Alfabeta - anno VII - n. 71 - aprile 1985

Norbert Servos «Dance is not a perpetuum Mobile: New York and Back» A Second Selection in Ballet International n. 8, 1984, p. 20 Ballet International Bilingual European Issue (mensile) Ballet lnternational Verlags Gmbh pp. 60, L. 6.000 I n un'intervista di sette anni fa Pina Bausch giustificava un aspetto essenziale del suo lavoro con una domanda: «Perché lo facciamo? Perché noi, comunque, danziamo? ... È una routine e nessuno sa perché ci muoviamo in questo modo. Eppure, abbiamo questa strana presunzione. Così, ci allontaniamo sempre più dalla gente, mentre credo che dovremmo avvicinarci maggiormente a noi stessi». Le parole della coreografa di Wuppertal si possono applicare secondo il critico Norbert Servos a un'intera generazione di coreografi scettici, non più disposti ad accettare la «routine inconscia» della danza: una routine che in qualche modo ha acquistato caratteri e vita autonoma. Il movimento del teatro-danza nato alla fine degli anni Sessanta ha aiutato la danza tedesca a raggiungere per la prima volta dalla fine della guerra un riconoscimento internazionale, ma soprattutto - scrive sempre Servos - ha iniziato a farsi delle domande sul suo stesso lavoro. «Danzare per danzare non era più una ragione sufficiente: i motivi per danzare dovevano essere trovati altrove». I coreografi del teatro-danza non volevano che la loro arte continuasse ad essere un semplice intrattenimento. Non era più sufficiente che i danzatori si muovessero bene e in modo attraente sul palcoscenico: quei coreografi volevano scoprire, come Pina Bausch, che cosa fa muovere la gente. Ma per la maggior parte dell'avanguardia newyorkese non sembra si sia manifestata in questi anni una rottura di questo tipo con la tradizione. Per i danzatori americani della prima e seconda generazione New dance la danza per se stessa continua ad essere una conclusione plausibile: essi insistono a danzare senza porsi delle domande, men che meno quella di Pina Bausch: «perché noi, comunque, danziamo?». Presentando l'imponente ra:;segna di danza americano-tedesca «New York and Back» svoltasi nell'estate scorsa in diverse città della Germania a cura del critico Jochen Schmidt, Norbert Servos radicalizza la contrapposizione tra nuovo teatro-danza e nuova danza americana. Differenze e analogie, contaminazioni e incompatibilità, meriti e privilegi del Tanztheater e dell'ultima New Dance: da tempo questa altalena è al centro delle attenzioni della critica al di là e al di qua dell'Oceano con effetti anacronistici e fuorvianti rispetto all'ultima produzione di ricerca e curiosi inasprimenti del dibattito che hanno qualche timida ripercussione anche da noi. Norbert Servos, ad esempio, sceglie come discriminante centrale e assoluta per stabilire il grado di modernità· di un progetto, per misurare il suo livello di dissacrazione la fatidica domanda di Pina Bausch ed è incline a considerare in modo univoco la tradizione di danza e il suo contrario. Lo sviluppo della danza teatrale, però, non è affatto unidiTeatrodanza rezionale; assomiglia piuttosto a un algoritmo intricatissimo che contrappone di epoca in epoca, spesso in una stessa epoca a seconda delle coordinate storiche e sociali, e tra tante altre contraddizioni, la danza come accadimento esteriore, ideale, pura linea e pura struttura autosufficiente, alla danza come espressione destrutturante, misteriosa, primitiva, forza di una natura che non ordina, che scompone i suoi elementi in turbamenti. Naturalmente, la problematica della significazione, la necessità di lanciare dei messaggi oltre e al di sopra del gioco delle braccia, gambe, delle pose e dei passi (che di per se hanno comunque molti significati ... ) non appartiene solo alla fine degli anni Sessanta come profila vagamente Servos. Il primo teatro-danza tedesco (primo Novecento), magari senza mettere in dubbio l'utilità stessa di danzare come fa oggi Pina Bausch, nacque dalla presa d'atto di un mondo diverso, scosso da grandi tensioni e come nuovo mondo per una danza alla ricerca delle sue motivazioni. Tutto ciò appartiene fortemente alla nostra tradizione di danza. Per Norbert Servos, tuttavia, «tradizione» è soprattutto quella danza che evoca in un circuito chiuso i suoi segni e non ha referenti esterni al suo stesso linguaggio: è una categoria negativa, cumulativa che comprende le produzioni classiche vecchie e nuove e le produzioni astratte della New Dance americana. In effetti, le maggiori scoperte americane degli ultimi trent'anni (da Merce Cunningham in poi) nascono proprio da una costante e r\petuta valutazione della danza in rapporto prima di tutto a se stessa e secondariamente anche alle altre arti. Ma questa scelta teorica e operativa non è di per se né negativa, né tradizionale. In generale si può dire che queste scoperte nacquero sulla spinta di una fertilissima (in Occidente) 'presunzione' orientale: quella di considerare la danza estendibile, onnivora, totalizzante, capace di racchiudere il senso di un tempo nuovo, postatomico e di organizzare, grazie alla sublime priorità del corpo sulle altre macchine, il tempo di tutte le arti in una dinamica e statica fredda, assente, antipsicologica, eppure perforante l'immaginazione di chi guarda e le sicurezze di chi esegue. Anche i coreografi della prima generazione New Dance si sono posti delle domande. Una: è possibile arrivare attraverso la· danza all'essenza del movimento, della vita? I danzatori americani del Post-modem (anni Sessanta), appartenenti alla seconda generazione della New Dance hanno risposto che solo analizzando il vocabolario della danza prescindendo dai suoi stili, dalle sue tecniche, dal virtuosismo, dal compiacimento, riducendo la danza a movimento puro come camminare, si poteva arrivare all'essenza. Oggi, non Marinella Guatterini sembra possibile ignorare il bagaglio teorico di quella ricerca che Servos affianca erroneamente alle produzioni della terza leva 'New Dance, la più giovane, la meno disposta a rischiare oltre i valori del virtuosismo tecnico e della pura decorazione di spazi. Come non è più possibile affogare la centralità del rapporto danza/ricerca nella domanda formulata sette anni fa da Pina Bausch, anche se innegabilmente questa domanda profetica ha sconvolto gli orizzonti e influenzato il corso dello spettacolo del nostro tempo. Appoggiando il progetto di Pina Bausch, ma come se in questi anni la coreografa di Wuppertal non avesse avuto modo e agio istituzionalizzato di presentarlo nel mondo e contemporaneamente di chiarire e sviluppare la sua personalissima estetica legata ai temi dell'esperienza, alla psicologia dell'individuo danzatore, alla dinamica del suo gruppo di performer, certa critica tedesca militante è portata a dimenticare altre ricerche, a esempio proprio le innovazioni del Post-modem americano, le sperimentazioni della Judson Church, il manifesto di una corrente tanto radicale da essere stata velocemente assorbita, ma mai davvero digerita. In generale, la strategia della critica tedesca militante di cui la rivista mensile Ballet lntemational è, e soprattutto era, interessantissima portavoce (negli ulti~i due anni il livello qualitativo del dibattito è sensibilmente calato), è accerchiare, promuovere, sviscerare l'ultima espressione della danza tedesca con un notevole successo informativo e divulgativo e un pericolo strisciante: chiudere e autoalimentare il fenomeno Tanztheater, che in realtà si poggia su tre quattro nomi al massimo e, nonostante le precauzioni teoriche, scambiare l'estetica bauschiana per una stilistica facilmente (e auspicabilmente) copiabile. D all'altra parte, certa critica americana anche molto attenta al nuovo non sembra ancora disposta ad accettare il teatro-danza tedesco, a riconoscerlo come ricerca di danza. Basti leggere le recensioni dei più recenti spettacoli di Pina Bausch a Los• Angeles e a New York per ritrovare ingigantiti all'ennesima potenza tutti i luoghi comuni più logori sull'arte mitteleuropea. Si rimprovera al Tanztheater di Wuppertal il fatto di mostrare sul palcoscenico un'esperienza brutta, violenta, una Weltanschauung devastante, negativa e, nella devastazione, fortemente espressiva. Si accantona lo studio dello spazio bauschano, l'analisi della struttura del suo racconto, si tralascia persino l'emozione di fronte alla fantasia del suo gesto di danza. Come se gli importanti contributi critici e i rilevamenti sulla New Dance in tutte le sue stratificazioni si fossero improvvisamente vanificati davanti al progetto 'realistico', teatrale senza mediazioni di Pina Bausch. Certo, se i coreografi americani non si pongono la domanda «perché noi, comunque, danziamo?», non sono soli: la loro critica si ri- .fiuta per ideologia di interpretare o considerare questa domanda. Noi, spettatori posti a una tranquilla equidistanza sia dai fermenti veri o presunti del Tanztheater, sia dagli ultimi sussulti della New Dance americana, potremmo contrapporre a tutte le domande che straziano e rendono vivace la nuova danza, una domanda più superficiale, ma forse più necessaria. Perché, in generale, si continua a danzare appoggiandosi a modelli precostituiti sia del passato che del presente, perché si continuano a ricalcare atmosfere di danza non originali, non personali, altrui? Anche la nuova danza tende purtroppo a consolidare la nostra più recente, ma già ben radicata, tradizione americano-tedesca e i suoi climi. E sono pochi quei progetti, quelle ricerche magari ancora abbozzate che per principio si sottraggono alle definizioni, che perlustrano il territorio della danza avanti e indietro, senza ideologizzare. Che, infine, alzano il tiro dell'elaborazione artistica molto al di ~ pra delle controversie spicciole legate all'uso di una tecnica. Tuttavia, proprio queste novità affioranti insegnano, riconfermano che 1) la tecnica non è, non è più, una morale come ai tempi di Martha Graham e che .su qualsiasi tecnica prescelta a strumento espressivo· o dispregiativo vale la densità e coerenza del progetto artistico; 2) che è irreversibile la perdita di valore delle etichette soprattutto dove più se ne usa e abusa; cinque anni fa «minimalismo» e «post-modem» erano le definizioni passpartout, adesso è «teatro-danza» garanzia di bontà e novità per spettacoli che spesso non sono né di teatro- danza, né nuovi. A esempio, ha senso o non ha senso parlare di teatro-danza per la nuova coreografia francese? L'eterogeneità del fenomeno «nouvelle dance» prova il declino delle tendenze collettive. Se Maguy Marin fa teatro-danza, Régine Chopinot è più interessata al linguaggio e ai suoi rivestimenti (i costumi dello stilista di punta JeanPaul Gaultier), mentre Jean-Claude Gallotta propende per una scrittura poetica, per un continuum danzato fatto di zone di rottura e disarmoniche che si incastrano però in una composizione strutturata e logica come un balletto. Neppure Dominique Baguet e l'Esquisse fanno teatro-danza. Il primo è fortemente influenzato dal modello di Maurice Béjart, usa abbondantemente effetti scenici gratuiti e riempitivi che non hanno molta attinenza con la sua coreografia. li secondo gruppo, tra i più interessanti e sinceri del panorama francese, usa un'espressività forte, un gesto lacerante e ripetitivo che certe volte ricorda le ossessioni della (prima) Bausch, ma la struttura degli spettacoli, specie delle belle composizioni di coppia (di Joelle Bouvier e Régine Chopinot) tradisce ampiamente il teatro-danza. Non che questa definizione indichi un'unica, ideale, possibilità di intervento o un modello preciso, ma almeno nei lavori che si fregiano di questa definizione devono essere presenti, riconoscibili, messi in qualche modo in relazione danza e teatro (cioè testi, strutture drammaturgiche, scene, costumi, ambienti, persino luci teatrali che sono molto diverse dalle luci della danza). Alcuni esempi. Per Suzanne Linke, buona solista e coreografa di Essen, «teatro-danza» non è un termine sempre appropriato, non si addice ai suoi assolo, ma ad alcune coreografie di gruppo. L'uso di oggetti come la vasca da bagno per pièces solistiche come lm Bade wannen significa poco rispetto a)la concezione coreografica. O per specificare: la vasca da bagno condiziona la danza, determina la situazione teatrale e il contesto, ma questo tipo di interrelazione tra scena e danza appartiene alla danza sin dai tempi dèi Ballets Russes. Lo stesso vale per Reinhild Hoffmann; nel suo famoso Solo mit Sofa la coreografa instaura un rapporto ancor meno mediato con il suo oggetto (il divano) rispetto a Suzanne Linke e alla sua vasca da bagno; Hoff mann cancella la danza come esposizione di movimenti guidati da una tecnica vedibile: sceglie l'energia allo stato puro e concentrato. Nei lavori di gruppo (specie i primi) la struttura e lo spazio sono invece molto più teatrali. Anne Teresa De Keersmaeker, leader dell'interessante gruppo fiammingo Rosas si è avvicinata al teatro-danza con il suo ultimo spettacolo, Elena's Aria, ma nei precedenti lavori (Fase e Rosas Danst Rosas) i temi di ricerca prioritari sono l'energia, il gesto minimal ripetuto dentro una coreografia rigorosamente prestabilita, ..,,.. complicatissima. Sono la velocità e ""'1 c::s l'effetto di ridondanza della reite- .s razione gestuale che coinvolge tut- ~ te le interpreti. Valeria Magli pro- ~ pende per il teatro-danza in lavori ~ come Pupilla e Baguette, mente ~ Banana Morbide Banana Lumiè- "'- §- re sono espressioni di danza, nonostante l'ossatura poetica, che però i::::: serve più da tappeto sonoro su cui t:! c::s danzare (in questi casi).che non da ~ struttura drammaturgica. Enzo Ì Cosimi danza e danza anche se ~

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