Il passatt.G~f~uIturo M olto concentrato su alcuni eventi spettacolari tra i più curiosi e significativi degli anni '20, Il passato al futuro che il Teatro La Fenice ha elaborato per mano di Italo Gomez come accompagnamento alla mostra «Futurismo e Futurismi» rischia per quanto riguarda la danza di negare una riconoscibilità e persino l'esistenza di una danza futurista vera, utopistica e «futura». Se si escludono infatti le apparizioni decontestualizzate di Silvana Barbarini, Alessandra Manari e Giovanna Summo che nella Soirée futurista del 3 maggio hanno brevemente riprodotto sullo sfondo di una morbida tela in perfetto e incongruente stile Isadora Duncan le danze aerodinamiche di Giannina Censi, se si eliminano gli immancabili Balli plastici di Fortunato Depero, già allestiti da Enzo Cogno nel 1981per l'Autunno Musicale di Como, questo progetto disegna solo un affascinante contorno; indica, consapevolmente, un bricolage da cui, all'occasione, si possono estrapolare alcuni materiali e alcune suggestioni futuriste. Già nelle prime righe del catalogo della rassegna (corre da maggio a ottobre), Ornella Volta rimanda opportunamente l'interessato« ... a una sede appropriata (dove), con il rigoroso concorso dei più qualificati specialisti nel campo (venga presto realizzata) un'esauriente rassegna dello spettacolo futurista in tutte le sue forme: declamazione di manifesti e poesia visiva, aerodanza e metacoria, balletti meccanici e balletti plastici, teatro sintetico e teatro della sorpresa, teatro magico e teatro magnetico... ». Sorprendentemente, la studiosa risponde all'ovvia obiezione del lettore-spettatore (quale sede più appropriata e •riccadi questa grande celebrazione futurista veneziana?) aggirando risolutamente l'ostacolo. «... Non è questo l'obiettivo della stagione di musica-teatrodanza ... dove ci si propone soltanto di rievocare alcuni ambienti e spettacoli esemplari del cosiddetto tournant du siècle, con una scelta così deliberatamente arbitraria da risultare garbatamente polemica». Eppure, non sembra affatto garbatamente polemico bensì vistosamente propositivo l'accostamento, nella sezione musica, del rumorismo futurista al microtonalismo americano con relativa presentazione di opere contemporanee (compresa una prima mòndiale di La Monte Young) e, tra l'altro, di una mostra documentaria e storica che allaccia i due argomenti. Diciamo piuttosto che tra i diversi specifici e relativi dintorni futuristi esplorati a Venezia la danza si ricicla (buona parte dei balletti, delle farse e delle pantomime del programma sono già state presentate dall'ente veneziano) in un abbondante vortice soprattutto francese, contestualmente ovvio, facile da costruire per un teatro che ha in proposito l'esperienza della Fenice ma anche facile da fraintendere se è vero che la coreografia dell'opera di Balilla Pratella L'aviatore Dro, in cartellone a ottobre, continuerà ad avere quel taglio drammatico, bauschiano, di furente e impertinente Tanztheater come si è potuto intravedere nel potpourri del 3 maggio... L ente, caracollanti e palombare come in Le boeuf sur le toit, bizzarre e zoologiche come nell'assolo La Belle Excentrique, incastrate nel dispositivo scenico e vagamente rituali come in La Création du Monde dei Ballets Suédois, oppure cabarettistiche e metalinguistiche come in Le Piège de Meduse, cabarettistiche e folkloriche come in Jack in the Box e nel Cuadro Flamenco, queste danze e movenze «arbitrariamente» selezionate a Venezia eludono l'eredità più stimolante e profetica della danza futurista. Nell'ansia di rincorrere un confronto internazionale (ma allora si potevano arrischiare avventure in terreni più vergini come la Russia con la sua Biomeccanica) questo progetto perde, perché non ha individuato, quei segni magari ancora rozzi, provinciali, primitivi, ma non folklorici (in questo senso il Cuadro Flamenco è davvero opinabile) che, superando le guerre e i tormenti espressionisti e psicologici connessi, sono riemersi puntualmente alla svolta degli anni Cinriale (le sue ballerine, in fondo, stanno ancora sulle punte, persino l'acrobata di Parade), ma cerca comunque una Gesamtkunstwerk coerente e «artistica». E la trova persino nella disarmonia del Sacre corredato dal gesto brutale di Nijinsky e nel cubismo di Parade che coniuga il realismo sonoro di Satie ai movimenti quotidiani o esagerati dei suoi protagonisti ballerini. Serge Diaghilev, l'impresario dei Ballets Russes, cerca un'interdisciplinarità virtuosa, un reciproco appoggio tra le arti. Al contrario, la danza del tardo futurismo (ignorata anche nella voce «coreografia» del catalogo della mostra «Futurismo & Futurismi» che comunque avvolge i suoi argomenti solo negli anni '20) è solitaria, ha bandito la musica e ogni eco armonizzante. È «sgarbata, autonoma», antiartistica, non allusiva, non esotica. Alla fine risulterà in- - le minutaglie plastiche suggerite da Satie, bisogna annientare le emozioni Per aver sostenuto questa sfida colossale Giannina Censi, a cui è dedicata la prima pagina del catalogo Il passato al futuro con una bella serie di fotografie (ma senza sviluppi d'altro genere all'interno), meritava altra considerazione. È importante (non tendenzioso, come insinua Ornella Volta a proposito delle testimonianze dei superstiti del futurismo) il racconto del singolare training a cui Marinetti sottoponeva la danzatrice (oggi settantenne) per farle restituire sulle scene delle ultime, tumultuose, serate futuriste, la dinamica del volo. Giannina Censi doveva volare con piloti e acrobati aerei perché l'esperienza diretta delle cabrate, dei giri della morte, del «looping», valeva secondo Marinetti, lo sfogo delle passioni, la perdita dell'o- . ' "·.-:-:-:~i:'~..,..."....---- \ -- \ ' \ H--- --·-·___.....:- ' '--. I I I ''--- :;~ ----' ..;.·;l:lil.!.l.'.1.!illJJW:!lJJ.l.!.!.llil!!!:.!..J.:l!JI.L.;J.ll.!.(1.:.:.!-...U.....,...,...~.u.w.:i..w.w...-, Il Re, rappresentante la prima materia, che divora suo figlio. lambsprinck, in Museum Hermeticum, 1677 quanta proponendo per la danza un bagaglio di riflessioni sull'era atomica (disgregatoria) tecnicamente accostabile all'euforia della macchina nel futurismo reale. Danza come velocità. Corpo come marchingegno. Braccia, gambe, piedi come eliche, stantuffi, leve sottoposti a sforzi meccanici. E, in ultima analisi, «muscoli come pensieri» (l'espressione è della postmoderna americana Yvonne Reiner): nel tardo futurismo che realizza la sua danza con Giannina Censi e nel postmodern americano degli anni Sessanta lo stacco è definitivo, traumatico, irreparabile nei confronti della tradizione ottocentesca (e naturalmente della modem dance del Novecento) che invece continua ad avere un suo peso persino nelle· più radicali butades appoggiate da Diaghilev (molto omaggiato a Venezia). L'impresario dall'infallibile gusto estetico e organizzativo, infatti, non è solo figlio della Russia impegenuamente onomatopeica, perché tenta di mimare il decollo e l'atterraggio degli aeroplani, le loro cadute, i loro scossoni, i vuoti d'aria. Ma come può un corpo diventare oggetto senza essere fatto di legno come le marionette dei Balli jllastici di Fortunato Depero? E eco un tema garbatamente polemico, ma in grado dicostruire un titolo (e una rassegna) come Il passato al futuro. Il problema dell'oggetto e dell'oggettività della danza si pone ogni qualvolta la tecnologia sopravanza la manualità. L'utopia ricorre a diversi livelli e in molte svolte epocali, persino nel montaggio incalzante e disumano e nella scoperta dell'elettricità (che vuol dire in senso lato energia) del Ballo Excelsior. Ma per vincere l'artigianalità che è il tratto affascinante, eterno, degli spettacoli più radicali dei Ballets Russes, delle farse di Cocteau, delrientamento emotivo terrestre. Così, la danzatrice milanese divenne un originale punto di riferimento per illustrare le aeropoesie di Marinetti e per interpretare le a~ropitture di Prampolini; soprattutto, sembrò incarnare quell'ideale futurista che il poeta aveva già ipotizzato nel suo manifesto del 1917 fatta di danza pura; solo movimento, solo energia, semiginnica, spersonalizzata. E non importa se le sue esibizioni si esaurirono nell'arco di due anni, Giannina annullò con le sue pose aerodinamiche, con le cadute violente a terra, con le braccia che vibravano senza patemi romantici, secoli di emotività; la sua «motion» - fatta di danza pura; solo movimento, solo energia, semiginnica, spersonalizzata- anticipava di trent'anni i calcoli di Alwin Nikolais, il coreografo e danzatore americano allievo di Martha Graham che con Merce Cunningham contribuì maggiormente all'affermazione della new dance antipsicologica e disgregata della fine degli anni Cinquanta, c,ome testimonia lo spettacolo Siiovlummiatorrente ricostruito da Silvana Barbarini e Alessandra Manari con la consulenza e la testimonianza diretta dell'autrice. Qui si tratta, come si trattava nelle Soirée futuriste del 1931 e 1932 di tastare lo spazio, di aggredire l'aria, di giocare con la terra parallela al cielo e, eventualmente, di valorizzare le linee del movimento (lo spettacolo Siiovlummiatorrente ha un suo sfondo visivo molto asciutto, molto nitido, di Prampolini, anche): proprio come nella danza classica alla quale Giannina Censi si era formata, ma senza passi e traiettorie codificate (e poi il corpo si spreme già e si piega come una molla in tensione). Questo gioco è scarno, essenziale, primitivo nel senso di elementare. Non ha molto da spartire, quindi, con i piccoli giochi di Satie (che scrive a proposito dell'assolo La Belle Excentrique: «La mia musica richiede un'atmosfera. Preferisco una zebra a una cerbiatta». Non suscita palpitazioni umane (né animali). Solo astrazioni, purezza, al limite concettualità. E su questa, infatti, insisteranno i minimalisti americani, figli di Cunningham e di Nikolais, intenti, sin dalla seconda metà degli anni Sessanta, a restituire piccoli gesti senza virtuosismo, camminate estenuanti in orizzontale e in verticale per provare la gravità, persino pericolose ascensioni sui tetti di Broadway (Trisha Brown) che naturalmente non vogliono più imitare le macchine (o le gru), non sono più onomatopeiche (perché la complessa tecnologia moderna è sempre meno imitabile dal corpo). Ma servono allo stesso scopo. Anche su questi ulteriori sviluppi, ormai già storici, si poteva far leva (ed è in questa direzione che si muove, tra l'altro, nel programma veneziano, il confronto rumorismo-microtonalismo) tenendo conto che strascichi di futurismo più caldo, più esaltato si manifestano ancora oggi. Ad esempio, nelle coreografie della francese Régine Chopinot che non a caso rifà in un suo modo vistosamente alla moda il circo e il music-hall (lo spettacolo Via) e tenta pericolosamente divolare con i suoi danzatori appesi a cinghie elastiche, nella coreografia Le Rossigno/. Si noti, anche qui, la continuità. Da Le chant du rossigno/, che non compare nella programmazione di Venezia a questo Rossigno/ il passo è breve e emblematico. Serge Diaghilev aveva commissionato le scene del primo balletto a Fortunato Depero, ma poi non gli piacque il loro geometrismo euclideo; nel 1920 le fece realizzare da Matisse. Forse questo quiproquo ha a che fare con la morale della fiaba perché l'imperatore del Chant alla fine, dopo un fugace innamoramento, preferisce l'usignolo vero e ro- ~ mantico a quello meccanico. o:::s .5 Certamente, però, questa scelta ~ antitecnologica della fiaba (e, per t::l.. assurdo, di Diaghilev) ha molto a ~ che fare con il nostro percorso. Da -. Icaro al futurismo, dal postmoder- B no americano a oggi: proprio intor- J no a queste grandi utopie che han- _9 no in comune il desiderio di smate- bo ~ rializzare il corpo, di separarlo dalt--.. le sue viscere, si sono arrovellati e co ~CO distesi gli ideali di molta danza. Certo, si tratta di rintracciarli. s:: ~ ~ .e :g. <:::s
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