Alfabeta - anno VIII - n. 83 - aprile 1986

ces amplifichi non solo lo spazio strategico, ovvio, dei servizi di mercato, quanto la stessa area di servizi transmercatizzati: autoprodotti, prodotti in comunità a prescindere dal valore di scambio. Il tutto - inevitabilmente sintetizzato - è peraltro conseguente, insiste Ruffolo, ad una maturità tecnologica già raggiunta, vero sostegno primo del processo di dematerializzazione dello sviluppo qualitativo. In sostanza, l'insieme della programmazione eterodiretta è coerentemente pensabile in quanto s1 sappia vedere nella produzione immateriale di informazioni a mezzo di informazioni il bivio dell'attuale condizione sociale. Progettare è perciò sinonimo di gestire l'informazione: ed è imprescindibile voler progettare per gestire il mutamento che è già nelle cose. Parole-chiave per la sinistra È questo il messaggio nuovo, carico dell'ottimismo della volontà, che Ruffolo rivolge esplicitamente alla sinistra. Nella sua pars destruens è perfettamente condivisibile, certo; quanto alla pars construens, invece, è proprio il suo presupposto sintetico - l'imprescindibile voler-progettare-per-riformare - che evidenzia il persistere, a nostro parere, di un'aporia filosofica forte, moderna. In fondo, tutto è ripensato tranne una parola-chiave: progettare. Perché? Alcuno ha voluto rilevare in ciò la spregiudicatezza utopica di questo medesimo progettare; a noi paClaudio Napoleoni Discorso sull'economia politica Torino, Boringhieri, 1985 pp. 146, lire 18.000 Q uali spazi sono aperti oggi a chi si proponga un cambiamento? Quali strumenti fornisce l'analisi economica al riguardo? Marx ha qualcosa da insegnare o, dopo Sraffa, lo si può considerare superato? Nel suo Discorso sul- !' economia politica, Claudio Napoleoni cerca di rispondere a questi interrogativi con un quadro interpretativo generale che, partendo da una critica della storiografia sraffiana, giunge ad una rilettura di Marx e propone una spiegazione della crisi dell'economia contemporanea e della politica economica keynesiana. Per meglio capire il Discorso è bene partire dalle conclusioni che Napoleoni trae sulla crisi del riformismo, definito come quell'intervento pubblico che, soddisfacendo i bisogni dei cittadini, aumenta e stabilizza il livello della domanda aggregata. La sua crisi viene spiegata con il mancato rispetto, da parte delle forze sindacali, dei vincoli distributivi posti da una politica keynesiana del pieno impiego. La ragione di tale comportamento non sta tanto nella disattenzione rispetto a determinate compatibilità dell'economia quanto nel rifiuto, da parte dei lavoratori, di un sistema sociale che, in quanto è fi- ~ nalizzato alla valorizzazione del ca- -~ pitale, porta all'annullamento dei C). soggetti. ~ Napoleoni parte dall'osservazio- ....,. ~ ne che il processo di valorizzazione i.. consiste nella produzione di valore §,- di scambio e nella conseguente se- ~ parazione del lavoratore dal suo lavoro. In ciò consiste lo sfruttamen- ~ to capitalistico, la cui natura è l quindi ben diversa da quella dello ~ sfruttamento precapitalistico - care, viceversa, che la narrazione offerta da Ruffolo abbia semmai un vizio inverso: è nell'assenza di una consapevolezza «tragica» forte che quel «perché?» trova risposta, non a caso. L'utopico, in fondo, è solo un ingrediente al margine, mentre la ricorrente ed invocata dimensione riformistica del «progettare» sociale dovrebbe essere piuttosto misurata sull'assenza, questa sì pesante, filosoficamente, di un sapere accettare il limite inerente il «tragico»: lo sviluppo «diverso». Ciò che è «tragico», cioè, è constatare l'abisso fattuale tra la volontà di progettare e l'impossibilità di vedere operante il progettato (cfr. Il nostro: «Lo strumento irriducibile», alfabeta, 73). Questa consapevolezza preliminare nel lavoro di Ruffolo è assente: scavalcata. A fronte della sua pars construens si potrebbe intanto obiettare al «progettare» auspicato !'a-governabilità di quella complessità di cui l'ultimo Rapporto Censis ha argomentato. Sarebbe forse obiezione impropriamente conclusiva, tuttavia; non tanto perché conclusiva non possa essere, comunque, bensì perché Ruffolo ritiene di poter fare a meno di quella «tragicità». Alla sinistra, infatti, sono rivolte parole-chiave: volontà, soggetti, progetto; parole «moderne», come «moderna» era la «sfida alla socializzazione dello stato» (G. Ruffolo, Rapporto sulla programmazione, Laterza, Roma-Bari, 1973, p. XX), come «moderno» è il progettare di «chiedere a noi stessi ratterizzato dall'appropriazione, da parte dei signori, di quella quota del prodotto sociale che è residuale, cioè non necessaria alla riproduzione economica del sistema. Dalla definizione di Napoleoni risulta che il processo capitalistico subordina tutti, lavoratori e imprenditori-capitalisti, alla produzione del valore di scambio, cosicché tutti sono sfruttati. Non è possibile concepire l'uscita dal capitalismo come una pura e semplice redistribuzione del reddito, in quanto anche i consumi sono niente altro che un prodotto capitalistico, il quale vorremmo che fosse la società in cui viviamo». Non è tanto il conseguente richiamo umanistico all'essere protagonisti della propria progettazione ad essere problematico, sia chiaro, quanto la rimozione della consapevolezza del limite inerente la qualità detta del «tragico». Meno enfaticamente, la consapevolezza dei limiti inerenti la programmazione in una società indeterminata. Nella narrazione di Ruffolo, non a caso, sono assolutamente indeterminate, al di là dei loro luoghi semantici, proprio le parole-chiave che una sinistra sempre eguale a se stessa ha già esaltato senza frutti apprezzabili. Di esplicito, è vero, ci sono indiscutibili rilevazioni sociologiche ed un'invidiabile fiducia nella volontà-di-progettare: riorientare l'economia dalla crescita quantitativa allo sviluppo qualitaticui valore d'uso non ha nulla dinaturale, essendo anche esso subordinato alla realizzazione del valore di scambio. Il rifiuto del sistema da parte dei lavoratori porta Napoleoni a prospettare una alternativa drammatica fra l'accentuazione della sussunzione al capitale e la ricerca non soggettivistica di un rapporto diverso fra uomo e natura, il cui punto di partenza sia costituito dal rifiuto dell'annullamento vo; il politico dalla centralizzazione alla diffusione; i soggetti dal «privatismo conformistico all'individualismo socievole»: 1:1ntale riformismo all'Italia farebbe bene. Senonché, è il progettare ad esso sottostante che abbisogna di un surplus di senso, di una consapevolezza del limite «tragico». Cosa significhi dire soggetti, ad esempio, Ruffolo non lo dice: li «legge». Sono essi quegli stessi soggetti semplici rilevati dal Censis, refrattari a cambiamenti preorientati, di fatto impossibili artefici di un progetto? Oppure, sono altri, per un'altra società? No, altri non possono essere, se la società non è altra ma questa - in_sisteRuffolo - ed è a partire da questa che diviene se stessa riformandosi. Su questo almeno, il riformismo articolato ne La qualità sociale è conseguente: la rottura sociale è una finzione, la continuità è imprescindibile. Ma ciò è davvero caratteristica di una democrazia in scacco, condizione «tragica» taciuta. Il richiamo alla volontà progettuale vale per questo, certamente, ma non è affatto detto che sia progettabile, governabile la volontà dei soggetti. Potrebbe confermarsi improgettabile proprio il mutamento da essa innescabile: dispersivo e centralizzato il politico, anziché diffusivo; irrisolvibile lo jato detto tra potenzialità sociali e intelligenza umana; irreversibili le «tecniche» (cfr. C. Formenti, «Verso una biologia della tecnica», S~, n. 26, p. 26). La «progettazione», insomtotale del soggetto nell'oggetto. L'origine del sovrappiù In contrasto con la tesi secondo cui lo schema di Sraffa è di per sé una dimostrazione dello sfruttamento, Napoleoni individua due possibili spiegazioni del sovrappiù, una neoclassica e una marxista. Per la Cordial (Fontana), china su cartoncino, 284X243 prima egli si basa sulla teoria dello sviluppo economico di Schumpeter, in cui i profitti rappresentano la remunerazione dei capitalisti i quali abbiano destinato all'accrescimento del prodotto sociale le risorse altrimenti disponibili per il ma, anche linguisticamente, ricorda troppe illusioni «moderne» degli anni '60 - sia pure in versione opposta. Il fallimento di un modo di programmare non implica l'efficacia di un altro modo: può essere, piuttosto, che l'etimo sia socialmente in-sensato. È perciò sensato attribuire al «progettare» di Ruffolo il carattere di splendida utopia? Non pare proprio; lo si deve considerare, invece, quale tentativo di agire sull'effettuale, di dare norme flessibili ad un'effettualità di politiche in atto: si gioca qui la sua credibilità. Lo scarto tra effettuale e progettato è grande, certo: è la misura del «tragico» assente; ma non è detto, per questo, che lo scarto sia necessariamente residuo utopistico. È la cifra, semmai, dello jato sussistente tra una dimensione politica ed una post-politica, etica - che la rimozione del «tragico» amplifica. Senza paradosso, La qualità sociale ci pare più realistica del necessario, perché ancorata, saldamente, a quella splendida equazione «moderna» che identificava sapere-(progettare) e potere-( realizzare). Non che non sia più vera, certo; ma ad essa- succede sempre più spesso - può essere riservata, ora, una sorte singolare: un'inversione di senso. Ottimismo del_sapere, pessimismo della volontà: uno scacco «tragico», appunto, che nessun «progettare» può contemplare senza assumere in sé il balzo dal progettare-politico all'im-progettabile-etico. consumo. Per quanto riguarda la seconda spiegazione, Napoleoni riconduce la creazione del sovrappiù ad un meccanismo sociale in cui il processo produttivo è finalizzato al valore di scambio e dell'accrescimento di quella che ne è la più pura espressione, il capitale monetario. Secondo l'autore entrambi i sistemi interpretativi del sovrappiù sono compatibili con lo schema sraffiano. L'unica differenza fra i due sta nel fatto che lo schema viene «chiuso» in modo diverso. Mentre la distribuzione nel sistema neoclassico-schumpeteriano verrebbe ricondotta al funzionamento delle forze di mercato, nel sistema marxiano il salario verrebbe determinato da circostanze storiche e sociali. In effetti, per Napoleoni i due sistemi qui proposti sono integrabili, nel senso che il primo permetterebbe di capire come il sovrappiù venga generato mentre il secondo spiegherebbe il conflitto per la sua ripartizione fra capitalisti-imprenditori e lavoratori. Elemento comune a entrambi i sistemi è che il capitalista è sempre visto come un «funzionario» del capitale, per il quale l'attività di investire è equiparabile al lavoro del salariato. Il capitalista è dominato dal meccanismo di mercato così come il salariato è dominato dalla macchina. «Certo la posizione dell'operaio e quella del capitalista sono realtà profondamente diverse ... la società rimane certo divisa in due, ma il criterio della divisione non sta più ora nel fatto che il lavoro di una parte serve alla vita anche dell'altra parte, giacché non esiste più nessuno che non lavori, ma nel fatto che l'una e l'altra parte sono funzioni diverse di una realtà che le domina, le "sfrutta" entrambe» (p. 54). In conclusione si configura una cesura fra lotta economica - il conflitto per la distribuzione del so-

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