sia come letteratura che come fatto grafico). La non-unità di stile (Joyce, Klee) libera da un lato, nel suo processo metamorfico, l'autore dalla noia di disegnatore/burattinaio che si cristallizza in «carrozzeria», e dal- )'altro è ormai una conquista imprescindibile per trattare la nostra realtà polimorfa e problematica. Tutto ciò è sicuramente legato a un maggior uso della metafora (quarto punto), che libera il fumetto dalle ricorrenti «ridondanze» nei rapporti testo/immagine, testo/intreccio e immagine/intreccio. Si tratta più che di descrivere e rappresentare, di «visualizzare»: cioè inventare quelle immagini di grande quantità di informazione (non ridondanti) per cui, per esempio, un paesaggio è un luogo psichico prima che geografico, una azione umana uno stato d'animo prima che un gesto, ecc. All'interno di questa logica metaforica uno stesso persona,ggio può essere «visualizzato» qui con una fotografia, là con un disegno grottesco, più oltre con uno cubista e infine con un segno astratto (punto tre). È chiaro che queste più che sommarie indicazioni non pretendono di essere né una teoria né una poetica: ma sono un invito alla critica e alla filosofia dell'arte per un approccio più attento al linguaggio fumetto che, nella sua ricchezza di possibilità estetiche come «arte sequenza», può coinvolgere nel loro stesso rinnovamento letteratura e pittura.
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