carlo, risalgono le sue scoperte più rivoluzionarie, riguardanti la teoria speciale della relatività (1905) e la teoria generale della relatività (1917). Dal materiale raccolto risulta che i sette anni trascorsi a Bema, in un lavoro apparentemente monotono e ripetitivo, sono stati in effetti decisivi proprio dal punto di vista scientifico. Lo stesso Einstein, rievocando quel periodo, scrive che «il lavoro sulla formulazione soddisfacente dei brevetti tecnici fu per me una vera benedizione. Mi costrinse ad essere intellettualmente più duttile, offrendomi altresì stimoli fondamentali alla mia ricerca nel campo della fisica: seguire un'attività pratica è una benedizione per gente come me, soprattutto come antidoto alla necessità - imposta da ragioni accademiche - di pubblicare una grande quantità di articoli, talora con eccessiva superficialità». Dal punto di vista scientifico, l'intero lavoro svolto da Einstein può essere descritto come un tentativo di fornire risposte a tre interrogativi: a) in che modo la rappresentazione di un raggio di luce dipende dallo stato di moto del sistema di coordinate al quale esso si riferisce?; b) qual è la base dell'uguaglianza tra la massa inerziale e la massa gravitazionale dei corpi?; c) è 'possibile tenere insieme, dal punto di vista teorico, il campo gravitazionale e il campo elettromagnetico? Non a ·caso lo stesso Einstein ha più volte dichiarato che questi tre problemi hanno caratterizzato il lavoro della sua vita, mentre altre questioni hanno avuto per lui un'importanza pura°'ente marginale. Ebbene, mentre la risposta alle prime due domande si ritrova sostanzialmente nella formulazione della teoria della relatività, le ricerche intorno al terzo fra i quesiti che hanno costituito il «proper life's woìk» dello scienziato tedesco iniziano fra il 1916e il 1917e proseguono fino agli ultimi mesi della sua vita. Sembrava artificiale che le due forze fondamentali allora conosciute - la gravità e l'elettromagnetismo - dovessero e sere spiegate mediante due teorie distinte. Per un lungo periodo, la ricerca di una teoria unificata di tutte le forze fisiche non riscosse un particolare interesse fra gli studiosi, mentre in anni recenti essa è tornata di attualità, anche se in modi piuttosto diversi da quelli a cui Einstein aveva pensato. In ogni caso, pur non fornendo_risultati altrettanto spettacolari di quelli conseguiti con la teoria della relatività, proprio questo lavoro, che lo vide impegnato per quasi quarant'anni, rappresenta la migliore dimostrazione concreta del suo stile di indagine e del suo atteggiamento intellettuale generale: cercare assiduamente una risposta ad un problema che si consideri davvero importante, inl,'<::f'~~~ ],(tif: dipendentemente dalla possibilità dì raggiungere il successo in tempi brevi. Non meno significative, infine, sono le considerazioni che la pubblicazione dei Collected Papers può suggerire per quanto riguarda il contributo fornito da Einstein, direttamente o mediatamente, alla ricerca epistemologica contemporanea. Ancora alla fine degli anni Venti, nella celebre Logica della fisica moderna ( tr. it., Boringhieri, Torino 1965), Percy W. Bridgman sottolineava che l'importanza delle ricerche e delle scoperte compiute dal fisico tedesco andava individuata in una radicale riforma degli strumenti intellettuali, più ancora che negli sviluppi apportati ad uno specifico ambito disciplinare. Il superamento della visione newtoniana di un «universo della precisione», retto da leggi deterministiche, l'enfasi sul carattere operazionale dei concetti, non più definiti in termini di proprietà, ma come risultato di operazioni effettivamente compiute, la scoperta dell'insopprimibilità del soggetto nella descrizione della situazione fisica, la valorizzazione di tutte le diverse componenti dell'impresa scientifica, in contrasto con le opposte unilateralità del misticismo matematico e dello sperimentalismo empiristico, aprono una fase nuova, più duttile e aperta a successivi sviluppi, dell'indagine epistemologica. Più in particolare, la critica einsteniana alla nozione di simultaneità, come proprietà oggettiva di due eventi, conseguente alla concezione newtoniana del tempo assoluto, si inscrive in una più generale e diffusa trasformazione della concezione del tempo, alla quale contribuiscono, con ~pprocci e strumenti diversi, alcune fra le figure di maggior spicconella filosofia e nella cultura contemporanea .• La relatività del tempo, intesa come riconoscimento dell'irriducibile pluralità dei tempi e della loro intrinseca relazione con le molte.- plici dimensioni dell'esp'erienza umana, campeggia, infatti, non solo nelle ricerche della scienza contemporanea, da Einstein a Prigogine, ma si ritrova, con non minore densità teorica, in Bergson e Wittgenstein, in Proust e Musil, in Klee e Kandinsky, in Schonberg e Stockhàusen. Più che mai, dunque, e per ragioni •.diverse, si può dire che «il grande vecchio» è presente in quel complesso e multiforme processo di trasformazione che conduce oltre il moderno. Ricostruire, con il necessario rigore filologico, i modi e i contenuti specifici della sua ricerca - così come promettono tanto il «Progetto Einstein», quanto il convegno veneziano - potrà consentire di comprendere con maggiore chiarezza anche le principali direttrici della cultura contemporanea. UnNobelp: erchéa Modigliani? , Luca Paolazzi LI eco intessuta di lodi che ha suscitato l'assegnazione a Franco Modigliani del Nobel 1985 per l'economia si spiega molto facilmente con la sua notorietà (nel nostro paese, particolarmente, perché a più riprese chiamato a fare il check-up del/'azienda Italia) e con la sua popolarità (come ha dichiarato Paul Samuelson, Nobel 1970, «economists ali over the world are students, admirers and friends of Franco Modigliani». E questa popolarità gli viene data non solo dal suo raffinato bagaglio di conoscenze tecniche, ma anche dalla sua carica umana che lo rende mediatore nei dibattiti teorici. Questa unanimità di elogi significa forse che gli economisti hanno finalmente trovato, al di là delle divergenze, l'uomo in cui identificare la guida, il rappresentante di tutte le «tribù»? Un nuovo «patriarca»? La risposta è negativa. Senza dubbio Modigliani incarna un certo modo di fare cultura economica, che è poi quello decisamente più premiato, non solo dalla Accademia delle Scienze di Svezia, ma anche presso il mondo delle imprese, presso i governi e all'interno della maggior parte delle università. In cosa consiste questo modo di fare economia e perché è il più premiato? Franco Modigliani è, culturalmente parlando, il tipico prodotto della scuola economica statunitense (pluridecorata nelle assegnazioni di Nobel: 13 su 22). Tale scuola si caratterizza, in sintesi, per una spiccata fiducia ne~'analisi empirica (e quindi negli strumenti dell'econometria) come decisivo campo di prova di accettazione o rifiuto di una data teoria, per l'assenza di dubbi o incertezze circa la fondamentale capacità di autostabilizzarsi dei meccan~mi del- /' economia di mercato (o capitalistica) e per la estrema fiducia nel potere delle tecniche del/'economia di carpire il cuore del funzionamento del sistema economico e di sàperlo spiegare. L'economia come la ingegneria, l'economics contrapposta a/l'economia politica. È comprensibile quindi il ricorso di quella scuola all'apparato analitico de~'economia neoclassica, secondo la formulazione fornita da Walras e all'interno della sfera di indagine circoscritta da Robbins (allocazione ottima di risorse scarse). Un apparato che dalla meccanica discende in linea diretta. Franco Modigliani si autodefinisce keynesiano (poiché lo afferma anche il caposcuola monetarista Friedman, sarebbe simpatico scoprire qualcuno che lo neghi). È coautore insieme a Paul Samuelson della «sintesi neoclassica» del pensiero di Keynes. Questa sintesi è la riconduzione di alcuni principi contenuti nella Teoria Generale all'interno del mondo neoclassico (il che suona come le famose «convergenze parallele»). Un mondo in cui il mercato perfettamente concorrenziale, quando è lasciato operare liberamente, produce configurazioni ottime di prodotto, utilizzazione delle risorse e distribuzione del reddito. In cui non può esistere disoccupazione, se non volontaria (ossia lavoratori che prediligono il tempo libero), e in cui la remunerazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro) avviene in base al loro contributo alla produzione. Credo che il lettore smaliziato abbia già afferrato la ragione del successo di tale modo di fare economia. Ma è il modo migliore, quello che ci consente di capire i processi economici intesi come processi di movimento, di cambiamento, dinamici? La risposta richiederebbe di aprire un discorso lungo e forse noioso per chi non è interessato alle questioni epistemologiche. Inoltre il problema è già stato ampiamente dibattuto. Ci si consenta quindi di ricorrere ad una citazione. I modelli mèccanici, cui si affida la scuola americana, «si rivelano inadeguati, e lo sono irrimediabilmente, là dove sono più usati e dove l'analisi dinamica è indispensabile: non appena cioè si allarghi il problema economico a comprendere non soltanto il problema essenzialmente atemporale dell'impiego ottimo di risorse scarse, ma anche quello del cam- ~iamento, dei processi dominati dall'apprendimento e dall'innovazione e perciò unidirezional.i[nonreversibili], dei modi nei quali mutano le risorse e la struttra stessa dei sistemi economici», e questo in quanto «dai processi •ipotizzati dalla meccanica classica... sono assenti, per definizione, sia la memoria che le attese, e appunto per questo sono descrivibili, e prevedibili, come funzioni di t [tempo cronologico, successione deterministica di unità di misura in - cui si spezza il Tempo] invqrianti rispetto a T [tempo storico, in cui il processo decisionale viene condizionato dalle azioni intraprese in passato e dall'incertezza riguar-· dante il futuro]» (G.• Lunghini, « Premessa» a Introduzione ai modelli macroeconomici di Andreas Papandreou, Iseo, Roma 1966). Nella posizione espressa dalla citazione si riconoscono una parte importante della scuola economica dell'Europa continentale e i «neo-keynesiani» della scuola britannica. È una posizione minoritaria, ma non minore se valutata sul piano della rilevanza scientifica. Tuttavia nessuno dei suoi maggiori rappresentanti (Kaldor, Pasinetti, Steindl e gli ormai scomparsi Sraffa e Robinson) ha ricevuto il Nobel. Questo fatto sottrae al premio il significato di massimo riconoscimento internazionale del valore scientifico de~'opera dei premiati, mentre gli fa assumere il contenuto di certificato di buona condotta, di rispetto della ortodossia. I meriti di Franco Modigliani sono indiscutibili: ciò che lascia perplessi sono i criteri di assegnazione seguiti dall'Accademia di Svezia.
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