Alfabeta - anno VII - n. 76 - settembre 1985

mati da protoni e da neutroni. Il decadimento beta era pensato come una testimonianza dell'esistenza, nei nuclei, anche di elettroni, e la stessa ipo.tesidi Pauli sulla particella neutra portava a credere che il neutrino fosse un ulteriore - anche se improbabile - abitante del mondo nucleare. La popolazione vivente nei nuclei stava dunque aumentando, anche se era pressoché impossibile descrivere, in termini quantici, la vita del presunto «elettrone nucleare». Fermi sconvolse le mappe allora accettate a proposito della popolazione nucleare. Nel sommario della sua prima memoria egli scriveva infatti che la nuova teoria poggiava «sull'ipotesi che gli elettroni emessi dai nuclei non esistano prima della disintegrazione ma vengano formati, insieme a un neutrino, in modo analogo alla formazione di un quanto di luce che accompagna un salto quantico di un atomo». La teoria di Fermi era indubbiamente lontana rispetto alle descrizioni allora vigenti sulla struttura del nucleo. Fermi distruggeva infatti il riferimento del nome «elettrone nucleare»: l'elettrone non era emesso dal nucleo, ma invece acquistava esistenza, nel linguaggio fermiano, quando si assumeva che le particelle pesanti - il protone e il neutrone - fossero stati quantici connessi a due soli valori possibili di una coordinata del nucleone. L'intero problema del decadimento beta diventava allora una traduzione globale del problema originario. Fermi descriveva l'esito della traduzione in termini di operatori matematici di creazione e di distruzione di particelle leggere, rifacendosi a considerazioni di Heisenberg e di Majorana. Egli scriveva infatti che al nocciolo della questione stava «la trasformazione - di un neutrone in un protone o viceversa; in modo tale però che alla trasformazione da neutrone a protone sia di necessità connessa la creazione di un elettrone, che si osserva come particella beta, e di un neutrino; mentre alla trasformazione inversa da protone a neutrone sia connessa la scomparsa di un elettrone e di un neutrino». Oltre a annullare il riferimento tradizionale del nome «elettrone nucleare», la teoria fermiana instaurava un riferimento abbastanza preciso per il nome «neutrino», portando l'ipotesi di Pauli a collocarsi non più in un contesto qualitativo, ma all'interno di un assetto teorico formalizzato e confrontabile con l'esperienza. La caduta di un riferimento e la fissazione di un altro correvano dunque di pari passo con la creazione di un nuovo significato per i nomi «protone» e «neutrone». Il significato di quei nomi aveva già subito una variazione notevole con le ricerche di Heisenberg e di Majorana, e con il conseguente sviluppo del formalismo dello spin isotopico. Ma - nell'approccio di Fermi - la variazione di significato assumeva ulteriori connotazioni, poiché si collocava in una sequenza di argomenti che stabiliva correlazioni tra gli operatori matematici che determinavano le transizioni fra i due stati quantici di una particella pesante e gli operatori matematici atti a descrivere la creazione o la distruzione di particelle leggere. La sequenza portava alla necessità di scrivere un'espressione dell'energia di interazione, e quest'ultima doveva essere di forma tale da consentire l'analisi del decadimento beta osservabile in laboratorio. A questo punto la situazione teorica non era univocamente determinata: l'espressione cercata era di fatto suscettibile di assumere forme tra loro diverse, e Fermi, con una procedura che è tipica di molti contesti di scoperta, cercò di limitare il campo delle forme possibili ricorrendo a criteri di semplicità e a analogie. La crescita di conoscenze A posteriori, dunque, la ricerca storica sembra essere in grado di tracciare un confine tra le credenze diffuse in alcuni settori di una comunità scientifica e il grado di conoscenze in crescita all'interno della comunità stessa: cogliendo, per un verso, l'intreccio tra credenze e conoscenza, e individuando, per l'altro verso, le modalità di internalizzazione della pratica scientifica che permettono, allo storico, di trovare nel sapere che gli è contemporaneo gli enunciati di controllo grazie ai quali egli riesce a dire che certe proposizioni rientrano effettivamente nella conoscenza. La teoria fermiana, pur nella sua incompletezza originaria, non era dunque lontana dalla realtà fisica, come alcuni critici ritenevano. Essa era più vicina a quella realtà di quanto lo stesso Fermi potesse credere sul finire del 1933. Sotto questo profilo sembra dunque che abbia ancora senso prendere in considerazione la categoria di «approfondimento» (centrale nel pensiero di L. Geymonat), slegandola però da ogni asserto tendente a raffigurarla in termini di sequenze .di approssimazioni successive secondo moduli lineari, e da ogni pretesa di imporre, alle sequenze stesse, una direzione prestabilita. La crescita delle conoscenze si svolge nel tempo non secondo norme costruite in ambiti esterni alla pratica scientifica, ma in funzione di conclusioni di fatto che, nel momento in cui sono enunciate, non sono inferibili da alcuna premessa esistente. La natura continua dello spettro del decadimento beta non era una conseguenza prevedibile di alcuna premessa allora disponibile in fisica teorica, e, nello stesso tempo, non era il frutto anomalo di decisioni assunte da qualche osservatore sotto la spinta di motivazioni metafisiche o di peculiari tendenze metodologiche. Gli strumenti di misura rivelavano quello spettro così come i telescopi galileiani mostravano quattro satelliti di Giove e non due o centoventisette. Nell'accettare che questa fosse la caratteristica basilare di quelle misure lo storico accetta, ovviamente, un presupposto realistico, nel senso che lo storico non dispone di documentazioni in base alle quali credere che lo spettro del decadimento beta o il numero delle «stelle medicee» osservabili nel gennaio 1610avrebbero potuto essere diversi in funzione di fattori esterni alle pratiche scientifiche in oggetto. Ma il presupposto realistico, in tal caso, coincide con l'accettazione di un punto di vista favorevole all'idea che la scienza effettivamente si internalizzi attraverso una rete imprevedibile di correlazioni tra modalità del riferimento e struttura del significato. Un modello storiografico, allora, deve tenere conto del fatto che, su determinati periodi di tempo, può accadere che un nome si configuri in uno schema riferenziale rigido mentre i suoi significati proliferano, e che, successivamente, lo schema riferenziale si annulli. In tal caso la non linearità della sequenza delle approssimazioni diventa particolarmente manifesta, e quell'universo che chiamiamo «realtà fisica» subisce revisioni. Nell'abbandonare l'opinione che il processo di approfondimento abbia una direzione prestabilita e governata da norme enunciabili si ammette, tutto sommato, che alcuni modelli storiografici permettono di rileggere il passato secondo i filtri offerti allo storico dalla scienza del suo tempo. Il realista che volesse dettare alla pratica scientifica le norme capaci di determinarne la crescita avrebbe una probabilità di successo pari a quella che avrebbe una persona che pretendesse di imporre a Giove una norma sul numero desiderabile dei suoi satelliti. Nello stesso tempo, però lo storico che trascurasse il mondo dei riferimenti si trasformerebbe, da storico di una scienza empirica, in storico della filosofia e del pensiero scientifico. E nel far questo, egli non coglierebbe la possibilità di collocare la storia di una scienza empirica nell'ambito della scienza stessa. Relazione letta al convegno «La realtà ritrovata» (in onore di L. Geymonat), Università statale di Milano, 17-18 giugno 1985, per cura della rivista Scientia. Note (1) F. Rasetti, nota in «E. Fermi. Note e memorie (collected papers)», voi. I, pp. 538-40, Accademia dei Lincei, The University of Chicago Press. (2) E. Fermi, «Tentativo di una teoria dell'emissione dei raggi beta», in Ricerca Scientifica 4, (2), pp. 491-95, 1933, in «Note e memorie», pp. 54044. (3) S. Focardi, R.A. Ricci, «Historical lntroduction. The ~-Decay and the ..FundamentalProperties of Weak Interactions», in Fifty Years of Weak-Interaction Physics, a cura di A. Bertin, R.A. Ricci, A. Vitale, pp. I-XL, 1984. (4) D. Bailin, «Weak lnteractions», II ed., Bristol, A. Hilger Ltd, 1982. (5) Si veda C. Romeni, «La sintesi fermiana ed i successivisviluppi delle prime teorie del decadimento beta: un approccio storico-strutturale», tesi di laurea in fisica, Università di Genova, 1982. La pubblicità,· fra poesia delle merci è sovversione dei simboli, fra letteratura e industria ... "Hollywood lava più bianco". I pensieri e il mestiere di un grande creativo francese, Jacques Séguéla e l'uso della "Star Strategy", per costruire . un immaginario di s~ni e di sogni. Un libro per chi ama e odia la pubblicità e per chi vuole conoscere la comunicazione che va oltre la società dello spettacolo. • - ------- A\ --- \ lo a sapere • Sono in~ lG9G pl,\ blaDCO ~) \ "HollY""~ . ire 72.0CIJ ced•IVAcero . del vo\ume.lL -) \ ..copie

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