Proved'artista Amedeo Giacomini Epitome a Diana [Alfabeta 76) 1 Canto lo scarto che fu del sangue, l'ottenebrata luce e il fango di visitate glebe ove l'assenza conobbi delle stelle... Accadde all'incrocio di più inverni. (Era immemore fuga la vita che mi desti, sarabanda d'uccelli altostridenti, difficili a imitarsi, difficili a capirsi... ) La sequenza dei giorni, nevrosi nominale d'ogni dirsi, aveva nuvole per scale, spremute essenze di dolore per entro gli inguini possenti ... Oh, la delirata simbiosi delle messi, essere vino e carne, protesta, balbettìo nel fremere dei sensi! Diana, solinga sulle biade, - irrazionale specchio il cielo ad accamparla, blu-notte e arazzi di pervinca ... - l'arc,otendeva delle labbra tenere a incontrarmi. E apparve nel tuo campo, primissima ipostasi di sgomento, il grembo-madre, e apparve... Fu dove il bosco era più lieve di silenzi o di contese, che l'ossuta mangusta s'avventò al serpente e fu mordere di gomma dentro il corpo che sempre nel vuoto si propende, e venne l'agile geco e maculato, glaucopide pensoso in alternanza e tradusse in feccia il miele delle attese, il geco test'eretta al fuoco amico, atarassicaforma senza forme, a stendersi nel vergine grembo che t'involse. E venne... Il navigato periplo del giorno portò trappole ai confini, tagliuole che ferivano i ginocchi ... Gemeva ogni ora dentro il sangue, compitata con ordine, contata sulle dita per il tanto o il nulla che dava di certezze rubandosi ali'attesa... Oh, il dio dei deserti, deserto a se stesso o finis terrae! Nello specchio delle mani, fatto creta e nervi, con grida l'adoravi, tu della setta d'Artemide infeconda, illuso, ti adoravi ... 2 Ma la luce... Oh, l'inganno degli ocra, il morbido velluto degli eventi! Torna l'ebrezza un giuoco appena casto nella teca dischiusa dei tuoi fianchi: passeggio liquidi cristalli e sono le tue braccia a prender!tli, avvinghiarmi ... Trasalgo ancora a nominarti, fatto trepida corda d'uno dei tuoi archi, presenza assurda tra ombre assurde a camminarmi, mi arresto ove l'incauto specchio mi riflette disperato, amando, d'incontrarmi. Vorrei indurti a un gesto d'odio o di pietà, ma sei fuga del sangue nel presente, livido gorgo e torvo d'empietà. 3 Cosificarmi nel grembo delle cose, essere cosa di grembo finché dura il mio tempo e il suo scorrermi alle strette ginocchia, annientare i gesti che indulgono ali'azione è la ventura, dunque, delle venture? Ma non mi fu musa Calliope, né il glaucopide Apollo mi soffiò negli orecchi: «my genius is no more that a giri» (Come Properzio previde, e gli fecero eco Gabriele e zio Ez ... ) E allora... Mi fu condanna torcermi in cerchio, fusione mitica delle certezze nel grembo del dio... (Sgrondati giù dallo specchio: ti era veleno il silenzio a cui un tempo anelavi!... ) Oh, il gorgo eletto dallo sgorgare del sangue, il periplo primo e imbelle!... Coniugava smalti Saturno ne~'ora solenne, Giove giaceva pavido in controcampo ... «lo» compitando «lo;>turpe nascevi nel vino e nutriva rizomi la notte di colchici glauchi ed era l'estate d'intorno d'auree polveri accesa quella del tuo sanioso inventarti seme d'ogni perfida attesa... 4 Balbettìo, incanto dei perduti passi in prenatali gorghi, pretesa d'ur-significati che basta l'occhio immoto a nominare era ogni canto e aveva nome fuga verso il basso, ricerca del gorgo estremo ogni tuo moto e a provocarlo era, massimo impegno, Algolagnia, il farti dittero d'uteri, cicala d'osteria... Ad incantarti il riso navigato d'una rosa (Spalliera di nebbie il giorno ad ostentarla!) che aveva il privilegio, a volte, di negarsi, di spingerti a piombo nell'abisso, ed era parte del processo (Paradeisos) anche il dolore per entro te madre-sorella Aretusa, il nutrirsi di te fatta frutto de~'evento di portare il mistero nostro vegetale... E fu, nei giorni, vellichìo fausto del vento alle tue fronde, solare stendersi nel tempo senza tempo, anche il perdersi proficua essenza musicale... 5 Solo l'assente contava, la pallida muta sorella che t'era incistata nel sangue sortilegio, a volte, di venti, presenza mutila delle stagioni uguali sempre, sempre scontate nei tempi ... E fosti evento a te stesso, apparizione, grumo di nervi ammalato un poco di denti, sghembo negli occhi e nei sensi, pallido e torvo, pronto per l'attesa agnizione ... Eri, di primavera, particola accesa tra i nembi; (Ventricolari gemiti di pavoncelle e risa e strepiti di verzellini, come chiodi su vetri o strider di denti, il canto di sfondo ampliato dai venti....); d'estate, falce rovente attossicata di verde. (Risate d'elfi ai crocicchi, apoftegmi ... ). Ingentiliva le teneére il volto che non vedemmo ~ ['' ' e 1u inverno .... 6 E fu... Oh, luna chimera malata dei giorni, tu, latte dei nembi, tu... Sgrondarono occhi lungivedenti dai padiglioni dei boschi, Calliope mi bagnò le labbra del miele acre d'Arturo e fu l'inverno ... (Era Minerva il calunniato uccello che incontravi sull'albero la sera?... ) e fu... la pispola tricosa pispante e rugiadosa in cui gettarsi e sprofondare e ritrovarti (forse!) e metterti alla prova a ingentilirci (ingentilirmi) il vuoto, mentr' altri in storia/i vacanze si gloriava, canti sciogliendo alle cesareefronti di barbuti giganti che tra paludi e boschi trascinavano vessilli d'incerte libertà... (Non v'era rimorso a sfiorarmi tuttavia, non lagna di me, né sfinimento, ché mai mi fu la bardassa ironia misura alle cose o sedimento ... ) Giostravo i miei giorni in un densore d'incertezze e m'era strumento a vivere e tormento la turpe goduta insicurezza ... 7 Più vecchia di me stesso veniva dal futuro la mia vita a me stesso incompresa, enigma di suoni e carne che il giorno sviliva in fughe ed esaltava la notte trascorsa a rimirarti. Obliare comunque il tempo era il programma, essere a sé soltanto palla al piede, obliarlo e lasciarlo scorrere indenne, che non aveva mete il suo andare essendo fine a se stessa la sua corsa, corsa via da se stesso, dal sé squarcio o ferita a cui tutto fluisce ... E fu invece unico evento la perdita di senso delle cose, il saperti, Diana, immota falce ancora, alta e lontana, falcante ala bianca di gabbiano nella notte che ci omologa al nulla, che fa insano il chiamarti umile e casta... Ti profilasti volto di sfinge un giorno, opposta alle emozioni, erma dalle labbra arsicce, sbavata di muco giù per il mento nel giallo acquario delle apparizioni e s'avventarono i cani, cupi di silenzio, e fu il naufragio, luna, il pianto di Penelope che trasse l'ulisside perverso oltre le colonne dei sensi alla ragione, fu scandita pietà per il corpo lasciato, putrida alga, sulla battima assolata dell'età, e fu ... Lo incendiavi d'oziosa giovinezza, fatta irridente apparizione sulle gore, fatta lungisciacquante trauma, quasi grembo allettante ove annegarsi e scomparire, ma era la fuga ormai senza ritorno... 8 Perché mi ostino ancora ad evocarti? Nell'isola qui dove siamo, chiusi in case di pietra, ci recita lei, la disadorna fatta d'ossa e di vento. Vengono a volte amici a trovarci. Stiamo ad attenderli dietro finestre, spenti gli occhi, inquieta la fronte. Tossiscono quando lei parla, pensano possa la tosse opporsi alla violenza del vento.
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