Alfabeta - anno VII - n. 74/75 - lug./ago. 1985

sguardi', come capacità di fascinazione e cattura dello spettatore dentro il campo intenso dell'opera». Che dire di tutto ciò maturamente, dopo un'ondata varia di polemiche che hanno dato alla ricerca artistica ora il grande privilegio - mancante alla letteratura - degli insulti e delle interpretazioni? Riassumiamo, leggendo il numero di marzo-giugno 1984 della rivista Il verri. Per F. Menna occorre «evitare l'enfasi eccessiva che è stata posta sul momento di discontinuità» e perciò egli evidenzia in questo nuovo «il significato sintomatico di reazione alla dominante fredda e all'ascetismo post-concettuale». Bari lii teorizza i passaggi come «una generazione postmoderna» (a nostro avviso tale terminologia è un'estensione discutibile dei fenomeni della ricerca di architettura, in quanto inflaziona più campi mettendo in discussione, non ben fondata, lo stesso movimento moderno). Così Barilli descrive gli americani da cui siamo partiti: «uno sviluppo ipertrofico dei supporti, grazie anche a una qualità artigianale, tanto per offrire alla superficie cromatica occasioni estremamente mosse e articolate». Per Bonito Oliva ora è dominante «un atteggiamento nomade di reversibilità di tutti i linguaggi del passato». E va detto che poco prima Barilli descriveva fra questi operatori anche quelli mossi da un «citazionismo allo stato puro, con amori pour cause rivolti a un momento storico già per se stesso citazionista in modi levigati e marmorei, quale fu il neoclassicismo». Poco oltre vogliamo nettamente distinguere fra il versante neo-espressionistico iniziato fra '77 e '78 e dominante (con le mostre «Documenta» di Kassel al centro) fino all'83, e quest'altra insorgenza di gioco - per quanto detto «logico» in un articolo recente di Argan - che porta sul neoclassico. Ancora, F. Caroli dichiara che «parlare di post-moderno è pretestuoso» e preferisce dire «tardomoderno» o «late-modern», giustamente, mentre espone la sua nozione di magico primario, con rinascita dell'aura benjaminiana come però «aura nera» (sistema di antivalori). Un'accezione espressionistica risulta piuttosto in Celant, attento al rapporto e contrasto coi tedeschi: «utilizzando zappa e rastrello gli artisti del neoespressionismo, neofauvismo e della transavanguardia hanno ottenuto soltanto un semplice rimescolamento dell'humus storico, quasi una banale scorreria nella contrada della memoria». Inoltre egli evidenzia criticamente (come, con altra valutazione, già Barilli-Alinovi) le «sfigurazioni» dei graffitisti, «un vero break schizoide nell'arte», connesso ai ghetti e forse fin qui complessivamente il gruppo di maggiore interesse (mentre, a me pare, già Haring di questo gruppo e il tedesco Penck sono artisti singolarmente dotati, rigorosi e decisivi). Non a caso è presso i tedeschi che emerge più piena la definizione di neo-espressionismo. Sfoglio un pacco, ora, di riviste tedesche e americane che mi è stato inviato dall'amico nero Kynaston Mc Shine, teorico e curatore della grande mostra al Museum of Modern Art di New York, 1984, sui nuovi artisti. L'impuntatura del quadro complessivo di Fuchs è molto acuta, in quanto egli nella prefazione a un catalogo di Baselitz del '79 dice: «il processo pittorico si è svolto sulla superficie della pittura, è quella e solo quella che c'è da vedere; la pittura, veicolo di una costruzione completamente artificiale, si presenta alla percezione senza segreti, non velata dal contenuto, come artefatto pittorico». Ecco emergere dunque in questo quadro non una facile ma una complessa motivazione della ripresa espressionistica in termini di ripresa pittorica contro 1 'intellettualismo. C'è ora un problema di attinenza e di contraddizione tra il versante espressionistico nuovo (pur con tutti i vari livelli di qualità, fin qui) e il versante piuttosto neoclassico, e anzi «anacronistico», che ad alcuni è potuto sembrare contiguo o successivo. Ora, come leggo nello scritto interessante di Michael Compton presentando una grande mostra «New Art at Tate Gallery 1983», c'è una chiave del rapporto col neoclassico. Scrive: «Il neoclassicismo può essere considerato un dialetto internazionale. Non c'è dubbio che serve alla cultura del mondo occidentale e che è sempre presente nei musei e nelle architetture come modello di qualità e come lavoro d'arte benfatto, con una concettualizzazione del mondo e un tipo di bellezza». Ora, secondo Compton, Pistoletto e Paolini per esempio hanno già fatto in Italia prima dell'80 un uso come sempre, bifronte, può riaprire la ricerca come avviare al passatismo. Certo è presso l'esercizio dell'E che è ritornata in questi anni la questione centrale del movimento moderno. 3. Una fascia di riferimenti: Lukacs e Bloch, Nietzsche, Schopenhauer e Freud Pare che si dia nell'E, accanto alla novità inventiva di linguaggio, tutt'una con essa, una ragione teorica estetica (come preferisco dire, piuttosto che usare il termine divenuto riduttivo di «poetica»). Essa non combacia con quella dei filosofi contemporanei; È peculiare, e inserisce i motivi via via caratteristici del Novecento: il simbolico, l'antiseriale così profondo nei viennesi, l'antistorico, il primitivo o l'arcaico, quindi ogni modalità dell'autentico. Alcuni riscontri filosofici sono pertinenti perché non combaciano: ma, appunto, il nesso è reciprocamente attivo. Certo più oltre Lukacs hegeliano implica l'espressionismo nella disgregazione soggettivistica, che egli critica; ed è contraddetto da Bloch. Si sa che, fermo contro l'incrinatura della unità d'immagine Walter Marchetti di citazioni dal classico in forma di gessi, con un fine di svuotamento, con una ironia, quasi a suggerire che sono la roba del passato. Si vedono presso tali artisti dei gessi danneggiati, tecnicamente incompleti, fuori dal contesto, e «reinseriti». Così Compton mi suggerisce una discriminante pulita di giudizio sull'operazione col neoclassico: un conto è quella ironica, espressionistica o parodi ca, un conto è quella di citazione piatta e di suggestione armonica. Si tratta di uno spartiacque sottile ma che può da noi venire mantenuto con rigore. In quanto negli altri casi avviene a livello banale ciò che avviene pure, a livello secondo o logico o criticistico o meta-citazionista, nei casi già citati: e cioè che «la citazione classica porta umanità e alo-• ne magico nella galleria» ... Siamo a questo punto negli anticipi inventivi che, come al solito, sono esercitati piuttosto nell'arte, nel visivo, dove il valore referenziale· è relativamente minore. E possiamo solo dire: l'E si rivela, del mondo reale, dentro il quale cogliere il tipico o il particolare come categoria dell'arte, Lukacs intravede qui una distruzione della sua ragione di tipo ottimistico e razionale, con pieno errore. Errore, anche, di scelta materialistica, perché a rigore nel materialismo si dà una frattura fra l'essere e il pensiero: e ogni approssimazione è una via. Errore di conseguenze interminabili presso i lukacsiani cattivi, mentre in Lukacs vale sempre la distinzione rigorosa fra la posizione materialistica richiesta in sede filosofica e la determinazione mobile della ricerca letteraria e artistica. Mentre c'è un'apparenza di nesso fra l'irrazionale e l'inconscio, c'è una incompatibilità di timbro e di atteggiamento fra Nietzsche e Freud. Ciò è meno forte fra Schopenhauer e Freud. E di Freud va pur detto che il suo materialismo da laboratorio, in termini convenzionalisti viennesi, è tale da produrre più oltre un apparentamento con Marx estremamente proficuo di prodotti e intrecci, be_nché strani. Schopenhauer è citato da Freud. E l'influsso freudiano già attivo nel primo decennio (a séguito della iniziale formulazione dell'inconscio in senso assoluto) si espande attraverso i rapporti degli espressionisti con la grande cultura viennese e poi con la presenza di motivi freudiani netti (il trauma originario dell'artista) nella Stilkritik di Spitzer. Ma nei riguardi diretti di Freud è quasi incolmabile la contraddizione, come è noto. Freud è osservante della classicità, come lettore; ma il punto non è qui: tutto il caso Freud-avanguardie deriva da un fraintendimento colossale di un solo punto. Esso è il principio freudiano, ovvio per noi, secondo il quale il processo primario, o l'istanza dell'Es, non è leggibile perché separato (e «legato» a livello del secondario). Ora, l'interesse rivolto a Freud dai circoli artistici contemporanei si muove sempre su una semplificazione, non solo dello spessore grafico inventivo, ma appunto dell'utilizzo della carica pulsionale, fuori dai filtri, siano .quelli razionali che formali. Il problema, attraverso l'esame del carteggio, è presentato in uno straordinario scritto di Gombrich del di quei filistei e lumaconi» ... Gombrich non ricorda, qui, che Pfister è quello del famoso quesito posto a Freud sul rapporto fra psicanalisi e religione. Che Freud scarica in termini agnostici ma fermissimi: e su cui si avvolge e svolge poi una importante disputa nel «campo freudiano» (lacaniano) fra Mannoni e Miller in tema di ateismo freudiano. 4. La filosofia di Gadda Tutto dobbiamo in argomento a Roscioni; la sua passione critica per tale presupposto o livello, che è pur filosofico in Gadda stesso, ci consente di aggiungergli note. L'ed. Roscioni della Meditazione milanese gaddiana è un tale monstrum filologico e commentario che, se non avessimo prestato per un poco l'orecchio al dibattito sul visivo espressionistico, chi l'affronterebbe? E bene scrive la Risset: «al di sotto della ironia negatrice, Gadda persegue un'altra operazione, che è di affermazione della dignità dell'una e dell'altra, filosofia e letteratura» in quanto «l'una verifica l'altra» (Quaderni di critica, Roma, Savelli, 1975, p. 7). Fatrna Lootah '66, dopo avere ricevuto il decisivo contraccolpo del saggio di Kris del '52. Il caso strano è che - avanti le visite di Dali patrocinate da Zweig che suggestionano Freud sino a fargli commettere la piccola frase (sul rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l'elaborazione preconscia) da cui scatterà il rapporto con l'ironia e col «motto» come decisivo per capire l'arte - l'approccio documentato con gli espressionisti appare disastroso. Ed è alle date 1920 e 1922: anni della famosa svolta di Freud con L'Io e l'Es dove l'inconscio è ridotto a una qualità. Se la seconda risposta è ad Abraham e riguarda un disegno da lui inviatogli, interessa a noi la prima, che è teorica benché pregiudicata dall'interlocutore Oscar Pfister, pastore protestante e analista, autore di un opuscolo sulle basi psicologiche e biologiche della pittura espressionista. Costui tende a vedere l'espressionista come «un tipo autistico, introverso». Freud rigetta qui il movimento dell'E preferendo di essere «uno Non mi pare invece corretto avvicinare Gadda e Saussure: ciò ha prodotto un sacco di effetti alquanto disastrosi sul versante critico e innovativo nella ricerca letteraria recente in Italia. Ma occorre maturare questo avvertimento polemico con qualche cura, sia sulla Meditazione che su altro. Riassumiamo. Gadda segue le lezioni di Martinetti (e stranamente, dico subito, non viene letto per un kantiano). Supera esami, già laureato ingegnere elettronico; e ha una tesi sospesa con Martinetti e poi con Banfi su Leibniz. Su tutte le sue carte, Roscioni opina «il suo debito (certamente cospicuo) verso Leibniz, Kant e Spinoza» aggiungendo che «purtroppo non figurano» Hume e Mili (oh, perché purtroppo?). Non ha letto Saussure ma avrebbe con lui rapporto tramite Pareto che è modello di Saussure secondo un saggio di Piaget. Ciò in Roscioni a me sembra molto arrampicato, o quasi virtuosistico. Ho rivisto Piaget: egli osserva, sull'impianto sincronico dello struttu-

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