Alfabeta - anno VIII - n. 89 - ottobre 1986

Herman Bang La casa bianca. La casa grigia Un maestro eterodosso del decadentismo nordico. -Narrativa• - Pagine 213, lire 21.000 Ramon J. Sender L'attesadi MosénMili.in !llmtrazioni di Andrea Musso Spagna 1937. Un'attesa metafisica nel dramma della Storia. •Narrativa• - Pagine 128. lire 14.000 Franco Rodano Leziondi i storia"possibile" Le lettere di san Paolo e la crisi del sistema signorile Nella storia con la forza dell'utopia. •Saggistica• - Pagine 176, lire 23.000 Annie Sacerdoti Guida all'Italia ebraica 49 itinerari in un "tessuto italiano" sorprendente e ricchissimo. Collaborazione di Luca Fiorentino. 330 illustrazioni. • Fuon collana• - Pagine 320, lire 30.000 Distribuzione P.D.f.. DIF.ED. (Roma) Longo Editore c.p. 431 - 48100 Ravenna Tel. 27026 (ltaly) Gerhard Rohlfs Dizionario toponomastico del Salento pp. 152, rii., L. 30.000 a cura di Dante Bolognesi Ravenna in età veneziana in collaborazione con Biblioteca Classense di Ravenna pp. 368, 65 ili., L. 35.000. M.A. Bonfantini - A. Ponzio Dialogo sui dialoghi Dove si parla di filosofia, scienza, utopia, semiotica, musica, poesia, ecotopia e così via discorrendo pp. 202, L. 22.000 Ernesto Citro Agostino John Sinadino e la poetica del simbolismo pp. 176, L. 18.000 diretti da Giorgio Padovan Quaderni veneti, lii voi. pp. 184, L. 20.000 Longo narrativa Marco Marchi Quelli dell'Eldorado presentato da Gino MoJtesanto PP- 144, L. 14.000 , Carlo Manvisi Alla ricerca della.tbolognesità pp. 176, L. 16.000 sparità dal punto di vista produttivo. La sua grande prova di forza paradossalmente fu la sua stessa grande débacle, e quest'ultima sarebbe stata del resto preda e ossessione dello stesso movimento politico; in compenso, e non per caso, il lavoro dei gruppi e degli artisti avrebbe giocato altre carte e si sarebbe attrezzato diversamente. L'avanguardia non sarebbe stata più un'utopia di rinnovamento sociale, ma un'utopia di pratiche artistiche, ed avrebbe attraversato il mito dell'esistenza e dell'arte per sregolatezze, per errori, per fughe, per furori. Tra il Settanta e l'Ottanta c'è stata un'occasione di stesura dicodesta prima scrittura scenica m termini diciamo di immagine per flusso e di corporeità per fissità, e che possiamo rintracciare nel lavoro del «geniale» Perlini e del «nevrotico» Vasilicò, ed anche nel Nanni degli anni felici e nel Marini delle occasioni eccellenti; ed ecco i critici informarsi di quel che succedeva nelle cantine, ecco un particolare pubblico del gusto farsi avanti e pagare il biglietto, ecco persino le istituzioni batter più di un ciglio per tale rimescolio di carte. I nsomma si sa quel che è successo: i lavori di questi artisti, di questi gruppi si sono talvolta visti tradire dal senso dei propri stessi spettacoli, in altre occasioni dalla riduttività implicita voluta del linguaggio usato; generalmente si sono visti riaffrontare e risalire da parte delle istituzioni che nel frattempo avevano ripreso respiro dopo il Sessantotto e tentavano di riabilitare la tradizione. Così ciascuno ha dovuto salvare se stesso tendenzialmente e contare soltanto sull'artisticità, ed in questo gioco via via si sono perdute parecchie speranze e si sono spente parecchie insurrezioni. Fatalmente le istituzioni avrebbero avuto la meglio se non si fosse posto riparo; ed allora sul tramonto, sospeso e rimosso troppo a lungo, degli anni settanta, ecco uscire allo scoperto, ecco venir fuori la postavanguardia. La post-avanguardia è da intendersi come rifondazione e come artisticità, il post essendo stato messo lì per significare la nascita del dopo, il termine avanguardia venendo ricondotto alla sua originarietà mitica ed utopica assieme. La rifondazione e l'artisticità degli anni ottanta riposano sui Magazzini, su Simone Carella del Beat 72, sulla Gaia Scienza, e più tardi tra i più giovani su Falso Movimento. Questi gruppi, questi artisti dapprima si muovono, all'interno (o lateralmente) degli ultimi esiti del movimento nel Settantasette e della diffusione e diffrazione del linguaggio artistico per «studi». Questa seconda prova di forza dell'avanguardia italiana nei confronti del teatro tradizionale è dettata appunto da una rifondazione radicale per cui la stessa scrittura scenica viene erosa, disossata al punto da non aver più testo nè interpreti, per una specie di furore bianco, di oltraggio nero non soltanto contro la tradizione ma anche contro la sperimentazione; ed altresì essa viene costretta ad un bagno di sensibilità ora «bassa» ora «alta», ora «sublime», ora «banale» sino alla poeticità ed a! postmoderno, oltre che ad una ventata di deriva e di irrazionalità, per inserti patologici ed analitici, più una derivazione filosofica ed artistica di occasioni diciamo emergenti. T ra il Settantasette e l'Ottanta, per lavori individuali, per particolari rassegne, per interventi artistici, il panorama dell'avanguardia italiana è messo a nudo, completamente. ristrutturato dal punto di vista del linguaggio o della comunicazione questa volta, con un'accensione ed una vertigine di spostamenti, di modificazioni all'insegna talvolta spasmodica del nuovo, e per chiara esigenza di non farsi imprigionare dal reale, artistico o politico che fosse. Il vento della rifondazione si rovescia sul piano del sommovimento della scrittura scenica, la débacle dell'ideologia porta all'assassinio di qualsiasi tentazione di riduttività artistica. Questi anni «folli» del nuovo teatro italiano, dell'avanguardia degli anni ottanta, sono vissuti in un clima di grande concentrazione culturale, ed attraversati da forti passaggi artistici; appartengono comunque a stagioni riservate ed isolate, fuori dalle lusinghe e dalle malversazioni delle istituzioni, dei critici, e però accolte e comprese da parecchi gruppi in erba, da altrettanti artisti. Il loro esplodere subito dopo gli anni ottanta, come opinione e come produttività, come pubblico e come opere, provoca a livello ufficiale una specie di sbandamento, oltre che una ambigua oppos1Z1one. Ed è la prima volta dagli anni sessanta, e forse anche più in là (vedi il gesto futurista) che l'avanguardia italiana può contare non soltanto sul linguaggio ma anche sulla produttività, può mettere in campo le sue forze senza una strategia sommersa e senza una tattica di marginalizzazione. Non ne poteva venir fuori che un combattimento mortale ed uno scambio di colpi fatali, contro la tradizione del nuovo e contro la sperimentazione intese come estenuazione e ripetizione, in un orizzonte teatrale diciamo ufficiale senza capo nè coda salvo una tentazione subdola di ritorno ai valori e di riscoperta drammaturgica. Gli anni novanta o giù di lì una volta dissolta la presenza onnivora e l'uso indiscriminato della scrittura scenica svoltasi all'insegna della postavanguardia, hanno dalla loro una concezione alta delle opere, come mobilità e come nobilità della scrittura scenica, e dall'altro lato una sensibilità ricettiva, in modo da permettere di attraversare il teatro per narratività drammatica e per montaggio modernamente. L'opera per un verso riafferma la sua individualità, la sua autonomia, per l'altro lato non si fa imprigionare dalla ideologia o dalla moralità; in altre parole la narratività drammaturgica come mito ed il montaggio come flusso di frammenti-globalità permette a quelle opere di distendersi percettivamente e di elevarsi tragicamente. Ci troviamo allora di fronte non più a tendenze, a frazioni, su cui far scivolare il linguaggio e con cui permeare l'artisticità, bensì appunto di fronte ad opere da recepire in termini di trascrizione artistica e di comunicazione percettiva, per analisi concreta e per vitalità interna, le tendenze, le frazioni illanguidendosi e scomparendo di fronte all'insorgere di una creatività produttiva, di una prova di forza per opere appunto, come si diceva. Questa presa di posizione dell'avanguardia, molto lucida ed appassionata, comporta una ripresa del linguaggio per opere di arte e di poesia, per attraversamenti di rappresentatività moderna. Di ciò traggono giovamento e nutrimento sia i gruppi della postavanguardia che quelli più giovani, ed in un certo senso anche i gruppi che si è voluto porre all'ombra della definizione di terzo teatro: i primi potendo superare i miti della spettacolarità e della performance su cui hanno insistito a lungo e con ottimi risultati anche, come sappiamo, ma alla fine divenuti succubi dell'eccesso ambientale e metropolitano, gli altri dovendo contare meno sulla loro eticità, sul loro comportamento, essendosi via via perduti i riscontri ideologici sociali, e non potendo più contare su riscontri di territorio, di tirocinio se non incidentalmente e come residuo, ripiego. A ccade allora che questa scrittura scenica degli anni novanta, necessariamente oramai, di fine secolo, possa e debba avere un senso rappresentativo nel suo procedere e nella sua tenuta, ossia quella quantità e quella qualità di trasformazione, di modificazione che si esigono appunto da un'avanguardia al crepuscolo di fin de siècle. Così la tradizione non può che essere messa in competizione ed il lavoro nuovo non può che sollevarsi, a questo punto, in una modalità né catastrofica né restauratrice, ma tranquillamente allarmante e razionale, esatta e senza consolazione. Questo senso della rappresentazione è tendenzialmente mobile e nobile, attraversa, il teatro da più punti di vista, come materiale drammaturgico e come disposizione ambientale, come scansione narrativa mitica e seduzione simbolica di montaggio; e come tale esso avvolge, dipana, espone, compone il linguaggio senza essere sospeso alla tradizione e senza tradirsi in sperimentazione. È un senso con forte irregolarità interna, con calda passionalità interpretativa, come opera, come spettacolo. Non è possibile usare accumulazione o evocare perdite se si vuole tenere fede a questa onnivora imperscrutabilità del senso della rappresentazione; non è possibile in altre parole tornare integralmente ed idealmente sui propri passi o scivolare sul futuro lungo questa via interpretativa rinnovata, con rimozione, con distraz10ne. Si può essere dalla parte della perdizione del senso e tuttavia stare dentro il vortice della sua presentabilità. Un 10 senza età, una prova senza storia, una conferma di utopia, una verifica di mito. Si può allora uscire di soppiatto e danzare alla maniera degli dei, in stato di grazia, ci si può decentralizzare per immaginarietà ed ambiente, ci si può sedurre e compiangere di morte e di interpretazione gloriosamente. Che c'è da salvare quotidianamente a questo punto, e che c'è da non mandare al macero divinamente? Ecco allora il linguaggio sacro e bianco, ricco di evocazione e di silenzio della Valdoca all'orizzonte; ecco il solo, unico punto di vista per l'abolizione del teatro e dell'interpretazione a favore del mito e della religiosità da parte della Raffaello Sanzio; ecco la ferita mortale del prodotto, nel vivo di una esposizione assoluta di sé da parte di Santagata-Morganti; ecco altresì l'abbandonatamente, senza ritegno dei Tradimenti incidentali tra paesaggi d'arte e stesure di deliri letterari, o la messa in rilievo della narratività drammaturgica per scansione di respiro naturale, per tracce di illuminatività da parte del Laboratorio Fiat di Settimo; in aggiunta, la traversata del teatro per ambienti e per inflessioni sia concettuali che estatici, su una esposizione percettiva moderna del Padiglione Italia, o la distensione coreograficamente liricizzata dal Parco Butterfly complice di una diffrazione drammaturgica sensibile e distesa. Se sono segnali, come tali fanno paesaggio, se sono confini, come tali costituiscono l'orizzonte. Così le individualità, gli autori, gli artisti fanno parte di questo paesaggio, assieme e dentro le loro opere, assieme e dentro il loro lavoro; qui la vita fa posto alla poesia, l'esistenza si trascrive per artisticità, per gioco e per verità, per tradimento ed adesione si tengono per mano finzione e verità. In tal modo non possiamo far altro che scivolare, rientrare nelle'opere, nel lavoro; costruire, ricostruire la loro presenza artistica, la loro esperienza umana. Cantine o teatri all'italiana, mescolanza di arti e scrittura scenica, montaggio e narratività, interpretazione e rappresentazione, e via dicendo, ci escono di pancia e di testa al tempo stesso, per la loro materialità di tracciato e per la loro fisicità compositiva, altresì per la loro persistenza spirituale, di idee, per il loro spessore intellettuale, per la loro visionarietà immaginaria. E così le opere di questi personaggi, di questi autori, di questi artisti nello spazio di un decennio, fanno la nostra vita, il loro soggettivismo la nostra storia, per intagli di vita, per reattività morali, per cinismi insospettati, per rabbie di ~ fondo esplose. Con un eccesso alle 1::s l::'. volte, con un sovraccarico più che -~ naturale, indispensabile comun- ~ que alla loro sopravvivenza, alla ~ loro influenza tutt'attorno. Ma -. con una verità, con un filo rosso, 1;. che li rende trasparenti e contigui, g che li riafferma e li distende, alla 0 O\ ragione alla passione. di tutti noi, ao lettori~ pettatori critici, amatori, ~ in questo crepuscolo di secolo arti- ~ stico e teatrale. • -C> $ (::I

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