Alfabeta - anno VII - n. 71 - aprile 1985

Mensile di informazione culturale Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo Ill/70 • Printed in ltaly aprile 1985 Numero 71 / Anno 6 Lire 4.500 • Il, • Malliaai/Otlieri l,lne 11/Ban 1 Eiposilo/Rella Cosa Nostra F. Orlando: Interpretazioni di «Fedra»* M. Forti: Carteggio Ungarelli-De Robertis M. Spinella: Appuntamenti con Dante * R. Barilli: Lo specchio di Robbe-Grillet C. Madrignani: Sciascia e il suo dubbio* Prove d'artista: E. MaHiacci/O. ONieri: Versi adolescenziali Traduzione contemporanea: Po Chii-i: Strada a sud-est* Pagine da * Cfr. * Cfr. ana~itico, .. .-:"<:·· Testo: Carteggio inedito Pascoli-MarineHi (a cura di Claudia Salaris) * E. Fiorani: La non cerleuQ·.«"~» C. Formenti: Il punto di svolta* U. Curi:Tempo e ineversibilità * Evoluzionismo, gloP.C1riod'auìore (Bateson) R. Esposito: Il pensiero politico di Hannah Arenclt * F. Rella: Figure della legge* R. ca·rifi: L'inte~zione di Dio F. Sossi: La nebulosa Proust* M. Guafferini: Teatrodanza * C. Boschi: Quell'imbecille di Mozart E. Dorigo: I due poliziotti * S. • Givone: Sulla rivolta di Trani * Giomale dei Giomali: Rai in analisiIndice della comunicazione: Global Market * Immagini: Oscar Reutersviird I ' ·1

Novità Einaudi JEAN-PAUL SARTRE FREUD UNA SCENEGGIATURA L'avventura della nascita della psicoanalisi raccontata da Sartre. « Supercoralli », pp. 1v-3n, L. 26 ooo. ERNST H. GOMBRICH L'IMMAGINE E L'OCCHIO Pittura, fotografia, caricatura, cartografia, manifesti: la psicologia della rappresentazione pittorica in un'altra fondamentale serie di ricerche di Gombrich. «Saggi», pp. x1-378, L. 4-' ooo. VINCENZO CONSOLO LUNARIA Una favola dell'autore de Il sorriso dell'ignoto marinaio, un apologo che ha il ritmo eta grazia di un «divertimento» mozartiano. «Nuovi Coralli», pp. v-93,.L. 8000. NICO NALDINI VITA DI GIOVANNI COMISSO La riscoperta di un protagonista del Novecento italiano, un ritratto d'artista attraverso le sue amicizie. «Saggi», pp. v111-316, L. 26 ooo. ANTICHE STORIE E FIABE IRLANDESI A cura di Melita Cataldi. Racconti mitologici, epici e fiabeschi del mondo celtico. « I millenni», pp. x11-23J, L. 3.5ooo. Leimmagindiiquestonumero Ci sono alcuni tipi di figure geometriche (piane o tridimensionali) che da lungo tempo fanno impazzire sia i matematici che i lettori di riviste di giochi. Sono quelle figure che giocano sul conflitto fra una percezione come quella umana che è facile da essere ingannata in termini di qualità e quantità delle figure, e invece una produzione topologica programmaticamente errata. In particolare, le geometrie irreali sono note alla matematica almeno dagli anni Cinquanta, da quando cioè nel 1958 i matematici Penrose (padre e figlio) pubblicarono in una grande rivista di psicologia le immagini delle Tribar e delle Endless winding stairs (lefamose scale senza inizio e fine). Il bello è però che simili figure le disegnavano ormai da tempo gli artisti. Uno di questi è Oscar Reutersviird, che fin dal 1934 aveva iniziato a produrre tribar, oppure prospettive giapponesi (cioè le prospettive ·Oscar Reutersvard impossibili), oppure assonarne- zio costruito. 1 più famosi Escher in questo numero (Galleria li satrie irreali, oppure ancora tridi- e Magritte presero spunto dalle lotto, Como, gennaio 1985). IL TEATRO ITALIANO mensionalità illogiche dal punto sue ricerche. Sono i progetti di Vale la pena sottolineare, cointeressano soltanto da un punto di vista geometrico semplice, e neppure da quello artistico puro. Le opere del settantenne maestro svedese, infatti, testimoniano della produttività della relazione fra arte e scienza, e del fatto che i due campi non sempre• sono così distinti come si potrebbe credere. Nel nostro caso la scoperta di un'ambiguità topologica era stata già intravista da un artista, che la rendeva metafora delle fa/se illusioni della percezione. Ma la cosa si è ripetuta altrimenti e altrove. Dopo che Thom ha trattato vagamente il tema di quelle che egli ha chiamato «forme informi» in, Teoria delle catastrofi, ebbene Salvador Dalì ha prodotto cinque disegni concernenti le cuspidi di catastrofe di una figura ambigua: disegni che si son visti nella grande antologica di Ferrara dell'anno passato. Le avanguardie - scientifiche o artistiche che siano - insomma talora si toccano, producendo o una scientifizzazione del- /' arte, o una estetizzazione delle scienze. Omar Calabrese v. IL LIBRETTO DEL di vista della coerenza dello spa- Reutersviird che Alfabeta pubblica munque, che questi disegni non MELODRAMMA DELL'OTTOCENTO ~--------------.--------------~--------------..-------------....,j Tomo terzo. A cura di Cesare Dapino. Introduzione di Folco Portinari. L'ultimo dei tre volumi di una· preziosa storia del libretto da Rossini, Bellini e Donizeni all'epoca post-verdiana. « Gli struzzi», pp. Lxv1-331, L. 26 ooo. WILFRED OWEN POESIE DI GUERRA A cura di Sergio Rulini La pi1hignifìcativa esperienza poetica nata dalla Grande Guerra. « Collezione di poesia", pp. xxxv-161, L. 9.500. LUISA MANGONI UNA CRISI FINE SECOLO La cultura italiana di fine Ottocento di fronte all'avvento della società di massa e ai nuovi problemi delle scienze sociali. « Paperb3cks », pp. x1-234, L. 20 ooo. STORIA D'ITALIA LE REGIONI DALL'UNITA A OGGI LA CALABRIA A cura di Piero Bevilacqua e Augusto Placanica. I caratteri originali, gli assetti•sociali, il territorio, l'agricoltura e l'industria, la classe politica: un nuovo modo di leggere l'identità di una regione. pp. xv-960, L. 8.5ooo. RIVISTA DI STORIA ECONOMICA FEBBRAIO '85 Qirerra da Gianni Toniolo. Paolo Baffi, Via Nazionale e gl{economisti stranieri 1944-53. Winston Fritsch, Il Brasile durante la Grande Guerra: problemi strutturali e politiche economiche. Giorgio Fodor, Perché nel 1947 l'Europa ebbe bisogno del Piano Marshall? pp. 166, L. 1.5ooo. Sommario Cosa Nostra pagina 3 FrancescoOrlando Interpretazioni di «Fedra» (,Fedra, di J. Racine; Fedra, di L. Ronconi) pagina 4 Marco Forti Carteggio Ungaretti-De Robertis (Carteggio 1931-1962, di G. Ungaretti-G. De Robertis; Vita d'un uomo, di G. Ungaretti) pagina 5 MarioSpinella Appuntamento con Dante (Dante scrittore, di J. Risset; Semantica di Gerione - Nella selva con Dante, di R. Mercuri) pagina 6 RenatoBarilli Lo specchio di Robbe-Grillet (Le miroir qui revient, di A. RobbeGrillet) pagina 7 CarloMadrignani Sciascia e il suo dubbio (Croniche/te - La sentenza memorabile - 1/ teatro della memoria - Introduzione a Manzoni, Storia della Colonna Infame, di L. Sciascia) Pagina 7 Comunica~roneai collaboratori di •Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b) tutti gli articoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: auProved'artista: EliseoMattiacci Spazio meteoritico pagina 9 OttieroOttieri Versi adolescenziali pagina 10 Traduzionecontemporanea Po Chii-i Strada a sud-est pagina 11 Cfr. pagine 12-13-15 Cfr. analitico pagine 16-17 Pagineda (San Francisco, Berlino, Vienna, New York) pagina 18 Testo: ·CarteggioineditoPascoli-Marinetti a cura di Claudia Salaris pagine 19-21 EleonoraFiorani La non certezza «terrestre» («Le immagini dell'ambiente» 1) pagina 23 Carlo Formenti Il punto di svolta («Le immagini dell'ambiente» 1) pagina 24 UmbertoCuri Tempo e irreversibilità («Le immagini dell'ambiente» 1) pagina 26 Evoluzionismo, glossario d'autore (Bateson) («Le immagini dell'ambiente» I Antologia) pagina 27 RobertoEsposito Il pensiero politico di Hannah Arendt (li ritorno alla Grecia; La pensée politique de Hannah Arendt, di A. Enegrén; The Life of the Mind - Lectures on Kant's Politica[ Philosophy, di H. Arendt) pagina 29 tore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenzrali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma larivista si compone prevalentemente di FrancoRella Figure della legge (leone della legge, di M. Cacciari) pagina 30 RobertoCariti L'interruzione di Dio (li libro delle interrogazioni - Le Livre du Dialogue - li libro delle somiglianze, di E. Jabès) pagina 30 EdmondoGreblo Franz Rosenzweig (La Stella della redenzione - Hegel e lo Stato, di F. Rosenzweig; Système et Révélation, di S. Mosès) pagina 32 FedericaSossi La nebulosa Proust (L'età dei nomi. Quaderni della Recherche, a c. di D. De Agostini - M. Ferraris) pagina 33 MarinellaGuatterini Teatrodanza pagina 34 Carlo Boschi Quell'imbecille di Mozart (Amadeus, di M. Forman; Amadeus, Amadeus, di P. Shaffer; Mozart, di H. Abert) pagina 35 ErmesDorigo I due poliziotti (1/ tenente Colombo; L'ispettore Derrick) pagina 36 Se~io Givone Sulla rivolta di Trani pagina 37 Giornaledei Giornali Rai in analisi pagina 38 Indicedelle comunicazioni Global Market pagina,..38 Le immagini Oscar Reutersvard di Omar Calabrese collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Marisa Bassi {AER-Milano) Grafico: Bruno Trombetti Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giuseppe Terrone Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Taghamento 4, 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 40.000 estero Lire 55.000 (posta ordinaria) Lire 70.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 6.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale15431208 Tutti i dirittidi proprietà letteraria e artisticariservati

••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••• I CosaNostra I • • • • • • • • • • • • • • • • • • : ,---------------, quanta giorni. Che cosa di tanto .--------------. paradosso nasconda qualcosa d'al- nemmeno sfiorati e ci si preoccupa: : L'Italia di profilo terribile, o almeno «temibile» fac- Censura continua tro: la volontà di non sapere. Il ancora e sempre di fare della cen-: • M.S. eia la donna in Italia non lo sapre- A.P. non sapere serve molto a obbedire sura culturale, come il libretto di• : -------------~ mo mai - o almeno non lo sapre- -------------~ e a divulgare quello che altri vor- Panorama ha documentato. E il: • Panorama ha regalato ai suoi let- mo dalla signora (ma sarà meglio Il commento di Mario Spinella alla rebbero fosse la realtà, così come filtro di questa censura culturale• : tori, con il numero del 24 febbra- dire - dato il suo odio congenito pubblicazione di Panorama sulla se la figurano i rappresentanti del- rimane quello «sottoculturale» di: • rio, un libro-inchiesta di Fabrizio verso il sesso femminile - dal si- censura Rai Tv rimanda nelle ulti- la nostra politica. O forse i rappre- uomini che non hanno quasi mai le• : Carbone, Proibito in TV. Novan- gnor) Rai. me righe a un problema di fondo seutanti della nostra politica san- carte in regola dal punto di vista: • tasei pagine, una premessa, due Chi voglia altri esempi - a biz- che coinvolge tutti i mass media. no benissimo come stanno le cose delle tecniche dell'informazione. • : brevi note sulla rubrica «Cronaca» zeffe - non ha che da sfogliare il Qualcuno crede davvero di sapere ma, poiché non possono «farci Andrebbe tutto bene, si fa per: • e sugli spot pubblicitari, e poi, da volumetto, davvero, questa volta come è fatta la «gente», che cosa nulla», tentano pudicamente o dire, se almeno i conti tornassero.• : Aglietta Adelaide a Zavoli Sergio, senza metafore, «prezioso». Ne vuole? È chiara la possibile risp0- spudoratamente, a seconda degli Invece nemmeno i conti tornano,: • in ordine alfabetico, oltre duecen- trarrà, secondo il carattere, moti- sta di Mario Spinella: di certo non stili, di far credere che qualcosa si mentre si permettono alcune ne-• : to cognomi e nomi di operatori, vo di sdegno. o viceversa, se è di faccia e cambi per davvero, alme- fandezze nel maldestro tentativo: • dall'alto e dal basso, coinvolti nel- umor ridanciano, di ilarità. Pro- no sulle pagine dei giornali. di aumentare le entrate. Per esem- • : la grande operazione censoria del- prio come accadeva, nel venten- pio, si permette ai bambini di fare: • la televisione di Stato. nio, di fronte alle esibizioni di pubblicità e, quel che è peggio, si• : Dall'alto e dal basso, appunto: Mussolini: pugni al fianco, torso in permette ai divi della Tv di essere: • ove l'alto è il potere, la scranna, la fuori, sguardo acceso, cinturoni, protagonisti di spot pubblicitari• : cadréga - come dicono i milanesi nappine: ma dietro di lui la guerra dove sfruttano ulteriormente il Io-: • con ironia; il basso giornalisti, in- e la morte. ro discutibile successo. Una nefan-• : tellettuali, uomini e donne di spet- Quanto all'estensore di questa dezza espressamente vietata dalla: • tacolo colpiti, fulminati, umiliati, nota, ciò che prevale in lui è un Bbc proprio perché organismo di• : dalle inverosimili vicende della senso di disagio: si vive in una Stato. : • censura Rai. grande città moderna, si frequen- In questa prospettiva nasce un• : Più in basso ancora, tuttavia, i tano ambienti e persone, se non altro paradosso, che i divi della Tv: • cittadini. Di diritti, quelli italiani, altro, civili, ci si fa un certo qua- diventano protagonisti della pub-• : fuori della lettera costituzionale, dro della realtà italiana che può blicità commerciale proprio nel: • non· ne hanno poi moltissimi; ma, essere, certo, distorto su un livello momento del loro declino. Ed è• : divenuti telespettatori, meno che quantomeno positivo, o, appunto, naturale che questo declino inar-: • pochi. Minorenni un po' scemi da resta bile venga percepito con• : trattare col paraocchi e la bacchet- enorme ritardo dal famoso Mana-: • ta del maestro elementare d'altri gement che «va sul sicuro», così• : tempi. A mezza via, appunto, tra che la audience inevitabilmente: • il cavallo da tiro e l'infante (e per segue i suoi presunti «divi» nella• • d' 'ù f d. • • • 1p1 pre- reu 1ano, asessuato, e. discesa costante. • • in ultima analisi, un po' ebete). Dicono alcuni che è colpa della: : Se non fosse squallido, e persi- vischiosità e della lentezza di deci- • • no un po' tetro, sarebbe ridicolo. sione della Rai Tv. Non è una dia-• : Lo sapevate, per esempio, che le gnosi credibile quando le stesse: • donne dotate di un seno giudicato mediocri decisioni sono state pre-: : eccitante dai vari Bernabei o da civile. Si sa bene che l'Italia non è se, salvo le solite miracolose ecce-e • chi per loro, dovevano essere ri- tutta così; ma ci si vorrebbe illude- zioni, per vent'anni consecutivi. : : prese solo di profilo? E si parla - re, talvolta, che chi è preposto a .--------------..,• • s'intende - di seni severamente rì- governarla - e oggi si governa an- Falso allarme : : coperti da barriere, anch'esse mi- che con i grandi mezzi di comuni- A.P. • • nuziosamente studiate in centime- cazione - a questo minimum di li- ,______________ _.: : tri, dagli abiti, Dio ce ne scampi! vello, se si vuole intellettuale e Nella rubrica «Libri» di Le Scien- • • E può - sempre questa diabolica morale. si adoperi a portare il Pae- ze, edizione italiana di Scientific: : donna - mangiare una banana? se tutto. • american, come è noto, si legge e : No! La Legge, con L maiuscolissi- L'amara testimonianza del con- quanto segue, a firma di F. Calo-: • ma, del Super-Stato Tv lo proibi- trario che questa documentazione, gero: «The Military Ba/ance è l'o-e : sce, con buona pace della Chiqui-- per sommaria che sia, sui fasti di puscolo annuale in cui l'Istituto in-: • ta. Possente, questa Legge, addì- «mamma Rai» ci offre, è desolan- ternazionale di studi strategici e : rittura più delle multinazionali! te: può immergere, per un mo- (Iiss) di Londra presenta un qua-: • Che è tutto dire, in questo territo- mento, nella palude dello squallo- In una intervista di qualche dro aggiornato delle forze militari e : rio di conquista ove abbiamo in re. giornò fa l'editore del New York dei principali paesi del mondo.: • sorte di vivere. Ma per fortuna i bimbetti un po' lo sanno i dirigenti della Rai Tv, Times, Arthur Ochs Sulzberger. L'edizione che qui si segnala è ag-e : Ridicolo, squallido: ma anche ritardati che Bernabei e soci e sue- che sembrano usciti da cabine di discendente della famiglia pro- giornata al 1° luglio 1984. ( ... ) La: • tetro, drammatico, a volte,. i dice- cessori si sono figurati esistono comando non solo e non tanto prietaria della testata dal 1896, e maggior parte dei dati riportati da• : va. Il dossier ci informa. tra l'al- soltanto nei sogni, un po' biechi, «_datate» ma semplici prodotti di ancora oggi azionista di maggio- The Military Ba/ance descrivono: • tro, che tutti i filmati ove c'entrava di un potere, questo sì, «ritarda- sottocultura. Le persone con cui ranza, alla domanda: «Lei crede dettagliatamente, paese per pae-e : Pier Paolo Pasolini sono stati di- to». Andiamo nelle strade, parlia- parliamo tutti i giorni. in tram o in che ; media americani tendano a se. lo status delle forze militari; vi: • strutti, che sono stati distrutti ufficio, in portineria o in un nego- offrire quello che richiede il pub- sono anche cinque tabelle sinotti-• : «centomila metri di pellicola gira- zio, sono molto diverse da quelle blico piuttosto che quello che 'do- che, fra le quali è il caso di segna-: • ta nel corso del periodo noto come che si immaginano gli «addetti ai vrebbe leggere'?», così ha rispo- lare quella dedicata alle spese per• : 'autunno caldo'». i mesi delle lotte lavori». sto: «Sì, è vero. Succede molto la difesa dei paesi del Patto di Var-: • operaie e sindacali dalla fine del Mi è capitato di recente di asco!- spesso, soprattutto con alcune te- savia e della Nato nel periodo e : '69. Le smentite della Rai e del- tare Giorgio Bocca in un'intervista state che fanno dello ·scandalo' la 1972-1982, dalla quale risulta tra: • l'allora ,direttore generale Berté concessa al Terzo programma del- professione. A volte siamo anche l'altro che, di tutti i paesi della Na-• : non smentiscono. Berté. del resto. la radio, e i termini della sua de- noi costretti a pubblicare notizie di to (con la sola trascu_rabile ecce-: • non ce l'ha solo con gli operai i•n nuncia sono semplici e veri: Oggi questo tipo. ma cerchiamo di farlo zione del Lussemburgo), l'Italia èe : lotta; ce l'ha anche con la lingua nessuno fa piil il giornalista. nes- 'con parsimonia; dare al lettore·so- quello che ha registrato la maggio-: • italiana, rea - a suo dire - di con- suno va a parlare con la gentt:. og- lo quello che vuole leggere ti porta re crescita percentuale della spesa• : tenere parole «non consone a un gi si crede di poter fare tutto per su un binario sbagliato, non fai più militare nel periodo 1975-1982,: • servizio pubblico». Enzo Forcella telefono, basandosi su informa- il mestiere di giornalista». pari, a prezzi J 975 costanti, a un• : che, lui, l'italiano. modestamente. / zioni niai controllate di persona. È appunt il problema di fondo incremento del 35 per cento (l'a-: • • lo conosce in tutta l'ampiezza del Nessuno _vapiù a vedere di perso- e non è certo facile scegliere quoti- nalogo dato percentuale, a prezzi e : suo vocabolario. viene svillaneg- na come stanno davvero le cose. diaRamente quello che va da quel- 1975 costanti, per Francia, lnghil-: • giato e «condannato». Amen. Forse Bocca ha esagerato nel lo che non va. È certo però che il terra, Repubblica federale tedesca• : Altro capitolo allucinante della generalizzare; forse c'è ancora management della Rai Tv fa di e Portogallo, è rispettivamente: ""I • ricerca di Carboni è quello che ri- qualcuno che «va a vedere». anche tutto per agire nel peggiore dei 27,2, 18,4, 6,1 e 20,0 per cento)».• ~ : guarda il materiale commissiona- se più difficilmente lo troveremo modi. Il management della Rai Tv Si ricorderà che la polemica sul-: -~ • to. o addirittura girato. elaborato in Italia e men che meno tra i «si- presume di sapere, in virtù del fat- la diminuzione delle nostre spese• c::i.:. - e mai programmato. Senza favo-- mo con la gente. ascoltiamo i ra- gnori dell'informazione», troppo to che occupa una determinata militari ha avuto toni accesi sui: ~ '•" • ritismi, s'intende, né a destra né a gazzi - e soprattutto le ragazze - occupati nelle strategie da :;criva- poltrona, che cosa vuole il pubbli- giornali di un periodo non certo• :;; : sinistra. Così scompare il progetto che la Tv avrebbe voluto confor- nia e dai telefoni diretti. Ma è cer- co e invece sforna esattamente lontanissimo. Sembrava che l'E-: ·;.:: • di una inchiesta sulla psicoanalisi a mare a propria immagine e simi- to che il paradosso esiste e può quello che può sfornare: la medio- sercito italiano fosse ridotto alla• ! : cura di Cesare Musatti; ma anche glianza; e tiriamo un sospiro di essere così enunciato: Meno si co- crità, cioè prodotti che non fanno fame e all'inefficienza d-alla neces-: e--.. • La donna in Italia, 1975, voluto sollievo. Non è il Paradiso, certo, nosce la vita sociale e più si pre- male a nessuno e che dovrebbero sità cli tagliare le uscite di cassa• s:::: dalla senatrice democristiana Fai- ma neanche il .Limbo grigio, im- tende di sapere che cosa il pubbli- andar bene per tutti, del tipo Cri- dello Stato. Ora i dati dimostrano: ~ • cucci e messo a punto da una trou- mobile. funereo, degli studi roma- co _vuole e pretende. stoforo Colombo o Quo vadis'.'l, che si trattava di un falso allarme:• ;g:, pe Rai che gira l'Italia per cin- ni e delle loro varie appendici. E facile sospettare che questo dove i problemi di fondo non sono . la spesa è aumentata del 35%., : ~ ....................................................................................................... .

lnterpretazi~~doi<i <Fedra> Jean Racine Fedra traduzione e introduzione di Giovanni Raboni Milano, Rizzoli, 1984 pp. 185, lire 6.000 Teatro Stabile di Torino Fedra regia di Luca Ronconi S i usa chiamare interpretazione di un testo letterario quella di chi ne studia il enso; e, d'altra parte, interpreti - se il te to è teatrale - gli attori e il regista. Ma senza dubbio è un'interpretazione anche quella di chi traduce il testo da una lingua all'altra, tanto più quanto più l'operazione è difficile. Perciò quando il sottoscritto, autore di un aggio sulla Fedra di Racine, ha ascoltato per la prima volta la nuova traduzione di Giovanni Raboni mentre assisteva alla nuova messa in scena di Luca Ronconi, le interpretazioni della tragedia che gli si raffrontavano a ogni istante nella mente erano ben tre. Quella del regista; quella del traduttore; più la lunga analisi, quasi verso per verso, svolta nel suo proprio saggio di quindici anni fa. Confronti e contrasti fra interpretazioni non dovrebbero svegliare problemi in chiunque pensi che le letture possibili di un testo sono infinite, e tutte legittime. Ma non è questo il mio caso: proprio con quel saggio sulla Fedra inauguravo un ciclo di quattro studi volti a difendere, fra l'altro, qualcosa come una concezione obieuiva del senso di un testo letterario; diciamo, almeno, la finitezza del numero di interpretazioni che es o autorizza. La Fedra di Racine è il capolavoro di un teatro detto clas ico, e perfino definito «teatro della ragione». Non certo nel sen o che vi figurino personaggi ragionevoli: ché anzi in media i suoi personaggi potrebbero superare quelli di uno Shakespeare, quanto a violenza passionale, aggressiva e autodistruttiva. Piuttosto: nel senso che la violenza passionale in questo teatro si esprime entro discorsi controllati, e perfino ordinati; e nel senso che essa si commi ura sempre, come vergognando i di e stessa, a un esigente ideale di razionalità e moralità. Mutuando da Freud l'idea che non solo la moralità, ma anche la razionalità iano per essenza repressione (un'idea che in Freud è sì pessimi tica, sia detto di passaggio, ma non certo anarchica), avevo interpretato la Fedra nel mio saggio come la tragedia della repressione per eccellenza. Tanto vale dire la tragedia del represso: perché, ancora dall'impo tazione freudiana, consegue che la forza di una repressione e quella del represso relativo stanno in proporzione non inversa ma diretta. Fedra, simbolicamente figlia di Minosse e di Pasifae - cioè della Legge inesorabile e del Desiderio perverso-, è lei stessa, e fa dell'intera tragedia, il più terribile campo di tensione fra i due poli opposti di tutta la storia del teatro. Ma col passare dalla mia anali i di studioso all'interpretazione del traduttore o a quella del regi ·ta, cosa resta di una formula come «tragedia della repressione»? Direi che resta moltissimo: a patto di modificare volta per volta, ma non troppo, il ignificato della parola repressione. S e considero adesso i problemi che si ponevano al traduttore, l'impressione che darò di star cambiando discorso arà falsa e breve. Perché Racine è stato sempre considerato il poeta più intraducibile fra i maggiori delle letterature europee? Rispondo (abbreviando fino all'o o il discorso di un saggio con cui avevo chiuso il ciclo apertosi su Fedra): perché la figura più facile da tradurre del linguaggio poetico è la metafora, cioè proprio la figura di cui Racine fa un uso co ì parco - così represso. Scelgo fra mille una metafora audace e carnale da Shakespeare: due donne, in riva a un mare solcato da navi, ridono «vedendo le vele ingravidare/ E farsi panciute ad opera del vento lascivo». Traducete que to in italiano, in finlandese, in giapponese: suono e ritmo dei versi inglesi andranno perduti, ma la mirabile a similazione tra il gonfiore delle vele e quello di un ventre resisterà in qualunque lingua. Shakespeare è un poeta, se anche non si accetta di chiamarlo barocco, contemporaneo del grande barocco di altre letterature: ossia del primo grande sfrenamento di inventività metaforica in tempi moderni. Racine, in Francia, arriva più tardi: al culmine d'un lento processo di imbrigliamento, ossia di repressione, della inventività metaforica. L'Illuminismo è alle porte; la metafora è sospetta complice di quella stessa licenza irrazionale, co"ntro cui sta per scatenar i addirittura la critica della religione. Dunque la metafora potrà sopravvivere solo in forme misurati ime, anzi convenzionali; e anche per questo Racine segna l'ultimo miracoloso compromesso, prima di quel «secolo senza poesia» che si suole considerare il primo Settecento. Oggi, dopo due secoli che la metafora sembra ridiventata l'anima .stessa del linguaggio poetico, il traduttore Raboni - poeta lui stesso ha fronteggiato l'intraducibilità di Racine perché ha felicemente intuito su quali altre figure era giocoforza puntare. Suono e ritmo, metro e rima, si capi ce; ma oprattutto figure di sintassi, o meglio di rapporto fra la sintassi e il verso: anche un tale rapporto è severamente di ciplinato nel testo france e dalla massima coincidenza obbligatoria fra le unità o gli stacchi della sintassi, e quelli del verso. Ne deriva un rischio di monotonia che solo il genio ritmico di Racine riesce a parare. Ma il traduttore ha saputo permetter i, di fronte alla quadratura del di tico rimato francese, un ricorso per istente o all'alessandrino italiano (chiamiamolo x) o all'endecasillabo (chiamiamolo y), che gli ha reso sapientemente alternabili quattro combinazioni (xx, xy, yy, yx), ciascuna econdo i casi con o senza rima; salvi naturalmente i frequenti spezzamenti inflitti al distico, che producono versi liberi italiani. Rubo la metafora shakespeariana per dire che Raboni è pas ato a gonfie vele, tra la Scilla della monotonia e la Cariddi dell'arbitrio. Se si vuol rendere giustizia alla ua ispirata bravura, la cosa migliore è sottoporlo al formidabile confronto, evocando i versi francesi: quella ininterrotta serie di cui Gide si chiedeva, non a torto, se e istesse «niente di più bello in qualsia i lingua umana». Lo pazio non mi consente che un esempio, stupendo (del tipo xx senza rima): «Per vo tra mano il mo tro sarebbe tato ucciso, / malgrado i mille incroci del suo vasto rifugio». Se potessi scegliere largamente fra le rese più affascinanti, si vedrebbe che si annoverano tutte dove la disciplina metrico-sintattica dell'originale è pre ervata, non dove è sciolta. In altre parole, dove i mantiene di più quella repre sione in senso verbale e tilistico, che è di tinta dalla repre - sione in senso morale eppure le è imparentata. Tanto è vero che essa governa, in Racine, non solo la versificazione ma anche la rarefatta dignità del linguaggio: il tabù su tutti quegli aspetti dell'esi tenza che a un grandissimo critico come Auerbach piacque chiamare «crea turali». Da qui la transizione è diretta a quel terzo senso della formula «tragedia della repressione», che riguarda il regista e le ue scelte. La dimensione che Auerbach chiamava del «creaturale» ovviamente coincide quasi con quella, secondo una espressione attuale, del corpo. Ora, il teatro di Racine non è solo scritto in un linguaggio che non nomina mai niente di troppo umilmente corporale, e semmai vi allude con perifra i nobilitanti. È anche un teatro che non lascia accadere niente di corporale sulla scena, riducendo e ublimando il movimento fisico, e relegando fuori scena ogni azione violenta; la quale, si tratti anche dello stesso esito omicida della tragedia, non può che venire riportata in un racconto. È in omma un teatro supremamente orale; ancor più di quelli grandissimi inglese e spagnolo fra inque e Seicento, e di quello francese della prima metà del Sei, nel quale il rispetto delle cosiddette regole si era andato imponendo a fatica. I lettori di queste mie righe che siano stati anche spettatori della messa in cena di Ronconi lo avranno già capito: con questo ulteriore a petto della repre sività di Racine, il regi ta dal canto suo non ha voluto o potuto fare i conti se non capovolgendolo, in una infedeltà completa, caparbia, quasi coatta. Personalmente la moda degli stravolgimenti mi è, a dir poco, antipatica; ma tavolta non ne va di una moda: non avrei il coraggio di affermare che oggi sia umanamente po sibile far rivivere un teatro dove la parola era tutto o quasi, dove gli attori non erano che interlocutore gli uni degli altri, e tutti del pubblico. Ronconi all'opposto - ben secondato in genere dai suoi attori - ha esibito, movimentato, esaltato, mortificato il loro corpo, attirando continuamente l'attenzione su di esso. Li ha fatti distendere a terra (in movimenti di avvilimento?); abbandonarsi su divani (in momenti di abulia?); accovacciarsi in punta di piedi (in momenti solenni, per paradosso?); avvicinarsi lentamente a un altro (per vana ricerca di intesa?); curvarsi su chi è adagiato (per supplica o ricatto?); accostare fisso volto a volto (per minaccia o tentazione?); abbracciarsi (anche sulle parole più aggressive?); fare addirittura la lotta sul palcoscenico: in que t'ultimo ca o non av·rei dubbi sul carattere edipico dello scontro, che è tra padre e figlio. Ma qualunque interpretazione di questa interpretazione si tenti di dare, e senza fare il minimo torto alla personalità dominante di Anna Maria Guarnieri, ecco cosa mi ha più appagato nello spettacolo: che e o ostenti non una grande protagonista, ma un vero sistema di per onaggi, tutti collegati e contagiati. Un po', e o o dirlo, secondo lo stesso orientamento antiindividualistico che era una delle rivendicazioni del mio aggio. Per esempio, la mia concezione di Ippolito come proposta fallimentare di un ordine nuovo pare tradursi nell'intelligenza del personaggio incarnato da Roberto Trifirò, con adeguata eleganza fisica e un non comune calore di voce: e so non emana solo il pathos della vittima predestinata, ma anche quello di un successore al trono innovativo e immaturo. Quanto ad Anna Maria Guamieri, liberata dal protagonismo tradizionale, rinuncia deliberatamente a ogni psicologi mo nei due grandi passi della confessione e della dichiarazione; come se ce. sa se di trattenerli la reticenza, il conflitto fra volere e non voler dire, ben ì veni ero « cantati» ome un'aria d'opera ma in rassegnazione spen• ta; con quella superiore rinuncia all'effetto che Proust attribuì, nel ruolo di Fedra, alla sua immaginaria attrice Berma. Di tanto più efficace l'i terica concitazione in un 'altra grande cena, quella della gelo ia: dove il repre o che prorompe non è più direttamente desiderio, ma rancore e rimorso. Per chiudere, sarei felice di saper interpretare quel tele copio che è l'unico oggetto vistosamente presente in scena; mi sono interrogato sul quando e perché gli attori ne a cendono gli catini, e se abbia a che fare con l'avvenire, col destino, con la trascendei ,za . Ma. a "" questo punto la domanda s1 !lJ- .s sformava in un'altra, dettata da &° gelo ia professionale: se con quel- ; l'occhio puntato in alto Ronconi si 01 sia ricordato del bel libro di Gold- ':; mann, il cui titolo-// dio nascosto ~ - la eia intravedere l'interpreta- t zione che vi si dà di Fedra; ahimè ~ ideologica, teologica, individuali- i: stica, insomma tutto quel che c'è ! di più inconciliabile con la mia. i t

Carteggio Ungar i~R~Robertis Giuseppe Ungaretti, Giuseppe De Robertis Carteggio 1931-1962 Introduzione, testi e note a cura di Domenico De Robertis Milano, Il Saggiatore, 1984 pp. 205, lire 20.000 Giuseppe Ungaretti Vita d'un uomo a cura di Leone Piccioni Milano, Mondadori, 1979 pp. CI-906, lire 38.000 S e la critica letteraria sulla stampa svolgesse il suo compito un po' al di là dell'informazione sui libri entrati nel prevalente circuito propagandistico dei mass media, l'uscita di questo Carteggio 1931-1962 fra Giuseppe Ungaretti e Giuseppe De Robertis avrebbe potuto costituire se non un avvenimento, almeno l'occasione per ripensare attivamente all'opéra di due fra i maggiori protagonisti nel nostro Novecento. Un poeta come Ungaretti che, comunque lo si voglia vedere, è stato per riconoscimento comune la punta di diamante nella fondazione della nostra moderna lirica e, nella sua lunga parabola, uno dei due o tre ·massimi nostri poeti in questo secolo; e un critico come De Robertis che, oltre a essere stato uno dei maggiori del suo tempo, è stato un lettore magistrale della poesia italiana non del solo Novecento, ma in particolare proprio di Ungaretti a cui è stato legato criticamente con fedeltà e acutezza spesso insuperate per quasi cinquant'anni. Come ha messo bene in luce nella sua Introduzione Domenico De Robertis, che ha curato inappuntabilmente il libro non solo per affetto filiale, se l'amicizia fra Ungaretti e il suo maggior critico è durata dal 1916 al 1963 (anno della morte di De Robertis), le lettere qui pubblicate coprono solo gli anni 1931-1962, e quindi poco più di un trentennio di una ben più lunga e reciproca fedeltà letteraria. Le lettere precedenti fra i due, se ci sono state, vanno dunque considerate perdute; anche se, della reciproca amicizia degli anni vociani e di quelli immediatamente successivi, garantiscono oggi altri carteggi di scrittori amici di quegli anni come Papini o Prezzo lini, o Soffici, m cui compaiono rispettivamente, messaggi e saluti per l'uno e per l'altro fra i nostri due interlocutori. Anche così, il Carteggio rimane ben più che un primario documento di storia letteraria novecentesca, e bensì come una testimonianza indispensabile sul modo di operare e di interagire di due figure primarie della nostra letteratura: un poeta e un critico, operanti ''ì secondo quel metodo di «collabo- .s razione alla poesia» che De Ro- ~ bertis aveva proprio allora inaugu1:::1.. rato. Negli anni esso avrebbe su- ~ scitato oltre a questo fittissimo e -. ~ per più lati indispensabile scambio ·;;:: di lettere, la nascita, almeno da §-- noi, di una funzionale critica delle C:::: varianti, vale a dire di una vera e i;:: propria stilistica attiva, in base a ~ cui la creatività del poeta si sareb- l be via via incontrata e specchiata ~ nella ricettività del critico, che aveva instaurato un metodo di continua e tenace adesione al testo poetico che si veniva facendo, fino a ottenere una progressiva e sempre più aderente rete di approssimazione all'assoluto della sua invariante. Non è difficile intuire come, dal punto di vista della metodologia letteraria, ci si trovi a un crocevia davvero importante, sicuramente innovatore nei confronti dello storicismo crociano troppo esclusivamente legato al finito dell'opera, e in un'area di critica che usufruendo per prima, da noi, dei cosiddetti «scartafacci» e quindi delle varianti d'autore, si poneva in condizione di seguire ben più capillarmente il percorso interno dell'opera stessa. Metodo instaurato proficuamente da De Robertis nei confronti di un grande innovatore poetico come Ungaretti, e che, legandosi alla riscoperta della pura testualità nei francesi del Simbolismo e nei nostri stessi classici, e con altri innesti filologici e formalistici, sarebbe stato del pari all'origine di una magistrale filologia attiva e di una pari variantistica che, più oltre, nel lavoro di un critico come Gianfranco Contini, (Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi 1938-1968, Torino, Einaudi, 1970), avrebbe ottenuto esiti di livello assolutamente europeo. Ma per rimanere al nostro oggetto, e dopo averne chiarito l'ambito cronologico e metodologico, e avere ancora aggiunto col curatore di questo libro, che esso include ben 139 lettere di Ungaretti e solo 74 di De Robertis (quest'ultimo essendo stato, evidentemente, meno attivo corrispondente, ma più ordinato conservatore delle lettere ricevute); e dopo avere appena accennato al fatto che a una lettura diversa da quella che ora ne faremo, questo Carteggio sarebbe in grado di offrire, comunque, uno spaccato non comune di vita letteraria italiana, in anni cruciali e di straordinaria trasformazione politico-sociale del nostro paese, fra la dittatura fascista e la democrazia antifascista, fra anteguerra, guerra e dopoguerra, sarà ancora da aggiungere per una sua compiuta connotazione, che il libro reca un'Appendice con tutti i testi poetici via via inviati da Ungaretti a De Robertis, qui presentati ad accrescerne senza dubbio il valore strumentale e il pregio. Solo in parte già noti, o accolti nel complessivo Apparato critico delle varianti dei Meridiani di Tutte le poesie di Ungaretti, questi testi possono peraltro risultare preziosi alla preparazione di singole edizioni critiche ungarettiane, come ad esempio l'edizione de La terra promessa, non a caso da tempo in preparazione proprio sotto· ia guida dello stesso Domenico De Robertis, che ha curato questo Carteggio. Superatane dunque la possibile lettura come documento letterario e come testimonianza di un'amicizia esemplare e disinteressata, che pure c'è stata; o come prova tangibile di una fiducia intellettuale totale e profonda fra i due interlocutori, che ugualmente c'è stata (ma non dimenticando mai la cordialità anche familiare che attraversa l'intero Carteggio, non a caso inizatosi per De Robertis con la bellissima lettera del 15 gennaio 1940 a Ungaretti, che in Brasile aveva appena perduto il figlio Antonietta, e pressoché concluso dallo stesso De Robertis, che scrive a Ungaretti per la morte della moglie Jeanne), è al suo vero, continuo e inesauribile oggetto che il libro si affiderà soprattutto: al formarsi e maturarsi della lirica di Ungaretti, e alla collaborazione critica in ogni senso e modo di De Robertis, nel favorirne la pubblicazione ottimale. Massima occasione di tutto questo e con tutta particolare consistenza quantitativa e q4alitativa di lettere negli anni Quaranta, sarà la pubblicazione definitiva dell'opera di Ungaretti nello Specchio di Mondadori, con la relativa preparazione e gestazione proprio a cavallo della guerIn particolare da questo Carteggio risulterà evidente come l'impostazione e la realizzazione di quest'opera, promossa evidentemente da Ungaretti, abbia tuttavia avuto in De Robertis un suggeritore tenace e non tanto sotterraneo che, di lettera in lettera, negli anni durissimi per ragioni belliche del 1942 e '43, ma tanto fruttuosi per la comune collaborazione, avrebbe a poco a poco condotto l'opera ungarettiana alla forma oggi universalmente nota di Vita d'un uomo, con la pubblicazione ravvicinata nel 1942 e '43 dell'edizione definitiva dell'Allegria e di Sentimento del tempo, e con la preparazione del prezioso volume delle Poesie disperse recante anche l'apparato derobertisiano delle varianti dei primi due libri, e delle stesse «disperse», oltre a un famoso saggio introduttivo di De Robertis («Sulla formazione della poesia di Ungaretti» in Altro Novecento, Firenze, Le Monnier, 1962), che avrebbe fatto epoca in ogni senso nella critica ungarettiana. Questo libro, per ragioni belliche e per la divisione dell'Italia in due nel 1943 e '44, avrebbe visto la luce solo a Liberazione avvenuta, nel 1945. Intanto la corrispondenza fra i due interlocutori sarebbe stata fittissima e decisiva a chiarire in ogni senso il valore e il fine della poesia ungarettiana. Con Ungaretti che avrebbe scritto lettere forse insuperate di autocommento sull'opera propria: come quella del 25 luglio 1942 sull'influenza della sua poesia su quella dei maggiori contemporanei; o quella del 23 agosto 1942 in cui avrebbe utilmente chiarito persino le camponenti di povertà e di emigrazione che erano all'origine del suo nazionalismo e fin del suo fascismo in quegli anni; o quella davvero decisiva ed estesissima del 4 settembre 1942, in cui discutendo un saggio di Adriano Seroni sulla sua poesia, Ungaretti parla di sé in rapporto a Mallarmé e a Apollinaire, a Valéry, ai Futuristi e a tanto altro, con discernimento davvero magistrale sia per sé che per gli altri. V i fa in ogni senso il punto sulla propria opera, su quello che essa ha avuto (ed ha, in questo senso fino a oggi) di più personale e innovatore, nell'ambito della poesia italiana del secolo; «... Separare la parola da tutto ciò ch'era decorativo, retorico, manierato, farla aderire in modo spontaneo alla realtà, renderla così 'primitiva' o 'innocente' com'io dico (come quella d'un bimbo che impara a parlare, come quella d'un selvaggio). Le circostanze vi contribuivano: era parola che 'scoprivo' in me, in trincea. Ridata ad essa la propria antichità espressiva, colmare questa parola di 'cultura', o come dico io di 'memoria', scegliere, cioè, e fissare ciò che nel suò senso e nel suo suono, entro i limiti della poesia di cui faceva parte, vi potesse essere d'essenziale sia rispetto a una purezza derivata dalle leggi liriche d'una tradizione nazionale e, in assoluto, dalle leggi liriche d'ogni tempo e paese ... ». E ripeterà il concetto in altri termini il 19 settembre 1942: «... s'io dico casa, la parola casa non è una casa, ma, in primo luogo, un gruppo sonoro con un accento, e ho quindi da considerare: a) una qualità sillabica di detta parola, b) un suo valore qualitativo o ritmico. Pura prosodia se si vuole. Questa parola casa che ha i valori fonici che abbiamo visto, evoca per astrazione o, se si preferisce, per convenzione, un'indeterminata casa. Ora, per dirla in stile d'abbecedario, tutto lo sforzo del poeta consisterà nel riuscire a dire (o evocare se si preferisce) ciò che gli preme di dire, trovando un giusto rapporto fra valori fonici e valori evocativi secondo l'indole d'una lingua e conformemente alla tradizione letteraria della medesima, e secondo il gusto personale del poeta ... ». Non è questa la sede per fornire le prove, che pure ci sono, di come da un anno all'altro e da 1,1nlibro all'altro, in successione pressoché inarrestabile che ha trovato riflesso anche in queste lettere, Ungaretti abbia perseguito, con passioné davvero inesauribile, lo svolgimento di un proprio disegno lirico assoluto fra «innocenza» e «memoria». In questo è assecondato senza indugi dall'opera di collaborazione, di assistenza e di commento teoricamente illimitata del critico amico, che negli anni lo seguirà, assisterà, lo eguaglierà persino nell'individuare, di quest'opera, il diagramma ottimale, nell'auscultarne, e verificarne in assoluto il disegno. Accanto alla passione, all'irruenza, alla tensione di chi vuole infine e più di tutto bruciarsi in un grido, De Robertis, con lo stoicismo di chi sa di avere da svolgere una funzione vicaria quanto indispensabile, sa bene che il massimo suo risultato sarà quello di sapere· accogliere, ascoltare, ordinare le parole dell'amico fino al loro 'optimum', di far parlare fino in fondo Ungaretti al più e al meglio delle sue facoltà. Fin dall'inizio del loro rapporto De Robertis non ha dubbi sulla sua funzione di annotatore e commentatore: «... Sto allineando tutte, dico tutte, le varianti, e io mi ci specchio ( ... ). A Firenze ti mostrerò le prove del mio lavoro; ora ti dico soltanto che da questo lavoro io imparo moltissime cose, che il farlo è per me un piacere grande, e la fatica non mi pesa. Non ho mai visto così chiaro nella tua poesia ... » (10 agosto 1942). Raccomanderà a Ungaretti di fargli avere tutte, dice tutte le diverse versioni a stampa dei suoi testi, in questo aiutato anche da Falqui spesso presente nelle loro lettere, che a Roma, tramite la sua fornitissima biblioteca, farà non di rado da mediatore fra i due amici, e da prezioso fornitore di rarità bibliografiche allo stesso De Robertis. Il quale vorrà però vedere e trascrivere tutto di persona, non fidandosi infine (lo scriverà a Ungaretti) che della propria pazienza e tenacia: « ... io non desidero da te che quesw: che mi procuri indicazioni bibliografiche il più possibile esatte; poi le ricerche le farò io, le devo fare io: perdonami, ma quanto a esattezza, non mi fido di nessuno, nemmeno di te ... » (14 settembre 1942). Così senza mai alzare la voce, ma inflessibile quando ne va del metodo e della qualità del suo lavoro: neanche quando, a un certo punto, per questioni di tempo e sotto la pressione dell'editore, la pubblicazione corre il rischio di sfumare o di perdere l'inappuntabilità prevista dal curatore: « ... La tua poesia (che merita questo e altro), la mia difficoltosa e prudente natura di studioso (di studioso responsabile, non avventato) m'impongono questa condotta e questa ferma decisione. Ti prego ascoltami. Fa' che io dedichi quel poco d'ingegno mio, e tutto il tempo che ci vorrà a un'opera che può diventare esemplare, acqms1re qualcosa di serio agli studi ... » (19 settembre 1942). E De Robertis l'avrebbe alla fine avuta vinta, proprio per la sua tenacia e pazienza, sull'irruenza e l'impulsività di Ungaretti, sulla fretta dell'editore di pubblicare comunque i libri, sui tempi bui della guerra che creavano imprevisti e contrattempi. Ci furono persino gli arresti per De Robertis, accusato di essere in contatto con suoi allievi appartenenti alla Resistenza, col relativo sequestro per mesi delle varianti di Ungaretti che davano sospetto in Questura, . ' mentre, d'altra parte, 11poeta era accolto ali' Accademia d'Italia. Stravaganze di tempi bui! Questo non impedì che i primi tre volumi di Vita d'un uomo uscissero secondo il loro disegno ottimale. Poi, negli anni, la corrispondenza fra il poeta e il suo critico sarebbe continuata con ritmo quasi altret-

tanto sostenuto, costellando eventi ora fausti e ora meno; e si sarebbe rinfocolata ogni qualvolta l' Antico (così De Robertis usava chiamare Ungaretti) avrebbe pubblicato un nuovo libro, o De Robertis un suo saggio. Si fosse trattato dell'uscita di Il dç>lore o di Un grido e paesaggi, di La terra promessa o di Il taccuino del vecchio, o dei diversi libri ungarettiani di traduzioni o di prosa, in ogni caso il filo epistolare fra i due si sarebbe rifatto più teso. Col poeta che sembrava infine parlare solo per chi aveva saputo più di tutti cogliere così per tempo il segreto, il senso più proprio, simbolico e drammatico della sua poesia; e col critico che a ogni nuovo libro si rimetteva al lavoro, a capire di nuovo, aggiornando e modificando le sue carte, fedele a un metodo di lettura che era prima di tutto nella natura inimitabile del lettore e dell'uomo. Così fino alla vecchiaia di tutti e due: fraterna ma dignitosa anche nel declinare degli anni, nelle lunghe vicende accademiche che li avrebbero accomunati anche nel dopoguerra, rispettosa delle due diverse e spesso complementari nature, nell'affrontare gli eventi e persino i mali fisici, la stessa società letteraria che è quella che è. Con la gloria letteraria nazionale e infine anche internazionale per Ungaretti; col generale rispetto per De Robertis, ritenuto sempre più uno dei maestri e fondatori della nostra moderna critica. Con De Robertis che, ancora il 7 gennaio 1958, scriveva a Ungaretti a proposito di cinque cori inediti per La terra promessa, che gli aveva mandato da leggere: «... Questa è melica altissima, impregnata di poesia gnomica. La tua solitudine, la drammatica solitudine, è la tua musa da sempre; e vedi, neppure oggi, dopo tanti anni, non t'abbandona. Felice d'averti conosciuto, mio caro, e, anche: d'averti un poco compreso... ». E con Ungaretti che, all'ultimo articolo di De Robertis, avrebbe risposto il 1° gennaio 1961: «... Il tuo acume rimane un acume insuperabile, e una poesia ne è a illuminata. Sei il lettore che mi sono sempre augurato, perché sei più di un lettore, la tua critica ha gli accenti della poesia, gli alti accenti ... ». Un dialogo e una collaborazione in teoria illimitati, che sarebbero durati quanto le loro stesse vite. Che giustamente le superano oggi divenuti ormai parte delle nostre stesse vite di lettori e di studiosi, illuminandole fino a divenire per noi un esempio, e per tutti, una lezione comune. Appuntam~!•,cionDante . Jacqueline Risset Dante scrittore Milano, Mondadori, 1984 pp. XII-196, lire 20.000 Roberto Mercuri Semantica di Gerione Roma, Bulzoni, 1984 pp. 270, lire 20.000 Il piccolo Hans, n. 45 gennaio/marzo 1985 Nella selva con Dante Bari, Dedalo, 1985 pp. 208, lire 8.000 P ubblicato nel 1982 dalle parigine Éditions du Seuil (Dante écrivain ou l'intelletto d'amore), Dante scrittore, di Jacqueline Risset, viene presentato al lettore italiano con una breve «Premessa» dell'autrice, che non è solo una dichiarazione d'intenti, ma subito, agilmente, ci introduce nel vivo della sua lettura, e in quanto ha di personale nella smisurata bibliografia dantesca. Una lettura che, come il titolo stesso sottolinea, è volta particolarmente a interrogare Dante «come colui che meglio rappresenta( ... ) quella che è la più soggettiva e stupefacente fra le attività dell'uomo, l'invenzione artistica», per dirlo con le parole di Maria Corti nel più recente fascicolo della rivista Il piccolo Hans, sul quale ritorneremo. Scrittore, dunque, in quella totale e pur specifica accezione del tem~ine che permette, senza forzature, alla Risset, di accostare il sommo poeta •medievale italiano ai due autori che più forse sono •riassuntivi della letteratura del nostro secolo: Joyce («per il quale Dante fu modello costante, fino all'esplorazione del gioco 'fuori senso' di Finnegans Wake»); e Proust («per la nozione di un'opera circolare, che si autodesigna scrivendosi, e si compie con l'apertura della possibilità del suo stesso inizio»). Ma la· Risset non indugia su tali indicazioni, s~ non forse per sottolineare, acutamente, la perennità della «invenzione» - o della ricerca, o dello «sperimentare» (è il titolo del terzo capitolo della prima parte del suo libro). Si guarda bene dalla tentazione di un'ulteriore ·-· -e quante volte accademica! - comparazione o indagine sulle fonti:·Dante e... X; Dante e ... Y. Si avvale, semmai, del privilegio che Gianfranco Contini attribuisce - e proprio scrivendo, nel 1956, sul primo volume dei Dante Studies di Charles S. Singleton -, rispetto al filologo, al critico, che «in quanto tale attira alla sua modernità, con perenne e costitutivo anacronismo». Rimette cioè al centro, senza nulla togliere alle sottili e spesso illuminanti ricerche figurali, analogiche, culturali, o addirittura storico-sociali, il gusto, la «vibrazione», per cui «leggere Dante vuol dire toccare nella nostra esperienza il punto germinativo a partire dal quale il pensiero prende forma, si manifesta, si accende. E vuol dire, nello stesso tempo - fuori dalle tradizioni letterarie di proiezione e di fagocitazione - apprendere un'altra voce, lontana e tuttavia rivolta a noi». Seguendo, a partire dalla Vita Nuova, la «traiettoria» della volontà di Dante, e della sua tensione, la Risset traccia - o individuai percorsi resi complessi dai rimandi, dagli echi, da tutto un retrofondo culturale cristiano, ebraico, classico, ma anche qua e là toccato dalle venature del pensiero arabo, verso ciò che ella, riprendendo Wittgenstein, definisce come il risultato di una scommessa per cui si affermi «la possibilità che la creazione sia innanzitutto creazione di un linguaggio che dice l'impossibile». Un paradosso? forse: ma non più di quello con cui Dante - ricorda l'autrice - definisce la geometria nel Convivio: tra «'I punto e lo cerchio sì come tra principio e fine si muove la Geometria, equesti due a la sua certezza ripugnano; ché lo punto per la sua indivisibilitade è immensurabile, e. lo cerchio per lo suo è impossibile a quadrare perfettamente, e però impossibile a mesurare a punto» ... Ma non è questo che rende la Geometria, come la Letteratura, infinita? · A differenza della Risset, Roberto Mercuri, nel suo Semantica di Gerione. Il motivo del viaggio nella «Commedia» di Dante, muove da un luogo specifico del poema: l'ultima parte del canto XVII dell'Inferno, ove viene descritto il percorso tra il settimo e l'ottavo cerchio, dalla bolgia degli usurai a quella dei ruffiani e seduttori, compiuta, appunto, sul dorso del mostro alato Gerione, da Dante e Virgilio. Dante riprende la figura dalla tradizione classica, da Virgilio,. Ovidio, Plinio, Seneca, dalla Bibbia (la locusta), dai bestiari medievali, ma dandole una connotazione specifica: non più «tricorporeo, ma con parti di tre diverse nature (uomo, serpe, scorpione) nell'unico corpo», come precisa il commento di Scartazzini-Vandelli. Si tratta di un passo molto discusso dagli interpreti, soprattutto in merito al significato da dare alla «corda» da cui Dante appare cinto e che, su invito di Virgilio, scioglie perché venga lanciata in direzione del mostro per trarlo a compiere la sua funzione di veicolo alato in favore dei due visitatori degli Inferi. Mercuri, con abbondanza e precisione di riferimenti, sottolinea il senso simbolico della «corda» contrapponendola, tra l'altro, a Paradiso XXVI, vv. 49-50 («Ma dì ancor se tu senti altre corde I tirarti verso lui [Dio]») sì da concludere: «Il segno della corda correla Inf XVII e Par XXVI: le corde che tirano Dante verso Dio e verso l' 'amor diritto' costituiscono un evidente contrappunto alla corda di cui Dante si libera nell'incontro con Gerione, che è la corda che trascina l'uomo verso l' 'amor torto'». Ma la semantica di «corda» sollecita l'autore a un documentato riferimento alla nave, al «pelago» e quindi al «viaggio», «come scelta fra male e bene, fra una rotta che porta a un tumultuoso naufragio e una rotta che conduce alla quiete del porto». Da qui la centralità, in questo saggio, del tema, appunto, del «viaggio»: una lettura certo non nuova, e sulla quale si è particolarmente soffermato - come Mercuri sottolinea - tra gli altri Ch. Singleton. A differenza dello studioso americano egli tuttavia sostiene e argomenta che il momento cruciale della «conversione» di Dante è da ritrovarsi proprio nell'episodio di Gerione «nel momento in cui Dante sta per accedere a Malebolge, nel cuore dell'inferno», e ciò per motivi sia strutturali, sia più specificamente semantici: una via, quest'ultima, che Mercuri privilegia, pur ribadendo - con acribia critica - che «una proposta di lettura della Commedia non può essere ancorata rigidamente a un metodo, ma può attuarsi solo entro un'ottica di integrazione e inte- ~razione di diversi e vari approcci metodici». Per Mercuri, il percorso semiologico, dal testo alla cultura dell'autore, e da questa al testo, offre non solo un ausilio indispensabile all'ermeneutica ma consente, proprio attraverso la individuazione di quanto è tratto dalla tradizione e di quanto invece se ne distacca, o addirittura la contraddice con uno «scarto» specifico, di meglio cogliere la produzione di senso propria di ogni testo maggiore: in questo caso, la Commedia. lf efficacia di questa pluralità di approcci si palesa nel denso dettato che il trimestrale Il pictolo Hans ha dedicato a Dante nel primo numero (gen: naio/marzo) della sua dodicesima annata, con il titolo generale di Nella selva cdn Dante. Il fascicolo si apre con un ampio saggio della psicoanalista Virginia Finzi Ghisi, «Dante, e il ritrovamento dello specchio nel luogo della fobia». È stato osservato (tra l'altro anche in una nota del libro della Risset) come quasi inesistenti iano, nell'opera di Freud, i riferimenti a Dante, a differenza, ad esempio, di quelli a Shakespeare o a Goethe. Ma lo scritto di V. Finzi Ghisi è semmai una convalida della eccezionale strumentazione che il lavoro di Freud, quando sia inteso non scolasticamente, ma creativamente, per portarlo oltre sulla base della clinica e della riflessione teorica, possa offrire per illuminare di riferimenti del tutto nuovi anche un testo, come la Commedia, studiatissimo. Della fobia Freud si era occupato nell'Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans), pur senza riconoscervi una funzione nodale; né il tema era stato particolarmente frequentato, successivamente, dagli psicoanalisti, specie nel suo risvolto teorico. Momento originario del percorso compiuto qui entro la Commedia è invece l'individuazione - già elaborata in altri saggi e testi - da parte di V. Pinzi Ghisi e di Sergio Finzi, di un «luogo della fobia», visto come «luogo di scelta di una nevrosi, come passaggio e impasse alla perversione; infine come spazio mancato, rispetto alla psicosi. Il 'luogo della fobia' nella formazione del pensiero, la sua funzione nella teoria psicoaqalitica, il suo rapporto a Il 'espressione artistica». Qui, con Dante, «della struttura ~obica - leggiamo - abbiamo finora ravvisato l'apparizione degli animali, il motivo dell'attraversamento, l'affacciarsi ripetuto dell'angoscia. Poi c'è stato il venir meno, il mancamento di fronte all'apparizione nel reale di una fantasia incestuosa, l'incontro di una coppia che si presenta incastrata in un tutto unico ... ». Ed ecco, a questi puntuali riscontri (la lonza, la lupa, il leone, il «doppio cono» dell'imbuto dell'inferno e dell'aprirsi verso l'alto del purgatorio, l'angoscia «de le genti» e dello stesso poeta, Paolo e Francesca, la coppia Catone/Marzia ... ) aggiungersi le trame dei sogni di Dante, e l'affacciarsi in essi del pensiero: tutti passi che portano a ritrovarsi nel luogo della f9bia, che viene di'svelato: un luogo la cui rappresentazione - sottolinea V. Finzi Ghisi - «sembra indispensabile alla psiche umana». Ed è a questo punto, in cui con Dante veniamo a ritrovarci anche noi, che una lettura dell'Inferno, del Purgatorio, del Paradiso, ci appare in una prospettiva completamente nuova. Sino alla immagine cruciale del Lete, il fiumicello che, già presente nell'Inferno, ritorna negli ultimi canti del Purgatorio a rappresentare una barriera (<,molle», come quella del Dazio nel caso del piccolo Hans, e di altri esempi che l'autrice trae dalla clinica), e insieme uno «specchio». («Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; I ma veggendomi in esso ... ») che ha «una funzione di allontanamento e di separazione». Al Lete si arresta il viaggio di Dante: il paradiso non sarà che una «vista». Così lo «stacco» tra le prime due cantiche - la seconda delle quali è un ripercorrimento, ma nella luce dell'alba, distanziato, della prima - e la terza, già immediatamente sensibile sul piano della lettura, trova il suo inveramento nei percorsi della psiche, mentre, nello studio della Finzi Ghisi, si prospetta un'altra tematica di ampia portata: il nesso tra ebraismo e cristianesimo, e la loro differenziazione. Se il saggio di V. Finzi Ghisi attraversa, per cosl dire, la Commedia per evidenziarvi, lungo il rapporto che il suo autore intrattiene con il sapere, la storia stessa del costituirsi del soggetto, gli scritti di Maria Corti («Dante e il potere dell'analogia•») e di Italo Viola («Preliminare ('umbrifero') ai simboli della Commedia») si immettono entro il tessuto culturale del tempo di Dante per sottolineare lo «sperimentalismo» ideale e linguistico del poeta, il primo; «una lettura dei simboli della Commedia attenta al vario comporsi in ogni punto degli elementi sensibili, dei sentimenti e dei pen· sieri, disposta ad accogliere di volta in volta i significati che - in una coerenza multiforme e pur tenace - si richiamano e assommano, e sviluppata lungo la 'progressiva rappresentazione'», il secondo. Concretezza, specificità, del simbolo dantesco - e sua netta differenziazione dalla allegoria, crocee delizia di tanti «dantisti».. E ancora: Paolo Bollini concentra la sua attenzione sulla figura dell'iperbato in Dante; Roberto Mercuri esamina la sinestesia fioco/silenzio (appartenente il primo termine alla sfera visiva, il secondo a quella auditiva) nel suo tragitto tra Vita Nuova e Commedia; Antonio Prete percorre parallelamente gli inferi di Dante e quelli di Baudelaire; Roberto Roversi muove dal De monarchia per una disamina di temi politici anche contemporanei; Gabriele Frascain un'area di riferimenti culturalie poetici rigorosi - riprende la lettura e l'interpretazione della sestina di Arnaut Daniel, il poeta provenzale del XXVI del Purgatorio. Percorsi che si intrecciano e si integrano: appuntamenti con Dante che, non tanto, banalmente, ne sottolineano la perenne «attualità», quanto, piuttosto, si inse- .,., riscono nella complessa area di meditazione - culturale, letteraria, teorica - entro cui, oggi, l'accentuarsi dell'interesse per Dante ci consente di avanzare una qualche ipotesi sui tempi che - anche noi - attraversiamo, sul nostro viaggio, ull'inferno e sul purgatorio che sono in noi, pellegrini d1 i: questo tardo Novecento.

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