Alfabeta - anno VIII - n. 80 - gennaio 1986

Mensile di informazione culturale Gennaio 1986 Numero 80 / Anno 8 Lire 5.000 80 Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70• Printed in ltaly SuHabermas(Maldonado) DuranteunprocessaolleBR(Santosuosso • Teoriadellecatastrof(iCalabreseV,accaro RovaHi/Maubon/Sciacchitano/Spoldi/CapaH Bartolucci/Martini _,,,ft::f3:::~·}~Z0t":y;, 2:,·,';, Indiceperautori Rullato -~~/ ~ ·'..:· ;_~_-;.:-_f .. ·.·.~.-•~.~;.:~< 1985 ~' - . .t:?;ff~'; , ,:;?.:t:('_ ,:7r:-,.,✓ - /tJf'• ... ; . .,.~"J ... ~ ' .. , tr • -··• ·:~ : .:, ____ • ~. ... •,'!",, :. ~- ' :--· :.:::-~~:~· ·: . • _,_._ ---~-~- ... ··; . -· . . -;;.~~-----' il!~~~~~ Il mostro marino Suplemento.Centridel dibattito- I 1HàdelMessico/DCeampos • Palermo/BufalinoM, adrid/Baudrillard • Viareggio,D'Annunzio A -~,_-~-~:

ADELPHI Douglas R. Hofstadter Daniel C. Dennett L'IO DELLA MENTE « Biblioteca Scientifica», pp. 496, L. 38.000 EdgarWindMISTERI PAGANI NEL RINASCIMENTO Nuova edizione riveduta «Il ramo d'oro», pp. 482, 102111., L. 60.000 Henri-Charles Puech SULLE TRACCE DELLA GNOSI «Il ramo d'oro», pp. 614, L. 65.000 Jurgis Baltrusaitis L.ARICERCA DI ISIDE « Fuori collana», pp. 256, 139 ili. e 12 tavv. a colori, L. 80.000 Etty Hillesum DIARIO 1941-1943 « La collana dei casi», pp. 260, L.18.000 Paul Valéry QUADERNI VOLUME PRIMO A cura di Judith Robinson-Valéry « Biblioteca Adelphi », pp. 552, L. 38.000 Elias Canetti IL GIOCO DEGLI OCCHI « Biblioteca Adelphi », pp. 384, L. 25.000 Ne~ami LEYLA E MAJN0N A cura di Giovanna Calasso « Biblioteca Adelphi », pp. 206, 4 tavv. a colori, L. 20.000 Georges Simenon LE FINESTRE DI FRONTE Seconda edizione « Biblioteca Adelphl », pp. 176, L.15.000 Czestaw Mi.fosz LA MIA EUROPA cc Biblioteca Adelphl », pp. 356, L. 25.000 James Stephens I SEMIDEI cc Biblioteca Adefphl », pp. 216, L.16.000 Giorgio Manganelli LA LETTERATURA COME MENZOGNA « Saggi », pp. 224, L. 18.000 Paolo Zellini LA RIBELLIONE DEL NUMERO cc Saggi», pp. 274, L. 22.000 ADE-LPHI le immagindi iquestonumero Pubblichiamo in questo numero le Trentuna fantasie bizzarre e cru- · deli edite da Alberto Martini (Oderzo 1876 - Milano 1954) con i tipi della «Bottega di poesia, Milano - Via del Monte Napoleone n. 14, MCMXXIV». Vale la pena di leggerele poche righe di un «frammento autobiografico» che Martini utilizzò come prefazione: «Per imparare il disegno a penna, struA~• ,,,,.-:. ,-~- {/,. I •. Il fumatore Sommario Tomas Maldonado ModernÌtà, non modernizzazione (Der philosophische Diskurs der Moderne, di Jurgen Habermas) pagine 3-4 Amedeo Santosuosso Durante un processo alle BR Lo stato della difesa/1 pagina 5 Pier Aldo Rovatti Modi di pensare 3 Dal classico all'antico pagina 6 Catherine Maubon L'invenzione di Leiris (Langage tangage ou ce que le mots me disent, di Miche/ Leiris) pagina 7 • Giuseppina Restivo I pugni di Delacroix (La semiosfera, di ]uri Lotman; L'angoscia dell'influenza, di Haro/d Bloom; La magia dei saggi, di Stefano Zecchi) pagine 7-8 Prove d'artista Aldo Spoldi pagina 9 Cesare Ruffato N arcobambina pagine 10-11 • Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b) tutti gli articoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: auAlberto Martini mento difficile e acuto come il violino, è necessario lavorare di giorno e di notte per molti anni (18941912), passare notti intere al lavoro, arrischiando la vista (1910) per poter rendere sensibili l'immaginazione e la fantasia di uno stile originale, per fermare la vibrazione luminosa e l'espressione plastica più intensa. (. .. ) Ogni essere ed ogni cosa mostrano le stimmate della lotta per la vita. Il vero disegnatore è un trageda». Il tema dello sguardo e della sua acutezza dolorosa è il momento forte della poetica di Alberto Martini, quando esce dalla genericità dell'enunciato, che può valere per tutti i disegnatori e pittori dell'universo mondo, per collegarsi alla tecnica del «disegno a penna», strumento che sembra proprio, nelle sue mani, un prolungamento dell'occhio, quasi che l'occhio diventi, in lui, la penna disegnante. Tal quale è l'acutezza del tratto e la sua crudeltà, aggiungo, che si manifesta chia- ;, ramente anche in questa serie _:·.: - di «fantasie»; le quali oscilla-::~:?: no tra il grottesco, di matrice .. t.,J;; tedesca, e l'espressionismo <{}t,.::r, alla No/de in una fase di J;{;{/~ trasformazione pre- /:/!~;J, I . "~•,'f.· surrea ista. f.i•VfCfr. pagine 12-14 1985. Indice per autori pagine 15-18 Omar Calabrese Catastrofi: seconda fase ·W- •:q ;.t. ;11J,u,,~1. .:,1('.'!•t ~\'-':j .\1:'. ,.- .... (Modelli matematici della morfogenesi, di René Thom; Les catastrophes de la parole e Morphogenèse du sens, di Jean Petitot; Catastrofi, in Lectures n. 5, 1985) pagina 19 Salvo Vaccaro Estensioni di un modello pagina 20 Antonello Sciacchitano Quale analisi? Quale reale? (Passione e ideologia, di Pier Paolo Pasolini; L'autunno della coscienza, di Aldo Carotenuto; «Tecnica senza teoria». di Gian Paolo Lai, in Riza Psicosomatica n. 55, 1985; Intervista a Cesare Musatti in Mondoperaio n. 10, 1985) pagina 21 Vilma Costantini La Grande Muraglia pagina 22 .. Susan Petrilli Mente e significatq (Minds, Brains and Science, di fohn R. Searle; What is Meaning? Studies in the Deve/opment of Significance e Significs and Language: the articulate Form of our expressive and interpretative Resources, di Victoria Lady Welby) pagina 23 tore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla cjirezione per. scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma larivista si compone prevalentemente di Alberto Martini è stato sempre considerato un precursore del surrealismo e in certi momenti lo è stato davvero (basti osservare il Mostro marino, qui in copertina) con affinità notevoli con /1 opera di Savinio. Quando si è accorto di essere un surrealista la sua opera ha iniziato la parabola discendente. Per rendersene conto basta percorrere la bella mostra allestitaalla Permanente di Mi/ano (apertafino al gennaio 1986), a cura di Marco Lorandi. Più che la forza liberatrice della tragedia, come invece credeva, Alberto Martini scatenava una sorta di dèmone della deformazione dove c'è più ironia tardo-romantica che sentimento di un dramma. Ne sono un esempio i boxeurs. Resiste, al di sotto delle ascendenze e dei debiti verso la cultura del nord europeo, una decisione di graffiare, di stupire graffiando, che lo rende decisamente moderno (e che giustifica la sua presentazione su AlfabetaJ. Quanto agli enigmi e alle raffigurazioni del «destino» che lo ossessionavano in maniera generica e superficiale, è chiaro che sono il suo punto debole, il suo tallone di Achille. Alberto Martini non era un demonio, era un dandy: per fortuna nostra in lui prevale la tecnica eccezionale, una tecnica talmente elevata che lo ha trascinato lontano dalle premesse fragili della sua ideologia. Quando vi si attiene (e le illustra, come ne Il disegnatore) diventa impreciso e confuso; quando segue il sentiero autonomo della penna tagliente trova sol..·.:,;,:.:.',--:· . luzioni ancora attuali (come ne ,.••····''-i·"• ;!>..:.,_,:,.-.-._._,_,.I-,' adultera). "'·-~::~:-"·,.. :,: • ...... ,. • • . Alberto Capatti Idea ilare pagina 24 Mauro Ferraresi Nominare (Della intenzione e «Nomi propri», di fohn R. Sear/e; Mezzanotte di fuoco, di Stuart Kaminsky) pagine 25-26 Umberto Curi L'anno del dragone pagina 27 Giuseppe Bartolucci Lento, lento-veloce, veloce-lento pagina 28 Poesia dal palco Massimo Mori L'anello mancante Francesco Leonetti Chi legge non è l'autore, ma un omonimo pagina 29 Indice della comunicazione La grande deflazione pagine 30-31 Supplemento. Centri del dibattito 1 Madrid. Palermo. Viareggio. Città del Messico Le immagini Alberto Martini Trentuna fantasie bizzarre e crudeli collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei terni dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo A.P. Febbre puerperale alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Ornar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Forrnenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Floriana Lipparini Grafici: Raul Lecce, Roberta Merlo Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giuseppe Terrone Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GD B fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 40.000 estero Lire 55.000 (posta ordinaria) Lire 70.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 6.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

Su Habermas/2 non Modernità, moderni azione Jiirgen Habermas Der philosophische DiskursderModerne Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1985 S i può affermare che il tema della modernità percorre, in modo più o meno implicito, tutta l'opera di Jiirgen Haberinas, senza escludere quei testi scritti nel fragore degli anni della contestazione studentesca, anni per Habermas - va detto per inciso - di amara, lacerante sofferenza culturale e politica. E ciò si spiega con il fatto che la questione della modernità appare in Habermas sempre legata a un'altra, anch'essa ricorrente nel suo pensiero, la questione relativa alla possibilità (o meno) di riproporre oggi alcuni elementi fra i più caratterizzanti dell'eredità illuministica. La posizione di Habermas al riguardo è ormai nota. Egli contesta, e ultimamente con sempre maggior insistenza, la validità della famosa diagnosi critica di Horkheimer e Adorno, che intravedeva nell'illuminismo una tendenza irreversibile alla autodistruzione (Selbstzerstorung). Per Habermas, tale tendenza, seppur verificabile nella realtà, è tutt'altro che irreversibile. Lo stesso vale per il ruolo della ragione (Vernunft). Non è vero, infatti, che la ragione sia fatalmente destinata, come si legge nella introduzione alla Dialettica dell'illuminismo, all'autoannientamento (Selbstvernichtung). Al contrario, Habermas prospetta una nuova idea di ragione, una ragione che si definisce non in astratto, ma sul piano concreto, operativo, dell'agire pubblico comunicativo. Ragione che viene giudicata in base alla sua affidabilità performativa, alla sua capacità di generare consenso e reciproca fiducia tra uomini socialmente emancipati. Insomma, una ragione in tal modo configurata che, da una parte, sia atta a ribadire un progetto di modernità fortemente ancorato, secondo Habermas, alla tradizione illuministica della «razionalità occidentale», dall'altra a superare le attuali patologie riscontrabili dovunque nella modernità stessa. Questa è, semplificata al massimo e con tutti i rischi che ogni semplificazione comporta, la sostanza del suo pensiero. Il programma di ricerca di Habermas, va detto subito, è ambizioso e non privo di difficoltà di inserimento nell'odierno contesto del dibattito socio-filosofico. Infatti il suo metodo è, per certi versi, decisamente provocatorio, soprattutto quando rivisita criticamente la storia delle idee, dal '700 in poi, cercando di individuare le cause e, come vedremo, anche i responsabili dell'attuale diffuso atteggiamento diffamatorio nei confronti dell'illuminismo e della ragione. Nella sua impostazione teorica, Habermas fa la scelta di assumersi il ruolo, piutc::s tosto scomodo con i tempi che cor- .5 ~ rono, di un «pensatore fuori mot:l.. da», ossia un pensatore che non ac- 'O ~ cetta le categorie interpretative og- -. gi dominanti nell'universo del di- -~ scorso filosofico. Non cede alla t: t: ~ bo ~ tentazione, peraltro facile, di annunciare la «fine della modernità». Neppure la «fine (o la crisi) della ragione». Sarebbe però fuorviante ~ (e prova di perfetta malafede) at- -c tribuire a Habermas un atteggia- ~ ~ mento di caparbia, ottusa difesa della ragione di stampo illuministico o neoilluministico. Habermas ribadisce la legittimità, anzi la necessità, di fare della ragione un oggetto di sospetto critico, e in questo - forse solo in questo - rimane fedele alla tradizione francofortese. Ma egli accetta soltanto un sospetto limitato, un sospetto che si ferma di fronte a quella soglia al di là della quale, a suo parere, il pensiero si congeda dal pensiero, da ogni forma di pensiero che meriti di ritenersi tale. Questo sospetto limitato, da un lato, fissa confini precisi alla critica della ragione, dall'altro, alla ragione stessa. La ragione di Habermas ha qualcosa in comune con la «razionalità limitata» di Herbert Simon, una razionalità che ha imparato a dosare le proprie pretese. Malgrado tutte queste sfumature, una cosa è certa: il suo è un tentativo che si colloca, diciamo, controcorrente rispetto a coloro che, come i fautori del decostruzionismo o del genealogismo d'impronta . nietzschiano-heideggeriana, continuano a fare del sospetto generalizzato il metodo della loro impresa intellettuale. In altre parole, controcorrente rispetto a coloro che, da ottiche certamente assai diverse, convengono tutti nello scartare, in quanto irrecuperabile, l'autonomia del soggetto raziocinante nella storia, e addirittura del soggetto tout court. La prima volta che Habermas fa riferimento esplicito al tema della modernità è, se non erro, nel 1963, in un.asorta di recensione (o postilla critica) a un libro di R. Dahrendorf, apparsa nel settimanale Der Spiegel (inclusa ora nell'appendice Tomas Maldonado della raccolta di saggi-portrait Philosophisch-politische Profile, F. a. M. 1981, pp. 453-457). In questo breve testo si parla del «moderno differito» ( verzogerte Moderne), concetto che risulta sottilmente connesso alla sua più recente idea del «moderno come progetto incompiuto» (Modern als unvollendetes Projekt), idea sviluppata nell'ormai famoso discorso pronunciato da Habermas a Francoforte, in occasione dell' «Adorno-Preis» conferitogli nel 1980. (Il testo della conferenza è stato pubblicato in Die Zeit n. 39, 19 settembre 1980, pp. ·47-48 e parzialmente tradotto in italiano in Alfabeta, n. 22, marzo 1981, pp. 15-17.La versione definitiva in tedesco si trova in Kleine Politische Schriften, voi. I-IV, F. a. M. 1981, pp. 444-464). Il tema assume un ruolo fondamentale nell'impianto concettuale della sua Theorie des kommunikaTiven Handelns - Zur Kritik der funktionalistischen Vernunft, F. a. M. 1981, soprattutto nei capitoli sulla problematica della razionalità (pp. 12-203, voi. I), sulla razionalizzazione (e modernizzazione) in Max Weber (pp. 205-316, voi. I) e sulla «teoria del moderno» in Talcott Parsons (pp. 295-444,voi. II) e in Max Weber (pp. 445-593, voi. II). Nel 1982, Habermas ritorna in modo ancora più esplicito sull'argomento, ma questa volta centrando la sua attenzione sulla questione sollevata dal dibattito architettonico più recente («Moderne und postmoderne Architektur», in Die neue Unubersichtlichkeit, F. a. M. 1985, originariamente pubblicato in forma ridotta in Der Architekt n. 2, febbraio 1982, pp. 55-58). Un testo di sorprendente fertilità interpretativa sui problemi dell'architettura contemporanea, che dimostra, mi pare, come un filosofo può sempre portare elementi di novità in un campo che non è professionalmente il suo. Ma in questo Habermas segue una nobile tradizione dei vetero-francofortesi: va ricordato, ad esempio, lo stimolante testo di Adorno, che ravvisava, con largo anticipo, il problema oggi attuale di una valutazione critica del funzionalismo in architettura e nel disegno degli oggetti d'uso. (Funktionalismus heute in Ohne Leitbild, F. a. M. 1967, pp. 104127)- Alla teoria dell'«agire comunicativo» sono state fatte alcune critiche. La principale, ci sembra, è quella che accusa Habermas di avere abbandonato l'approccio filosofico nell'analisi delle questioni attinenti al binomio modernità-razionalità per sostituirlo con un altro che si richiama soprattutto (e quasi esclusivamente) all'apparato concettuale, e anche terminologico, della linguistica, della semiotica, della ermeneutica e della sistemistica. Con il suo primo libro dedicato alla modernità, Der philosophische Diskurs der Moderne, F. a. M. 1985,Habermas tenta ora di modificare questa impressione ritornando, e pienamente, all'analisi delle implicazioni filosofiche della tematica. Si tratta di una rac- •colta di lezioni, tenute al Collège de France a Parigi nel marzo 1983e a Francoforte nel semestre estivo del 1983e in quello invernale 198384, e di altri testi aggiuntivi tra i quali le lezioni e i seminari tenuti alla Cornei! University, lthaca (N.Y.), e al Boston College nel 1984. A mio avviso, i due capitoli più stimolanti del libro sono il primo, che ha un carattere introduttivo, e l'ultimo, che esamina il contenuto normativo della modernità. Importante è anche l'excursus finale su Luhman, dove vengono ripresi e approfonditi alcuni aspetti già emersi nelle ormai note controversie avute con Luhman nel passato. Nel primo capitolo, Habermas riesce a fornire una sintesi chiara deJla sua complessa e articolata teoria della modernità. Troviamo particolarmente feconda l'analisi che egli fa del rapporto modernitàmodernizzazione. Il tentativo neoconservatore, spiega Habermas, consiste oggi nel favorire ovunque la modernizzazione, ossia la secolarizzazione, la accumulazione di capitale e la mobilizzazione globale delle risorse. Ma allo stesso tempo cerca, con tutti i mezzi, di sbarazzarsi di quell'ospite scomodo che è la modernità, i cui contenuti di razionalità critica sono, nell'ottica neoconservatrice, soltanto un fattore di perturbazione. Peraltro, sempre in questa ottica, la modernità avrebbe ormai dato tutto quello che doveva dare. È l'aberrante tesi di Gehlen, per il quale la storia delle idee deve considerarsi definitivamente chiusa. In tal modo, il cosiddetto post-moderno si identifica con la post-histoire, espressione coniata dal matematico francese Cournot nel XIX secolo, e che Gehlen assume come propria con entusiasmo. Ma per i neoconservatori la post-histoire vale soltanto per la storia delle idee, non per la storia economica, che continua a far perno proprio sulla convinzione del «fatalismo del progresso», come lo ha chiamato K. Lowit. (Sull'argomento vedasi A. Gehlen, «Die Sakularisierung des Fortschritts», in Gesamtausgabe - Einblicke, voi. VII, Klostermann, F. a. M. 1978, p. 410). lf ultimo capitolo e il corrispondente excursus sono, a mio giudizio, meno trasparenti e di più difficile lettura per chi non è un filosofo di professione. Ma se non ci si arrende alle prime sconfitte e si torna al testo con tenacia, senza farsi scoraggiare, i risultati alla fine sono confortanti. Infatti, la comunità linguistica tedesca, come è noto, è forse l'unica in cui, con inspiegabile frequenza, l'oscurità del linguaggio è capace di generare innovazione nel discorso filosofico. La natura assai criptica di questo capitolo non scaturisce tanto dal suo altissimo grado di codificazione, ma piuttosto dal fatto che Habermas sovrappone permanentemente terminologie proprie dei più svariati universi di discorso, e che solo nel contesto di tali universi hanno un senso. Così, il lettore si vede obbligato a ogni paragrafo, e talvolta a ogni riga, a cambiare la chiave di decodificazione, il che, va detto francamente, rende il testo simile a un rompicapo, accattivante ma pur sempre un rompicapo. Alla base dell'agire comunicativo, come è inteso da Habermas, si trova la questione della possibilità (o meglio della probabilità) di una generalizzazione consensuale, os-

sia democratica di valori e norme nel «mondo della vita». È una questione che Habermas si pone reiteratamente, ma che anche reiteratamente, senza dirci perché, rimanda a futuri approfondimenti. Vi è qualcosa, credo, che non convince nella teoria della normatività habermasiana. Lasciando da parte il sofisticato apparato terminologico di cui fa uso per esporre la sua teoria, in fin dei conti i casi sono soltanto due: o l'agire comunicativo ingenera consenso tramite una interpretazione contrattata, negoziata di valori o norme già esistenti, oppure il consenso nasce dalla partecipazione degli agenti sociali al processo che elabora e sancisce nuovi valori e norme in cui gli stessi agenti sociali devono poi riconoscersi. Ciò nonostante, ambedue i modi di produrre consenso presuppongono un agire comunicativo che si esplica attraverso l'analisi del linguaggio, tanto per contrattare, negoziare il senso da dare ai vecchi valori e norme quanto per creare i nuovi. In entrambi i casi, dunque, si tratta di una impresa che consiste, per dirlo banalmente, nel mettersi d'accordo sulle cose tramite un accordo sulle parole. Quando affronta il tema del linguaggio, Habermas ricorre alla semiotica di ispirazione behavioristaneopositivistica di Morris con la sua nota classificazione del mondo segnico, ripresa poi da Carnap, in tre campi d'indagine: semantica (rapporto segno-referente), sintassi (rapporto segno-segno) e pragmatica (rapporto segno-interprete). E ha in parte ragione Habermas quando in Theorie des kommunikativen Handelns richiama l'attenzione sul fatto che gli studiosi della «analisi logica del linguaggio» e i linguisti in genere si sono occupati troppo della semantica e della sintassi e poco della pragmatica; per dirla con Chomsky, troppo della competence e poco della performance. Diciamo in parte perché è evidente, e Habermas non lo ignora, che i rappresentanti della filosofia analitica in Gran Bretagna (si pensi ad Austin e Ryle) e tutti quelli che, negli Stati Uniti, hanno seguito la scia del pragmatismo o del funzionalismo, si sono confrontati filosoficamente (e anche sociologicamente) con la dimensione pragmatica dei processi comunicativi.Nel campo della ricerca logica del rapporto linguaggio-informazione, è stato importante il contributo di Bar-Hillel che ha cercato la convergenza possibile (e necessaria) tra una «pragmatics free-information» e una «information in the full-blooded pragmatica/ sense». Varino ricordati anche gli studi di Vanderveken, Readel e Searle, finalizzati alla costruzione di una logica del linguaggio - la illocutionary logie - che vuole operare appunto nella dimensione pragmatica degli «atti linguistici» (speech acts, Sprechakts). Non si devono dimenticare neppure gli esponenti del nocriticismo (Richards) o i teorici dell'argomentazione (Perelman), che hanno arricchito un aspetto fondamentale della pragmatica: l'esame critico del ruolo che assumono, nel bene e nel male, gli strumenti persuasivi, diciamo retorici, nella creazione del consenso. In questi studiosi, il tema centrale è stato sempre la ricerca del modo in cui l'uso delle parole può favorire il consenso o invece suscitare dissenso. Per Habermas, la pragmatica si situa al centro della sua teoria dell'agire comunicativo. Non solo: egli avanza la proposta di una «pragmatica universale». La separazione chomskyana, sopra accennata, tra competence e performance verrebbe superata nella «pragmatica universale» di Habenrtas con l'introduzione dell'idea di «competenza comunicativa» (komunikative Kompetenz). Ma nelle pieghe più nascoste della «pragmatica universale» si cela la vecchia questione della «terapeutica del linguaggio». Tutto sommato, Habermas si promette una ottimizzazione dell'agire comunicativo tramite la purificazione (Bereinigung) degli atti linguistici. Un terreno minato dal quale finora nesssno di coloro che hanno osato penetrarvi è uscito indenne. E ciò per il semplice motivo che è difficile, se non impossibile, separare la pragmatica dalla semantica e dalla sintassi. I rischi che si corrono in un simile tentativo sono stati spesso rilevati dai logici più eminenti del secolo XX, ad esempio da Tarski e Quine. Ma forse il rischio più imbarazzante - da escludere certamente in un pensatore dalle qualità di Habermas - è quello della banalità o, ancora peggio, dell'illusione di aver trovato una medicina con effetti curativi per tutti i mali del nostro tempo e dei tempi a venire. A questo riguardo, va ricordata l'esperienza negativa della «Generai Semantics» negli Stati Uniti. Negli anni '50, nel corso del grande conflitto tra il generale Charles de Gaulle e il governo americano sulla Nato, Edmund S. Glenn, uno degli esponenti della «Generai Semantics» scriveva: «Non sarei sorpreso se alcune delle differenze di opinione che sono emerse in vari momenti sulla Nato tra gli Stati Uniti e la Francia fossero dovute alla grande rilevanza assunta dalle difficoltà semantiche» («Semantic Difficulties in lnternational Communication» ETC, XI, 3, primavera 1954, pp, 163-180). Tale impostazione potrebbe far pensare che tutti i conflitti tra paesi, classi, gruppi e indìvidui sono dovuti a malintesi sulle parole. È ovvio che non è così. Il dissenso tra gli uomini è anche nelle cose, non solo nelle parole. G li altri capitoli del libro appaiono ispirati al metodo classificatorio, di luckacsiana memoria, che distingue i grandi protagonisti della storia delle idee in buoni e cattivi. Bisogna ammettere che tale metodo, per dirlo con un eufemismo, ha dato finora esiti poco convincenti. La verità però è che risulta difficile immaginare una riflessione teorica su un determinato argomento che possa prescindere da giudizi favorevoli o contrari a coloro che si sono occupati dello stesso argomento prima di noi. Malgrado le promesse in senso opposto, la sincronia strutturalistica non ha cambiato i termini della questione. Walter Benjamin afferma che «il libro non deve presentare (aufweisen) il suo autore, ma la sua dinastia». Infatti, ogni autore, consapevolmente o meno, ha una propria dinastia, che talvolta è più rivelatrice dell'autore che il mettere in mostra l'autore stesso. Nei confronti della propria dinastia, Habermas, come tutti gli autori, ha una linea di parentela nella quale in qualche modo si riconosce e un' altra nella quale non si riconosce affatto, una linea che si celebra e un'altra che si sconfessa. Nella prima egli colloca Kant, il giovane Hegel, gli «Junghegelianer» di sinistra, i primi romantici, il giovane Marx, Husserl, G. H. Mead, Ch. Morris, Schiitz, Talcott Parsons, Gramsci, Sartre, Castoriadis, Austin e Ape!; nella seconda, Nietzsche, Heidegger, Bataille, Foucault, Derrida, Gehlen e Schmitt. Ma queste due linee di parentela che, volente o nolente, appartengono entrambe alla sua dinastia, trovano un punto d'incontro in Horkheimer e Adorno. Nei loro riguardi l'~tteggiamento di Habermas è spesso contraddittorio, e qui la spiegazione va ricercata nel rapporto complesso, per certi versi ambiguo, che egli ha avuto sempre con la «teoria critica», dalla quale frequentemente ha preso le distanze ma senza arrivare mai a una rottura insanabile. Non meno facile da precisare è il luogo che occupano Gadamer e Luhman nella suddetta dinastia. Habermas ha spesso clamorosamente dissentito e polemizzato con loro, ma è indubbio che questi studiosi hanno avuto sul suo pensiero un'influenza tutt'altro che irrilevante. D'altro canto, alcune delle personalità che Habermas giudica responsabili di aver contribuito ad acutizzare le patologie congenite della modernità non sono, a nostro parere, ben scelte. Nietzsche, ad esempio, viene descritto come il primo filosofo che tenta di svuotare di soggettività razionale il discorso del moderno. In questo, secondo Habermas, Nietzsche si situa agli antipodi di Hegel, aprendo così la strada all'altra anima della modernità, quella che si manifesta come «ribellione contro tutto ciò che è normativo» (Rebellion gegen alles Normative): anima che troverà la sua espressione più tangibile nelle avanguardie artistiche del '900. Non vogliamo suggerire che questa lettura di Nietzsche, che tutto sommato è quella di Heidegger e Deleuze, sia sbagliata. Ma, come è noto, questa non è l'unica lettura veritiera di Nietzsche. Questa pluralità di letture, tutte ugualmente veritiere, hanno fatto di Nietzsche, come egli stesso aveva intravisto, il «primo filosofo tragico» (C.A. Scheier, Nietzsches Labyrinth, Alber, Freiburg 1985). Non ci sembra neppure troppo convincente la scelta di Bataille che, a parte le sue indiscutibili qualità letterarie, dal punto di vista filosofico non è altro che un Nietzsche tenebroso, cultore di un vitalismo dionisiaco rovesciato. Bataille, nella prefazione a Madame Edwarda, ha scritto: «Il dolore e la morte sono degni di rispetto, mentre il piacere è irrisorio, additato al disprezzo» ( Oeuvres complétes, voi. III, Gallimard 1971, p. 9). Sul dolore e la morte, Nietzsche avrebbe potuto, seppure con riserva, essere d'accordo con Bataille; sul piacere, difficilmente. Tuttavia, l'interesse di Habermas per Bataille non è arbitrario. Dietro l'interesse per Bataille c'è quello per Foucault. Infatti, Habermas attribuisce al pensiero di Bataille un ruolo determinante nel processo costitutivo del «système Foucault». A questo proposito, va ricordato che Foucault riconosce in Bataille il suo maestro. È certamente a partire da Bataille (e anche da Lévi-Strauss) che Foucault sviluppa il suo discorso sulla «sparizione del soggetto» e la sua critica a quella ragione che, dall'illuminismo in poi, fa perno sulla autonomia del soggetto. «Il motivo della critica della ragione di Nietzsche - dice Habermas - non è arrivato a Foucault da Heidegger, ma da Bataille». N el suo testo, Habermas non risparmia osservazioni duramente critiche nei confronti di FO-ucault.Ma il Foucault che egli ha in mente è quello di L'Histoire de la Folie, di Naissance de la Clinique e di Surveiller et Punir, di cui fornisce, va detto, una versione, se pur corretta, assai condizionata dagli stereotipi interpretativi che, in questi ultimi anni, si sono andati formando intorno al «système Foucault». È una versione piuttosto riduttiva, nella quale il pensiero di Foucault, di solito ricco di articolazioni, viene ridotto ali' essenziale. Il «système Foucault» si presenta come un sistema di sorveglianza totale, un panopticon universale in cui lo sguardo monoculare ma onnipresente del potere (e del sapere) riesce a controllare tutti i soggetti, rendendoli dunque oggetti, de-soggettivizzando in questo modo tutto il tessuto sociale. Un mondo dunque chiuso, senza smagliature, senza nessuna possibilità per il soggetto raziocinante di agire autonomamente. Un mondo, insomma, in cui tutto il sapere è potere. Negli ultimi anni della sua vita, Foucault ha contestato ripetutamente questa versione. Peraltro, Habermas ammette, in una nota aggiuntiva a piè di pagina (p. 285), di non aver potuto tener conto dei volumi II e III della Histoire de la Sexualité, ossia de L'usage des plaisirs (II) e Le souci de soi (III). E il fatto è importante. In questi due volumi si constata un mutamento nel «système Foucault». È evidente che in queste due opere Foucault finisce, nei fatti, per riconoscere una relativa autonomia al soggetto, egli re-soggettivizza il suo discorso. Certamente, rimane in lui sempre ferma la convinzione che in quanto soggetti siamo sempre oggetti di governo, ma ora Foucault ammette - questa è la novità - che esiste anche uno spazio relativamente autonomo m cm possiamo esercitare la nostra soggettività, cioè la nostra libertà. È il mondo, appunto, dell' «uso dei piaceri» e della «cura di sé». Ma non è tutto. Mutamenti del pensiero di Foucault si riscontrano anche nelle tematiche attinenti alla modernità, che, ci sembra, Habermas curiosamente ignora. Alludiamo soprattutto alle lezioni di Foucault tenute al «Collège de France», forse nello stesso periodo in cui Habermas teneva le sue, sul testo di Kant Was ist Aufkliirung? (Magazine Littéraire, n. 207, maggio 1984, pp. 3439). Il passo pubblicato delle sue lezioni consiste in una analisi del rapporto illuminismo-ragione-modernità in Kant in cui Foucault cerca, attraverso Kant, di definire la filosofia come discorso della modernità e sulla modernità. M alto efficace è l'analisi che Habermas fa dell'«anti-fonocentrismo» e del «decostruzionismo» di Derrida. Il metodo utilizzato è quello di confrontare il pensiero di Derrida con quello di Husserl, Heidegger e Adorno (cap. III e corrispondente excursus). Benché un simile approccio non sia particolarmente originale, i risultati sono assai persuasivi. È il metodo infatti che consente ad Habermas di svelare la natura e il funzionamento del congegno teorico di Derrida, ma che allo stesso tempo gli offre l'opportunità di affinare, o meglio precisare le sue valutazioni nei confronti di Husserl, Heidegger e Adorno. Non è possibile, in questa sede, accompagnare Habermas nei suoi molteplici spostamenti: da Derrida a Husserl, da Derrida a Heidegger, da Derrida a Adorno, con la difficoltà aggiuntiva che gli spostamenti sono di andata e ritorno, senza contare i casi in cui Habermas compie analisi incrociate fra Husserl e Heidegger, Adorno e Heidegger, e così via. Pur riconoscendo lo sforzo compiuto da Habermas nell'esaminare tutte le implicazioni e le sfasature del pensiero di Derrida, talvolta viene da chiedersi se un trattamento tanto prolisso e, di conseguenza, tanto esteso di alcune tematiche derridiane non sia eccessivo. E qui, ne siamo consapevoli, ci imbattiamo in una questione delicata di giudizio: abbiamo forti dubbi che l'importanza accordata, ad esempio, all' «anti-fonocentrismo» di Derrida sia giustificata in un libro sul «discorso filosofico del moderno». I proseliti di Derrida, di sicuro, saranno d'altra opinione. Dietro la critica al «fonocentrismo», ci diranno, vi .è la critica al «logocentrismo», vale a dire, la critica all'imperialismo del «Logos» nella cultura moderna. ~isogna ammettere che, in questa ottica, e solo in questa ottica, sarebbe difficile negare ali' «anti-fonocentrismo» attinenza con la tematica discussa in questo libro. Ma ciò che convince meno è il sovradimensionamento dell'apparato concettuale al quale Habermas ricorre per presentare prima e per intaccare poi i fondamenti del costrutto teorico di Derrida. Ciò appare evidente quando si pensi alla lunga e ricca digressione di Habermas sulla Bedeutungstheo~ie di Husserl, soltanto per dimostrare alla fine che esiste un rapporto dialettico tra la questione del significato in Husserl e in Derrida. A parte questi aspetti un po' sconcertanti del modo di trattare l'argomento, rimane merito indiscusso di Habermas l'aver fornito un'analisi (e un giudizio) rigorosa e oggettiva della cosiddetta «grammatologia» di Derrida. Habermas richiama l'attenzione in particolare sugli aspetti mistici o misticheggianti del tentativo di Derrida di ipostatizzare la scrittura (Schrift). Infatti, in Derrida la scrittura diventa una categoria assoluta, una categoria che si colloca al di là del discorso linguistico e filosofico, persino al di là della storia umana. A ben guardare, Habermas non fa altro che ribadire i dubbi, tante volte espressi dagli studiosi di semiotica, linguistica e storia della scrittura, sul valore scientifico della «grammatologia» di Derrida. Direttamente collegate al tema del libro, invece, appaiono le riflessioni sul decostruzionismo. A dire la verità, Habermas è tutt'altro che tenero con il decostruzionismo. Dopo una puntuale rivisitazione critico-descrittiva della teoria, Habermas si sofferma su un punto in cui il decostruzionismo di Derrida mostra tutta la sua vulnerabilità. Quando Derrida, argomenta Habermas, considera che le opere di filosofia non sono altro che opere di letteratura, quando la retorica viene considerata prioritaria nei confronti della logica, la critica della metafisica diventa critica letteraria. Il programma di decostruire la metafisica, intaccandone l'armatura, l'intelaiatura (Geriist), non raggiunge il suo scopo. Loscopo raggiunto è un altro: ciò che viene decostruito è soltanto la filosofia come genere letterario e, in conseguenza, soltanto la critica letteraria, non la filosofia in se stessa. Dopo tutte queste considerazioni, fatalmente frammentarie, alcune delle quali - non lo escludo - troppo riduttive o addirittura sbagliate, mi sembra opportuno chiudere questa recensione con una riflessione sul significato non soltanto di questo specifico libro, ma della complessiva impresa intellettuale di Habermas relativa alla modernità. Non credo che egli abbia fornito risposte convincenti, neppure in minima parte, agli interrogativi che egli stesso si è (e ci ha) posto. Ma una cosa gli va riconosciuta: Habermas si fa oggi interprete, con tutto il vigore del grande pensatore che egli è, di una esigenza molto diffusa tra i filosofi, e anche tra coloro che filosofi non sono. L'urgenza cioè, di ridefinire i termini in cui il progetto moderno - oggi appena abbozzato - possa essere attuato compiutamente. Il che, nei fatti, implica la rifondazione della razionalità su nuove basi. In fin dei conti, il programma- che è anche una sfida per tutti - consiste nel ristabilire la vecchia (e oggi tanto scherni- ..,,.. ta) volontà di «veder chiaro» in un c::s .s mondo altamente complesso come ~ il nostro. È così, e solo così, che ~ potremo evitare la caduta nella ~ heideggeriana «chiara notte del ...., nulla», che di chiaro non ha nulla. -~ i.: i.: Con questo scritto prosegue il di- ~ battito sul pensiero dell'ultimo Ha- ~ bermas, avviato nel n. 78 di Alfa- i.: beta, novembre 1985, con un arti- ~ ~ colo di Maurizio Ferraris. .e:, ~ - <::!

DuranteunP,i!iessoalleBR V i sono situazioni banali e routinarie in cui, all'improvviso, l'inserimento di qualcosa di non previsto o l'uscita di uno dei soggetti dal copione assegnatogli dal «buon senso» dominante svela, sia pure per un attimo, la trama ed il senso dell'intera situazione. L'una e l'altro, pur ampiamente noti a tutti, non erano avvertiti come tali. Qualcosa del genere è accaduto a Milano durante il processo di appello contro la «colonna Afasia» delle Brigate Rosse. Uno di quei processi celebrati attualmente con gran fretta, per evitare che scadano i termini della già lunga carcerazione preventiva, e uno di quei processi percepiti normalmente attraverso immagini come maxiprocesso (nel caso di cui ci occupiamo ventimila pagine di atti, milleottocento pagine di sola sentenza, più di cento imputati, numerose e gravi imputazioni), aula-bunker (luogo fisico separato, costruito appositamente di solito presso un carcere, sconosciuto ed inaccessibile ai più, cittadini ma anche magistrati, tranne i giudicanti), terrorismo (male oscuro che, come ogni forma di criminalità organizzata, va combattuto ad ogni costo, anche oltre le garanzie fondamentali) ecc. La scena è la corte d'assise d'appello di Milano. Il protagonista è l'ordine degli avvocati di Milano, nelle persone del suo presidente e degli altri avvocati nominati d'ufficio. L'occasione è la revoca dei difensori da parte di alcuni imputati che affermano: «Questi processi sono come dei laboratori di riciclaggio, insieme al carcere e ad alcuni ambiti esterni di ex guerriglieri,· di ex comunisti», la cui collaborazione viene usata «per dare chiavi di interpretazione di quello che sono stati gli anni Settanta, ma soprattutto quelle che saranno e sono le tensioni sociali di oggi... ». L'«azione» ha inizio quando la corte, ricorrendo ad un sistema non nuovo in casi del genere, nomina difensori d'ufficio gli stessi avvocati che prima erano di fiducia per gli stessi imputati. Gli avvocati si rifiutano perché «la revoca determina una insanabile rottura del precedente rapporto defensionale, che non consente la prosecuzione dello stesso sotto diverse configurazioni, d'ufficio invece che di fiducia ... ». Uno di essi viene denunciato al consiglio dell'ordine degli avvocati per i provvedimenti disciplinari del caso. La situazione raggiunge il massimo di confusione: si intrecciano interventi di avvocati, di imputati ecc. D'altra parte il deferimento al consiglio dell'ordine non rimuove il rifiuto di essere difensore d'ufficio. La corte ci ripensa: revoca la precedente decisione e nomina difensore d'ufficio, per tutti gli imputati che sono sforni ti di difensore, il presidente del consiglio del- /' ordine degli avvocati. A questo lr) punto è bene lasciare la parola ai c:::i protagonisti (secondo le trascri- .5 ~ zioni delle registrazioni). t::)., ~ «Udienza del 9 ottobre 1985 ..... -~ Presidente - Si dia atto a verbale ~ che, a seguito dell'ordinanza pro- ~ nunziata dalla corte in data di ieri, ~ è presente il presidente del consis:: glio dell'ordine degli avvocati di ~ Milano, avvocato Tiziano Barbet- l ta, il quale si dichiara disposto ad ~ assumere la difesa d'ufficio degli imputati che hanno revocato il mandato ai difensori, indicati nella predetta ordinanza, unitamente (ho detto disposto, dopo preciserà) ai consiglieri dell'ordine Matteo De Stasio, Claudio Poletti, Augusto Viscardi. Avv. Barbetta - Naturalmente ci riserviamo dì indicare altri avvocati, perché non abbiamo avuto il tempo, essendoci stata notificata l'ordinanza ieri alle 11 e mezza/12, e abbiamo bisogno di tempo per trovare altre persone che possano fare questo lavoro. P. - Oggi la corte, dato che sono diciotto imputati [che hanno revocato il difensore], deve provvedere ad assegnare la difesa d'ufficio a voi quattro presenti; se alla udienza successiva ci potranno <:'Sserveariazioni o integrazioni, si potrà provvedere [... ] Si dia atto a verbale che sono a disposizione dei predetti avvocati d'ufficio copia della sentenza di primo grado e dei motivi di appello, nonché tutti gli atti processuali. Hanno richieste da fare questi avvocati? • e forza che la celerità del processo non può mai conculcare i fonda- \I}entali diritti della difesa, anche s~ ci sono i piccoli conteggi sulle scadenze di qualche termine [... ] che la difesa in ogni stato e grado è . diritto inviolabile e che l'imputato, a differenza di quanto fa credere all'opinione pubblica qualche giornalista, l'imputato, lo dice la costituzione, non è considerato colpevole fino alla sentenza definitiva. Se anche ci fosse un imputato in questo processo che, a seguito della scadenza dei termini, dovesse avere la libertà, per l'avvocatura milanese questo fatto, va detto chiaramente, è irrilevante, perché noi ci dobbiamo preoccupare solamente di garantire i diritti della difesa; noi non siamo né collaboratori del giudice, né collaboratori della giustizia nel senso di apparato giudiziario. Il nostro dovere, in riferimento al giuramento che noi abbiamo prestato, è quello di adempiere i propri doveri professionali nell'interesse della giustizia; anche se la frase del giuramento era contenuta in una legge vecchia, la giustizia veniva indicata con la G maiuscola. Vorrei che coAvv. Barbetta -Volevo motivare loro i quali non sono addetti ai launa richiesta di termini a difesa. vari sappiano che per gli avvocati Noi richiediamo un congruo termi- la Giustizia è qualcosa di diverso ne di difesa, perché primo dovere dall'organizzazione giudiziaria, è del difensore è quello di capire, qualcosa di diverso da quello che cioè di studiare il processo. Mi di- possono far credere il potere legicono che l'incarto processuale è slativo, o il potere esecutivo, è un enorme, la sentenza composta da qualcosa di grande, è un'idea, un milleottocento pagine. Ci è stato ideale etico. .. detto che finora ci sono due copie; L'ordine degli avvocati che prespero che la corte provveda, per- siedo non può accettare che la difeché non possiamo anche metterci sa possa essere parte simbolica o nelle stesse case a fare questo lavo- marginale del processo penale. In ro. La natura di maxiprocesso ren- questo momento io ho ritenuto di de particolarmente difficile la veri- fare questa dichiarazione, anche fica del funzionamento dei mecca- perché il consiglio dell'ordine ha nismi processuali. La vergognosa dibattuto questa questione e me ne legge sui pentiti, contro la quale ha dato mandato. Ci sono altri contutta l'avvocatura italiana ha sem- siglieri, forse, che vogliono dire pre combattuto, crea un'ulteriore qualcosa, se lo ritengono. difficoltà nella valutazione delle prove raccolte. Un termine congruo. di difesa potrebbe essere quello di quattro mesi. Rendendomi conto della necessità di speditezi':adel procedimento, penso che non sia possibile accettare un termine inferiore a sessanta giorni. Va detto con la massima chiarezza Avv. Poletti - Noto che questi microfoni funzionano in modo diverso; quando parla il presidente si sente bene, quando parliamo noi si sente poco; se si potesse regolare, per quella parità necessaria ... Aggiungo pochissime parole a quelle nobili, dette dal nostro presidente. Voi sapete che l'Italia è stata reiteratamente condannata dalle corti europee anche per violazione dei diritti di difesa e che lo stato italiano è stato condannato anche al risarcimento dei danni, quando è previsto. L'avvocatura milanese per nessuna ragione può accettare compromessi sulla violazione dei principi dello stato di diritto. L'avvocatura milanese non difende né processa la storia. Noi non sappiamo (vi intrattengo solo un minuto, il tutto per sostenere la congruità del termine di alr· ::!nosessanta giorni per studiare co. .retamente gli atti) se questi imputati di oggi saranno o meno (i benpensanti si meraviglieranno), gli eroi di domani. Io ricordo a me stesso che l'unità del nostro paese è stata fatta anche con il terrorismo di Mazzini, oltre che con l'invasione illegale da parte degli armati di Garibaldi del regno dei Borboni. Questo cenno è soltanto per dire che l'avvocatura si pone soltanto problemi di valori di stato di diritto e nessun altro valore e rientra in questi principi una difesa sostanziale. Ora, io le chiedo, signor presidente, e chiedo a voi, signori della corte, come è possibile ipotizzare un termine che non sia ragionevole per esaminare le decine e decine di atti che voi sottoporrete alla nostra attenzione, come difensori. E allora concludo. Se, nell'ipotesi, questo termine ragionevole non ci venisse concesso, la classe forense milanese non potrebbe partecipare a questo processo. Questo con la massima chiarezza. Grazie. Avv. Viscardi- Dico il mio nome io stesso, dato che i nostri nomi in queste aule non sono conosciuti, in quanto siamo, per altro, degli avvocati civilisti. Debbo riprendere le parole del presidente e dell'avvocato Paletti, condividendole totalmente e devo fare presente una cosa, che questo termine, che noi chiediamo, è un termine che ci dà la possibilità materiale di leggere gli atti. Quando si parla di una sentenza di milleottocento pagine, dietro a questa sentenza ci saranno faldoni, fascicoli, che un difensore non intende minimamente sottovalutare solo perché una sentenza di primo grado, in un certo senso, li ha sintetizzati. Quando esiste un appello esiste la caduta di questa sentenza di primo grado, esiste una sfiducia da parte dei difensori nei confronti di questa sentenza di primo grado. E siccome io ritengo che sia materialmente impossibile che in un termine inferiore a quello chiesto dal nostro presidente si possa leggere questo carteggio, io ritengo nullo sin d'ora (non so se il microfono continua a funzionare) qualsiasi atto che venga fatto da questa corte, e quello che è nullo non produce nessun effetto, qualora non si metta la difesa nella condizione materiale oggettiva di leggere gli atti del processo. Se qualcuno crede che queste siano delle forme o dei tentativi di dilazione, non ha mai capito qual è la funzione di un difensore, che non soltanto non è collaborazione col giudice, o meglio, collaborazionismo col giudice, ma che si trova in posizione di antitesi con il pubblico ministero e che ritiene che il giudice sia super partes. Per cui, a questo punto, io penso che, se questo termine a difesa, per qualsiasi ragione, politica o di altro genere, non viene concesso, l'avvocatura milanese sarà assente da questo processo, costi quel che costi! Avv. Destasio - Prendo la parola per associarmi innanzitutto alle richieste formali fatte dal presidente e sostenute dagli altri due consiglieri che mi hanno preceduto. Tengo per parte mia a precisare che è la peculiarità di questo processo, come processi analoghi, che richiede una particolare partecipazione del difensore, anche se qui siamo in grado di appello, perché, come giustamente faceva rilevare il collega Viscardi, cade la sentenza di primo grado, ma non cade soltanto nella sostanza, cade nelle possibilità che sono offerte al difensore di giungere, attraverso una lettura attenta e approfondita di quegli atti; addirittura talvolta (e di ciò questa corte che mi ascolta e questo presidente che mi ascolta mi può essere buon testimone) può giungere a dei capovolgimenti di situazioni. Io non conosco, come tutti i miei colleghi qui presenti, che ci presentiamo oggi a compiere questo dovere, non conosco la situazione degli atti e quindi ho diritto di approfondire fino in fondo e, se necessario, ho diritto in questo periodo anche ad avere dei colloqui che mi chiariscano, se possibile (questo dipenderà dagli atteggiamenti che avranno le persone che io assisterò) e che mi consentano di metter a fuoco quegli aspetti, non soltanto di natura procedurale, ma anche di natura umana, che devono guidare la direzione di una difesa. Perché, come giustamente hanno detto i miei colleghi (non voglio ripetere), in questi tipi di processo già si riscontrano numerose violazioni in sede istruttoria e, purtroppo, quel che è più grave( ... ] è proprio in questa sede che alle volte si danno per letti gli atti, si danno per acquisiti elementi di prova che prove non sono, neppure sotto il profilo tecnico, e quindi sarebbero, costituirebbero quelle aporie che potrebbero indurre uria corte avveduta a un ripensamento globale delle singole situazioni, e di quelle in generale che sono coinvolte nell'ambito processuale.

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