Introduzione Il termine di espressionismo Il termine che ci interessa qùi; e che oggi è tornato attuale, è stato adoperato la prima volta dal critico e storico tedesco d'arte Wilhelm Worringer, in un saggio apparso nella rivista Der Sturm nel 1911, relativo a Cézanne, Van Gogh e Matisse. Già l'anno successivo lo stesso termine veniva usato per una mostra degli aitisti del Blaue Reiter nella galleria Der Sturm, cominciando così a indicare una tendenza decisiva. Essa infatti differenzia, all'inizio del secondo decennio, il nuovo secolo dal precedente, e in modi così netti che poi dovevano diventare una vera e propria «questione» sul senso profondo della rottura primitivistica e simbolica connessa alla innovazione espressionistica. Nel nuovo termine Worringer evidentemente vuole includere un valore di ricerca nuova che è già presente in quei maestri è'che nello stesso tempo, come si usa dire, era emergente. È certo che così l'espressionismo precede il cubismo e tutte le altre esperienze successive. Si apparenta col «fauvisme» in Francia. Viene a designare tutti i giovani che appunto vedevano come loro maestri Van Gogh e Cézanne. Particolarmente in Germania, sono espressionisti gli artisti del gruppo o sodalizio denominato Die Briicke (1905): Heckel,_ Kirchner, Schmidt-Rottluff, Pechstein, Nolde, Miiller. Si svolge un rapporto con gli artisti viennesi, come è noto; e nell'estensione dell'uso il termine critico e storico viene a indicare anche la grande corrente del Blaue Reiter, con Kandinskij, Mare, Klee, artisti e teorici, e inoltre con Arnold Schonberg, compositore e teorico, che subito dopo l'inizio della rivista e del movimento conduce la sua nuova teorizzazione della musica seriale o dodecafonica. Si deve anche ricordare che il riferimento alla musica è molto importante per i nuovi artisti, che si definiscono spesso con termini musicali, in accordo con la filosofia di Schopenhauer (nominato da Schonberg sul carattere non descrittivo della musica:). Gli"elementi del nuovo È noto che le opere dei nuovi artisti presentano una forte animazione cromatica e formale, che è riferita a una carica emozionale profonda. Ne viene una forma d'arte visionaria, o interiorizzata presso alcuni, o, presso altri, tale da manifestare un'urgenza sentimentale~ immediata o incomposta. E certo nel corso del movimento, e delle successive e più tarde riprese calde o fredde dell'espressionismo, le variazioni fra i diversi artisti, e fra le tesi teoriche, sono molte e spesso abbastanza marcate. Ma resta possibile stabilire bene, in termini di estetica, in che cosa consiste effettivamente la novità. Per questa precisazione, usiamo anzitutto un grande critico italiano, Gianfranco Contini, che ha dedicato un saggio all'espressionismo in generale e a quello letteraTendenze di ricerca / Letteratura e arte l'espressionismo trovatofresco rio, Joyce e Gadda nel Novecento, precedentemente Rabelais (Enciclopedia del Novecento, 1977). Per Contini, l'espressionismo va definito anzitutto nei riguardi dell'impressionismo che lo precede. L'impressionismo è per Contini un «fissaggio formale di un istante labile»; questo istante può essere fermato perché non viene più dagli impressionisti confrontato con un'idea già costituita e convenzionale della realtà, fuori dalla percezione. Tuttavia l'impressionismo stesso, dove si esprime una percezione moderna e nuova della realtà esterna, tende a essere stilizzato, o, a sua volta, a diventare accademico. Negli artisti successivi che abbiamo già citati, Matisse, Cézanne e Van Gogh (particolarmente questo ammirato dai più giovani), è presente una vera e propria rottura, non più un rinfrescamento come quello degli impressionisti. E l'espressionismo rompe definitivamente con ogni contemplazione sia classica che impressionistica; ed è una opposizione a ogni classicità del manierismo. Anche se il manierismo talora, per Contini ad esempio in Medardo Rosso, ha potuto dare opere di espressionismo. E possiamo rileggere, per approfondire il concetto estetico di espressionismo, un saggio di Giulio Carlo Argan nel '64 (cfr. la rivista italiana Marcatrè n. 8-10, con materiali di un congresso internazionale a Firenze). Secondo Argan, nell'espressionismo «le idee vengono scelte e accettate più per • la loro forza dirompente che per il loro contenuto di conoscenza», mentre indica in Nietzsche l'influenza più forte esercitata sui nuovi artisti a livello di pensiero. Il punto principale dell'espressionismo, che inoltre Argan rileva, è quello che «fa cominciare il problema dalla reazione sensoria e non dal suo stimolo esterno: poco importa che ciò che si prova corrisponda a ciò che è», scrive Argan. È in questo spostamento di asse, effett-,ivamente, l'inizio del Novecento. In esso consiste il valore della soggettività, appunto propria Francesc Leonetti degli espressiomstI; si prova una certa diffidenza verso la realtà esistente, particolarmente verso la società storica, e si punta sopra una percezione della struttura elementare delle cose, che è piuttosto una percezione «selvaggia», e piena di forza, con uno scompenso dell'elemento esterno reale o convenzionale. È qui, secondo Argan, che si apre la strada «a un' estetica non più fondata sul concetto di forma e di rappresentazione, ma su quello di segno». Alcuni casi recenti Come è noto, fra il '78-79 e i primi anni dell'80, si sono dati nella ricerca artistica alcuni elementi che sono stati detti «neo-espressionismo» da taluni critici; e da altri «post-moderno» e da altri, con tentativi di nuove formule, per esempio «transavanguardia». Le opere a cui tali valutazioni si riferiscono sono varie e non in tutti i casi si può trovare un motivo comune. Certo, è diffusa una carica pulsionale forte, accanto a una nuova figuralità. Vi è anche un certo rimescolamento dell'humus storico del Novecento, quasi una scorreria nella memoria, con coefficienti schizoidi. Il riferimento d'obbligo è ai graffitisti, come è Wolf Vostell noto, e ad alcuni tedeschi. Vi sono artisti di alta qualità, a mio giudizio, Haring e Penck, per esempio. La critica americana ha parlato di una «atmosfera di anarchia int';'iitiva». E particolarmente nel 1981 Kramer nel New York Times sostenne per esempio che «il neoespressionismo è segnale di uno spostamento nella vita della cultura». Secondo Newman (Art in America, settembre '82) si tratta in sostanza di «un rifiuto della visione lineare della storia», in quanto è oggi diffusa «la delusione sull'idea di progresso». È certo che bisogna intendere la scelta di ripresa dell'espressionismo come un ritorno indietro, alle origini del Novecento, in contrasto con l'arte concettuale degli anni Settanta. Ma si tratta insieme di un ritorno indietro che non è investito da un passatismo, o da un uso eccessivo e non giocato, non ironico, del neo-classico; mantiene anzi una linea che si può dire «late-modem». Un problema teorico attuale È chiaro che non si può valutare con criteri uguali lo studio critico dell'espressionismo, che ha avuto in alcune grandi mostre un nuovo sviluppo, e l'attenzione ai fenomeni artistici nuovi, che in qualche modo si possono dire riferibili alle varie forme già storiche dell'espressionismo. Sul piano propriamente teorico o filosofico, va detto che più recentemente almeno in Europa ha preso importanza massima il rapporto degli espressiomst1 con Schopenhauer e con Freud, piuttosto che con Niet~ohe. Già il concetto di «volontà» di Schopenhauer, da lui riferito alla musica, diversamente dalla rappresentazione che è propria dei fenomeni superficiali dell'esperienza, era presente nei teorici stessi dell 'espressionismo, come dicevamo poco fa. Seguendo Schonberg, essi avevano voluto affermare che «l'arte è volontà»: è, cioè, più profonda dei processi normali di coscienza. Ma è il riferimento a Freud, dopo i saggi dello psicanalista americano Kris nel '53, che è divenuto dominante. La definizione freudiana dell'arte (in una lettera relativa a una discussione con Dali) come una combinazione dosata di materiale inconscio, e cioè pulsionale ed emozionale profondo, e di elaborazione formale consapevole, è stata riferita all'opera di Klee come esemplare. A noi, oggi, accade di risentire attuale l'espressionismo per un motivo non troppo diverso dall'interesse che ci porta a ristudiarlo. Si tratta del fatto che oggi, anche nella epistemologia, nella teoria della scienza, si è svolta una perdita di certezza della realtà esterna, con distanza ancora maggiore fra linguaggio e mondo. Ciò è presente nelle discussioni in corso, con l'avvio di filosofi come Kuhn e come Feyerabend, che rappresentano uno sviluppo della grande svolta data da Popper in questo campo. Presso questi (presenti con citazioni in cataloghi di artisti tedeschi) lo statuto dell'impresa scientifica non si fonda sull'accertamento, in quanto la realtà che si riesce ad approssimare, nella ricerca sofisticata oggi, presenta aspetti sempre più sconcertanti. E la scienza si svolgerebbe dunque nella sua storia come gli stili si svolgono nella storia dell'arte. Certo, in questo quadro di atteggiamenti e di nuove idee, l'affermazione di partenza dell'espressionismo, secondo la quale per l'approccio è più valida la visione soggettiva che la rappresentazione armonica del mondo esterno, è quanto mai tagliente. Ritengo dunque che la ripresa, sia pure varia, di motivi espressionistici nei primi anni Ottanta ha una ragione strettamente artistica di gusto formale e di piacere del dipingere, e, insieme, sul piano cognitivo ha una ragione mentale di rigore nel rapporto col mondo esterno. (Lettura, con dibattito,_Jllel Mills College e nel Departmeht of Italian a Berkeley e a Stanford, il 2224 aprile '85) Indagini varie l. Riassunto critico del saggio di Contini del '77 Contini dà una formulazione ampia e fondante dell'E[ spressionismo] a una data dove le Avanguardie - o ricerche con motivi di collegamento fra gli operatori, oltre che di coerenza interna nell'opera e nella ricerca propria, per dir così - vengono per lo più dissolte. Mi pare, dunque, che Contini proponesse anche una ripartenza, riferita ai primi atti di scelta letteraria e artistica del movimento moderno: mentre il suo saggio è stato letto letteralmente come una mera voce di enciclopedia, oppure con un certo imbarazzo. (E nel suo manuale del Novecento R. Luperini compie ad esso un riferimento iniziale, indicando i seguiti o gli altri spunti in Fortini, in Sanguineti, mentre dichiara necessario un ripensamento del tema). Inoltre, a mio giudizio, si è ritenuto per errore che la magistrale metodologia continiana (stilcritica e poi jakobsoniana), nella quale diviene emergente un gioco grammaticale e linguistico come focale, induca a definire l'E secondo questa caratteristica. Non ne escludo una preminenza presso Contini col suo spessore filologico. Ma non si deve scendere a una riduzione della sua proposta in termini di linguismo, trascurando il fatto che in lui e particolarmente nel suo saggio del '77 vi è una individuazione di grande corrente. E in tal senso mi attento a ripigliarlo, criticando ogni uso della metodologia linguistica dove viene differenziata dal rilievo strutturale dell'opera o della serie di forme. Anzi, ora che ripenso per più versi alla vicenda degli anni Sessanta, a me pare che si sia svolto un indirizzo storiografico inesatto, nella nostra tendenziosa cura per il movimento moderno. Si è allora puntato sul futurismo, per esempio, come innovazione portante
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==