Alfabeta - anno VIII - n. 81 - febbraio 1986

ManoCeriani Contee Capelli di radici divelte e morte cortecce per la nuca del vecchio gigante prono. Alla base del tarso dove si quadri/orca nell'esile ossatura della zampa aveva ancora legato un minutissimo anello di rame. Soprattutto destava stupore l'improvviso mutamento di paesaggio, colori. La calma velata delle poche case pareva inserirsi perfettamente nella cornice di quei luoghi - quiete millimetrica turbata a volte da un avvento di lune tempestose, stormire del sangue nelle cavità lasciate deserte dalla voce. La tavolozza del viandante, oltre misura colma di mercanzie, smise di esultare freddata dalla protervia di quelle luci declinanti verso l'ombra. In queste regioni, Sila il dio delle acque somministra un intollerabile gelo: per questo gli uomini qui si ungono il petto le cosce la gola con grasso di foca uccisa a colpi di arpione. Restano ancora sotto il concavo occhio del cielo le macchie di sangue come aiuole cortesi. MariaPia Quintavalla Con un'amica a Nadia Campana Con un'amica niente più bianco e nero, né morte di nuovo dio piccolo dio diffuso tante piccole teste noi e plurali sulla terra sui muri della schiena incubi e infanzia da vedere Cantare le righe le miglia di un'altro scomparso .non consumabile silenzio Con una nave niente più bianco e nero, solo dio piccolo piccolo e diffuso. La base dei sentimenti (oggi eccessive distanze affaticano intanto non c'è più notte né giorno) Ascendenze verso il basso la base dei sentimenti basi quasi pronte per l'ascensione di noi muti e irregolari fumo respiro che accompagna le navi contro il cielo quando dividono nell'ascensione i terrestri amori dagli spazi aperti stellari morte che venne a .uomini e bambini che scambiavano per epifaniche astronavi le piccole e tremanti scale del pensiero (e pasti notturni si disfacevano nella certezza del non riposo anche di notte macchine etempo agli angoli delle strade per cantare unici di gloria, rosso delle alte scene notturne. FabioGalli da ~El fistolo de l'Inferno» *** Sono oltre cento-duecento milioni di colpo verso il mare, piedi sui chiodi. È questo io e te, gli amici di te accendi, nobili. Un uomo: «Non vedi cosa aècade? Ricòrdati Vienna.» Io e io. Piccoli amici (specialmente) affondano voci. Adagia azzurri, arresta questo fiume: «Così, hai pianto ancòra. Dimentica dimentica, e vuoto!» Vecchie signore l'alba aspetta... se non ti avrò. Sai con chi stai, corpo che rimane? Dolci amicizie, fuori, le labbra non stringono più: scrivi ancòra rose. La televisione non la spengono mai. Noi e voi piogge. È tutto sempre interno, nei tuoi spazi aperti, fra dita nascoste, stracci: «Sentono lenti metalli sul mio petto. Non ·aspettare.» *** Cambio quest'acqua; è istante abbagliante intorno o noi, in stanze (deserto di questa bocca), rifiuti, un sasso, altri ritagli, bottiglia in mai: «Non ha più sogni.» Dritte: «Non c'è passione.» Arrossate, scende ... scende... scende... lente signore e un senso si spezza fra noi: «Non c'è stato uomo che abbia chiesto di me.» DanielaM. argheriti *** ti parlo qui, bambina'mia, dal mio paese pallido e lontano, dove vivremo. noi, riconciliate qui con gli astri e le comete e le bestie che abbiamo saziato. noi, qui sepolte come straniere morte tra rose bruciate-e luce bianca. dalla rotta del liocorno qui guidate. dal giardino, dalla polvere, dagli echi, dalle coppe di vetro, dal cancello, dai tordi, dal sangue-comune qui amate. ricordate qui dal vuoto viale, dai cespugli, dal suolo bagnato, dalle piante di agli. qui annusate da morenti cinghiali. GianMarioVillalta da ~11limbo~ *** Ti chiesi di non parlare, di essere su questa estate immobile bufera copiosa e sterile, nere labbra, nera anche la ferita delle labbra e priva di sangue, uguale alla stanza che abitiamo che un~intattadevastazione abita. - È bello qui - dicesti - è come una parola - Abitai quella parola, era uguale alle parole possibili, era grigia. Era rossa, rossa la tua bocca, era presente. Era un «sempre» lacerato da un «per sempre». *** Il sole sanguinava sulle palpebre uno sciame d'insetti. Un argine ci separava congiungendo i corpi sulla stessa sponda brulla dove riconoscersi era concesso, non conoscersi. Era un sole basso, fangoso, uccelli ciechi laceravano le fronde alte degli alberi, atterrivano le stanze buie squarciati dai vetri infranti. Riconobbi come mia casa quella notte trascorsa, quel brusìo lancinante che diventava quiete condivisa: era la strada che diventava tempo, non la luce. Era respiro, non scatto dell'ora. Ritornai sempre. Solo luogo da dove prenda senso andarsene. RobertoCarifi • da ~crepuscolo~ *** Quando l'ora si compie in una immagine caduta oltre la siepe e l'uscio si spalanca sulle facce spezzano il pane ed uno indica qualcosa che non vede, qualcosa di mai udito che prende la parola mentre l'altro, nel vuoto, si allontana. avvolte qui da cenere, da tagliate ali, dalla nebbia menzognera, dal tamburo, dal guaito dell'abete e dell'ulivo. *** dal rotolio del tuono qui baciate, dal dorso di immobili parole, dal fosso, dallo stagno, dal gelo. noi qui specchiate nell'acqua delle viscere. inseguite da perduti passi. qui precedute da misteriosi uccelli, voci immutanti, freddi venti, deserti di girasoli. protette qui da dalie, da steli di grano, da bucanevi, da lievi segreti. qui pensate da granchi, ossa, cavalli, da alghe, da sassosi greti, da solchi, amare mele. qui nascoste da ortiche, dalle fauci di fuochi di quercia. dalla chimera disperata qui desiderate. qùi addormentate da contrabbassi e armoniche. dal furore· e dall'enigma qui inghiottite. qui, dove ti parlo, ad attigliano, dal rriiopaese pallido e lontano, <!,ovea·vremo una casa, mia bambina, e un nonnulla e una tomba di betulla. Nati dentro una semina con la luce perenne della sola donna arano al vento nei lampioni rotti lungo il canale finché saranno erba del primo giardino o visi d'ombra, anni di piantagioni che tremate dove una spiga ordina il silenzio. *** Questo franare da una corsia ali'altra, battiti, visi in penombra mentre si allarga il davanzale ed entra nella piazza tra ombre trascinate, ragazzi senza perdono indicano il pallone rapito dal vento ed un'occhiata pallida· porta notizia di qualcuno' che ha lasciato la casa diventando voce, orma che luglio incide nel passo dei fratelli quando il quartiere cadé in un deserto di luce.

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