Alfabeta - anno VIII - n. 80 - gennaio 1986

A ncora qualche decennio fa, il filosofo, nei discorsi a tavola in certefamiglie, appariva come il prete laico, incarnazione dei principi astratti, talora troppo astratti. Oggi, di questa figura professorale s'è spento pressochè il ricordo, e, per quanto concerne la formazione dei loro figli, i padri non predicano mai abbastanza il proprio fastidio verso i modelli etici. Ma i veri filosofi sembrano aver nostalgia di quello che erano. Anche i più giovani. Altrimenti si spiegherebbero assai male certi breviari, non di sola estetica, in apparenza mondani, brillanti e curiosi, di fondo serissimi. Uno di questi propone una trentina di idee fondamentali, per varcare la soglia del pensiero, eper uscirne da un' altra, insospettabilmente smaliziati. È di Giorgio Agamben ed ha per titolo Idea della prosa. Inizia con la diaspora della scuola filosofica di Atene, nell'anno 529, e si interrompe in presenza di Kafka, inteso come enigma d'oggi che spunta la glossa e rende l'intelligenza ai meno illuminati. Un tragitto lineare, attraverso la liquidazione degli istituti culturali antichi, la vendita ali'asta delle idee fatte e assodate, prolungati silenzi fra un rigo e l'altro. Fin qui, pane per denti filosofici. Tanto più che, al morso nel corpo vivo del sapere, s'unisce un gusto della lingua, persuasivo e così dolcemente didattico, da suscitare non la lettura ma un ascolto trasecolato. Chi poi supponesse, sotto queste pagine, non so qual immoralismo paradossale, vada tranquillo. C'è persino una idea del codella metafora e dell'analogia, della lettura e dell'interpretazione, del contesto linguistico e situazionale nell'atto di comunicazione. Tuttavia, in questo ultimo libro di Searle (Min~, Brains and Science) del 1984i punti di raccordo con l'o~ pera di Lady Welby riguardano problematiche che stanno a monte rispetto a quelle più specifiche appena elencate. Contro l'ingenuo fisicalismo, mentalismo, comportamentismo o cognitivismo, Searle propone un approccio al problema del rapporto mente/cervello di tipo «biologico». Lo stato mentale è sia causato dai processi neuro-fisiologici del cervello sia realizzato in esso; in questo senso, dunque, lo stato mentale è un fenomeno.biologico. «Una volta compreso come i tratti distintivi caratteristici degli esseri viventi abbiano una spiegazione biologica, non ci appare più misterioso che la materia sia viva. Io credo che considerazioni esattamente analoghe dovrebbero applicarsi alla nostra discussione intorno alla coscienza». Quindi lo stato mentale, la coscienza, l'intenzionalità, la soggettività, la causalità mentale sono tutti provocati da processi biologici di cui sono le manifestazioni, e sono costituiti dalla stessa vivente materia biologica in sistemi biologici, allo stesso modo, come già ricordato nel libro del 1983, Intentionality, della crescita, del metabolismo, della produzione di bile, della riproduzione. Searle mira a dimostrare che non c'è una netta distinzione tra mente e cervello. Non siamo obbligati a descrivere lo stato mentale come pura immaterialità, tanto meno come pura materialità in cui viene negato del fenomeno mentale proprio il carattere mentale. Su questa base egli rifiuta l'analogia fra il computer e la mente in cui il primo viene considerato come esatta riproduzione o immagine del secondo piuttosto che come metafora. La mente Ideailare munismo che dileggia le mascherate della pornografia, con tanto di riferimenti dotti, da Leda al cigno, da Europa al toro. Ma perché proprio del comunismo? Il termine va qui preso per «utopia di una società senza classi», immaginosamente identificata dall'orgiasta incolto nel viluppo di corpi, pudicamente tradotta dal filosofo nelle congiunzioni fra stelle ed astri. Cosa suggerire di meglio per gli indecifrabili insegnanti dell'85? Non sono idee ma reminiscenze di idee, parole che, riusate e analizzate, si fanno sempre più diafane, fino a stingersi completamente su altre che s'avanzano in controluce. Il filosofo d'oggi, in questa prosa, è colui che abbassa le cortine, gioca con la penombra per schiarirsi le idee, e infine prova con il buio completo per illuminarsi. Infatti, simile in questo al Dupin di Poe, l'evidenza lo acceca dall'interno, e viene da lui stesso proiettata verso il mondo. Un po' smarrito fra la gente, tocca con il pensiero ora le cose più infime, ora le giganti; si sofferma, leggendo, su un nome, oppure, passando oltre un segno d'interpunzione, s'arresta davanti ad un paio di virgolette, prima che esse s'aprano su di una citazione. Quest'ultima sgorgherà nel testo, viva come un applauso o perfettamentè mimetizzata in esso. Qualcuno ha già capito che questo filosofo non è digiuno di argomenti mondani, anzi è uno stilista dei propri pensieri, delle proprie sfilate di idee. Ma non sarà anche un saggio? Perché, allora, occorre prudenza di giudizio. Lo si asco/- umana ha stati mentali caratterizzati dalla intenzionalità, e quindi dalla capacità di riferirsi a realtà esterne a se stessa: ha dunque contenuti semantici. Il computer, invece, lavora con programmi di natura sintattica costituiti dalla sola manipolazione di simboli formali, vale a dire, manca la capacità dell'intenzionalità. Tuttavia, Searle respinge l'ipotesi della identificazione fra computer digitale e cervello da una parte, e fra programma computerologico e mente dall'altra; ciò non preclude la possibilità di ottenere elucidazioni sulla natura e funzionamento dello stato mentale attraverso l'uso del linguaggio figurato e quindi dell'analogia col mondo meccanico. Secondo Searle, l'accostamento fra psicologia e scienza del computer è Alberto Capatti ti: «Noi non vogliamo nuove opere d'arte o di pensiero, non desideriamo un'altra epoca della cultura e della società; quel che vogliamo è salvare l'epoca e la società dalla loro erranza nella tradizione, afferrare il bene - indifferibile e non epocale - che erra in esse contenuto. L'assunzione di questo compito sarebbe l'unica etica, l'unica politica ali'altezza del momento». Storia ed estetica hanno, per troppo tempo, servito da guanciali al pensiero; è ora che la ragione riafferri la lanterna e, sollevatala ali'altezza degli occhi, proceda diritto, diritto. Verso dove, non è detto. O meglio sì, verso il bene. Ma è giusto che le idee si sgranchiscano gli arti e l'aforisma è la migliore delle ginnastiche. Ad ogni modo, «privi di epoca, stremati e senza destino», a che altro possiamo esporci se non ad un ritorno restauratore dell'etica? Eppure anche il bene può essere attraversato da parte a parte, come una soglia priva di porta. Per spingerci oltre, verso l'impensabile, l'inafferrabile, l'irraggiungibile, l'inesplicabile. Come quello matematico, anche il pensiero filosofico deve perdere la gravità e fluttuare ad ogni idea, rivolgendosi su se stesso. Spazio e tempo sono svaniti nell'etere. Resta, invece, un vecchio gioco di prestigio, quello della scrittura cancellata, della pagina bianca, dell'interpretazione silenziosa. Dalla dissoluzione di ogni forma pensata al nulla che attende ogni forma futura, c'è posto solo per l'esibizione illusionistica. Ma, sotto il fazzoletto, o nel cappello a fattibile purché la metafora sia riconosciuta in quanto metafora. P er conto suo, anche Lady Welby continuamente insiste sul concetto della derivazione dell'uomo, delle sue capacità intellettive e linguistiche, da stati biologici primitivi. Le energie vitalistiche che in un primo momento cilindro, una idea è solo una idea, cioè quasi nulla. La lettura di Idea della prosa di Giorgio Agamben ci ha suggerito un piccolo contributo che vorrebbe preludere ad una quarta parte de~'opera, non ancora scritta, ma aperta al discepolato, alla penna dello scolaro zelante. È uno spontaneo, acerbo svelamento del magistero dell'autore, o forse il già languente gloglottìo di un rivolo che, dividendosi, s'estingue. «Il filosofo Porfirio, durante il suo soggiorno a Lilibea intorno al 270, concepì il progetto di un discorso sull'astinenza che doveva redigere solo in seguito, dopo un breve soggiorno a Cartagine. La formulazione di tale insegnamento, destinato al romano Firmus Castricius, stranamente malfermo nelle sue diete e incline all'abuso della carne, non ricorda solo il vegetarianesimo del loro comune maestro Plotino, ma anche la condanna di una apostasia, forse più grave. Al tempo della stesura, di notte, Porfirio registrava su di un nastro la propria voce, a ribadire la latenza del suo insegnamento, nei giorni stessi in cui prescriveva la rinuncia al cibo animale. Tale nastro, all'ascolto, rivela un modulato riso, da un capo all'altro, un fraseggio ininterrotto e ilare che, a tratti, sprofonda in note cuee o s'alza in uno stridulo acuto. E tradizione che Porfirio vi lavorasse solo dopo il calar del sole, e ripetesse, sullo stesso nastro, l'esperimento, cancellando ogni volta con una nuova incisione. Poco importa se ad ispirarlo fosse un gelasimente primitiva studiata alla luce delle attività pre-umane, per arrivare alla mente razionale che appare come il risultato diretto di un continuo sviluppo organico nell'ascesa evolutiva (vedi per esempio pp. 180-182). È in questa prospettiva che Lady Welby stabilisce l'ordine dinamico delle tre categorie o stadi nello sviluppo del significato _........,r-__,.,..,......,_._._ __,,___ IE'"T-:ll ~--~~-==-~1~. { sono rivolte unicamente ai bisogni animali finiscono col governare su poteri propriamente umani. La tendenza a trascurare un dato di fatto del genere potrebbe spiegare, dice Lady Welby, gran parte della mancanza di efficacia del pensiero più moderno (1903, p. 85). Dal capitolo XXII al XXV di What is Meaning? Lady Welby fa addirittura la storia del significato partendo dall'uso che ne viene fatto dalla .,..-....,_-.-----...::-~ ... ~....,,___--~~ : . - ~ - . ~"~ - ~ e che abbiamo già identificato come senso, il livello più basso; significato, in senso stretto, a un livello più alto; e quello della significanza, il livello più alto dell'umanità. Sia Lady Welby che Searle lanciano sguardi verso il futuro dell'uomo e pongono domande di carattere universale sul comportamento umano; entrambi considerano criticamente le possibilità umane e, più specificamente, il mo, risibile granchiolino con una chela vistosamente sviluppata e l'altra ridotta, oppure il linguaggio degli uccelli imitatori, corvi, gazze e usignoli di cui egli trattava nel suo discorso astinenziale. Certo è che Sant'Isidoro, nel riassumere le Isagoge, ricorda la sua definizione dell'uomo come animai risu capax. Come non vedere la relazione? Porfirio descriveva il linguaggio degli uccelli, per sottolineare la loro intangibile vitalità, abbandonandosi poi a quello sfrenato riso, di cui solo l'uomo è capace. Il suo pensiero biforcava verso due linguaggi, della voce e della scrittura, l'una incomunicabile, se non per beffa o ironia, l'altra accoratamente rivolta all'apologetica della bestia martirizzata. Tutto ciò avrebbe dovuto indurre Porfirio a cancellare un giorno, definitivamente, il nastro: quel riso si sarebbe anch'esso spento quando Firmus Castricius, meditata la lezioncina, avrebbe, nelle sue proprietà di Minturno, rifiutato le carnee offerte dello schiavo-cuoco. Ma per dimenticanza, non fu così. O piuttosto, Porfirio che si apprestava ad assumere il ruolo di capo della scuola di Plotino, considerò di aver lasciato il più dionisiaco, e il più logico, dei suoi messaggi. Forse troppo confondibile con il nitrito del cavallo e con il belato della capra, ma non per questo meno umano, più che umano.» Giorgio Agamben Idea della prosa Milano, Feltrinelli, 1985 pp. 110, lire 10.000 rapporto fra pensiero e azione. L'interessamento di Lady Welby per la problematica del significato verbale nasce dalla constatazione di una generalizzata inadeguatezza espressiva che si palesa nell'uso di immagini linguistiche antiquate e inesatte, in una certa confusione terminologica, nella mancanza di una coscienza critica del linguaggio. Insufficienze di questo genere sono alla base, secondo Lady Welby, dei malintesi e delle confusioni concettuali, quando invece a costituire il valore più alto dell'uomo, distinguendolo dal mondo animale, è proprio la capacità di articolare significati linguistici e di discriminare fra i significati plurivoci del segno. La necessità della chiarezza espressiva e della precisazione terminologica per affrontare argomenti di interesse universale, come per esempio la problematica del libero arbitrio, è rilevata anche da Searle il quale inizia Minds, Brains and Science mettendo in questione le concezioni tradizionali espresse dal titolo stesso del libro: mente, cervello e scienza. Un altro punto di collegamento fra Lady Welby e Searle sta nel fatto che entrambi sottolineano l'importanza di studi sul linguaggio ordinario, ritenuto da entrambi degno e necessario oggetto di studio di per sé. Ma ciò che mi pare ancora più interessante è che entrambi ritengono utile cercare anche la verifica delle più complesse e attuali teorie scientifiche sul terreno della ;':!; logica del senso comune. Infatti se- _ 5 condo Lady Welby è giusto valoriz- &° zare «l'istinto filosofico dell'uomo ~ della strada», come Searle da parte ~ sua non esita a richiamare l'atten- ...... -9 zione al potere critico della psico- c::s ~ logia del senso comune. Ma, cosa ~ più rilevante, è che entrambi questi bo· autori portano la problematica del ~ significato al di là dei limiti della li::! semantica tradizionale. ~ -e ~ - ·C::S

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==