vrappiù- e lotta allo sfruttamento. Il rifiuto del dominio capitalistico, dell'inversione di soggetto e predicato, porta a cercare una soluzione sul terreno distributivo, ma si tratta di un tentativo fallimentare in quanto basato sull'illusione che il valore d'uso e il consumo non siano subordinati alla valorizzazione del capitale. Il vincolo distributivo Come si è visto la crisi della politica economica keynesiana viene spiegata da Napoleoni con il mancato rispetto di un vincolo distributivo. Tuttavia quest'ultimo non viene definito chiaramente. Dopo aver descritto il modello della sintesi neoclassica, infatti, Napoleoni spiega che esso è compatibile con la teoria keynesiana. In base a questa, per la natura delle funzioni di investimento e di domanda di moneta, può darsi un reddito d'equilibrio non di piena occupazione in cui «le variazioni della quantità di monete e quelle del salario nominale avranno effetti trascurabili (al limite: nulli) sul salario reale e sull'occupazione» (p. 130). Detto ciò, Napoleoni così continua: «Ciò che qui ci interessa rilevare è che dal fatto che una diminuzione del salario monetario non serve ad aumentare l'occupazione non si può desumere che la piena occupazione sia compatibile con qualsiasi livello del salario reale. Soprattutto: il processo di perseguimento della piena occupazione, mediante introduzione di domanda aggiuntiva, può sortire il suo effetto soltanto se, dato il salario monetario, il livello dei prezzi aumenta, e quindi il salario reale diminuisce; se il salario monetario aumenta, si hanno effetti compensativi dovuti ad aumenti di livello dei prezzi, e la piena occupazione non può essere raggiunta» (p. 132). Il perché di tutto ciò non è chiaro. Infatti ilmodello neoclassico di riferimento si basa sull'ipotesi che la domanda di lavoro sia funzione della produttività marginale del lavoro, ma tale ipotesi non può venire accettata in quanto, dopo Sraffa, viene meno «la pretesa. che la distribuzione del reddito sia conforme, proporzionale, ai "contributi produttivi" forniti rispettivamente dalle due facoltà sopra indicate: lavoro e differimento del consumo» (p. 22). In effetti il vincolo distributivo che Napoleoni ritiene implicito Mauro Wolf Teorie delle comunicazioni di massa Milano, Bompiani, 1985 pp. 288, lire 10.500 Alastair Hetherington News, newspapers and television London, MacMillan, 1985 Jean Padioleau «Le Monde» et le « Washington Post» Paris, Puf, 1985 M auro Wolf ha scritto un libro rassicurante. Partendo dall'analisi delle principali tendenze e quadri concettuali della ricerca sui mass media, egli offre un resoconto di vasto respiro stonco. È una scelta fondata, dato che questo campo di studi ha avuto i suoi inizi nel primo dopoguerra. Il testo è caratterizzato da una grande lucidità di stile ed esposizione. Viene fatto ampio uso di citazioni dai testi analizzati perinetnella teoria keynesiana è quello marginalista, il che lascia irrisolto il problema di spiegare la crisi della politica keynesiana. Saggio di profitto e domanda effettiva Posto che l'imprenditore capitalista non possa essere indotto da circostanze distributive a cambiare attività, trasformandosi in lavoratore, quali sono i vincoli distributivi che possono determinare un arresto del processo accumulativo? Napoleoni menziona quello costituito dall' «insieme dei mezzi di produzione di volta in volta disponibili e dal quale deriva appunto una certa capacità di produzione di sovrappiù» (p. 26). Tale vincolo, il 0 F> .;oe ~ quale «trova espressione proprio nel rapporto fra l'entità complessiva di sovrappiù e l'entità complessiva dei mezzi di produzione» (ibid.), permette di stabilire una relazione diretta fra il saggio di accumulazione e quello del profitto. Prendiamo in esame le circostanze che possono modificare il saggio di profitto o influire sul saggio di accumulazione. Al rigu;irdo Napoleoni afferma che in una fase successiva al processo produttivo si determina un conflitto fra capitalisti e lavoratori per la divisione del sovrappiù prodotto. Ciò dovrebbe determinare il saggio di profitto e quindi quello dell'accumulazione. Non si può trascurare, tuttavia, che insieme al conflitto per la spartizione di un dato sovrappiù, agisce sul livello del saggio di profitto anche il livellodella domanda. In particolare, se non vi è pieno impiego, le ragioni di un basso tasso d'accumulazione non potranno venire cercate in una catena causale del tipo: aumenti salariali - riduzione del saggio di profitto - riduzione dell'ammontare dei profitti - riduzione degli investimenti, in quanto potrebbe ben darsi che il conflitto distributivo sfoci in un aumento non solo dei salari ma anche del saggio di profitto. In altri termini, la relazione inversa fra salario e saggio di profitto è individuabile - ceteris paribus - per livelli dati della domanda. Per la comprensione del vincolo distributivo occorre allora indagare anche gli elementi che possono influire sul livello della domanda effettiva. Ciò richiede l'esplicitazione delle funzioni di comporta~ mento degli operatori e, in particolare, la funzione degli investimenti. Vi sono perciò due elementi che influiscono sul rapporto fra profitti ed accumulazione. Il primo è il conflitto fra capitalisti e lavoratori per la spartizione del sovrappiù e il secondo è il livello della domanda effettiva - quindi l'entità del sovrappiù - quale si determina in seguito alle decisioni di investire degli stessi capitalisti. Rapporto di produzione e conflitto distributivo Si è passati così da un'analisi del rapporto di produzione capitalistico, in cui tutti indistintamente sono oggettivati, ad un'analisi del conflitto fra le classi. Il problema è quello di capire il nesso fra i due livelli dell'indagine con riguardo particolare al comportamento dei capitalisti. Napoleoni ritiene che l'esasperazione delle rivendicazioni salariali sia il riflesso di un rifiuto della natura complessiva del capitalismo. Egli trascura del tutto, invece, l'operato dei capitalisti, vale a dire la rilevanza delle loro decisioni - rispetto sia all'entità che alla natura tecnologica degli investimenti - nel determinare l'esito del conflitto distributivo. In effetti Napoleoni non condivide la tesi che attribuisce la crisi del riformismo ad una pura e semplice «mancanza di chiarezza di idee sulla natura delle "compatibilità" su cui un sistema economico si regge» (p. 134), ma egli non ne~a che tali compatibilità esistano. E che, come si è.già osservato, per Napoleoni gli imprenditori capitalisti sono funzionari del capitale, quindi operatori obiettivi, il cui fine è di perseguire la valorizzazione del capitale. «Lo sfruttamento capitalistico non è altro in realtà che quella inversione di soggetto e predicato della quale abbiamo parlato ... In questo sfruttamento ciò che domina è la cosa stessa. La quale è dominatrice dello stesso capitalista, che, come capitalista, funziona unicamente come capitale personificato, capitale-persona, allo stesso modo che l'operaio funziona come lavoro personificato» (p. 53-54; v. nota 28). A rigore i capitalisti potrebbero essere anche funzionari di un'economia centralizzata: né il loro operato né la natura oppressiva del capitalismo muterebbero. Sarebbero quindi le rivendicazioni salariali che, impedendo lo svolgimento della loro attività, determinerebbero la crisi economica. Eppure, in un'economia non centralizzata, la funzione degli investimenti esprime le attese dei capitalisti e quindi non può non riflettere sulla domanda aggregata le loro reazioni al conflitto distributivo. Queste possono essere esplicite - come nel caso dei limiti politici al pieno impiego individuati da KaleTreneimedia tendo così al lettore di avvicinarsi ad opere che in Italia sono piuttosto sconosciute o comunque ignorate dai più. Da un punto di vista pedagogico l'utilità dell'opera è fuori dubbio; pertanto, per quel che mi concerne, ne farei un testo da raccomandare. Wolf fornisce un'analisi ottimista della letteratura mass mediologica in quanto vi intravvede un progresso concettuale ed analitico. Secondo l'autore una crescente consapevolezza dell'importanza della sociologia della conoscenza ha dato inizio ad una revisione della concezione stessa del campo. Il ruolo dei media come costruttori della realtà è oggetto - secondo Wolf - della consapevolezza degli studiosi; l'attenzione sta spostandosi dalle concezioni meccanicistiche e a breve termine sugli effetti dei media a quelle di una regolazione a lungo termine del contesto simbolico. Infine, comincia ad esserci una solida e fruttuosa tradizione di ricerca sui processi di produzione della comunicazione, in particolaPhilip Schlesinger re sull'informazione. È in effetti un'immagine rassicurante. Da parte mia sono più pessimista di Wolf dato che lo sviluppo mi pare irregolare, caratterizzato da evoluzioni e ritorni: due passi avanti ed uno e mezzo indietro. Ma prima di motivare q4esta mia visione vorrei soffermarmi sulle prospettive del lavoro di Wolf. Il testo si divide in tre parti; la prima rivede criticamente una vasta gamma di approcci che storicamente hanno via via caratterizzato il campo della ricerca. Grande attenzione è dedicata ad un'analisi puntuale della sociologia e della psicologia positiviste dominanti dagli anni '20 alla metà degli anni '60. Vengono così illustrate e valutate la teoria ipodermica, le teorie della persuasione,' le ricerche sugli effetti e le analisi funzionalistiche. La rassegna costituisce una sollecitazione ed un richiamo quanto mai opportuni ad usare la massima cautela circa i supposti «effetti» della comunicazione di massa. Sia nella conoscenza comune che in quella specialistica sembra infatti ancora prevalere ciò che Karl Popper, in un contesto diverso, definì una «bucket theory of knowledge», cioè, nel nostro ambito, l'idea che i contenuti dei media possono venir trasferiti direttamente nelle menti indifese del pubblico. Wolf dimostra che persino all'interno dei limitati modelli di stampo positivista c'è stata un'elaborazione teorica costruttiva, malgrado che il problema di un'analisi convincente degli «effetti» rimanesse (e rimanga tuttora) irrisolto. Ed anche qui egli giustamente individua un reale progresso nel passaggio dai modelli di stimolo-risposta all'impostazione funzionalista che analizza ciò che la gente fa del proprio consumo di media. Ciò aprì chiaramente la strada alle successive concezioni interpretative del pubblico in quanto soggetto attivo. Wolf passa in rassegna anche i contributi della teoria critica, l'approccio dei «cultura! studies» e delle teorie comunicative più formalicki - oppure implicite - come quando gli imprenditori valutano gli aumenti salariali per gli effetti che questi producono sui margini anziché sull'ammontare complessivo dei profitti. In entrambi i casi il comportamento dei capitalisti retroagisce sul conflitto distributivo per mezzo del livello della domanda. È vero che la distribuzione attesa dalle imprese non necessariamente si realizza in quanto sia il valore degli investimenti effettivi sia, a maggior ragione, il saggio di profitto realizzato dipendono dalla domanda aggregata e non dalle singole decisioni d'investimento. Che l'esito delle decisioni non sia determinabile a priori indubbiamente impedisce di spiegare la crisi come conseguenza diretta, desiderata, dal conflitto fra capitalisti e lavoratori. Ma tutto ciò non toglie che l'origine della crisi non può venire spiegata con il mancato rispetto di compatibilità tecniche ma deve venire ricondotta alla dialettica sociale, quindi non solo alle rivendicazioni salariali ma anche alle politiche di investimento dei capitalisti. Si può concludere, allora, che la visione dei capitalisti come tecnici del capitale permette di evidenziare la natura specifica del modo di produzione capitalistico ma porta Napoleoni a trascurare che la crisi economica può essere una reazione conflittuale dei capitalisti alle rivendicazioni salariali in cui, più che le condizioni materiali (distributive) di riproduzione economica, vengono difesi i rapporti di potere fra lavoro e capitale cioé quelle condizioni che impediscono ai lavoratori di decidere il contenuto, l'entità e quindi la natura della produzione e del consumo. In definitiva se le decisioni degli imprenditori riflettono e, al contempo, condizionano sia la distribuzione che il livello dell'occupazione, riuscire a capire come mai non vi sia pieno impiego e perché, di conseguenza, non possa stabilirsi un legame mono-causale fra aumenti salariali e occupazione dovrebbe essere oggetto di un'analisi che si collochi nella più generale visione del capitalismo che Napoleoni propone. Ma è proprio questo punto che dal Discorso è del tutto assente. stiche, soprattutto quelle derivanti dalla semiotica. A mio parere, lo spazio accordato all'approccio dei «cultura! studies» è troppo ristretto, tenendo conto dell'importanza che studiosi quali Raymond Williams e Stuart Hall hanno avuto nella cultura anglosassone. I «cultura! studies», permeati di influssi gramsciani e semiologici, occupano tuttora una parte significativa della ricerca. È comunque nella seconda e nella terza parte del libro che Wolf intende indicare i nuovi indirizzi della ricerca sui media. La seconda 'O <'-1 parte offre un articolato resoconto <::s dell'ipotesi dell' «agenda-setting». .s È sicuramente una delle migliori gr ~ trattazioni su questo tipo di ricerca 'O ~ ma trovo sinceramente sorprendente che l'autore, dati gli evidenti limiti di questa impostazione, l'ab- ...... ~ ' ~ bia presa così sul serio. Wolf ha indubbiamente ragione quando so- ~ stiene la necessità di passare dai modelli sugli effetti limitati a breve ~ termine ai modelli sugli effetti cu- l mulativi a lungo termine. Ma, co- ~
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