Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

' ra aprile e maggio, con l'ottimo ed anche straordinario successo che sappiamo, Tadeusz Kantor è tornato in Italia (Milano, Bari, Torino), ripresentando la sua ultima opera Crepino gli artisti (1984). La tournée del «Cricot 2» di Cracovia, organizzata dal Crt/Teatro dell'Arte milanese, ha avuto la sua più impegnata presenza nella città di Bari dove, al teatro Petruzzelli, sono state messe in scena anche le altre due precedenti opere di Kantor: La classe morta (1975) e Wielopole, Wielopole (1980). Nello stesso periodo di maggio a Bari si è tenuto un convegno internazionale sull'opera di Kantor. In questa occasione l'autore di teatro e pittore polacco ha rilasciato a Piero Del Giudice questa intervista. Del Giudice. Durante le rappresentazioni delle sue opere Lei rimane in scena e partecipa/dirige - più esplicitamente nell'opera Wielopole, Wielopole - al farsi dello spettacolo. Vuole parlare di ciò? Kantor. Se ne è parlato più volte di questa mia presenza dentro l'opera, questa presenza dentro la scena che viene dagli happenings, che distrugge l'aspetto illusorio dello spettacolo. Perché io sono contro l'illusione e per la realtà. Con la mia presenza - dunque - sono reale, l'unico reale, il più reale della scena. Gli attori, loro, hanno sempre la tendenza a produrre una percezione illusoria, è normale; ma debbono fare di tutto per liberarsi di questo vantaggio. Dato che la finzione scenicamette ·l'attore in una condizione privilegiata, quando l'attore è privato di questo privilegio rimane solo. Se è molto importante che l'attore rimanga solo, in quel momento debbo aiutarlo, con la mia presenza. La mia presenza sulla scena è inoltre quella del testimone di tutta la storia sulla scena che vi si sviluppa, ed è- infine- il segno della mia responsabilità. Bisogna essere responsabili verso gli attori ... Sa, durante l'insurrezione degli studenti francesi, nel '68, si è arrivati ad una definizione non generica della professione dell'artista: l'artista è responsabile. Lo trovo molto giusto perché i politici, oggi, non sono responsabili, le autorità non sono responsabili, ma l'artista -lui-deve essere responsabile. Sì, soltanto l'artista- scrittore, poeta, pittore che sia - è responsabile. Questi sono i tempi. Del Giudice. Lei scrive: « ... Il teatro è una attività ai margini più remoti della vita, dove le categorie ed i concetti di vitaperdono le loro ragioni ed i loro significati: dove follia, febbre, isteria, delirio, allucinazioni, sono le ultime trincee della vita di fronte al sopraggiungere della Troupe del Circo della Morte, del suo Gran Teatro... Il lavoro teatrale è creazione, procedimento demiurgico che ajfçmda le sue radicinell"'altro mondo"». Kantor. La citazione è senz'altro mia, ma è un po' scelta. Scelta che lei fa conl'intenzione di presentare ilmioteatro sul piano metafisico, o addirittura mistico. Va bene, non protesto, ma bisogna sempre dare una spiegazioneulteriore delle cose che siscrivonoe dicono. Il senso Intervista Kantor delle mie affermazioni non era unicamente metafisico o mistico: il problema è molto più complicato. Il misticismo è molto semplice: bisogna credere. Ma qui bisogna creare, bisogna essere concreti, bisogna essere - scusi il termine - materialisti. Debbo dunque trovare il tramite reale per esprimere le cose che sono - come lei ha ricordato ed io ho detto - «altro» dal nostro mondo. In generale ogni arte è mistica, ha cioè legami con - potremmo dire - l'«altro mondo». La tensione, l'attività del fare artistico sta a categorie che non sono della vita, della vita quotidiana, della vita del nostro mondo. Se ci si riferisce a categorie-altre, si può anche dire che sono categorie dell'«altro mondo». Da una parte sono mistico, dall'altra non sono credente. Se non sono proprio un materialista, sono razionale. Se parlo dell'«altro mondo», dell'aldilà, si tratta piuttosto di una metafora poetica, dato che dal punto di vista fisico non è stato provato che questo mondo esiste. Può darsi che l'arte sia legame irrazionale che non ha giustificazioni razionali e che si confronta con il mondo che non è quello di tutti i nostri giorni. Stanislaw Witkiewicz - lo scrittore sotto il cui segno nasce il nostro teatro, di cui sin dall'inizio ho rappresentato le opere teatrali- diceva molto semplicemente: «L'arte non cammina nella categorie della vita quotidiana». Bisogna allora trovare categorie-altre che non hanno il fine, l'intento della vita quotidiana: sono inutili, senza scopo, senza interessi nella vita quotidiana. Allora: dove lavoro? In quale ambito lavoro? Rispondo: lavoro nell'ambito della vita quotidiana! È un paradosso che significa che accetto la realtà della vita e tutti gli elementi di questa .vita:situazioni, dati di fatto, suoni (lei dice «musica», per me non si tratta di musica ma di sfera·sonora) tutti quanti sono gli elementi della realtà. La realtà della vita quotidiana. Ma, quando trovo questi elementi della realtà della vita, contemporaneamente comincio a manipolare. Questa manipolazione è irreale, non è assimilabile né comparabile al procedere, ai processi della vita quotidiana: oggetti, personaggi, situazioni, perdono la loro utilità, la loro funzione quotidiana. Ma, sempre, alla base vi è la realtà della vita quotidiana. •È la differenza sostanziale tra il mio processo creativo e quello dei surrealisti. I surrealisti li inventano gli elementi fantastici, io considero zero, considero nulla la sfera fantastica. Essa esiste, certo, ma non è molto interessante per me. È molto facile essere fantasisti. Del Giudice. Lei parla di realtà, di fisicità. Nel dibattito di questi giorni, al f oyer del Petruzzelli, ha affermato che bisogna partire dalla .. realtà, dalla fisicità e che questo è un «ostacolo», che questo «ostacolo» ci dà la forza, è l' «occasione», è la sola occasione per mostrare lo spirito. Kantor. In tutta questa definizione ... vi è la definizione; non vi è nulla da aggiungere. Per me la pratica della r~altà - che è una presenza molto ingombrante per gli altri vecchi maestri- è l'«ostacolo». Sì, la realtà è l'ostacolo. Perché la realtà appartiene alla vita e per l'arte il tributo, il pedaggio è pesante. Si tratta di qualcosa che ha sedimentato, si è appesantito, si è stratificato: allora è l'ostacolo. Ma trovo nell'ostacolo stesso i momenti in cui bisogna vincerlo. Se debbo vincere l'ostacolo debbo trovare la forza e se trovo la forza sono pronto per creare. Noto e diffuso è quanto in altra occasione ho detto: l'artista deve trovare il muro contro cui battere la testa. Trovo questo muro in Polonia, per esempio, qui in Italia non ho trovato muri ma piuttosto altre cose, di mischiato, di sfuggente ... La fisicità è l'ostacolo di questo processo creativo: e questo paga. È troppo facile trascurare la realtà e fare qualcosa di testa propria, di propria fantasia: è troppo facile. Dopo il surrealismo, in questo senso, tutte le possibilità si sono aperte. Del Giudice. Lei scrive: « ... nella materia infima, povera, priva di dignità, di prestigio, indifesa, spesso persino "infame"». Kantor. In altre parole si tratta della «realtà del rango più basso». Sì la penso così. Questo interesse, questa idea mi è nata durante la guerra - la II guerra, prima ve ne sono molte altre- e nel '62 è nata in Italia la corrente artistica detta del1'«arte povera». È qualcosa di prossimo alle mie idee. L'oggetto povero è quello privato, sempre, Luglio Agosto 1986 Numero 37 Anno 4 Lire 5.000 volta sono molto legate al senso comune della pittura - sono pittoriche - ed insieme stanno ad un concetto di pittura ed una pratica che vanno oltre la pittura stessa. È il caso della pittura più recente, degli ultimi anni. Disciplina la più viva, la pittura rifiuta sempre di essere se stessa, si contesta, ed io come pittore ho contestato più volte la nozione di pittura per fare altro da essa, fermo restando - e chiaro- che la pittura, l'arte visuale, rimangono sempre. Riflessioni che non concernono soltanto la pittura, ma di fatto quasi tutte le discipline artistiche. Tuttavia la pittura è stata la prima ad affrontare questa strada. Idee che concernono tutte le disciplineartistiche e-dunque - anche e soprattutto il teatro. Molti «maestri» affermano di avere studiato la pittura, di essere influenzati dalla stessa: fanno allora scenografia, teatro pittorico. Non è questo il mio caso. Non vorrei davvero essere troppo pittorico nel mio teatro. Pigliamo ad esempio il concetto di «imballaggi», la sua pratica. Nel 1963 ho messo a punto questa idea dell'«imballaggio». L' «imballaggio» quale modo di riferimento dell'oggetto. Bisogna nascondere l'oggetto per preservargli un futuro: messaggio affidato al mare in una bottiglia. Questo è l' «imballaggio». Questo è il comportamento nel tempo del pericolo, del pericolo. L'imballaggio non è soltanto il confezionamento dei prodotti in Scienza Esperienza Speciale - Mese Il d.C. La confusionenucleare Dossier I tre volti dell'immaginarioscientifico Dalla Villette di Parigi alla Biennale di Venezia Testi di: Bertolav.i, Borsellino, Budinich, Caronia, Celli, Giovannoli, Lundqvist, Macchi, Rados, Salam, Schwarz, Sciama, Toti, Witten In tutte le edicole il numero speciale a colori per l'estate EdizioniMediaPressesrl - ViaNinoBixio,30 - 20129Milano delle funzioni specifiche della vita quotidiana: lo si getta nel bidone della spazzatura. Sta per essere gettato nei rifiuti; e qui introduco un'altra parola: eternità. È in sospeso tra l'immondezzaio e l'eternità: il luogo dei rifiuti è l'ultimo scalino-della realtà e l'eternità è l'ultima soglia della nostra vita; cioè a dire l'arte, è l'arte. Del Giudice. La sua attività artistica comincia con la pittura; la sua pittura è molto legata alla materia prima e poi all'uso degli oggetti. Vuole parlare di questo e del rapporto di questa attività con il teatro? Kantor. Spiego il legame tra pittura e teatro in modo del tutto diverso da quanto di solito si dice. Per me la pittura non è il quadro circoscritto, fare pittura non significa che bisogna per forza dipingere un quadro. L'idea che ho della pittura è l'insieme delle idee che volta a commercio, è la lettera nella sua busta-le buste sono involucro, imballaggio e sempre le lettere nelle buste sono misteriose. Imballaggi sono i nostri vestiti, ed è per questo che i «costumi»nel mio teatro sono alla fine imballaggi: mantelli, pantaloni, grandi scialli- come n~ll'ultimo spettacolo - ed uniformi militari ... E come sia possibile creare paura con questo imballaggio dell'uniforme. Noi civilinon facciamo paura con i nostri vestiti, ma il militare d'evefare pabra. L'uniforme è allora, per me, l'imballaggio della paura: per questo nel mio teatro vi sono molti soldati, molti generali. L'idea dell'imballaggio appartiene all'arte visiva,ma non è pittorica. Anche la poesia fatta in un certo modo può essere imballaggio, perché sempre la metafora nasconde ·qualcosa; non può, non' vuole esprimersi apertamente. L'idea dell'imballaggio è una delle più importanti ed io la applico abbondantemente nel mio teatro. Del Giudice. Vorrei fermarmi sulla sua affermazione che l'opera d'arte è «chiusa»; affermazione che si va accentuando negli ultimi anni. Kantor. Riprendo dalle esperienze dell'happening. L'happening è la forma aperta dell'opera d'arte, prima dello happening l'opera d'arte era chiusa, conclusa in modo definitivo. Non accessibile, essa poteva soltanto essere guardata, consumata - con gli occhi, con le orec- . chie - ma chiusa. L'happening dà origine ad una esperienza artistica che è aperta: per il pubblico, per i consumatori che vi si devono trovare all'interno o anche essere capaci di cambiare, modificare l'opera. A cominciare dall'attività artistica del periodo della guerra, durante l'occupazione tedesca, ho praticato tutti questi comportamenti nell'opera aperta. Di quegli anni è il mio primo spettacolo che si intitola Il ritorno di Ulisse, in esso opera d'arte era lo spazio complessivo, senza distinzione tra spazio scenico e spazio per il pubblico. Uno spazio talmente distrutto, manipolato, truccato, da diventare l'opera d'arte, e le persone che vi entravano si trovavano all'interno dell'opera d'arte. Questa è stata la mia prima opera aperta ed in seguito ho fatto molti esperimenti di questo genere. Dopo l'happening molti teatri, la stragrande parte, hanno cominciato a chiamarsi «teatri aperti», ma aperti non erano. Anche fuori del teatro si facevano molte opere d'arte aperte: nella scultura, nelle arti figurative, li chiamavano environments, eventi, ecc. Nel teatro è in pratica la ressa di questa sorta di sperimentazioni. Per l'unico fatto che il pubblico era direttamente partecipe, ogni volta si parlava di «teatro aperto». Si sono fatti molti festivals di «teatro aperto» e quando ho visto che si esagerava mi sono detto: bisogna chiudere! La classe morta è il primo spettacolo chiuso, non accessibile. E quando mi chiedono qual è la funzione di un pubblico, rispondo che non è necessario che il pubblico abbia consapevolezza delfare artistico, il pubblico deve soltanto rimanere nell'ombra di un'opera d'arte. Sì, nell'ombra dell'opera d'arte, e tanto basta. Dato che il modello de La classe morta è la morte, è la nozione della morte, nel reparto della morte non si può entrare. Ed il pubblico lo ha compreso. Da lì le mie opere sono chiuse, questa è l'opera d'arte chiusa. Del Giudice. Veit-Stoss. Il Suo omaggio, il Suo ricordo delle opere dello scultore norimberghese del '500 è tanto esplicito formalmente - ad esempio per l'Assunzione del- ~ la Vergine lasciata in Santa Maria c::s .s di Cracovia - da agire quale «ca/- g,<> çp» di alcune scene.della~~ ~ pièce Crepino gli artisti. ~ Kantor. Qui forse si può spiegare la mia idea della realtà. Per me l'opera d'arte che è già fatta, che si trova nei musei e, per quanto ci riguarda, trattandosi di Craciovia, in ....... .9 j .9 ]i ~ t,._ una chiesa - la chiesa è davvero il oe ~ museo perfetto - non è la realtà. ......, Allora, a partire da un'opera d'ar- i:: te, debbo fare della realtà. Che co- ~ sa vuol dire? Ho già tentato questo 1 nei miei happenings. Per esempio ~

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