John Stuart Mili Saggio sulla libertà Milano, Il Saggiatore, 1981 pp. 153, lire 7.000 Rolf Sartorius (a cura di) Paternalism Minneapolis, University of Minnesota Press, 1983 pp. XII - 287 John Kleinig Paternalism Manchester, Manchester University Press, 1983 pp. xv -242 lf obbligo per i motociclisti di portare il casco e le campagne informative e pubblicitarie contro il fumo e contro gli alcolici. Il divieto dell'eutanasia e quello del gioco d'azzardo. Le leggi antidroga e la menzogna del medico al malato incurabile. Di questi argomenti e di altri ancora si parla, dal punto di vista morale e giuridico, in un dibattito filosofico condotto in modo assai vivo e spesso stimolante nei paesi anglosassoni. Tutti questi fenomeni vengono accomunati sotto la definizione di «paternalismo». «Paternalismo» è un termine poco usato in Italia e appartiene tradizionalmente alla cultura e al pensiero politico liberale. N. Matteucci, nel Dizionario di politica (con N. Bobbio, Torino, UTET, 1976), scrive: «Nel linguaggio comune paternalismo indica una politica sociale diretta al benessere dei cittadini e del popolo, la quale esclude la loro diretta partecipazione: è una politica autoritaria e insieme benevola, un'attività assistenziale per il popolo esercitata dall'alto, con metodi puramente amministrativi. Per esprimere tale politica, ci si riferisce, con un'analogia, all'atteggiamento (benevolente) del padre verso i figli 'minori'» (p. 712). Per una storia del concetto i riferimenti d'obbligo riguardano Locke e il «governo paterno», Kant e la sua polemica contro il dispotismo, Tocqueville e la sua denuncia dei pericoli dello «stato paterno» in La democrazia in America. Dopo il primo dopoguerra si è parlato, oltre che di paternalismo politico, anche di «paternalismo sociale», intendendo con ciò «un regime di relazioni tra l'imprenditore e il lavoratore che, misconoscendo la capacità, se non il diritto di questo, di far valere da sé le proprie ragioni, attribuisca al primo una sorta di protezione 'paterna' sui suoi dipendenti, i quali dovrebbero demandare a lui la tutela dei loro interessi» (Enciclopedia filosofica, del Centro studi filosofici di Gallarate, Firenze, Sansoni, voi. IV, 19672,p. 1397). Dall'inizio degli anni settanta, in concomitanza con il rinascere dell'interesse per gli studi di etica normativa (e di filosofia politica: l'opera che segna l'inizio della nuova tendenza è considerata Una tri teoria della giustizia di J. Rawls), ~ dopo una lunga prevalenza delle i::: ricerche di metaetica, un numero t abbastanza considerevole di filo- ~ sofi tiella morale, del diritto, della -. politica, hanno affrontato lo stu- ~ dio ed hanno tentato una qualche 11 giustificazione delle pratiche pa- ~ ternalistiche. La bibliografia sul ~ paternalismo annovera ormai de- -. °' cine di articoli in riviste e di parai:: grafi o capitoli in volumi, fino al volume uscito nel 1983 successiva- .s ~ l mente al convegno tenuto a Lu- ~ tsen, Minnesota, e curato da R. Paternalismo Sartorius, in cui, sotto il titolo di Paternalism, sono stati raccolti interventi inediti insieme a saggi già stampati e noti in precedenza, e al volume di J. Kleinig, pubblicato nello stesso anno e con lo stesso titolo di quello di Sartorius. Si intende per «paternalismo» in questi studi recenti: una limitazione della libertà di un individuo (ma io credo sarebbe preferibile dire: l'esercizio di un potere su un individuo) giustificata dall'interesse presunto dell'individuo in questione, anche se egli considera la limitazione contraria ai suoi desideri e/o bisogni e non ha ad essa consentito. L e attività paternalistiche possono essere classificate in alcune categorie che presentano problemi parzialmente diversi e che, conseguentemente, abbisognano di giustificazioni in parte diverse. Una prima categoria è quella del paternalismo verso i bambini, che è la forma più diffusa e tipica di paternalismo. Una seconda Enrico Diciotti soggetto solo per proteggere i diritti altrui dall'azione dannosa del soggetto. Questo principio, considerato fondamentale, viene espresso come «principio del danno ad altri» (Harm to Others Principle), o, più semplicemente, «princ1p10 del danno» (Harm Principle), la cui enunciazione si fa risalire in genere al Saggio sulla libertà di J.S. Mili. Da tale ,principio consegue necessariamente il rifiuto del paternalismo, così come correttamente pone lo stesso Mili in un più che celebre passo: «Il principio è che l'umanità è giustificata, individualmente o collettivamente, a interferire sulla libertà di azione di chiunque soltanto al fine di proteggersi: il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare il potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri. Il bene dell'individuo, sia esso fisico o morale, non è una giustificazione sufficiente.( ... ] Perché la costrizione o la punizione siano giustificate, l'analistico è giustificato se è finalizzato ad impedire un'azione involontaria che determinerà un danno allo stesso soggetto agente. In questo caso, il principio del danno non subirebbe alcuna violazione, perché la nostra azione involontaria che ci danneggia equivale all'azione dannosa altrui a cui non abbiamo consentito: «Le mie azioni involontarie, dopo tutto, non sono, da un punto di vista morale, diverse dalle azioni di qualcun altro a cui non ho avuto l'opportunità di consentire» (p. 4). Essere protetto dagli effetti dannosi delle mie azioni involontarie equivale ad essere protetto dalle azioni dannose altrui. Feinberg afferma poi che «ci sono azioni di un tipo tale da creare una forte presunzione che qualsiasi soggetto agente, se fosse nelle sue normali condizioni mentali, non sceglierebbe di eseguirle» (p. 9). Poiché tali azioni si presuppongono involontarie, esse devono essere impedite fin quando il soggetto agente non riesce a dimostrare (a provare) la Silvio Code/o, Voglia di cane, in «Frigidaire», n. 49, dicembre 1984 categoria è quella del paternalismo medico, di cui i casi più frequenti sono quelli della menzogna al malato incurabile, dell'applicazione di certe cure al paziente in coma e incapace di dare il proprio consenso, o, addirittura, al paziente che rifiuta il proprio consenso (esempio: trasfusioni di sangue ai testimoni di Geova). Una terza categoria può essere considerata, dato il recente e diffuso interesse per i diritti degli animali, il paternalismo verso gli animali. Un'ulteriore categoria, che ricomprende le categorie precedenti, è quella del paternalismo giuridico, riguardante le norme (generali o individuali) che obbligano a tenere comportamenti (es.: uso del casco per i motociclisti e della cintura di sicurezza per gli automobilisti) o vietano comportamenti (es.: uso di alcune sostanze stupefacenti) per il bene dell'individuo costretto. È noto che la teoria liberale, a cui si richiamano i filosofi che trattano di paternalismo, non è tanto teoria di una forma di governo, quanto teoria relativa alla limitazione dei poteri e delle funzioni dello stato. La teoria liberale assegna all'individuo uno o più diritti fondamentali che lo stato (se vuol ricevere una giustificazione morale) deve rispettare e proteggere dall'aggressione esterna altrui. Lo stato può limitare la libertà di un zione da cui si desidera distoglierlo deve essere intesa a causar danno a qualcun altro. [... ] Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l'individuo è sovrano». Lo stesso Mili, tuttavia, pone dei limiti a tale principio, ammettendo che esso vale per gli adulti capaci, ma non per i bambini, per gli incapaci, per i selvaggi, che, a parere di Mili, sono da assimilarsi ai bambini. Oltre a ciò, nel Saggio sulla libertà si trovano alcuni passi di controversa interpretazione in cui sembra darsi giustificazione di qualche atto o di qualche norma paternalistica. Comunque, è evidente che, una volta accettato il principio del danno, la giustificazione di pratiche paternalistiche diviene estremamente problematica. Sarebbe interessante analizzare la quantità di interventi sul paternalismo disseminati in libri e riviste, per scoprire, al di là delle diversità tra argomentazione e argomentazione, una comune strategia di fondo, tesa ad aggirare l'ostacolo del principio del danno per poter giungere ad una giustificazione del paternalismo o di alcune pratiche paternalistiche. Per motivi di spazio mi limiterò a qualche esemplificaz10ne. J. Feinberg, in un articolo del 1971 intitolato Legai Paternalism e ristampato nel volume di Sartorius, pone che un intervento paterpropria volontarietà. Così, per esempio, se sappiamo che una certa droga «dà solo un'ora di leggera euforia e causa poi una morte immediata e tremendamente dolorosa, allora i rischi a cui ci si espone con l'uso della droga appaiono tanto irragionevoli da creare una forte presunzione di involontarietà» (p. 11). Questo esempio, però, è tanto astratto che è lecito chiedersi se, secondo Feinberg, l'uso di sostanze come l'eroina o l'LSD implicherebbe egualmente rischi irragionevoli, nonché che cosa significa «ragionevole» e su quali parametri (e di chi) si determina il concetto di ragionevolezza. lf argomentazione di J. Kleinig è ancora più problematica. Kleinig utilizza la nozione di autonomia o, nella sua terminologia, di «integrità personale». L'autonomia è un tipo di libertà: la libertà decisionale. Un individuo è autonomo quando agisce secondo scelte «propri~», non condizionate dall'esterno né da impulsi interni non controllati dalla ragione. L'autonomia presuppone la formazione di un proprio progetto di vita, l'organizzazione non contraddittoria e gerarchica dei propri desideri. Il paternalismo può servire a salvaguardare la nostra autonomia quando noi stessi, per distrazione o altro, la violiamo. «[... ] dove la nostra condotta e le nostre scelte mettono a rischio i nostri progetti più permanenti, stabili e centrali, e dove ciò che si esprime con questa condotta e in queste scelte manifesta aspetti della nostra personalità che non sono situati in alto nella nostra costellazione di desideri, inclinazioni, ecc., una benevola interferenza non costituirà una violazione dell'integrità [-...}--doveun comportamento corrispondente ad una tendenza periferica o situata in basso gerarchicamente, minaccia un danno non proporzionato ad un interesse in alto gerarchicamente, si ha una legittima base per l'intervento 'patema~» (p. 68). Il principio del danno viene eluso da Kleinig ponendo che l'azione impedita da un intervento paternalistico appartiene s1al soggetto empirico, ma non al soggetto ~eale», i cui desideri e le cui preferenze sono in netto contrasto con le fina~ lità dell'azione. Le teorie chedicotomizzano la persona in individuo empirico e individuo «reale» presentano rischi evidenti e resi noti da quelle indagini che hanno mostrato l'autoritarismo implicito in tali teorie; è infatti alta la probabilità che i presunti desideri e preferenze «reali» dell'individuo si riducano alla proiezione del sistema di valori del paternalista o di un sistema di valori da lui considerato «razionale». G. Dworkin, in Paternalism, articolo del 1971 che ha dato avvio al dibattito di questi ultimi quindici anni ed è ora ristampato nel volume di Sartorius, pone in modo più diretto il problema della razionalità. Dworkin considera fondamentale questo principio: «lo credo che, essendo noi consapevoli delle nostre tendenze irrazionali, dei nostri difetti nelle nostre capacità cognitive ed emozionali, della nostra ignoranza evitabile e inevitabile, è per noi razionale e prudente accettare una 'politica di assicurazione sociale'. Noi possiamo sostenere o combattere proposte di misure paternalistiche a seconda di ciò che individui pienamente razionali accetterebbero come forma di protezione» (p. 29). In questo caso, il principio che l'intervento repressivo dello stato deve essere limitato alla protezione dei diritti degli individui da azioni lesive altrui viene superato ponendo che gli individui consentono ad altre forme di intervento dello stato: cioè all'intervento paternalistico. Gli individui che danno il consenso sono però gli «individui pienamente razionali», cosicché sorge il problema di che cosa sia la piena razionalità e di quale diritto posseggano coloro che si riconoscono in tale razionalità di imporre comportamenti a chi in tale razionalità non si riconosce. Il dibattito sul paternalismo e i problemi da esso suscitati sembrano di grande interesse e sorprende che non ne sia giunta alcuna risonanza in Italia, né negli ambienti filosofici né in quelli giuridici. È vero che le tematiche riguardanti i diritti dell'individuo sono particolarmente sentite nei paesi anglosassoni, mentre in Italia la cultura egemone, prima cattolica poi marxista, ha rivolto verso di esse scarso ed episodico interesse. Data però la sempre maggiore quantità di leggi e norme paternalistiche emanate nel nostro paese, sarebbe forse opportuno che si aprisse una discussione in questo senso .
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