L'ogg Questa serie è iniziata nel n. 77 di Alfabeta (ottobre 1985) con scritti di Franco La Ceda, Giorgio De Michelis e Mario Bori/lo. L a vita è. nel suo tessuto più quotidiano, un insieme di gesti e di atti pratici, ludici, rituali, in continua e profonda relazione con un sistema di oggetti. È su questa base, talmente profonda da uscire spesso dal nostro campo di osservazione, che l'informatica, nella sua pervasiva diffusione, tende ad incidere. Su questo livello della quotidianità non esiste il computer in quanto astratto operatore di generici flussi di informazione. Esistono viceversa le funzioni che il computer può svolgere e i modi in cui le svolge. Esistono telefoni, schermi video, macchine da scrivere, elettrodomestici, automobili, gadgets che l'informatica diffusa tende a caricare di una certa quota di «intelligenza». Dal momento in cui l'evoluzione tecnica ha preso la strada della miniaturizzazione dei componenti, la possibilità di ricevere, elaborare, memorizzare e restituire informazioni o inviare comandi penetra nel sistema degli oggetti trasformandoli dall'interno, riproponendoli spesso con un'immagine fisicae visibile pressoché immutata, ma con la possibilità di indurre una rete di relazioni uomo/oggetto e oggetto/oggetto tale da modificare radicalmente ciò che tradizionalmente era lo statuto di esistenza degli oggetti. siderati i due termini del confronto. Ma essi rappresentano più il punto di partenza che non la situazione attuale: oggi entrambi sono già un'altra cosa. Ne deriva che, guardando in avanti, non ci sono tappe né tanto meno traguardi prevedibili: l'inter- •dipendenza e il reciproco condizionamento tra le due parti rende impossibile ogni semplice estrapolazione (nel futuro del Bancomat, per esempio, si intrecciano linee di evoluzione tecnica, in sé prevedibili, con linee di evoluzione umana nella capacità di truffarli, molto più imprevedibili. Gli sportelli bancari della prossima generazione dovranno «umanizzarsi» per tenere conto dell'astuzia di ladri informatizzati). L'unica cosa certa, dunque, è che questa promiscuità con gli oggetti «intelligenti» non Ripensando al computer II oEzintelligente to critico basato sull'estetica tradizionale (che è un'estetica: delle forme fisiche) riducendo la fisicità dei componenti che gli conferiscono specificità (in quanto «oggetto intelligente») a dimensioni che sfuggono alla nostra scala dimensionale e percettiva. Svincolandosi così da ogni riferimento alla forma, la sminuisce riducendola a una questione marginale. All'impossibilità di valutare • l'oggetto «intelligente» in temini di forma si aggiunge poi la difficoltà di comprenderlo pienamente utilizzando il criterio della funzione. Vi è infatti un'intrinseca ambiguità nel funzionamento degli oggetti informatizzati che mette in crisi il criterio di funzionalità (e con esso tutto l'apparato culturale moderno che su questo valore aveva creduto di poter trovare solidi riferimenti). presentato come indispensabile nella casa, ma che poi veniva comprato sotto la spinta dei ragazzini che vi riconoscevano il giocattolo (ed è forse ancora questa ambiguità, una volta scoperta e palese, che ne ha causato la crisi. Una crisi di identità: se è uno strumento, si dice, deve servire ... a cosa sevono gli attuali home computers?). Ma la crisi dell'idea di un «utile e funzio-. nale» chiaramente separabile da ciò che non lo è, arriva anche più in profondità. Arriva a confondere l'atto stesso del lavoro (che nella tradizione moderna è per definizione funzionale) con quello del gioco: l'attenzione e la gestualità di molti lavori con sistemi altamente informatizzati non sono lontane da quelle richieste dai videogiochi e la passione quasi maniacale di certi operatori informatici per la loro at- ■ così come fin qui è stata studiata. Le domande sono: preferisco il massimo d'automazione o preferisco effettuare delle scelte, mi piace che la lavatrice parli o preferisco leggere un display, ho più il senso del mio gesto pigiando un bottone o sfiorando una membrana sensibile? Piccole domande, certamente, ma moltiplicate per il numero di oggetti che ce le possono far porre (o che ce le potranno far porre), tendono a saldarsi in un'unica domanda relativa alla qualità dei rapporti con un intero sistema di oggetti. L a situazione, nel suo insieme, può forse essere tratteggiata in questo modo: la tecnica, nel momento stesso in cui spinge la sua capacità di intervento e di manipolazione su terreni nuovi come quelli dell'informazione e del linguaggio, tende ad uscire dal quadro funzionalista in cui si è presentata e sviluppata come tecnica moderna. E questo perché il suo sviluppo si scontra con il carattere limitato dei bisogni umani elementari sui quali erano state possibili operazioni di quantificazione e di misura presentabili come valutazioaj _oggettive. • Oggi, procedendo nella sua espansione, la tecnica ha investito terreni sui quali la quantità diventa un parametro sempre meno proponibile. Sui nuovi terreni gli aspetti culturali, emotivi e sensoriali non possono essere rimossi. Le funzioni che ne emergono non sono più «funzionali», nel senso che non presentano più quel carattere di trasparenza e univocità che il pensiero moderno aveva attribuito a questo termine. Non solo: la stessa «pressione genetica» che ha portato l'evoluzione tecnica a fornire «intelligenza» agli oggetti, li fornisce anche di sensibilità e capacità comunicative mettendo a disposizione sistemi di input-output sempre più raffinati. Sensori, displays, sintesi vocale e, in prospettiva, riconoscimento della parola si condensano in piccoli componenti, emergono alla superficie con sottili membrane sensibili all'ambiente o espressive dello stato di funzionamento interno dell'o~getto. E su questo terreno, disperso e tenue fino quasi ad essere invisibile, che si gioca il confronto e lo scontro quotidiano tra gesti e linguaggi umani e la razionalità del computer. Un incontro-scontro in cui la forza delle parti in causa è tale che, nel tempo, nessuna delle due potrà rimanere del tutto simile a se stessa: i comportamenti umani saranno inevitabilmente influenzati dalle nuove tecniche, ma sarà vero anche il contrario. «La penetrazione di una finalità tecnica nel mondo umano - scriveva ormai molto tempo fa Baudrillard nel Sistema degli oggetti - è sempre, allo stesso tempo e nel bene e nel ll_lale, una penetrazione di finalità umane nella tecnica». E questo è tanto più Presse hydraulique, 1922. Gouache su cartone, 60x72 Il paradosso di una tecnica moderna che, cresciuta in un alveo culturale, arriva a minare con i propri successile sue stesse basi e i suoi stessi riferimenti, a ben guardare, mostra una vicenda del tutto simile - a quella della scienza che, partita e cresciuta all'interno di una visione del mondo riduttivista e determinista, è arrivata a proporre l'indeterminabilità e il carattere olistico di un mondo la cui complessità non può più essere ridotta a modelli intuitivi. ~ vero quanto più ampia è la superfi- .s cie di contatto. ~ Cl.. L'informatica, proprio per la capillarità della sua diffusione, sipre- ~ senta così come la più «umanìzza- ~ ta» delle tecniche e, al contempo e -~ per la stessa ragione, come quella :g • potenzialmente più disumanizzan- ~ te. La ricchezza, la complessità e ~ anche l'intrinseca ambiguità della i:: comunicazione umana, da un lato, ~ e l'ascetica e precisa referenzialità ;;g_ del linguaggio delle macchine, dal- ~ l'altro, possono ancora essere conpotrà che crescere e che il confronto-scontro sulle interfacce sarà sempre più esteso. «La ricchezza sensoriale dei calcolatori del futuro - scrive Nicholas Negroponte, presentando il laboratorio multimediale da lui fondato presso il Mit - richiederà una nuova sensibilità per inventare e realizzare un'interfaccia umana piacevole». Ma quest'affermazione potrebbe essere ribaltata: è l'invenzione e la realizzazione di interfacce umane piacevoli che porterà alla messa a punto di calcolatori ricchi sensorialmente. Se il problema dunque è quello di favorire una pressione che non sia solo di resistenza passiva, ma anche di capacità propositiva sulla qualità delle interfacce, si tratta di sviluppare su questo terreno un'adeguata cultura del progetto. Cioè proprio quello che manca ed è difficile creare: nel momento in cui lo svilupp,o tecnico cambia l'oggetto facendolo diventare «intelligente» (e, eventualmente, anche sensibile e comunicativo), lo pone su un piano rispetto al quale non c'è alcun precedente culturale cui riferirsi. Esso, infatti, spiazza ogni strumenScrive Denis Santachiara (nell'introduzione al catalogo della mostra «La neomerce», da lui curata): «Il concetto di funzionale, all'interno del tipo di movimento tecnologico contemporaneo, diventa obsoleto in quanto risulta sempre più superato (o 'squagliato') dal progredire di oggetti extrafunzionali-multifunzionali-funzionoidi; il grado di utilità (semmai la nostra civiltà lo seguisse con seria convinzione!) non può limitarsi alla specializzazione monofunzional~, quanto invece à prestazioni flessibili». _ E d è proprio questa flessibilità funzionale il primo e più evidente -aspetto di confusione nella tradizionale e manichea divisione tra oggetti etici e rigorosi nella loro funzionalità e oggetti amorali in quanto privi di ogni utile funzione. Se lo stesso computer può gestire un bilancio aziendale oppure un programma di videogiochi, la sua immagine, valutata col parametro dell'utilità funzionale, diventa ambigua. È su questa ambiguità che si è giocata la promozione degli home computers verso il grande pubblico: uno strumento tività è un fenomeno più vicino a quello che lega i grandi giocatori al _tavoloda gioco, che non a quello che legava gli stacanovisti alla loro macchina. Non solo. La destabilizzazione di ogni semplice criterio di funzionalità non si limita alle situazioni in cui si tratta di interagire con sistemi complessi, ma arriva ovunque penetri l'informatica (e le tecnologie di interfaccia ad essa collegate). Anche il più modesto oggetto funzionale, informatizzandosi, acquisendo cioè una quota di intelligenza, stempera la sua tradizionale fisionomia di oggetto giudicabile col solo metro dell'utilità. Per esempio: il mio rapporto con la lavatrice, sul piano funzionale, alla fine, si riduce al fatto che il bucato risulti lavato. Ma il modo per arrivarci passa attraverso una serie di gesti minuti, che tuttavia costituiscono una parte del tessuto di base della quotidianità. L'informatica e le tecnologie dei sensori, degli attuatori, dei displays, dei comandi digitali o locali permettono di arrivarvi s~guendo strade diverse la cui valutazione non è affatto riducibile al puro funzionale o all'ergonomia, Se questa seconda vicenda è stata fino ad ora più considerata e dibattuta di quanto non sia avvenuto a proposito della fuoriuscita della tecnica dal suo originario alveo funzionalista, è forse perché quest'ultima implica maggiormente i liveli «bassi» e quotidiani della nostra cultura: c'è poca abitudine a dibattere sugli aspetti minuti del nostro rapporto con glioggetti. Ciò non di meno, una nuova cultura del progetto potrebbe partire proprio da qui, da quella sorta di breve sceneggiata che è il colloquio tra un uomo e un oggetto «intelligente». Progettare, su questo terreno, significa dare qualità a delle relazioni nel tempo. Significa definire un canovaccio, delineare la personalità degli intrerpreti, impostare la sequenza delle battute di quel teatrino delle macchine che è la quotidianità informatiztata. L'aria dimessa del teatro non deve trarre in inganno: lo spettacolo che vi si rappresenta tocca àspetti basilari e strutturanti della nostra identità umana.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==