Alfabeta - anno VIII - n. 88 - settembre 1986

era generalmente sconosciuto se non nei suoi aspetti puramente funzionali. A distanza di vent'anni, secondo lei, in questo ambito di caratterepiù teorico, si sono fatti passi avanti oppure no? lo so che per molti anni Estetica è rimasta scoperta a Milano. Dorfles. Queste sono ferite che bruciano non tanto a me quanto alla comunità, penso proprio di poterlo dire. Credo proprio che valga la pena di dire come a una Facoltà di Filosofia dell'importanza di quella della Statale di Milano, mancasse allora, e manchi tuttora, la cattedra di Storia dell'arte contemporanea, la cattedra _diSemiotica, la cattedra di Storia del teatro, la cattedra di Storia del cinema, la cattedra di Antropologia culturale. Sto parlando delle cattedre che a me interessano e che, quando insegnavo alla Statale, cercavo di far diventare un'unica cattedra. Ora questo è di una gravità enorme, perché dice l'arretratezza e l'ottusità di questa Facoltà. Non di tutte perché in fondo altre Facoltà più «periferiche», come Cagliari o Trieste, come Bologna o Palermo hanno attivato queste cattedre. Smisurata quindi l'ottusità di una città come Milano, della città che effettivamente è la capitale del design, della moda ecc: .. Questa è la testimonianza una volta di più della scissione che c'è in Italia fra il fare e il dire; fra l'essere e l'avere... Colonetti. Quindi è ancora da riportare questa insufficienza a un modello culturale , che potremmo dire crociano anche se Croce non è l'unico colpevole. Dorfles. Effettivamente le battaglie che Luciano Anceschi a suo tempo e anch'io avevamo fatto, a favore del Barocco, e non tanto contro Croce quanto contro una visione esclusivamente idealista e non attaccata alla realtà tecnica delle cose, mi sembra ancora molto d'attualità. Effettivamente per quanto riguarda il design, visto che ho fatto il nome di Luciano Anceschi, vorrei citare un piccolissimo cataloghino, di una mostra fatta al Museo della Scienza e della Tecnica, che si chiamava «Arte e Tecnica». Era una mostra dove si cercava, con le immagini naturalmente, di identificare il rapporto che deve esserci, non fra l'arte e la scienza - tema malposto e assurdamente svolto nell'ultima Biennale - ma tra arte e tecnica, cioè tra quella che era la techne greca che comprendeva l'arte e la tecnica, e quella che attualmente è una arte senza techne, e una techne senza arte. Ed è stata molto importante. Anceschi. Ne ho un ricordo molto preciso, anche se ero un ragazzino. Era una mostra disegnata da Albini, da Franca Helg e da Rosselli nel '56. Vi si mostravano, accanto alla Colonna sviluppata della Vittoria di Pevsner, stampi di fusione e semilavorati metallici, textures di Paul Klee e elementi di • carrozzerie di Pinin Farina. Allora si poteva sperare in una integrazione fra le _«dueculture»: nel comitato organizzativo c'erano Argan e Olivetti, Nizzoli e Paci, Rogers e Sereni, Sinisgalli e tu stesso, oltre che mio padre. Addirittura, in un testo che ho scritto per il numero della rivista Rassegna dedicato alla Scuola di Ulm che ho curato, le ho attribuito il ruolo di una sorta di choc primogenio, che mi ha orientato a occuparmi di progettazione, a intraprendere, dopo l'Arte cinetica, quel corso di studi, che proprio su tua indicazione mi ha portato appunto a Ulm. Colonetti. D'altro canto, comunque, dagli anni sessanta in poi l'Estetica a Milano è rimasta prevalentemente riflessione completamente staccata dal fare. Questo non significa che non debba esistere un'Estetica più propriamente filosofica. È certamente assente o comunque decisamente periferica un'Estetica legata alla serialità. Dorfles. Lei così non fa che ... sfondare porte aperte. Colonetti. Aperte mica tanto però perché siamo nell'86... Anceschi. Sfondare porte aperte nei confronti di Dorfles, non nel contesto generale, naturalmente. Dorfles. Certo. Ad esempio la Rivista di Estetica, rinata dalle sue ceneri, che ha degli ottimi numeri ecc., resta in gran parte una rivista di filosofia dell'arte. Ora, sono d'accordissimo che l'estetica è filosofia dell'arte, però come ho sempre. sostenuto nelle prime lezioni che facevo nelle varie sedi dove ho insegnato, non è solo filosofia dell'arte, è anche psicologia dell'arte, antropologia dell'arte, quindi tecnica dell'arte. Soltanto attraverso queste conoscenze proprio tecniche del fare artistico si può arrivare anche a una comprensione filosofica. Non vale tanto l'inverso. Colonetti. Sembrano «porte aperte» a noi ... Anceschi. No, no, anzi oggi c'è tutta un'aria di ritorno alla Grande Arte, e di condiscendente disprezzo per le manifestazioni di altro tipo. Progetto sembra diventata una «brutta parola». Colonetti. Questo libro (Introduzione al· Disegno Industriale; ndr) apparve prima presso Cappelli, è vero? Dorfles. Questo libro apparve, non identico ma abbastanza simile, da Cappelli, nel '63. Colonetti. Ebbe problemi a trovare un editore? Dorfles. L'interessante, per dare un'idea della situazione editoriale di allora, fu che io offersi a Einaudi il Disegno industriale, che fu considerato non pubblicabile, cioè non congeniale, dalla redazione. Allora mi rivolsi a Cappelli, che accettò di farlo, e il libro allora assunse una veste molto imponente e illustrata. Era diventato una pubblicazione del tipo dei «libri d'arte». Poi siccome da Cappelli ebbe un buon successo, allora fu lo stesso Einaudi che mi chiese se non avevo niente in contrario a darglielo. Colonetti. Credo si possa dire che fu il primo libro, con un approccio sistematico, sul tema. Anceschi. Ali' epoca erasolo sulle riviste di settore che veniva usata l'espressione disegno industriale, non certo nei libri. Colonetti. D'altro canto, mi pare che comunque da allora, nella produzione teorica e critica, sono nate e si sono sviluppate alcune esperienze, ma non tante. Grandi libri teorici non ·ne sono apparsi. Libri storici si. Dorfles. Ad esempio quello di Gregotti che rappresenta l'unico libro completo sulla storia del disegno industriale italiano. Colonetti. Ma di riflessioni, oltre alle sue... Anceschi. Un'altra osservazione che viene da fare è questa: il design italiano sembra al momento mostrare qualche crisi di idee, che corrisponde in parte a una crisi della committenza. Sul piano dell'oggettistica, ci risulterebbe che le cose non vanno bene come dovrebbero. In proposito mi ricordo la tua relazione· al congresso di Milano dell'83, che suonava un poco come «viva il design italiano». A distanza di tre anni ti sentiresti di riproporla? Dorfles. La situazione è molto ambigua direi. Io ho parlato di una crisi del design italiano già al convegno organizzato da Busnelli nel '72. Quindi secondo me la crisi è cominciata da allora. Dopo di allora c'è stato il fenomeno del Radical Design e poi di Memphis e Alchimia, che per alcuni ha significato la prova della crisi del design italiano, per me invece, come ho detto piiù di una volta, ha significato nd'n la crisi, perché c'era già, ma in un certo senso un tentativo di uscirne. Recentemente c'è stata a Città del Messico una grande mostra organizzata da Olivetti, sul design italiano. E siccome io ero lì in quel periodo per altre ragioni - tenevo un corso di estetica all'università - ho preso parte anche alla tavola rotonda sulla mostra assieme a Zorzi, e ho constatato come veniva accolta la mostra del design italiano. La mostra ha avuto un grandissimo oggi siamo in una fase in cui la funzionalità non è più al primo posto. Anceschi. Abbiamo ù1J,boccato spontaneamente il tema della funzionalità, che volevamo proporti. Già negli anni '70 Cerda MullerKrauspe diceva su Form che l'Opas-Funktionalismus (veterofunzionalismo) era morto. In che cosa è diversa la fine del funzionalismo di oggi? Dorfles. Questo mi sembra davvero il punto nodale. Fino a dieci anni fa, appunto, il binomio forma/funzione era inderogabile. Oggi questo non è più per una ragione squisitamente tecnica. Cioè perché il chip, la microscopica lamella di silicio, è priva di forma. Quindi noi, noi designer, dobbiamo inventare delle forme che non abbiano rapporto con la funzione. E questa è una cosa del tutto nuova. Per cui arriveremo a una nuova funzionalità e a una nuova idea del design. Anceschi. Io vorrei osservare: l'idea di una funzionalità collegata al meccanismo e ai materiali è una cosa, ma mi pare che, pur sempre nellatradizione funzionalista, ci sia anche tutto il filone della funzionaFelice Levini, 1985 successo. Ovviamente i nostri pezzi sono straordinari. Basterebbe la vecchia Olivetti 22... Però, in quella occasione, il direttore del museo aveva, di testa sua, voluto inserire degli oggetti, contrastando quelle che erano le intenzioni della cura olivettiana, e questi pezzi erano oggetti che riguardavano il controdesign, oggetti molli in gommapiuma, gliUfo, il Superstudio, quindi i precursori di Memphis ecc., più parecchia gente di Alchimia e di Memphis. Naturalmente questo creava una mancanza di omogeneità, però indicava anche qualcosa di molto interessante: come, e il pubblico lo dimostrava in maniera clamorosa, l'Italia sappia andare anche oltre il good design. Quindi credo che effettivamente questa azione non ortodossa e anche assurda rispetto alle intenzioni di parte Olivetti, abbia mostrato con queste due tendenze che il design italiano può andare avanti. Colonetti. Ma seguendo la via indicata dal radical design ecc.? Dorfles. No; non seguendo la via indicata da Memphis e Alchimia, però dimostrando una cosa, che lità orientata al corpo, e penso ali'approccio ergonomico. ,lo •sono per così dire ossessionato dall'idea del carattere protetico degli oggetti, del loro adattamento al, corpo, che poi in termini informatici trova riscontro nell'espressione interfaccia. Dorfles. Credo di poter aoticipare una cosa: sono stato invitato al convegno sull'ergonomia che si terrà a Montreux in ottobre. E la mia intenzione è di dire qualche cosa proprio in questo senso, cioè, non possiamo prescindere dalle condizioni ergonomiche, non possiamo prescindere dal rapporto uomo/macchina, come non possiamo prescindere nella scelta del materiale da certe regole già assodate. Ma per quanto riguarda invece appunto la forma dell'oggetto, che nel caso di Memphis è andato al di là di qualsiasi non solo razionalità, che sarebbe poco, ma di qualsiasi buongusto, quindi di qualsiasi piacevolezza, noi possiamo però effettivamente accettare delle forme eterodosse, forme non rispondenti alla funzione, ma rispondenti al gusto, rispondenti alla piacevolezza, rispondenti a ragioni -di colore, di tattilità ... Colonetti. Quindi l'adaequatio si sposta. Da una rispondenza alla funzione si paassa a una rispondenza all'aspetto estetico, nel senso etimologico... Anceschi. Sin-estetico. Colonetti. Questo pone però un problema, perché se la funzione negli anni prossimi si sposta, in quanto il centro dell'oggetto si è spostato, si è ridotto, in quanto il motore, lo scheletro si sono ridot- • ti, questo comporta che si avranno ulteriori conseguenze. Dorfles. Io credo che porterà a una scissione ancora maggiore di quella che già è in atto, tra l'oggetto a funzionalità superindividuale e l'oggetto d'uso collettivo. Ossia il jet, lo shuttle, il sottomarino, non potranno che rispondere ai soliti criteri della funzionalità a tutti i costi. Noi sappiamo che il razzo lunare non aveva una forma aerodina- .mica perché non aveva bisogno di averla. Il sottomarino o il jet devono avere una forma aerodinamica. Anceschi. Vorrei osservare-però che -in, questi casi di confine e di limite, se cioè si guarda all'interno di questi veicoli dalle prestazioni estreme, si può osservare che c'è -comunque una tendenza evolutiva verso non tanto l'ergonomia che è una condizione indispensabile, nel senso che è un fattore che riduce gli errori, ma verso.['arrangiare l'arredo interno in modo da portare, sempre più «atmosfera terrestre» anche in senso metaforico, perché probabilmente la funzione qui ha cambiato di registro. Dorfles. Si tratta di ragioni psicologiche. Ma comunque la distinzione di cui si parlava prima credo che diventerà ancora maggiore, e questo spiega come si possano avere degli oggetti di tipo Memphis, assurdi se vogliamo ma che qualcuno può trovare gradevoli. Colonetti. Quindi il design decorativo, per usare un termine corrente, non ha tutti i torti. Dorfles. Di questo sono pienamente convinto. Il ritorno all'ornato, a·lladecorazione, secondo me è fondamentale. Questo non vuol dire che il frigidaire debba avere il disegnino a tutti i costi. Non dobbiamo né pensare allo styling del tipo America anni sessanta, né tantomeno alle decorazioncine fatte a mano, che vanno bene per un'anfora in ceramica o in terracotta. Anceschi. Credo proprio che quello di scoprire cosa è il corrispettivo della decorazione oggi possa essere il compito di una certa specializzazione del design. Colonetti. Questo è importante in quanto anche nei confronti di coloro che ngli anni '86187vogliono auspicare un ritorno a un concetto duro di funzionalità, la risposta potrebbe essere proprio questa. Ed è una risposta che non recupera la decorazione per la decorazione, ma che intende tener conto delle trasformazioni, non del gusto ma della struttura tecnica dell'oggeto. Tornando ali'osservazione della quale siamo partiti: il design non ha potuto, saputo o voluto risolvere i problemi legati alla collettività, in Italia. E invece in Europa lei vede situazioni dove il design ha risolto problemi di comunicazione intersoggettiva, collettiva? Dorfles. Ho fatto l'esempio della tradizione cinquantennale della Svizzera, dei paesi scandinavi, e anche in Inghilterra, in Germania,

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