Albert Camus Il malinteso regia di Sandro Segui con Alida Valli e Marina Malfatti ·s i respira da tempo un ritorno alla sintomatologia della crisi. Tutto un repertorio 'filosofico' che ormai si riteneva codificato al passato, degno tutt'al più di un vaglio esclusivamente estetièo, si riaffaccia di prepotenza col suo assolutismo autoritario, la sua monotematica ossessiva, i suoi inquietanti parallelismi. Soprattutto l'esistenzialismo francese, la triade anomala e affascinante composta dal dualismo dissidente Camus-Sartre cui si aggiunge la presenza carismatica di Genet, simbolo di una trasgressione irriducibile vissuta sotto il peso. schiacciante dell'estraneità, profitta di questo improvviso revival. In superficie, questa esumazione dei fermenti alla moda nell'immediato dopoguerra non cessa di stupire: tutto sembra inguaribilmente datato. Il nazismo è ancora alle porte, vivo della presenza fisica dei collaborazionisti, come vive sono ancora le speranze di una riorganizzazione statutaria sedicente gauchiste (il modello sovietico - problema staliniano a parte - non è ancora inquinato dal beneficio del dubbio) e tre scrittori-archetipi si impegnano in un definitivo redde rationem costruendo, sui detriti del Dopostoria, la farsa tragica di un Mal de Vivre tanto parigino da non dover assolutamente riguardarci (soprattutto a teatro). Ma quello che sorprende, a un'indagine a posteriori, non è la qualità stilistica o la diversità morfologica del discorso comune ai tre massimi rappresentanti del cenacolo esistenzialista (la retorica, si sa, è arma tipicamente francese) ma il reciso rifiuto, da parte di tutti, a quel severo diktat epico e disadorno che, qualche anno più tardi, si sarebbe affermato nella civiltà teatrale d'Occidente sotto il nome di Bertolt Brecht. Sia Camus che Sartre, sia soprattutto Genet dimostrano una predilezione sospetta per il discorso indiretto, preferiscono la preziosa eleganza calligrafica della metafora letteraria alla spoglia disamina della cronaca. Sartre coltiva l'ambizioso progetto di promuoversi ad araldo della storia, una storia elevata all'ennesima potenza, addirittura respinta a ritroso al di là di se stessa, alle soglie del mito, nelle sinistre epifanie del nichilismo (Il Diavolo e il buon Dio) e dell'irresponsabilità ontologica ( I sequestrati di A/tona). Camus, sulle orme di una tradizione viva in quegli anni, insegue le ombre dei tragici greci e di una leggendaria Roma imperiale in alcuni grandi puzzle .s (Il malinteso, Caligola) che ricol- ~ lega con funambolico virtuosismo Cl... alla psicologia del profondo e alle ~ agghiaccianti suggestioni dell'im- -. penetrabile sistema kafkiano. ~ Genet, infine, non sottostà ad ~ ~ alcuna règola prestabilita. Nel suo ~ caso particolare non si può delimij tare l'universo espressivo dello ~ scrittore ricorrendo alla facile eti- ~ ~ .:: ~ ~ chetta della diversità. Genet proclama, urla ed esige di essere violentemente separato da qualsiasi concetto di consorteria. La morte l è l'unico interlocutore privilegiato ~ ammesso a condividere lo stesso . Camusil malinteso spazio, lo stesso giardino di supreme delizie e spaventose torture che l'autore si è assegnato. Nel tracciato di un'araldica perversa, sotto le acque stagnanti di un difforme tanto voluto da risultare grottesco, le situazioni e i personaggi decadono a semplici supporti, a specchi (Le ba/con) o, peggio ancora, a «paraventi» che sbarrano il campo alla contemplazione del Nulla. Un Nulla che può essere adombrato solo da un altro fantasma intransitivo, esemplare nella sua neutralità di mutante: il travestito che - con un guizzo di delirante sarcasmo - è l'unico degno di chiamarsi Divina (Notre-Dame des Fleurs). O ggi, a quarant'anni di distanza dalla parata dei fantasmi hitleriani, a quasi venti dalla mitologia giovanilistica e revanscista di quella 'contestazione al potere' che per prima si propagò in terra di Francia, questi autori godono di un rilancio imprevisto. Non solo i loro libri ma i libri che parlano di loro sono oggetto di contese appassionate, di rivendicazioni veementi·, di severissime prese di posizione (nella Ville Lumière non si sono ancora spenti i Enrico Groppa/i fuochi della polemica suscitata dalla pubblicazione dell'ultima opera di Simone de Beauvoir dedicata, con ampiezza di particolari raccapriccianti, ad agonia e morte del suo celebre compagno). E la loro produzione drammatica? Un anno fa il Teatro di Roma di Maurizio Scaparro ha presentato • in prima assoluta la versione originaria del Caligola mentre, in questa stagione, si è assistito a un reAdriano Spatola e Giuliano Zosi cupero spagnolo delle Serve di Genet da parte della compagnia Nuria Espert (lo spettacolo era sempre quello, bellissimo, varato diciassette anni fa da Victor Garcia) e, per tornare all'Italia, a una riproposta del Malinteso da parte di una nuova formazione (regia Sandro Segui, con Alida Valli e Marina Malfatti). È proprio quest'ultimo spettacolo, con l'interesse che sta suscitando e le adesioni entusiastiche dei giovanissimi, a lules Deelder sembrarci degno di una riflessione meno epidermica. Cosa racconta Il Malinteso? Il testo, in definitiva, è la storia di una duplice delazione. Nella mitica Cecoslovacchia degli incubi e delle ossessioni oniriche assistiamo, da una parte, al sinistro duetto degli assassini (due donne, madre e figlia, uccidono a scopo di rapina i rari clienti ospiti del loro albergo in rovina) e, dall'altra, al disperato tentativo delle vittime designate (un altro duetto, quello formato da Jan, rispettivamente figlio e fratello delle protagoniste, e da sua moglie Maria) di «farsi riconoscere», cioè di redimere un paese e una situazione che hanno irrimediabilmente compro·messo l'immagine -della dignità umana. I fatti sono apparentemente banali, i ruoli fissati in una rigiqità schematica, da thriller ferroviario, da infimo terrificante episodio di cronaca nera (quello da cui, in effetti, ha attinto a suo tempo l'autore). Jan ha abbandonato la madre e la sorella per cercar fortuna all'estero. Torna ricco, con una moglie straniera, e si scopre a sua . volta «étranger», estraneo a un ordine che non comprende, la cui ratio gli sfugge, la cui tematica non lo riguarda. Si fa registrare all'albergo come un cliente qualsiasi, ha bisogno di tempo per «ritrovare le parole giuste», le uniche in grado di assicurargli quell'identità (di fratello, di figlio) che ha smarrito nel corso degli anni, dei mesi, delle stagioni. Ma il tempo della riflessione gli è precluso ab origine: la madre e la sorella lo sopprimono. Per loro stessa ammissione non l'hanno riconosciuto (ma sarebbero mai state in grado di riconoscere qualcuno che il tempo ha inesorabilmente cambiato?). E la catena del delitto continua implacabile ad autoriprodursi: il Carnefice - in assenza del contendente d'obbligo - non può che patologicamente scindersi nel suo opposto, sembra concludere l'amaro sarcasmo dell'autore. Così la Madre - povera Clitennestra invertita di segno, patetica Penelope degradata - troverà finalmente la pace («l'oubli que je cherche») nelle acque del fiume e Marta si eliminerà, sola, nel deserto della sua stanza solitaria, cella deputata ad assorbire il corpo lungo e magro, le articolazioni nervose e la sensibilità motoria di questa terribile Vergine Folle. A Maria, pallida incarnazione dell'afasia, dell'impotenza, dell'incapacità borghese a comprendere il fatto tragico (per lei tutto quanto accade non può essere che spaventoso o raccapricciante), non resterà che ricorrere al fantasma di un .cattolicesimo di maniera. Ma anche la moneta di una religiosità d'accatto si rivelerà illusoria e un nuovo amarissimo disinganno sarà parafrasato nella maschera impassibile del Vecchio Domestico - il muto complice di ogni delitto - che romperà il suo silenzio per siglare con un «no» agghiacciante la patetica implorazione d'aiuto della donna. I I Cosa ci comunica oggi '' questa serie di sequenze colme di massacri, ritardate da finte sbalorditive, abitate da dolorose mutilazioni? Rispondiamo con un nuovo, apparente, paradosso. Quello che all'epoca di Camus era appena adombrato oggi viene sinistramente in luce e Il malinteso, questo titolo ambiguo, atroce indicazione di uno scompenso psichico affidato agli inutili artifici della parola (una parola che complica le situazioni, che le aggira senza mai venirne a capo), diventa parafrasi, lucido esempio di una totale crisi della gerarchia. Prima viene smontata la struttura societaria nel suo primitivo nucleo d'aggregazione (la famiglia), poi viene distrutta l'ipotesi mistica (la trinità eucaristica è ferocemente irrisa in quei tre simboli degradati dove Cristo, già ridotto nel testo a Figliuol Prodigo, è ucciso da una Madre che ricorre allo Spirito - nichilista - della figlia per eliminare dal inondo qualunque possibilità di riscatto), infine l'essere viene perfidamente svilito nella sua dignità umana fatta di pensiero e azione, degradato a meccanismo empirico, votato all'autodistruzione. Più che in A porte chiuse di Sartre (scritto a pochi mesi di distanza dal testo di Camus che risale al 1943) o nelle Serve di Genet (1947), nel Malinteso Camus rìafferma con esasperato radicalismo la sua concezione di un inferno tutto terreno deputato non allo scontro ideologico ma al cannibalismo dei suoi componenti. Archiviato come un patetico relitto del passato, il Camus degli anni Ottanta si prende una clamorosa rivincita. Trascorsa la difficile stagione dominata dall'incidenza fenomenologica (le famose ricette dell'incomunicabilità e della circolarità della memoria), oggi chi ha scritto L' étranger appare addirittura un antesignano di Pinter. Il delitto è
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==