L'annodt~.,;dragone ' E possibile che l'imposizione della legge, intesa come statuizione di un principio obbligante fondato sulla razionalità, non produca ordine, ma caos, non determini giustizia, ma iniquità? Che essa non istituisca un terreno di convivenza pacifica, ma all:opposto scateni una belligeranza permanente? A questi interrogativi, l'ulimo film filmato da Michael Cimino, L'anno del dragone, sembra fornire risposte affermative, ribadendo in qualche misura la «morale» già contenuta ne Il cacciatore. In quest'ultima opera, per lo più interpretata come «correzione» dei luoghi comuni sulla guerra in Vietnam, anziché come discorso focalizzato sugli Stati Uniti, dei problemi suddetti si offriva in un certo senso una lettura su un duplice registro: da un lato, lo scenario vietnamita, rappresentazione esasperata della carica di violenza e di irrazionalità insite nella pretesa di imporre la «pace americana» in una giungla di culture, tradizioni, costumi e comportamenti, non meno intricata ed impenetrabile dell'ambiente fisico; dall'altro, un paesaggio statunitense, nel quale il superamento della violenza dispiegata e visibile ne sottintende, in modi diversi, l'avvenuta istituzionalizzazione. L'anno del dragone riprende e sviluppa questo ragionamento, unificando i due scenari in precedenza descritti intrecciandoli strettamente, trapiantando il Vietnam nel cuore di Manhattan, come risulta, tra l'altro, ma non esclusivamente, dalla scelta di un reduce quale principale protagonista della vicenda. Ma il tema della riflessione, sia pure talora offuscato da concessioni spettacolari e senza il necessario rigore concettuale, resta sostanzialmente lo stesso, soprattutto nel senso che ciò intorno a cui Cimino lavora è ancora l'illustrazione dei meccanismi di funzionamento di una società articolata e complessa, e delle regole materiali che ne organizzano la costituzione interna, gli uni e le altre comunque indeducibili da codici scritti. L'asse centrale, intorno a cui ruota - non senza sbavature e lungaggini - il film, consiste nella proposizione di quello che potrebbe apparire un paradosso, vale a dire nella rappresentazione degli effetti distruttivi, e non progressivi, cui conduce il tentativo di introdurre la legalità costituita in un universo - nel caso specifico, Chinatown in precedenza governato da regole di esistenza secolari, anche se «criminose». L'intervento del poliziotto di origine polacca (come è noto, negli Stati Uniti polish è diventato sinonimo di sciocco: lo conferma l'attribuzione ai polacchi delle medesime storielle con cui da noi si irride ai carabinieri), proteso ad istituire nel microcosmo cinese ilmedesimo «ordine» imperante nel resto del paese, intollerante delle «anomalie» di un mondo ostinatamente le- .s gato alla propria autonomia, incu- ~ rante degli inviti alla moderazione ~ che·a lui provengono da colleghi e ~ superiori, produce una drastica ~ rottura dell'equilibrio preesisten- -~ te, da cui scaturisce un'incontrolla- § bile escalation di delitti e distru- ~ zioni. ~ Questo processo, in cui il nuovo I:! funziona come dissoluzione di uno ~ stato, al quale non si riesce a sosti- 1 tuire uno stato diverso, ispirato a ~ princìpi legali, è altresì accelerato dal contemporaneo comparire sulla scena di un deuteragonista portatore di un'analoga carica eversiva, allo stesso modo insofferente dei vincoli tradizionali. Dall'azione combinata, solo apparentemente antitetica, dei due personaggi, uniti fra loro da una consanguineità di comportamenti e di mentalità, ben rappresentata nella scena dell'epilogo, in cui le due immagini appaiono letteralmente speculari l'una rispetto all'altra, provengono effetti davvero disastrosi per la vita della comunità cino-americana. Per quanto ispirate a contrastanti professioni ideologiche, e a finalità generali assai diverse, le imprese del poliziotto e del giovane capo della malavita organizzata convergono nello sconvolgere radicalmente l'ordine garantito dal rispetì I: I' \ \ I • to di gerarchie segrete (le «triadi»), patti non scritti, tacite convenzioni, in precedenza vigenti. Accade così che la pretesa di assoggettare questo mondo a regole diverse - siano esse quelle del codice degli Stati Uniti, o quelle di una criminalità organizzata più spregiudicata e feroce - finisce col mettere tutto a soqquadro, accrescendo smisuratamente la violenza, al punto da istituire condizioni ferine di belligeranza permanente. La conclusione del film, che vede la scomparsa dalla scena, sia pure in modi diversi, di entrambi gli eversori dell'ordine costituito, suggellata dalla ieratica immobilità di un funerale, ripreso sempre di prospetto e condotto secondo i riti senza tempo della comunità cinese, sembra ribadire - già con la stessa riproposizione in clausola della scena con cui era cominciata la rappresentazione- il carattere intrinsecamente anomalo, fortemente sovvertitore, comunque destinato all'insuccesso, di ogni tentativo di razionalizzazione coatta della «società civile» esemplificata da Chinatown, e insieme la sua sostanziale, ~temporale, immodificabilità. L'apparente paradosso di cui si diceva all'inizio, si chiarisce così come proposizione - non importa quanto esplicita, e neppure quanto consapevole - di una tesi ardita, u ma certamente molto suggestiva e largamente condivisibile, soprattutto nella sua pars destruens. Cimino assume - rovesciandolo - l'ideologico convincimento, fortemente penetrato nella mentalità americana, secondo il quale la grande forza del paese consiste nel- ; ·/ / ·.' h' L'uragano la capacità di amalgamare - con la celebre immagine del melting-pot - etnie, culture, religioni, tradizioni diverse in una solida unità statale, in grado di annullare e risolvere in sé ogni distinzione. Ciò che dal film emerge è che, al contrario, non si dà stàto, e cioé superamento della barbarie naturale, né può darsi convivenza pacifica, se non sulla base della persistenza, anziché dell'estinzione, di una molteplicità irriducibile di sqggettività etniche e culturali. La descrizione delle consuetudini vigenti nel microcosmo cinese - come già la memorabile rappresentazione della festa della comunità russa ne Il cacciatore - non corrisponde ad alcun interesse etno-antropologico, né discende da alcuna pedanteria illustrativa; essa scaturisce, piuttosto, dal proposito di visualizzare il carattere della società ameriacana come esatto contrario della mitologia del melting-pot: non già armonica fusione di gruppi e culture, ma la loro cristallizzazione nella forma specifica di cerchie particolari inviolabili rispetto a qualsivoglia intervento esterno, o comunque violabili solo infrangendo le condizioni della loro pur precaria pacifica esistenza. Gli «Stati uniti» di cui ci parla Cimino, sono davvero somma di governi privati, non riassorbimento in un'utopica unità sovranazionale, capace di amalgamare le individualità più diverse. M a l'aspetto più inquietante, e insieme più stimolante e originale, suggerito da L'anno del dragone, consiste nel modo in cui è rappresentato il rap- \ 1 I \ 1'1.1,:111:yo °""toi.T•~• !"~ ◄ I ' \\ I ' :\ . 0-': \\ \ \ ,, \. •\~, .... : ... \ .,,, ~~ ~,· -:-.~ ' • \ \ porto fra legge e ordine, fra diritto e giustizia. Non solo, infatti, lo stato in genere risulta dalla permanenza, invece che dal superamento, dell'articolazione particolaristica della società civile, ma, ciò che più conta, la sopravvivenza di quello stato determinato che è l'americano è fondata sulla sistematica perpetuazione di un crimine visto come fattore produttivo, fonte di coesione, strumento di unità nazionale. La tacita convenzione bilaterale, a cui ripetutamente fanno riferimento i venerabili «anziani» di entrambi i campi contrapposti - poliziotti e mafia cinese- sulla quale è fondato l'ordine del microcosmo asiatico, e che consente di controllare il prorompere della violenza entro i limiti compatibili con la stabilità del sistema, appare, infatti, nient'altro che un pactum sceleris, una sorta di permanente autorizzazione a delinquere, concessa e ottenuta 1n cambio di un'organizzazione della vita sociale in cui la violenza non superi mai i livelli di guardia prestabiliti, in cui, soprattutto, essa non trasgredisca mai al punto da mettere in discussione i rapporti di potere e gli equilibri di forze interni alla società americana nel suo insieme. Da ciò risulta che non soltanto gli Stati Uniti non corrispondono affatto all'idillica immagine del melting-pot, come armoniosa mescolanza di ingredienti diversi, ciascuno dei quali, al contrario, custodisce gelosamente la propria irriducibile identità, ma anche che il fondamento della pace sociale, l'invisibile norma che presiede all'organizzazione e alla riproduzione del sistema, non è la legge,"ma il crimine, non l'estinzione della violenza, ma il suo regolato contenimento dentro i confini delle «cerchie particolari» in cui si risolve lo stato. Il processo storico e concettuale di costituzione dello stato moderno, basato sull'Aujhebung dei particolarismi privati nell'universalità dello stato e sul passaggio dalla barbarie naturale alla pacifica coesistenza civile, appare in questo modo completamente rovesciato. La forma post-moderna di organizzazione statale, incarnata dagli Stati Uniti, si costituisce sulla persistenza - non sulla negazione - dei particolarismi, e sulla regolazione sociale, piuttosto che sulla persecuzione, della violenza. La compagine statale trova, perciò, il fondamento della propria esistenza, e le ragioni della propria stabilità strutturale, in una pattuizione indeducibile dalla normatività codificata della legge. Il «contratto sociale», possibile in una fase storica di compiuta dislocazione della politica oltre lo stato, scaturisce dal riconoscimento dell'insuperabilità del crimine, come aspetto fisiologico di espressione della conflittualità sociale. Si comprende, in questa prospettiva, per quale ragione il tentativo di assoggettare Chinatown all'universalità astratta della legge «americana», finisca soltanto per produrre lutti e distruzioni, e perché a conclusione della vicenda il protagonista, a dispetto della propria ostinazione «polacca» nel voler imporre l'ordine, confessi infine di aver sbagliato tutto. Se la violenza - come sembrava suggerire Il cacciatore- è a tal punto radicata in noi da concretarsi spesso in forme autolesionistiche, pur di potersi esprimere, non vi potrà essere alcuno stato, alcuna condizione pacifica formata, se non quella che risulti da meccanismi non scritti di autoregolazione sociale, mediante i quali la violenza sia ammessa e insieme regolata. L'amaro apologo firmato da Cimino sembra così affidare ad una remota, forse improbabile, ipotesi di palingenesi generale la possibilità di espellere definitivamente la violenza dalla convivenza sociale, confinando nell'utopia i patetici sforzi di un reduce dal Vietnam. L'anno del dragone, iniziato e concluso con un funerale, sembra insomma voler dire che il «tempo» dell'uomo è irreparabilmente segnato dall'incombere di una morte violenta, e che altro- e ancora di là da venire - sarà il tempo emancipato dalla violenza, e altro la società in cui tutto ciò potrà accadere.
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